La motivazione del provvedimento

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7111.

La massima estrapolata:

La motivazione del provvedimento non può essere integrata in un secondo momento, anche in corso di causa, con la specificazione di elementi di fatto in origine non presi in considerazione, dovendo la motivazione precedere e non già seguire il provvedimento amministrativo, e ciò a tutela del buon andamento e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziale.

Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7111

Data udienza 9 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5352 del 2012, proposto da Ministero dell’Interno e Questura di Treviso (TV), in persona del rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…),
contro
il signor Hi. Ab., non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. del Veneto, Sezione III n. 146/2012, resa tra le parti, concernente diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e udito per la parte appellante l’avvocato dello Stato Gi. Ci.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellato, sig. Hi. Ab., cittadino extracomunitario nato a Sale (Marocco) in data 29 gennaio 1979, ha presentato a mezzo kit postale in data 23 marzo 2009 alla Questura di Treviso una domanda avente ad oggetto il rinnovo del proprio permesso di soggiorno in Italia, in precedenza a lui rilasciato dalla Questura di Bolzano con validità dal 15 marzo 2007 al 28 febbraio 2009.
Il successivo 13 novembre lo stesso richiedente si è quindi presentato presso l’anzidetta Questura per sottoporsi al fotosegnalamento necessario per l’ulteriore corso della pratica.
La domanda dell’Aboufaris è stata peraltro respinta con provvedimento del Questore di Treviso Cat. A.11/2011 dd. 30 agosto 2011, recante la seguente, articolata motivazione:
“Considerato che il predetto straniero risulta avere a carico le seguenti condanne penali: 25 ottobre 2006, sentenza emessa dal Tribunale di Bolzano in data 25 ottobre 2006, irrevocabile il 10 dicembre 2006, per furto in concorso commesso il 3 settembre 2005 in Bolzano con condanna alla pena di mesi 8 di reclusione e multa di Euro 200,00.-; 16 marzo 2007, sentenza emessa dal Tribunale di Bolzano, irrevocabile il 15 aprile 2007, per cessione di sostanza stupefacente, art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso il 7 febbraio 2007 in Bolzano, con condanna alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione e multa di Euro 2.000,00.- 6 novembre 2008, decreto penale del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano, esecutivo il 28 maggio 2009 per guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche, commesso il 28 aprile 2008 in Bolzano, con condanna all’ammenda di Euro 350,00.-; Visto che dal controllo delle banche dati I.N.P.S. risulta che lo straniero ha prestato attività lavorativa fino all’anno 2007, nulla nell’anno 2008 e che risulta una retribuzione di soli Euro 211,00.- nel mese di aprile 2009; Atteso che in data 13 novembre 2009 lo straniero si presentava allo sportello, ove veniva acquisita la documentazione prodotta dallo stesso, e che nei suoi confronti si emetteva avviso ai sensi dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241 e successive modifiche, in quanto non presentava il bilancino recente timbrato e firmato da un commercialista, la visura camerale e il Modello Unico del 2009 con invio telematico; Considerato che lo straniero ottemperava all’obbligo di presentazione del Modello Unico solo in data 16 novembre 2009, ovvero dopo che quest’Ufficio lo aveva richiesto; Letto il bilancino prodotto dall’interessato in data 18 novembre 2009, con allegata la visura dell’impresa individuale di commercio al dettaglio ambulante, in cui risulta che l’utile prima delle imposte ammonta ad Euro 2.470,00.-come bilancio provvisorio per l’anno 2009; Atteso che in data 3 dicembre 2010 veniva notificato allo stesso l’avvio di procedimento amministrativo diretto a rigettare la sua istanza di rinnovo del permesso di soggiorno e che il successivo 23 dicembre 2010 il legale dello straniero inviava memorie per cui tuttavia non esistono elementi tali da comprovare una valutazione diversa della situazione sopra descritta; Considerato che in allegato alle memorie del legale vi era solamente copia dell’avvio di procedimento amministrativo notificato all’interessato; Atteso quindi che lo straniero ha presentato a tutt’oggi sola mente il bilancino dei redditi durante l’anno 2009, e che non ha presentato alcun reddito per l’anno 2010 e per l’anno 2011, nonostante che siano trascorsi circa 20 mesi durante i quali lo straniero è rimasto inoccupato o comunque non ha dimostrato di svolgere alcuna attività lavorativa al fine del mantenimento proprio; Valutato che il predetto straniero ha già usufruito del termine massimo di 6 mesi concesso dall’art. 22, comma 11, del t.u. approvato con d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e modifiche, integrato e modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189, per svolgere un’altra attività lavorativa; Visto l’art. 4, comma 3, del d.lgs. 286 del 1998 e considerato che il cittadino straniero non poteva dimostrare la disponibilità di mezzi di sussistenza ai sensi dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. 286 del 1998 e dell’art. 9, comma 4, lett. b), del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, e considerato che il cittadino straniero non aveva esibito elementi comprovanti la disponibilità di risorse ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394; Considerato che ai sensi dell’art. 5, comma 4, del t.u. n. 286 del 1998 integrato e modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189 e modifiche, la richiesta di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal citato Testo Unico; Considerato che ai sensi dell’art. 5, comma 3-bis del t.u. 286 del 1998, integrato e modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189 e modifiche il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di lavoro; Atteso che alla luce della norma sopraccitata l’iscrizione nelle liste di collocamento per un periodo superiore a sei mesi è circostanza ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno; Atteso che lo straniero richiedente il permesso di soggiorno non risulta svolgere attualmente alcuna attività lavorativa e non ha esibito un nuovo ed attuale contratto di soggiorno per lavoro; Rilevato che in base all’art. 37, comma 3, del citato d.P.R. n. 394 del 1999 nel caso in esame si osservano le disposizioni di cui all’art. 36, commi 3 e 4, che prevedono l’obbligo per lo straniero di lasciare il territorio nazionale se alla scadenza del permesso lo stesso risulta privo di una occupazione lavorativa regolare ai sensi del sopra citato art. 22 e art. 9; Considerato che ai sensi dell’art. 5, comma 4, del t.u. 286 del 1998 integrato e modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189 e modifiche la richiesta di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal citato Testo Unico; Letto l’art. 4 del d.lgs. 286 del 1998, relativo all’ingresso nel territorio dello Stato, che prevede che non è ammesso in Italia lo straniero che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato o che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per i reati previsti dall’art. 380, commi 1 e 2, c.p.p., ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia, ecc.; Considerato che ai sensi dell’art. 5, comma 4, del t.u. 286 del 1998, integrato e modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189 e modifiche, la richiesta di soggiorno è sottoposta alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal citato Testo Unico; Letto l’art. 5, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 – Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, che prevede che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato; Accertato che la revoca o rifiuto del permesso di soggiorno è atto presupposto dell’espulsione per motivi di pericolosità sociale ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. c), del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni sull’immigrazione) e dell’art. 12, comma 1, 2, del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento di attuazione del Testo Unico sull’immigrazione) che prevede l’espulsione come atto sempre successivo al provvedimento di revoca o rifiuto del permesso di soggiorno da parte del Questore; Atteso che la non pericolosità sociale è un requisito per la permanenza sul territorio nazionale ex art. 13, comma 2, lett. c) del Testo Unico soprarichiamato, e il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno è obbligatorio quando viene a mancare tale requisito ex art. 5, comma 5, del Testo Unico sopra citato; Atteso che per i sopra richiamati elementi di fatto si deve ritenere che il predetto è persona che per il suo comportamento è pericolosa per la tranquillità e la sicurezza ai sensi dell’art. 1 della l. 1423 del 1956; Ritenuto che per i sopra richiamati elementi di fatto si deve ritenere che il predetto è persona che vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose e altresì è pericolosa per la sicurezza pubblica ai sensi dell’art. 1 della l. 1423 del 1956; Considerato altresì che allo straniero è stato dato avviso di avvio del procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 7 della l. 241 del 1990; letti gli artt. 5, comma 5, e 13, comma 2, del d.lgs. n. 286, Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.
Tale provvedimento è stato notificato al suo destinatario in data 8 novembre 2011 presso la Stazione dei Carabinieri di San Stino di Livenza (VE).
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 103 del 2012 innanzi al T.A.R. per il Veneto l’Aboufaris ha chiesto l’annullamento del surriportato provvedimento, deducendo al riguardo l’avvenuta violazione dell’art. 1 della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, degli artt. 2, comma 6, e 5 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241.
1.3. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Ministero dell’Interno, concludendo per la reiezione del ricorso.
1.4. Con sentenza n. 146 dd. 6 febbraio 2012 la Sezione III^ dell’adito T.A.R., resa in forma abbreviata à sensi dell’art. 80 c.p.a., ha accolto il ricorso “considerato” che lo stesso “…è fondato, in quanto effettivamente la comunicazione di avvio del procedimento aveva ad oggetto solo l’indicazione delle condanne, ed è pertanto mancata in relazione all’ulteriore capo di motivazione concernente i redditi; – che il ricorrente documenta che l’acquisizione del suo apporto procedimentale sulla questione dei redditi avrebbe avuto una valenza decisiva, in quanto risulta aver percepito redditi sufficienti dal modello Irpef del 2010 (cfr. doc. 4 allegato al ricorso; il modello risulta presentato per via telematica: cfr. doc. 5 allegato al ricorso) e dal bilancio provvisorio di esercizio 2011 e dalla fatture di acquisto merce (cfr. docc. 6 allegato al ricorso); – che il ricorrente inoltre deduce di essere entrato in Italia nel 1990 a seguito di ricongiungimento familiare; – che sotto questo profilo risulta violato l’art. 5, comma 5, ultimo periodo, come modificato dal Dlgs. 8 gennaio 2007, n. 5, che, in recepimento della direttiva 2003/86/CE, ha previsto una tutela rafforzata contro l’allontanamento in favore dei soggetti ricongiunti; – che tale norma esclude la possibilità di ricorrere ad automatismi ostativi alla permanenza in Italia, ed impone un particolare onere motivazionale in capo alle Amministrazioni; – che infatti tale norma dispone che “nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”; – che tali valutazioni, come dedotto, sono state omesse dal provvedimento impugnato; – che il ricorso pertanto deve essere accolto”.
2.1. Con l’appello in epigrafe il Ministero dell’Interno chiede ora la riforma della surriportata sentenza.
A tale riguardo la parte appellante reputa che il giudice di primo grado abbia erroneamente escluso la pericolosità sociale dell’Aboufaris per difetto di motivazione del provvedimento impugnato. E ciò in quanto il provvedimento di diniego risulterebbe ben articolato nelle sue considerazioni motive, e comunque di per sé legittimo.
A tale riguardo l’Amministrazione appellante si richiama all’omologa fattispecie decisa con sentenza di Cons. Stato, Sez. III, 4 luglio 2011, n. 3996, laddove si afferma che “come ha ritenuto questo Consiglio in fattispecie analoghe a quella in esame, l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 individua una serie di fattispecie criminali (e tra esse i reati in materia di traffico e spaccio di stupefacenti) considerate di per sé come ostative alla permanenza dello straniero nel territorio nazionale, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla pericolosità sociale del soggetto (cfr. in termini, tra le altre: Cons.Stato, Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2866 e 8 febbraio 2008, n. 415)”.
E’ ben vero – prosegue l’Amministrazione appellante – che ai sensi di quanto stabilito dall’art. 5.comma 5, del predetto d.lgs. n. 286 del 1998 il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno presuppone l’esame di eventuali elementi sopravvenuti, ma nel caso in esame non possono giovare all’attuale appellato i giudizi positivi espressi con riferimento alla condotta tenuta durante l’espiazione della pena, trattandosi di elemento che fa permanere intatto il disvalore attribuito dal legislatore (con l’art. 4, comma 3, d.lgs. cit.) alla condanna per traffico di stupefacenti.
In tal senso, sempre secondo l’Amministrazione appellante, gli “elementi sopravvenuti” cui fa riferimento l’anzidetto art. 5, comma 5, sono quelli che vengono ad integrare i titoli e i requisiti originariamente mancanti o incompleti; quando viceversa l’impedimento al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno sia costituito da una causa ostativa tassativamente indicata dalla legge – nella fattispecie la pregressa condanna penale – il solo “elemento sopravvenuto” di cui si possa eventualmente tener conto è il provvedimento che annulli la causa ostativa stessa (ad esempio, una sentenza di appello o di cassazione, ovvero di revisione, che faccia venir meno la condanna).
L’Amministrazione appellante, sempre a questo riguardo, rimarca anche che nella fattispecie m esame, non sussistono comunque elementi sopravvenuti che possano pertanto porre nel nulla la causa ostativa al rinnovo del titolo di soggiorno, permanendo del tutto integro il disvalore attribuito dal legislatore alla condanna di cui trattasi, di per sé sufficiente agli effetti della reiezione della domanda di rinnovo e in ordine alla quale si aggiungono ulteriori reati commessi dal medesimo Aboufaris, tra i quali quello di furto aggravato in concorso, punito con sentenza passata in giudicato, rientrante nell’art. 380 c.p.p. e dunque anch’esso ostativo all’ingresso dello straniero in Italia.
L’Amministrazione appellante rileva – altresì – che alle anzidette ragioni di indole penale che nella specie supportano la legittimità del provvedimento impugnato si aggiungono anche altre di natura economico-reddituale, consistenti nella mancata dimostrazione di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno.
L’Amministrazione appellante rimarca in tal senso che per il 2008 l’Aboufaris ha dimostrato di aver percepito un reddito complessivo da attività autonoma di Euro 5.098,00, che il bilancino provvisorio relativo all’anno 2009 evidenziava un utile d’impresa di soli Euro 2.470,00 e che per quanto attiene ai redditi degli anni 2010 e 2011 non risulta alcuna documentazione certificata, risultando pertanto con ogni evidenza che l’esiguità di quanto percepito dall’Aboufaris è tale da non consentirgli di condurre una vita decorosa, e che questa circostanza, anche nella concomitante considerazione dei reati da lui commessi, è stata pertanto legittimamente valutata come elemento certamente sfavorevole per l’accoglimento della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno.
Per quanto poi segnatamente attiene alle modalità con cui l’Aboufaris ha fatto ingresso in Italia, l’Amministrazione appellante rileva che non corrisponde a verità quanto affermato nel ricorso proposto in primo grado, e cioè che l’attuale appellato sia entrato nel territorio dello Stato nel 1990 a seguito di ricongiungimento familiare con il padre.
Viceversa, come si evince dall’archivio informatico “Stranieri web” del Ministero dell’Interno, relativo alla cronistoria dei permessi di soggiorno dei cittadini stranieri, l’Aboufaris è entrato in Italia il 31 dicembre 2003, a seguito di visto per ricongiungimento familiare ottenuto nei suoi riguardi dalla moglie Ch. Ra., cittadina del Marocco.
Successivamente nel 2005 tale permesso di soggiorno dell’Aboufaris per motivi familiari a seguito della coniuge, è stato convertito in permesso di soggiorno per “attesa occupazione” e, contestualmente, l’indirizzo indicato è cambiato rispetto a quello della moglie, mantenendosi da allora diverso rispetto a quello della Ch..
L’Amministrazione appellante afferma che tale circostanza comproverebbe che i due non convivono più perlomeno dal 2005, e che dunque al momento dell’adozione del provvedimento impugnato non sussistevano effettivi vincoli familiari di cui tener conto nel disporre il rigetto dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno: senza sottacere che, né di seguito alla notifica dell’avvio del procedimento volto al rigetto dell’istanza, né tantomeno nel ricorso proposto in primo grado l’Aboufaris ha mai fatto alcun riferimento al legame con la moglie, così lasciando di fatto intendere che tra i due non vi sia più di fatto alcun vincolo affettivo.
Da ultimo l’Amministrazione appellante evidenzia che nei riguardi dell’Aboufaris era stato comunque avviato il procedimento di preavviso della reiezione della propria domanda, nonostante che nelle fattispecie di cui all’art. 1, nn. 1 e 2, della l. n. 1423 del 1956, l’art. 13, comma 2, lett. c), del d.lgs. 286 del 1998 preveda l’espulsione dallo Stato senza l’obbligo di avviso di avvio del procedimento amministrativo.
2.2. In tale ulteriore grado di giudizio non si è costituito l’appellato.
2.3. Con ordinanza n. 2987 dd. 27 luglio 2012 la Sezione III^ di questo Consiglio di Stato ha accolto, à sensi dell’art. 98 c.p.a., la domanda di sospensione cautelare della sentenza impugnata, “ritenuto che, ad un primo esame, l’appello dell’Amministrazione appaia validamente argomentato in ordine alla puntuale contestazione delle circostanza di fatto che hanno motivato la sentenza del T.A.R.”.
2.4. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.1. Tutto ciò premesso, il Collegio reputa che la delibazione di fondatezza dell’appello in epigrafe, già espressa nella fase cautelare del presente grado di giudizio, debba essere riconsiderata e che pertanto l’impugnativa proposta dall’Amministrazione appellante non possa trovare accoglimento, salve e riservate restando – peraltro – le ulteriori determinazioni di sua competenza.
In tal senso risulta assorbente ai fini dell’accoglimento del ricorso in primo grado – diversamente da quanto reputato dal T.A.R. – la censura di difetto di motivazione dedotta dalla parte ivi ricorrente.
In effetti, il giudice di primo grado ha accolto il ricorso proposto dall’Aboufaris avendo riguardo alla censura con la quale era stata dedotta la violazione dell’art. 5, comma 5, ultimo periodo, del t.u. approvato con d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b), n. 1, del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, con cui in recepimento della direttiva 2003/86/CE, è stata introdotta nell’ordinamento una tutela rafforzata, a tutt’oggi vigente, contro l’allontanamento in favore dei soggetti ricongiunti: tutela, questa, oltre a tutto ulteriormente poi ampliata per effetto della medio tempore intervenuta sentenza della Corte costituzionale che ha esteso l’obbligo di valutazione della situazione particolare non soltanto nei confronti dello straniero che “ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare” o del “familiare ricongiunto”, ma anche in favore dello straniero che comunque “abbia legami familiari nel territorio dello Stato”.
A fronte di ciò va peraltro evidenziato che soltanto nella memoria d’appello l’Amministrazione dell’Interno ha fornito puntuale contezza dell’erroneità dell’assunto della difesa del ricorrente in primo grado e divenuto fondamentale supporto motivazionale della sentenza resa dal T.A.R., ossia che l’Aboufaris sarebbe entrato nel territorio dello Stato italiano nel 1990 per ricongiungimento familiare chiesto da suo padre.
La medesima parte appellante ha quindi fornito idonea comprova, mediante le risultanze dell’archivio informatico “Stranieri web” del Ministero dell’Interno, recante la cronistoria dei permessi di soggiorno dei cittadini stranieri, che:
1) l’Aboufaris è entrato in Italia non già nel 1990, ma il 31 dicembre 2003, a seguito di visto per ricongiungimento familiare ottenuto in suo favore dalla moglie Ch. Ra., cittadina del Marocco;
2) nel corso del 2005 tale permesso di soggiorno dell’Aboufaris per motivi familiari a seguito della coniuge è stato convertito in permesso di soggiorno per “attesa occupazione” e, contestualmente, l’indirizzo indicato è cambiato rispetto a quello della moglie, mantenendosi da allora diverso rispetto a quello della Ch.: circostanza, questa, dalla quale l’Amministrazione medesima desume che i due non convivevano più perlomeno dal 2005, e che pertanto al momento dell’adozione del provvedimento impugnato non sussistevano effettivi vincoli familiari di cui tener conto nel disporre il rigetto dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno.
Ma, se così è, la medesima Amministrazione avrebbe dovuto non già di fatto integrare ex post la motivazione del provvedimento impugnato in sede di difesa giudiziale – e per di più soltanto in sede d’appello – ma dare contezza delle circostanze suesposte già al momento dell’emanazione del provvedimento impugnato ripercorrendo in tal modo con esattezza – anche a prescindere dalle reticenze nella domanda dell’interessato e con l’utilizzo dei complessivi dati a sua disposizione – tutte le diverse fasi della documentata presenza dello straniero in Italia e traendo ivi al riguardo tutte le proprie considerazioni in ordine alla sopravvenuta cessazione di fatto delle relazioni tra l’Aboufaris e la sua coniuge, correlandole con l’insieme di tutti gli altri assunti motivazionali addotti nel provvedimento medesimo: e con ciò, quindi, apprestando per il provvedimento poi impugnato un contenuto ben più pregnante (e preventivo rispetto alle possibili contestazioni da parte del suo destinatario) rispetto al testo viceversa predisposto, per contro in più punti soltanto inutilmente ripetitivo degli altri assunti in esso formulati.
In tal senso non può dunque che essere ribadito, anche nella presente fattispecie, che sono inammissibili le argomentazioni difensive addotte a giustificazione del provvedimento impugnato mediante un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, ossia per il tramite di scritti difensivi predisposti dall’Amministrazione; e ciò – si badi – anche dopo le modifiche apportate alla l. 7 agosto 1990, n. 241, per effetto della l. 11 febbraio 2005, n. 15, rimanendo sempre valido il principio secondo cui la motivazione del provvedimento non può essere integrata in un secondo momento, anche in corso di causa, con la specificazione di elementi di fatto in origine non presi in considerazione, dovendo la motivazione precedere e non già seguire il provvedimento amministrativo, e ciò a tutela del buon andamento e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziale (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 10 luglio 2015, n. 3488).
3.2. Per effetto della presente sentenza l’Amministrazione dovrà pertanto motivatamente rideterminarsi sulla domanda dell’interessato con riguardo agli anzidetti elementi di valutazione emersi soltanto nella presente sede processuale e dianzi descritti, nonché in considerazione della disciplina contenuta nell’art. 5, comma 5-bis, del medesimo t.u. approvato con d.lgs. n. 286 del 1998, così come a tutt’oggi vigente.
La mancata costituzione in giudizio della parte appellata esonera il Collegio dalla statuizione sulle spese e gli onorari per il presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge come da motivazione, salvi e riservati restando gli ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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