La mancata escussione della persona offesa dal reato nel termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|24 marzo 2021| n. 11430.

La mancata escussione della persona offesa dal reato nel termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato ai sensi dell’articolo 362, comma 1-ter, del Cpp, non impedisce l’applicazione di una misura cautelare personale trattandosi di termine la cui inosservanza è priva di sanzione processuale. La norma, infatti, è ispirata alla finalità di evitare che eventuali stasi, nell’acquisizione e nell’iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari, possano pregiudicare la tempestività di interventi, cautelari o di prevenzione, a tutela della vittima di violenza domestica o di genere, cosicché si pone il detto termine “acceleratorio”, privo però di sanzione processuale, che non impedisce affatto, quindi, di applicare una misura cautelare, nelle more che abbia luogo l’assunzione delle informazioni, ovviamente sempreché i gravi indizi e le esigenze cautelari già constino in atti (magari proprio sulla base di quanto esposto in querela).

Sentenza|24 marzo 2021| n. 11430

Data udienza 12 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – PERSONALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovan – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 10/02/2020 del TRIBUNALE DI CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI FRANCOLINI;
udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione LUCIA ODELLO, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, e per il ricorrente l’avvocato (OMISSIS), quale sostituto dell’avvocato (OMISSIS), che si e’ riportata ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 10 febbraio 2020 (dep. il 20 marzo 2020) il Tribunale di Cosenza, a seguito del riesame interposto (ai sensi dell’articolo 309 c.p.p.) nell’interesse di (OMISSIS), ha confermato l’ordinanza del 16 gennaio 2020 con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cosenza aveva applicato alla stessa persona sottoposta ad indagini la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (articolo 282-ter c.p.p.), poiche’ gravemente indiziato del delitto di atti persecutori in danno di (OMISSIS), ex compagna del (OMISSIS) (articolo 612-bis c.p., commi 1 e 2).
2. Il difensore del (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento collegiale, per i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo si e’ assunta l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)), in relazione all’articolo 362 c.p.p., comma 1-ter e articolo 275 c.p.p. con riferimento agli elementi costitutivi del reato, in particolare poiche’ la persona offesa non e’ stata escussa nel termine di tre giorni.
2.2. Con il secondo motivo si e’ denunciata la mancanza e l’illogicita’ della motivazione dell’ordinanza impugnata (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)), poiche’ – con riguardo alle allegazioni difensive sull’omessa assunzione delle sommarie informazioni da (OMISSIS) nel termine predetto e sul conseguente difetto di elementi indiziari inerenti al cambiamento delle abitudini di vita della donna – il Tribunale avrebbe soltanto rilevato il difetto di una sanzione processuale qualora ricorra l’ipotesi in discorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile.
1. I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, poiche’ essi in definitiva sollevano i medesimi profili di doglianza, sia pure nella prospettiva di vizi diversi.
1.1. Con il primo motivo e’ stata denunciata la violazione della legge penale, deducendosi che: nel caso di specie la persona offesa non e’ stata escussa nel termine di tre giorni previsto dall’articolo 362 c.p.p., comma 1-ter; e tale omissione – quantunque la norma processuale citata sia posta a tutela della persona offesa – avrebbe determinato un vulnus che produce effetti anche sull’adeguatezza della misura, applicata in assenza di specifici elementi sulla capacita’ della condotta lamentata dalla (OMISSIS) di determinare una modifica delle sue abitudini di vita; laddove, se fosse stato computo l’incombente istruttorio nel termini di legge, si sarebbe potuto approfondire tale profilo.
1.2. Il secondo motivo ha addotto il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, rassegnando che – a fronte della dedotta omissione dell’assunzione delle sommarie informazioni da (OMISSIS) nel termine di tre giorni e del conseguente vizio derivante dal difetto di elementi indiziari che deponessero per l’elevata probabilita’ del cambiamento delle abitudini di vita della donna – il Collegio del riesame si sarebbe limitato ad argomentare sulla mancanza, nel caso di mancato rispetto del termini in discorso, di una sanzione processuale; e cio’, nonostante la difesa avesse sottoposto all’attenzione del Tribunale che “l’audizione delle persona offesa (…) avrebbe permesso di chiarire i dubbi in merito all’aspetto” in discorso, colmando il denunciato “vuoto indiziario”.
2. In effetti, l’articolo 362 c.p.p., comma 1-ter, prevede che quando si procede, tra l’altro, per il delitto previsto dall’articolo 612-bis c.p., il pubblico ministero assuma informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato (salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa).
La norma, inserita nell’ordito codicistico dalla L. 19 luglio 2019, n. 69, articolo 2, comma 1, (c.d. codice rosso) e’ ispirata alla finalita’ (esplicitata nella relazione di accompagnamento al disegno di legge), per quel che qui piu’ rileva, di “evitare che eventuali stasi, nell’acquisizione e nell’iscrizione delle notizie di reato o nello svolgimento delle indagini preliminari, possano pregiudicare la tempestivita’ di interventi, cautelari o di prevenzione, a tutela della vittima” di di violenza domestica e di genere.
Per tale ragione essa pone il detto termine acceleratorio, privo di sanzione processuale, che non impedisce affatto di applicare una misura cautelare nelle more che abbia luogo l’assunzione delle informazioni, ovviamente sempreche’ i gravi indizi e le esigenze cautelari gia’ constino, tra l’altro proprio sulla base di quanto esposto in querela. D’altra parte, lo stesso articolo 362 c.p.p., comma 1-ter, prevede la possibilita’ di non dar corso all’escussione da essa prevista qualora ricorrano le esigenze di tutela da essa contemplate. E per i delitti elencati nel comma in discorso e’ previsto l’arresto obbligatorio in flagranza – come per la fattispecie oggetto del presente procedimento (articolo 380 c.p.p., comma 2, lettera l) ter) – ovvero e’ consentito l’arresto facoltativo (oltre che l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare ex articolo 384-bis c.p.p.): il che ulteriormente dimostra come non occorra in alcun modo attendere, prima che possa disporsi una cautela personale (a seguito della pre-cautela e negli stretti termini a ore previsti dal rito, inferiori a tre giorni non solo nel caso di presentazione per la convalida e il giudizio direttissimo – cfr. articoli 449 e 558 c.p.p. – ma anche nel caso di presentazione al giudice per le indagini preliminari, che ben potra’ provvedere prima che in limine della scadenza del termine posto dall’articolo 390 c.p.p., comma 1) che abbia luogo l’assunzione delle informazioni della persona offesa ex articolo 362 c.p.p., comma 1-ter.
Ne discende, allora, che la persona sottoposta ad indagini non ha alcun interesse a dolersi ex se del mancato rispetto del termine in parola.
Inoltre, nella specie il Collegio del riesame ha ravvisato i presupposti dell’applicazione della misura sia in quanto rassegnato dalla persona offesa nella querela, sia negli ulteriori elementi a sostegno della domanda cautelare, ravvisati nella specie ed analiticamente esposti nell’ordinanza (in particolare, le sommarie informazioni rese da altri soggetti e le trascrizioni di numerosi messaggi telefonici), che non sono scalfiti in alcun modo dalle generiche allegazioni qui svolte dal ricorrente. Peraltro, l’ordinanza impugnata ha dato conto pure delle allegazioni difensive, disattendendole sulla base di argomentazioni che non risultano travisare ne’ non considerare gli elementi in atti, ivi compresi quelli offerti dalla difesa. Infine – e’ utile rimarcarlo, in considerazione delle censure qui svolte -, il provvedimento impugnato ha espressamente argomentato pure con riferimento alla sussistenza di un compendio indiziario dimostrativo della sussistenza dell’evento in incolpazione.
Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte:
– la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva e’ censurabile in sede di legittimita’ solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicita’ al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mescolo, Rv. 265244);
– il sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione di un provvedimento in materia di misure cautelari personali e’ ammissibile (oltre quando si denuncia la violazione di specifiche norme di legge) se allega la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884);
– in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure” trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame; il controllo di legittimita’ e’ quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicita’ evidenti, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 5, n. 15138 del 24/02/2020, Lino; cfr. pure Sez. 4, 03/02/2011, n. 14726, D.R.; Sez. 4, 06/07/2007, n. 37878, C.);
– “il controllo di logicita’, inoltre, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indiziari o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, e’ consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese siano congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, alla stregua dei parametri, giustapposti, dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda il provvedimento e dell’assenza di illogicita’ evidenti, risultanti prima facie dal testo del provvedimento impugnato” (Sez. 5, n. 15138/2020, cit.).
Pertanto, poiche’ l’ordinanza impugnata si e’ espressa in maniera congrua e logica, nei termini poco sopra esposti, le censure difensive sono manifestamente infondate. Ne discende l’inammissibilita’ del ricorso.
4. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende (articolo 616 c.p.p.).
Ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, comma 2, si dispone che sia apposta a cura della medesima cancelleria, sull’originale della sentenza, l’annotazione prevista dall’articolo 52, comma 3, cit., volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalita’ e di altri dati identificativi degli interessati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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