È imputabile per il reato di stalking “giudiziario” l’avvocato che ntenta un numero spropositato di cause contro soggetti identificati quali “nemici”

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|24 marzo 2021| n. 11429.

È imputabile per il reato di stalking “giudiziario” l’avvocato che, usando in modo strumentale la sua qualifica, intenta un numero spropositato di cause contro soggetti identificati quali “nemici”: ben 39 azioni e 65 impugnazioni.

Sentenza|24 marzo 2021| n. 11429

Data udienza 12 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – ESIGENZE CAUTELARI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovan – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 22/06/2020 del TRIBUNALE DI MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI FRANCOLINI;
udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione LUCIA ODELLO, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 22 giugno 2020 il Tribunale di Milano, a seguito dell’appello interposto (ai sensi dell’articolo 310 c.p.p.) nell’interesse di (OMISSIS), ha confermato l’ordinanza del 5 marzo 2020 con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Monza aveva applicato alla stessa persona sottoposta ad indagini la misura cautelare divieto di esercitare l’attivita’ professionale di avvocato per la durata di un anno (articolo 290 c.p.p.), poiche’ gravemente indiziato del delitto continuato di atti persecutori (articolo 81 c.p., comma 2, e articolo 612-bis c.p.) commesso mediante il ricorso sistematico e strumentale ad incessanti e infondate azioni giudiziarie in pregiudizio di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
2. Il difensore del (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento collegiale, per i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione dell’articolo 274 c.p.p., articolo 2 c.p. e articolo 24 Cost., adducendo che: le condotte ascritte al (OMISSIS) risalirebbero all’anno 2007 e al momento dell’entrata in vigore dell’articolo 612-bis c.p. molti dei trentanove giudizi oggetto dell’incolpazione si erano conclusi in primo grado; anche a volere ritenere che l’attivita’ illecita sia proseguita successivamente, dovrebbe applicarsi il criterio del favor rei; dunque, il Tribunale avrebbe dovuto revocare la misura, non potendosi privare il (OMISSIS) del diritto di difendersi oltre che di svolgere la propria attivita’ lavorativa.
2.2. Con il secondo motivo e’ stata denunciata la violazione dell’articolo 277 c.p.p., poiche’: il temporaneo divieto di svolgere la professione di avvocato imposto al (OMISSIS) – che da essa trae sostentamento – avrebbe dovuto essere limitato all’attivita’ nei confronti delle parti offese del procedimento; e il Collegio non avrebbe motivato adeguatamente sul punto.
2.3. Con il terzo motivo e’ stata denunciata la violazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 1, allegando che: la misura e’ volta a evitare la reiterazione della condotta criminale; essa, a tal fine sarebbe inadeguata e, quindi soltanto “idonea ad arrecare un ingiustificato danno economico all’indagato”.
2.4. Con il quarto motivo sono state prospettate la violazione dell’articolo 273 c.p.p. e il travisamento del fatto e delle prove, poiche’ la sentenza del Tribunale di Monza – che ha condannato il (OMISSIS) per analoghe condotte – avrebbe affermato la liceita’ delle azioni in giudizio del (OMISSIS) e il difetto in capo a lui di qualsivoglia intento di molestia; ed il Collegio di appello avrebbe erroneamente determinato il numero delle cause pendenti la persona sottoposta ad indagini e gli offesi.
2.5. Con il quinto motivo si e’ assunto che nella specie opererebbe la scriminante del diritto di difesa, come risulterebbe dalle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS), mentre sarebbero le persone offese a continuare a proporre denunce penali nei suoi confronti.
2.6. Con il sesto motivo e’ stata denunciata l’omessa motivazione sulla durata del divieto imposto, fissata nella misura massima senza esporre alcuna ragione a sostegno della statuizione.
2.7. Con memoria pervenuta il 3 novembre 2020, il difensore del (OMISSIS) ha rappresentato la conclusione delle indagini svolte nel presente procedimento ed ha assunto che per la condotta in discorso la persona sottoposta ad indagini non potra’ mai essere tratta a giudizio, sulla scorta di quanto dovrebbe trarsi dalla motivazione (depositata il 9 luglio 2020) della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Monza e sopra menzionata, che dimostrerebbe l’emissione in violazione di legge dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo e’ stata prospettata la violazione dell’articolo 274 c.p.p., articolo 2 c.p. e articolo 24 Cost.:
– asserendo che le condotte in incolpazione si collocherebbero nel 2007 e al momento dell’entrata in vigore della norma incriminatrice molti dei trentanove giudizi de quibus si erano conclusi in primo grado;
– invocando comunque il principio del favor rei, qualora si ritenesse che la condotta del (OMISSIS) abbia avuto luogo anche in epoca successiva;
– ed assumendo che il Giudice dell’appello cautelare – secondo cui non apparirebbe probabile che altri professionisti possano assistere il (OMISSIS) nella prosecuzione di un’attivita’ ritenuta dall’autorita’ giudiziaria infondata e pretestuosa – avrebbe dovuto revocare la misura emessa in ordine a un fatto non previsto come reato ne’ provato, poiche’ non potrebbe privarsi il (OMISSIS) del diritto di difendersi e di svolgere la propria attivita’ professionale.
1.1. Le allegazioni in discorso sono inammissibili, poiche’ esse non risultano svolte in sede di gravame: infatti, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di seconda istanza abbia correttamente omesso di pronunciarsi perche’ non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 – 01; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Rv. 255577; cfr. pure Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 – 01).
Non occorre, allora, dilungarsi per evidenziarne la manifesta infondatezza, atteso che le condotte di cui e’ stata ritenuta la gravita’ indiziaria si collocano in un periodo decorrente dal mese di marzo 2016 (epoca persino successiva all’inserimento nel corpo del codice penale – in forza del Decreto Legge 23 febbraio 2009, conv. con modif. nella L. 23 aprile 2009, n. 38 – dell’articolo 612-bis), divenendo superflua ogni altra considerazione.
2. Con il secondo motivo e’ stata addotta la violazione dell’articolo 277 c.p.p., a mente del quale “le modalita’ di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto”. Ad avviso del ricorrente, il Collegio di appello non avrebbe reso un’adeguata motivazione sulla doglianza difensiva, secondo cui il divieto temporaneo di esercitare la professione forense avrebbe dovuto essere imposto soltanto rispetto alle parti offese del procedimento, atteso che:
– da tale attivita’ il (OMISSIS) trae il sostentamento proprio e dei congiunti;
– la misura non sarebbe idonea a salvaguardare le esigenze per cui e’ stata disposta, poiche’ il (OMISSIS) potrebbe affidare le proprie difese ad altro professionista;
– nei confronti delle stesse parti civili il (OMISSIS) potrebbe agire per le cause di valore inferire ai mille Euro, per cui non occorre alcuna qualifica professionale, e tuttavia non ne ha mai incoata alcuna.
2.1. Deve, anzitutto, evidenziarsi come anche nella materia cautelare e’ necessario che il ricorso, a pena di inammissibilita’, rispetti i necessari requisiti di specificita’ stabiliti dall’articolo 581 c.p.p., lettera c), (cfr. Sez. 6, n. 11008 del 11/02/2020, Bocciero, Rv. 278716 01; conf., Sez. 3, n. 13744 del 24/02/2016, Schiorlin, Rv. 266782). Per quel che qui piu’ rileva, anche quando abbia ad oggetto un’ordinanza de libertate, e’ inammissibile per difetto di specificita’ l’atto di impugnazione-ricorso per cassazione “che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al piu’ con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della pronuncia impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtu’ delle quali i motivi di appello non siano stati accolti (cfr. Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 – 01; cfr. pure Sez. 4, n. 15497 del 22 febbraio 2002, Palma, Rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27 giugno 2013, Ninivaggi, Rv. 256133) e che, dunque, difetti di una critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce – che e’ la funzione tipica dell’impugnazione – e dell’indicazione delle ragioni della decisivita’ delle censure medesime rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01). Difatti, “contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’ (…) innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioe’ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta” (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01; conf. Sez. 2, n. 7667/2015, cit.).
2.2. Inoltre:
– la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva e’ censurabile in sede di legittimita’ solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicita’ al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244);
– il sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione di un provvedimento in materia di misure cautelari personali e’ ammissibile (oltre quando si denuncia la violazione di specifiche norme di legge) se allega la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884);
– in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame; il controllo di legittimita’ e’ quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicita’ evidenti, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 5, n. 15138 del 24/02/2020, Lino; cfr. pure Sez. 4, 03/02/2011, n. 14726, D.R.; Sez. 4, 06/07/2007, n. 37878, C.);
– “il controllo di logicita’, inoltre, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indiziari o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, e’ consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese siano congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, alla stregua dei parametri, giustapposti, dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda il provvedimento e dell’assenza di illogicita’ evidenti, risultanti prima facie dal testo del provvedimento impugnato” (Sez. 5, n. 15138/2020, cit.).
2.3. Ebbene, il motivo in esame e’ la trascrizione del terzo motivo dell’appello cautelare, cui ha solo aggiunto che permarrebbe in capo al (OMISSIS) la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti degli offesi per le cause di valore inferiore a Euro mille. Il che gia’, sulla scorta di quanto sopra considerato, ne denuncia l’inammissibilita’.
In ogni caso, il Giudice dell’appello cautelare ha argomentato in maniera logica su quanto prospettato dal (OMISSIS):
– esponendo che il titolo professionale e l’abilitazione all’esercizio della professione forense hanno costituito uno degli strumenti da lui utilizzati per agire e da cio’ traendo la necessita’ di impedirgli con la misura in essere “almeno la strumentalizzazione della qualifica”;
– ed osservando che l’asserita inadeguatezza o inutile afflittivita’ della cautela (facilmente aggirabile, secondo la difesa e secondo quanto assunto dallo stesso (OMISSIS) in sede di interrogatorio), non e’ ragione atta a giustificare l’accoglimento dell’impugnazione, perche’ sarebbe piuttosto dimostrazione di una radicata volonta’ di reiterazione dell’agire illecito.
Qui basti aggiungere che, con detta motivazione immune da censure, il Tribunale ha provveduto in maniera conforme al disposto dell’articolo 277 c.p.p., poiche’:
– e’ la stessa norma ad affermare con chiarezza – nella parte in cui richiama, per l’esercizio dei diritti della persona sottoposta a misura, il limite della compatibilita’ con le esigenze cautelari del caso concreto – che in forza di essa non puo’ comunque avere luogo una sostanziale vanificazione della cautela, come il Tribunale ha in definitiva osservato;
– ed anzi lo stesso ricorrente vorrebbe far derivare l’eccessiva afflittivita’ della misura dalla sua stessa inadeguatezza a fronteggiare le esigenze di cautela, in maniera intrinsecamente illogica, giacche’ l’inadeguatezza di una misura puo’ piuttosto indurre il giudice competente ad applicarne una piu’ gravosa, non certo a revocare tout court quella in essere o a modificarne in melius le modalita’ esecutive (articolo 275 c.p.p.; cfr. nel medesimo senso, di recente, Sez. 5, n. 174 del 18/11/2020, dep. 2021, Bedani, Rv. 280143 – 01).
Cio’ dimostra l’erroneita’ e la parzialita’ della prospettiva difensiva e la manifesta infondatezza in parte qua del ricorso.
3. Con il terzo motivo e’ stata dedotta la violazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 1, allegando che la misura, finalizzata a impedire la reiterazione dell’agire illecito del (OMISSIS), e’ inadeguata; in proposito si e’ nuovamente osservato che egli potrebbe agire o resistere in giudizio nei confronti degli offesi avvalendosi di altro professionista e, pertanto, la misura si rivelerebbe “del tutto inutile”, determinando soltanto “un ingiustificato danno economico all’indagato”.
3.1. Anche tale censura costituisce la reiterazione di uno dei motivi di appello, segnatamente del quarto, oltre che la riproposizione – richiamando una diversa norma del codice di rito – delle allegazioni appena sopra esaminate.
Dunque, neppure in parte qua il ricorrente si e’ confrontato con le motivazioni spese dal Tribunale, pure gia’ compendiate. E, allora sufficiente, rimandare a quanto sopra esposto; ed aggiungere che la misura e’ stata disposta non soltanto per il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie (articolo 274 c.p.p., lettera c)) ma anche perche’ e’ stato ravvisato il pericolo per l’acquisizione e la genuinita’ della prova (articolo 274 c.p.p., lettera a)) e la doglianza in parola non tiene conto affatto di tale profilo.
4. Con il quarto motivo sono stati dedotti la violazione dell’articolo 273 c.p.p. e il travisamento del fatto e delle prove, assumendo che:
– la sentenza del Tribunale di Monza – che ha condannato il (OMISSIS) per analoghe condotte e che l’ordinanza di appello ha richiamato (alla p. 3) – porrebbe “due premesse ineludibili: le cause e le citazioni sono fatti leciti; inoltre manca nell’avvocato (OMISSIS) qualsivoglia intento di molestia”;
– il Giudice dell’appello cautelare ha affermato l’esistenza di oltre centosettanta cause, ma dal fascicolo risulterebbero “solamente 39 cause, e le altre, complessivamente sono 65 (…), sono le impugnazioni, di solito promosse dalle parti offese”.
Il ricorrente, nel corpo del motivo in esame, riporta taluni passi della motivazione della sentenza del Tribunale di Monza in data 19 giugno 2020 (che ha compiegato alla memoria pervenuta il 3 novembre 2020); e muove talune censure al percorso argomentativo svolto nello stesso provvedimento, estendendo i propri asserti relativi all’imputazione gia’ giudicata in primo grado all’incolpazione rispetto alla quale e’ stato emesso il provvedimento qui impugnato. Sul punto e’ dirimente osservare che la pubblicazione della sentenza del Tribunale di Monza e’ sopravvenuta alla celebrazione dell’udienza dell’appello cautelare (in particolare, e’ intervenuta nelle more della stesura della motivazione dell’ordinanza impugnata); ed il Tribunale di Milano ha solo dato conto dell’an della condanna, quale elemento ad abundantiam, ulteriore e non certo centrale nell’impianto argomentativo che ha condotto alla conferma dell’ordinanza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Monza: a tale riguardo il Giudice dell’appello cautelare ha richiamato anzitutto le querele in atti e la documentazione ad esse allegate, pur facendo riferimento anche ai verbali del giudizio in discorso; ed ha chiaramente ritenuto i gravi indizi di colpevolezza di un agire criminoso del (OMISSIS) successivo al fatto gia’ giudicato in primo grado.
Ne discende l’inammissibilita’ delle allegazioni difensive in discorso, che hanno ad oggetto la motivazione di un provvedimento diverso da quello impugnato.
Ne’ puo’ dirsi fondato il motivo di ricorso, sol perche’ deduce che il Collegio dell’appello cautelare avrebbe individuato erroneamente il numero delle cause pendenti tra l’indagato e gli offesi in oltre centosettanta, adducendo – che risulterebbe la pendenza soltanto di “39 cause” oltre a “65 impugnazioni, di solito promosse dalle parti offese”. Al di la’ del fatto che l’asserto non e’ in alcun modo suffragato, e’ evidente che non potrebbe ravvisarsi un travisamento della prova in parte qua atta a negare l’elevatissimo numero di procedimenti instaurati dal (OMISSIS) (ossia la condotta per cui e’ incolpato di atti persecutori). Resta fermo che il travisamento del fatto – pure addotto – non e’ ritualmente deducibile nel giudizio di legittimita’ (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01).
5. Con il quinto motivo si e’ prospettato che:
– l’agire del (OMISSIS) sarebbe scriminato poiche’ posto in essere nell’esercizio del diritto di difesa, come dovrebbe trarsi dalle dichiarazioni della stessa persona sottoposta ad indagini, la quale avrebbe soltanto denunciato i reati commessi nei suoi confronti ed azionato le proprie pretese civili;
– piuttosto, sarebbero le persone offese ad aver perpetrato “stalking giudiziario” nei suoi confronti, continuando a denunciarlo, pur sapendolo innocente, tanto che a seguito di una di tali denunce sarebbe stato instaurato un procedimento nel quale il (OMISSIS) e’ stato condannato in primo grado e assolto in appello.
La prima delle deduzioni appena esposte costituisce pedissequa reiterazione dell’appello cautelare (in particolare, del secondo motivo), sul quale il Tribunale di Milano ha motivato, osservando, sulla base degli elementi di fatto che ne hanno caratterizzato le modalita’, che il (OMISSIS) ha instaurato una gran copia di azioni giudiziarie in maniera del tutto strumentale, al fine di aggredire e molestare. Dunque, nuovamente, il ricorrente non si confronta in alcun modo con la motivazione del provvedimento impugnato, congrua e immune da censure.
La seconda, oltre a dedurre elementi non sottoposti al Giudice dell’appello cautelare, e’ del tutto generica tanto da non potersene apprezzare in alcun modo la conducenza: di conseguenza e’ inammissibile sotto entrambi i profili.
6. Con il sesto motivo si e’ assunta l’omessa motivazione sulla durata della misura, determinata nel tempo massimo (dodici mesi), senza esporre alcuna ragione.
Ancora una volta il ricorrente ha reiterato uno dei motivi di appello (il quinto), tanto da riportare e censurare nuovamente la motivazione spesa dal G.i.p. (e non anche del Tribunale), senza considerare per nulla che l’ordinanza impugnata ha espressamente indicato la ragione in forza della quale ha fissato nel massimo la durata della misura cautelare, indicando piu’ fattori che ne hanno determinato la decisione.
7. Infine, con la menzionata memoria pervenuta il 3 novembre 2020 si e’ addotto che l’ordinanza impugnata sarebbe stata emessa in violazione di legge in questa sede:
– poiche’ per la condotta oggetto del presente procedimento il (OMISSIS) non potra’ mai essere tratto a giudizio, in quanto ne deriverebbe la violazione del divieto di bis in idem, allegando a sostegno dell’asserto la motivazione della sentenza gia’ menzionata, con la quale il Tribunale di Monza ha condannato il (OMISSIS) per il delitto di atti persecutori nei confronti dei medesimi offesi;
– perche’ la medesima sentenza di condanna affermerebbe la liceita’ delle singole condotte poste in essere dal (OMISSIS), per cui quest’ultimo avrebbe dovuto essere assolto ovvero poteva essergli ascritto il delitto di diffamazione, e darebbe atto dell’assenza di dolo in capo allo stesso.
Le allegazioni in discorso, nella parte in cui propongono profili gia’ sopra esaminati, sono inammissibili nei termini gia’ esposti; nel resto, sono inammissibili in ragione della rilevata inammissibilita’ dei motivi originariamente dedotti (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850 – 01).
8. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende (articolo 616 c.p.p.).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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