La liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 marzo 2022| n. 8941.

La liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. consente di sopperire alle difficoltà di quantificazione del danno, al fine di assicurare l’effettività della tutela risarcitoria, ma non può assumere valenza surrogatoria della prova, incombente sulla parte, dell’esistenza dello stesso e del nesso di causalità giuridica che lo lega all’inadempimento o al fatto illecito extracontrattuale.

Ordinanza|18 marzo 2022| n. 8941. La liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.

Data udienza 30 novembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Valutazione e liquidazione – Criteri equitativi liquidazione equitativa – Presupposti – Valenza surrogatoria della prova del nesso di causalità giuridica – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 18074-2020 proposto da:
(OMISSIS) SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
(OMISSIS) PLC, in persona del Procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 753/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 30/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA GORGONI.

RILEVATO

che:
(OMISSIS). SAS ricorre per la cassazione della sentenza n. 753/2000 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 3 febbraio 2020 e notificata via Pec il 20 febbraio 2020, affidandosi a tre motivi.
Resistono con separatati controricorsi il Condominio (OMISSIS) e (OMISSIS) PLC.
La societa’ Erbus conveniva in giudizio il Condominio (OMISSIS), ove era ubicato il locale commerciale che aveva in locazione, per ottenerne la condanna, previo accertamento della responsabilita’ per omessa e negligente manutenzione della facciata esterna e dei balconi, al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante subiti, quantificati in Euro 412.241,00 o nella somma giudizialmente accertata.
Il Condominio chiedeva il rigetto della domanda attorea ed otteneva di chiamare in casa la (OMISSIS) PLC, che eccepiva la inoperativita’ della polizza, stante l’assenza di responsabilita’ dell’assicurato.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 16251/2012, condannava il Condominio al pagamento della somma di Euro 137.668,00 a favore dell’attore.
Il Condominio (OMISSIS) impugnava la suddetta decisione, dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, la quale, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva per quanto di ragione l’appello e rideterminava in Euro 33.368,00 la somma dovuta dall’appellante alla societa’ (OMISSIS), accoglieva la domanda di manleva nei confronti della (OMISSIS) PLC e regolava le spese di lite e di CTU.
Riteneva, in particolare, che la liquidazione equitativa del danno operata del primo giudice, che aveva portato all’individuazione della somma di Euro 104.300,00, non potesse essere condivisa, perche’ il danno da mancato guadagno esige la prova, sia pure indiziaria, dell’utilita’ patrimoniale che si sarebbe conseguita in assenza dell’evento di danno e la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilita’ e non di mera possibilita’ che puo’ essere svolto in via equitativa solo in presenza di elementi certi dai quali desumere sillogisticamente l’entita’ del danno.
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che e’ stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
CONSIDERATO
che:
1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in particolare, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto: i) della difficolta’ di accesso dei clienti all’interno del negozio per effetto delle cadute di intonaco e di altro materiale e del transennamento per 1000 giorni da parte dei VVFF; ii) delle fatture di acquisto della merce in data anteriore all’evento di danno che comprovavano la regolare attivita’ commerciale da essa svolta; iii) del registro dei corrispettivi, da cui emergevano una progressiva contrazione delle vendite fino al loro drastico crollo e poi la ripresa dell’attivita’ a partire dal settembre 2004, in concomitanza con la fine dei lavori; iv) delle prove testimoniali che avevano confermato lo stato precario delle facciate che metteva a repentaglio l’incolumita’ delle persone.
2. Il motivo non merita accoglimento.
A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte territoriale ha preso specificamente in considerazione le fatture, di cui viene lamentato l’omesso esame, ritenendole non “utilmente valutabili”, perche’ “non informano in alcun modo sui molteplici e diversi fattori che incidono sulla redditualita’ dell’attivita’ commerciale” e quanto al restante materiale istruttorio, sebbene la Corte territoriale non abbia fatto espresso riferimento ad esso, non risulta che abbia omesso di esaminarlo, atteso che ha ritenuto che agli atti non risultasse “la documentazione necessaria tale da permettere… di verificare il mancato utile nel periodo considerato, sulla base dell’andamento dell’attivita’ societaria in relazione al flusso della clientela e ai costi sostenuti”.
In concreto, la ricorrente non prospetta il vizio motivazionale indicato nell’epigrafe del ricorso, ma lamenta l’erronea valutazione del materiale istruttorio. Questa Corte ha invero gia’ ripetutamente osservato che il vizio di motivazione puo’ essere dedotto in sede di legittimita’ e sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non puo’, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte, una volta considerato che l’articolo 360 c.p.c., n. 5, non conferisce alla Corte di legittimita’ il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza e scegliere, tra le stesse, quelle ritenute piu’ idonee per la decisione.
Non puo’ non osservarsi peraltro che questa Corte non e’ stata messa nelle condizioni di conoscere il contenuto delle prove asseritamente non esaminate, perche’ la ricorrente non ha soddisfatto le prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6.
In conclusione, il motivo e’ inammissibile.
3. Con il secondo motivo si denuncia la illegittimita’ della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto – articolo 1226 c.c. – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la sentenza impugnata, pur in presenza di un danno certo o altamente verosimile, ma non quantificabile, fatto ricorso alla valutazione equitativa, affermando erroneamente, ad avviso della ricorrente, che sarebbe stato necessario dare prova dei parametri su cui fondare la richiesta di risarcimento.
4. Con il terzo ed ultimo motivo e’ dedotta la illegittimita’ della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 1226 c.c.), per avere la Corte d’Appello ritenuto pari a zero il lucro cessante, per non avere spiegato il processo logico che l’aveva indotta ad assumere tale decisione e per non avere indicato in modo specifico i criteri assunti a base del diverso procedimento valutativo adottato al fine di consentire il controllo di relativa logicita’, coerenza e congruita’.
5. I motivi secondo e terzo possono essere esaminati congiuntamente, perche’ attengono alla medesima questione. Entrambi non possono trovare accoglimento.
Va innanzitutto stigmatizzata la erronea sovrapposizione dell’an al quantum debeatur che inficia l’illustrazione del motivo di ricorso.
La decisione reiettiva si fonda sul difetto di prova della ricorrenza del danno.
La Corte territoriale da’ atto, infatti, che il danno da lucro cessante puo’ essere provato anche presuntivamente, dimostrando, anche in via indiziaria, l’utilita’ patrimoniale che si sarebbe conseguita in assenza dell’illecito imputato al condominio e che, una volta provatane la ricorrenza, la sua liquidazione puo’ avvenire in via equitativa, in presenza di elementi certi offerti dalla parte dai quali desumere l’entita’ del danno.
Cio’ che l’ha portata a non accogliere la richiesta risarcitoria e’ l’assenza di elementi sufficienti a fondare “l’illazione presuntiva surrichiamata”, sicche’ risulta del tutto eccentrico lamentare che il giudice non si sia avvalso del potere di liquidare equitativamente il danno richiesto.
Per insegnamento costante di questa Corte, la valutazione equitativa presuppone che il danno sia certo nella sua esistenza ontologica (Cass. 19/12/2011, n. 27447), cioe’ che “la sussistenza di un danno risarcibile nell’an debeatur sia stata dimostrata ovvero sia incontestata” (Cass. 04/04/2017, n. 8662). Ne consegue che, ove la prova del danno non sia stata raggiunta, non puo’ chiedersi al giudice di creare i presupposti logici e normativi per la liquidazione del danno richiesto (Cass. 04/08/2017, n. 19447). Non solo: al danneggiato si chiede di provare i parametri per una liquidazione equitativa e le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili all’illecito, rendendo il danno di difficile o impossibile quantificazione
La ratio della valutazione equitativa, una volta che la prova del danno sia stata raggiunta, e, in mancanza degli elementi necessari per procedere ad una sua puntuale quantificazione, e’ quella di rimettere al potere-dovere del giudice di sopperire alle eventuali difficolta’ di quantificazione del danno, al fine di assicurare l’effettivita’ della tutela risarcitoria (Cass. 06/04/2017, n. 8920) e la ricerca di una omogeneita’ tra risarcimento accordato e danno risentito; giammai la valutazione equitativa assume valenza surrogatoria della prova del danno, ne’ puo’ pensarsi di utilizzarla per sopperire alla difficolta’ di dimostrazione del nesso causale tra l’inadempimento o altra condotta illecita, che ne sta alla base, e il danno (Cass. 27/04/2017, n. 10393).
Ne’ risulta che la ricorrente abbia lamentato l’erronea applicazione del ragionamento presuntivo da parte della Corte territoriale, o almeno non lo ha fatto correttamente. Afferma, infatti, che “le deduzioni della Corte d’Appello, nella parte in cui continua a dedurre che fosse onere della (OMISSIS) sas dare prova dei parametri su cui fondare il risarcimento del danno avvenuto in via equitativa, sono del tutto errate, perche’ onere dell’attrice era “solo” quello di provare il fatto/illecito. Diversamente, se cosi’ fosse, la natura di una condanna in via equitativa non avrebbe mai ragioni di essere”.
La ricorrente avrebbe potuto denunciare che il giudice di merito, pur in presenza di circostanze gravi, precise e concordanti, non aveva ritenuto ricorrente il danno da fermo tecnico aziendale e da contrazione di guadagno (Cass., Sez. Un., 24/01/2018, n. 178), perche’, invece, una censura di contenuto diverso e/o diversamente argomentata, come in questo caso, si risolve in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, collocando la censura su un terreno che non e’ quello dell’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Non puo’ non osservarsi, in aggiunta, che la premessa in iure del ragionamento della ricorrente e’ errata, spettando a colui che asserisce di aver subito un danno dall’altrui inadempimento fornire la prova del nesso di causalita’ giuridica tra detto inadempimento ed il danno di cui si pretende il risarcimento.
Questa Corte ha chiarito – cfr. Cass. 11/11/2019, n. 28991 – che l’articolo 1218 c.c., solleva il creditore dell’obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non anche da quello di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento. Ha poi precisato che -sebbene nesso di causa ed imputazione della responsabilita’ non siano teoricamente coincidenti, perche’ un conto e’ collegare la condotta all’evento di danno (causalita’ materiale) e l’evento di danno alle conseguenze pregiudizievoli (causalita’ giuridica), altro conto e’ il criterio di valore che collega un effetto giuridico ad una determinata condotta, rappresentato, nel campo della responsabilita’ per inadempimento di un’obbligazione, dall’inadempimento – nel caso di responsabilita’ di cui all’articolo 1218 c.c., l’inadempimento si sostanzia nel mancato soddisfacimento dell’interesse dedotto in obbligazione, sicche’ il giudizio di causalita’ materiale non e’ distinguibile praticamente da quello relativo all’inadempimento;
pertanto, la causalita’ e’ non soltanto criterio di collegamento tra condotta ed evento, ma anche criterio di imputazione della responsabilita’. Il che comporta che, a carico del creditore della prestazione, grava solo l’onere di provare la causalita’ giuridica, mentre l’inadempimento che assorbe la causalita’ materiale deve essere solo allegato. Nel caso di specie, dunque, la ricorrenza delle conseguenze derivanti dall’inadempimento avrebbero dovuto costituire oggetto dell’onere probatorio gravante sul creditore della prestazione inadempiuta.
6. Il ricorso e’ inammissibile.
7. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna parte controricorrente, liquidandole in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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