La misura della penalità di mora

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 25 ottobre 2019, n. 7305.

La massima estrapolata:

L’art. 114, comma 3, lett. e), del codice del processo amministrativo non prevede l’obbligo del giudice dell’ottemperanza di accogliere senz’altro la richiesta di parte e di disporre automaticamente la misura della penalità di mora, nel caso di constatato mancato pagamento: il giudice dell’ottemperanza è dotato di un ampio potere discrezionale, che gli consente di effettuare una valutazione ostativa alla liquidazione, per considerazioni di carattere equitativo che possono anche escludere la meritevolezza della pena in questione.

Sentenza 25 ottobre 2019, n. 7305

Data udienza 24 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 2889 del 2016, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, alla via (…);
contro
Il signor An. Ca., rappresentato e difeso dagli avvocati Fe. Em. Ab. e Gi. Fe., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fe. Em. Ab. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione prima quater, n. 1696/2016, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Visto l’appello incidentale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2019 il pres. Luigi Maruotti;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso di primo grado n. 7333 del 2015 (proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma), la parte appellata ha chiesto che sia ordinato al Ministero della giustizia di dare esecuzione alla pronuncia del tribunale civile di Roma, emanata nel giudizio n. 12394 del 2014, in applicazione della legge n. 89 del 2001.
2. Il TAR, con la sentenza n. 1696 del 2016, ha accolto il ricorso, ha disposto le misure attuative del giudicato e ha condannato il Ministero – ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera e), del c.p.a. – al pagamento di un importo pari a ‘un interesse semplice, ad un tasso corrispondente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile in tale periodo, aumentato di tre punti percentualà, compensando tra le parti le spese del giudizio.
3. Con l’appello principale in esame, il Ministero della giustizia ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che essa sia riformata, nella parte in cui ha disposto tale condanna ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera e).
Il Ministero ha dedotto che:
a) il TAR non avrebbe potuto disporre la penalità di mora, ostandovi ragioni equitative, poiché l’Amministrazione si trovava nell’impossibilità di ottemperare al comando del giudice, in considerazione delle risorse assegnate dalla legge di bilancio;
b) la condanna al pagamento della penalità di mora – per ragioni di equità sostanziale – non potrebbe essere disposta quando si tratti del mancato pagamento di spese processuali;
c) il TAR ha disposto tale misura senza tenere conto del principio per il quale la penalità di mora può essere disposta solo per il caso di ritardo nella esecuzione del giudicato di ottemperanza e non anche in relazione al periodo di mancata esecuzione della pronuncia in precedenza passata in giudicato.
La parte appellata ha proposto un appello incidentale, chiedendo che il Ministero sia condannato a pagare le spese del primo grado del giudizio, in parziale riforma della sentenza del TAR, che ha invece disposto la loro compensazione.
Con l’ordinanza n. 2182 del 2016, la Sezione ha accolto la domanda incidentale cautelare del Ministero appellante ed ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata, quanto alla disposta penalità di mora.
4. Ritiene il Collegio che l’appello principale risulta fondato.
4.1. L’art. 114, comma 3, lettera e), del codice del processo amministrativo dispone che il giudice, in caso di accoglimento del ricorso per l’ottemperanza, “salvo che non sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato”.
Tale disposizione non prevede l’obbligo del giudice dell’ottemperanza di accogliere senz’altro la richiesta di parte e di disporre automaticamente una tale misura, nel caso di constatato mancato pagamento: il giudice dell’ottemperanza è “dotato di un ampio potere discrezionale” (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 giugno 2014, n. 15), che gli consente di effettuare una valutazione ostativa alla liquidazione, per considerazioni di carattere equitativo che possono anche escludere la meritevolezza della ‘penà in questione (Cons. Stato, Sez. IV, 27 settembre 2019, n. 6482; Sez. IV, 13 maggio 2019, n. 3065).
Tra gli aspetti che possono essere complessivamente valutati dal giudice, per accogliere o meno una tale richiesta di parte, rientrano tutte le circostanze del caso concreto, tra cui possono avere rilievo la natura del credito insoddisfatto (ad esempio, la sua natura alimentare), la durata dell’inadempimento, la mancata esecuzione di precedenti sentenze già rese in sede di esecuzione, le questioni di carattere organizzativo quando si tratti di giudizi sostanzialmente di carattere seriale, ecc.
Il giudice può ovviamente valutare tutti tali aspetti, anche accogliendo in parte la domanda formulata dall’interessato.
4.2. Nella specie, il TAR col ricorso di primo grado è stata chiesta l’ottemperanza ad un giudicato basato sulla violazione della legge n. 89 del 2001, che notoriamente ha comportato e comporta l’insorgenza di un notevole contenzioso avente per oggetto non solo le pronunce di cognizione volte a rilevare la violazione delle disposizioni sostanziali della medesima legge, ma anche le ulteriori fasi di esecuzione.
In relazione a tale contenzioso, ad avviso della Sezione risulta ragionevole e conforme ad equità una pronuncia del giudice di ottemperanza che disponga le misure attuative del giudicato, senza accogliere la domanda di applicazione dell’art. 114, comma 4, lettera e) (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2019, nn. 6691, 6708 e 6709; Sez. IV, 27 settembre 2019, n. 6482).
Poiché va accolto il primo profilo del motivo d’appello del Ministero, resta assorbita la censura per la quale il TAR ha disposto la penalità di mora con decorrenza da una data anteriore alla pubblicazione della sua sentenza.
5. La parte appellata ha proposto un appello incidentale, con cui ha lamentato la violazione dell’art. 92, comma secondo, del codice di procedura civile e degli articoli 24, 36 e 111 della Costituzione, deducendo che il TAR non avrebbe neppure esplicitato le ragioni poste a base della sua statuizione e che si sarebbe così inciso negativamente sul diritto alla effettività della tutela giurisdizionale e sulla dignità e sul decoro della professione forense.
6. Ritiene il collegio che tale censura risulta infondata e va respinta.
6.1. Per la pacifica giurisprudenza, che il collegio condivide e fa propria anche nell’attuale quadro normativo, il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2019, nn. 6673 e 6674; Sez. III, 9 novembre 2016, 4655; Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012; Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891; Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471; Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).
Ritiene al riguardo il Collegio che il giudice, a base della propria valutazione attinente ad un aspetto strettamente processuale, ben possa tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, tra cui possono avere rilievo la natura del credito insoddisfatto (ad esempio, la sua natura alimentare), la durata dell’inadempimento, la ricerca di soluzioni extragiudiziarie per evitare la pendenza del contenzioso, la mancata esecuzione di precedenti sentenze già rese in sede di esecuzione, le questioni di carattere organizzativo quando si tratti di giudizi sostanzialmente di carattere seriale, l’esistenza di un diffuso contenzioso in materia, l’assenza delle risorse nell’attuale congiuntura economica e la difficoltà di disporre tempestivamente delle risorse necessarie per disporre i pagamenti.
6.2. Nella specie, col ricorso di primo grado è stata chiesta l’ottemperanza ad un giudicato basato sulla violazione della legge n. 89 del 2001, che notoriamente ha comportato e comporta l’insorgenza di un notevole contenzioso avente per oggetto non solo le pronunce di cognizione volte a rilevare la violazione delle disposizioni sostanziali della medesima legge, ma anche le ulteriori fasi di esecuzione.
In relazione a tale contenzioso, ad avviso della Sezione risulta insindacabile e comunque ragionevole la valutazione del giudice di primo grado, sulla compensazione delle spese del primo grado del giudizio.
Una tale statuizione di per sé non incide sul diritto alla effettività della tutela giurisdizionale (poiché le regole della compensazione delle spese coesiste con le altre regole, miranti alla effettività della tutela).
Essa neppure è tale da incidere sulla dignità e sul decoro della professione forense: la decisione sulla compensazione non comporta di per sé una valutazione sull’operato del difensore o sulla qualità dei suoi scritti e attiene esclusivamente agli aspetti processuali sopra indicati.
7. Per le ragioni che precedono, l’appello principale va accolto e l’appello incidentale va respinto. Pertanto, va espunto dal dispositivo della sentenza impugnata la statuizione sulla condanna del Ministero al pagamento della penalità di mora.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta accoglie l’appello principale n. 2889 del 2016 e respinge l’appello incidentale e, in parziale riforma della sentenza impugnata, elimina dal suo dispositivo la statuizione sulla condanna del Ministero al pagamento della penalità di mora.
Compensa tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

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