La mancata nomina di un interprete

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 16 giugno 2020, n. 18280.

Massima estrapolata:

La mancata nomina di un interprete non è causa d’inutilizzabilità né di nullità delle dichiarazioni rese da persona alloglotta che non conosca la lingua italiana. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto manifestamente infondato il motivo di ricorso concernente la violazione dell’art. 143-bis, cod. proc. pen., fondato sulla circostanza che sia la denuncia della persona offesa che il verbale delle sommarie informazioni rese da un’amica erano stati redatti dagli operanti direttamente in lingua italiana, traducendo dall’inglese).

Sentenza 16 giugno 2020, n. 18280

Data udienza 13 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Violenza sessuale – Ipotesi tentata – Tentata rapina e lesioni – Condanna – Impugnazione – Profili di inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 11/06/2018 della Corte d’appello di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macri’;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Fimiani Pasquale, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 12 maggio 2017 il Giudice dell’udienza preliminare di Cagliari ha condannato l’imputato alle pene di legge per i reati di violenza sessuale consistente in palpeggiamento delle cosce e della zona inguinale della persona offesa, tentata rapina della sua borsetta e lesioni giudicate guaribili in sette giorni, commessi in Cagliari il 7 ottobre 2016.
Con sentenza in data 11 giugno 2018 la Corte di appello di Cagliari ha riqualificato la violenza sessuale da fattispecie consumata a tentata ed ha ridotto la pena.
2. Con un unico motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento all’articolo 143-bis c.p.p., perche’ la denuncia della persona offesa e il verbale di sommarie informazioni testimoniali dell’amica erano stati redatti dagli operanti direttamente in lingua italiana, traducendo dall’inglese. Sostiene che avrebbe dovuto essere nominato un interprete e che la Corte territoriale aveva reso una motivazione congetturale, allorche’ aveva affermato che i Carabinieri conoscevano l’inglese dal momento che erano obbligati a frequentare periodicamente corsi per l’apprendimento delle lingue straniere.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ manifestamente infondato perche’ consiste in una deduzione del tutto generica di cui non era stata spiegata la rilevanza ai fini della decisione. Ed invero, la Corte territoriale ha osservato che non erano emersi elementi per ritenere che le versioni delle due donne nigeriane (la persona offesa e la testimone oculare) fossero state mal tradotte o interpretate dai verbalizzanti ne’ che le ragazze avessero sottoscritto i verbali senza capirne il contenuto, previa verifica della correttezza della traduzione. Peraltro, l’aggressione, anche se non quella sessuale, era stata confermata da due italiani che avevano sentito le urla della giovane, avevano assistito alla scena delle lesioni ed avevano allertato le Forze dell’ordine. Inverosimile, poi, era stata ritenuta la versione difensiva dell’imputato, secondo cui era lui ad esser stato aggredito dalla ragazza, per il diniego della profferta sessuale. Infatti, l’uomo era fisicamente piu’ grande della donna e i manici della borsetta di questa erano stati trovati rotti a riprova della tentata rapina non riuscita. La difesa del ricorrente ha lamentato la violazione dell’articolo 143 c.p.p., in particolare del comma 5, secondo cui “l’interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare”. Va ribadito in questa sede il consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimita’, secondo cui l’omissione del descritto adempimento non e’ causa di nullita’ o inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese (si vedano Cass., Sez. 2, n. 36988 del 18/09/2008, Fati, Rv. 242049, che ha affermato che la mancata nomina di un interprete non e’ causa d’inutilizzabilita’ ne’ di nullita’ delle dichiarazioni di denuncia e delle successive dichiarazioni rese in sede di ricognizione personale fotografica dalla persona offesa alloglotta, che non conosca la lingua italiana; nello stesso senso, Cass., Sez. 5, n. 17967 del 22/01/2013, Ennassiri, Rv. 256888 che ha ammesso l’interprete di fiducia come accompagnatore del denunciante e Sez. 3, n. 44441 del 02/10/2013, P., Rv. 257597 che ha statuito che l’assenza dell’interprete poteva incidere solo sull’attendibilita’ delle dichiarazioni). A tali considerazioni si deve aggiungere che, anche a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 32 del 2014, con cui e’ stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE sull’assistenza linguistica, la omessa traduzione in una lingua nota all’imputato delle dichiarazioni rese da una persona informata sui fatti determina una nullita’ di ordine generale a regime intermedio, non deducibile nel giudizio abbreviato quando l’imputato abbia chiesto la definizione del processo nelle forme di rito speciale consapevolmente astenendosi dal formulare eccezioni (ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 18781 del 09/04/2014, Masciullo, Rv. 259523 e Sez. 6, n. 10444 del 19/01/2017, Aissat, Rv. 269382). Peraltro, l’imputato non ha allegato una concreta lesione del diritto di difesa (Cass., Sez. 1, n. 30127 del 24/06/2015, Rjab, Rv. 264488), ma ha posto solo un problema di affidabilita’ delle dichiarazioni delle donne su cui la Corte territoriale ha offerto una motivazione esaustiva, logica e razionale.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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