La lieve entità del fatto

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 4 settembre 2020, n. 25044.

La lieve entità del fatto si può affermare dando rilievo anche solo a uno dei criteri indicatori o meno del grado di offensività, ma solo a seguito di una valutazione globale di tutti gli indici per giungere alla compensazione o all’annullamento del rilevanza tra essi.

Sentenza 4 settembre 2020, n. 25044

Data udienza 21 luglio 2020

Tag – parola chiave: Sostanze stupefacenti – Lieve entità del fatto – Solo uno dei criteri indicatori o meno del grado di offensività – Rilevanza – Sufficienza – Valutazione globale di tutti gli indici – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/05/2019 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Stefano Corbetta;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Manuali Valentina, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Foggia all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la Corte di appello di Bari rideterminava in tre anni e quattro mesi di reclusione e 12.000 Euro di multa la pena inflitta nei confronti di (OMISSIS), nel resto confermando la pronuncia di primo grado, la quale aveva affermato la penale responsabilita’ dell’imputato per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, per avere detenuto presso la propria abitazione gr. 24,22 di cocaina e ulteriori dodici dosi termosigillate del peso netto di gr. 1,78, pari a complessive 145 dosi medie singole.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) in relazione all’articolo 195 c.p.p., comma 4. Assume il ricorrente che, sulla base di una lettura congiunta degli articoli 61, 62, 63 e 64 c.p.p., e articolo 195 c.p.p., comma 4, le dichiarazioni rese dal teste di p.g., in riferimento a quanto verbalmente dichiaratogli dall’indagato in sede di indagini e mai compendiato di alcun verbale, sono affette da inutilizzabilita’ assoluta, in quanto assunte in palese violazione di legge.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la riconducibilita’ del fatto nella meno grave ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, senza tener conto della qualita’ e quantita’ di stupefacente, pari a sole 145 dosi, e nemmeno del fatto che il (OMISSIS) abbia reso dichiarazioni autoaccusatorie.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) in relazione al ritenuto concorso nel reato. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato il concorso del (OMISSIS) nella detenzione dello stupefacente, non avendo indicato alcuna condotta tale da integrare un contributo causale, materiale o materiale, nella realizzazione del reato, trattandosi al piu’ di connivenza non punibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Il primo motivo e’ manifestamente infondato.
3. Si osserva che l’imputato ha chiesto la definizione del processo a suo carico con giudizio abbreviato non condizionato, ossia con un rito a prova contratta, in cui la piattaforma probatoria utilizzabile dal giudice e’ rappresentata non, come nel giudizio ordinario, dalle prove assunte nel contraddittorio tra le parti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, ma dagli atti di indagine contenuti nel fascicolo del Pubblico ministero.
E’ percio’ inconferente il richiamo, operato dal ricorrente, all’articolo 195 c.p.p., comma 4, che pone uno specifico divieto probatorio con riferimento all’esame in sede dibattimentale degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria.
4. Cio’ chiarito, il ricorrente con non si confronta con il principio, affermato dalla prevalente e piu’ recente giurisprudenza di legittimita’, secondo cui sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria ai sensi dell’articolo 350 c.p.p., comma 7, purche’ emerga con chiarezza che l’indagato ha scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione, proprio perche’ tale norma ne limita l’inutilizzabilita’ esclusivamente al dibattimento (Sez. 3, n. 20466 del 03/04/2019 – dep. 13/05/2019, S, Rv. 275752; Sez. 2, n. 14320 del 13/03/2018 – dep. 28/03/2018, Basso, Rv. 272541; Cass., Sez. 5, n. 13917 del 16/02/2017 – dep. 22/03/2017, Pernicola, Rv. 269598; Sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017 – dep. 25/05/2017, Distefano, Rv. 271148).
5. Nel caso in esame, la Corte territoriale si e’ attenuta al principio ora richiamato, evidenziando come il (OMISSIS), all’atto della perquisizione, spontaneamente e in assenza di ogni forma di coercizione o di sollecitazione, si sia assunto la responsabilita’ in ordine alla detenzione della droga rinvenuta dagli operanti nella propria abitazione.
6. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato.
7. A dispetto della mutata configurazione giuridica dell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, elevata da circostanza attenuante al rango di fattispecie autonoma di reato a seguito delle novelle di cui alle L. n. 10 del 2014 e n. L. 79 del 2014, non sono cambiati i presupposti per la sua applicabilita’.
In particolare, la fattispecie del fatto di “lieve entita’” e’ ravvisabile in ipotesi connotate da una minima offensivita’, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalita’, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010 – dep. 05/10/2010, Rico, Rv. 247911).
8. Recentemente, le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo Ciro) hanno chiarito la necessita’ di procedere ad una valutazione complessiva e comparativa degli indici di lieve entita’ elencati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, sicche’ occorre “abbandonare l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo, cioe’, la lieve entita’ del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma allo stesso tempo anche che tali indici non debbano tutti indistintamente avere segno positivo o negativo”. Ed invero, va riconosciuta “la possibilita’ che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensivita’ del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso”. Solo all’esito “della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entita’, e’ poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioe’ che la sua intrinseca espressivita’ sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o piu’ degli altri”. Ma, “e’ per l’appunto necessario che una tale statuizione costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entita’ alla luce dei criteri normativizzati e non gia’ il suo presupposto. Ed e’ parimenti necessario che il percorso valutativo cosi’ ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicita’ del fatto ai sensi del Testo Unico stup., articolo 73, comma 5, dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Il che significa (…) che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del piu’ contenuto disvalore del fatto, ma altresi’ di quelli per cui la sua carica negativa non puo’ ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensivita’. In tale ottica e’ opportuno sottolineare come anche l’elemento ponderale – quello che piu’ spesso assume un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale – non e’ escluso dal percorso valutativo implicito nella formulazione dell’articolo 73, comma 5, come rivela ancora una volta proprio il raffronto dello stesso con la gia’ evocata disposizione di cui all’articolo 80, comma 2, Testo Unico stup.. In altri termini, anche la maggiore o minore espressivita’ del dato quantitativo deve essere anch’essa determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Ferma la possibilita’ che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente, cio’ significa che anche la detenzione di quantitativi non minimali potra’ essere ritenuta non ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell’articolo 73, comma 5, e, per converso, che quella di pochi grammi di stupefacente, all’esito della valutazione complessiva delle altre circostanze rilevanti, risulti non decisiva per ritenere integrata la fattispecie in questione”.
9. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi ora ricordati, avendo escluso la riconducibilita’ del fatto nell’ipotesi di lieve entita’ sulla base di una valutazione complessiva degli elementi del caso in esame, rappresentati non solo dal quantitativo non trascurabile di cocaina sequestrata, pari a 145 dosi, ma anche dal rinvenimento di fogli su cui erano riportati nomi di persona con i numeri di telefono, di un bilancino elettronico e di altro materiale da confezionamento: elementi ritenuti, in maniera non manifestamente illogica, sintomatici di un’attivita’ di spaccio professionale, quindi incompatibile con la connotazioni del fatto in termini di “lieve entita’”.
10. Va infine rilevato che, ai fini della sussumibilita’ del fatto nella previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 non rileva il contegno collaborativo assunto dall’imputato: elemento che esula dai “mezzi”, dalle “modalita’” o dalle “circostanze dell’azione”, e che puo’ trovare riconoscimento a livello sanzionatorio, ricorrendone i presupposti, nell’applicazione della circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, ovvero, come nel caso in esame, delle circostanze attenuanti generiche.
11. Il terzo motivo e’ manifestamente infondato.
Invero, il (OMISSIS) e’ stato ritenuto responsabile della detenzione dello stupefacente non a titolo di concorso, ma in proprio, in considerazione del rinvenimento dello stupefacente nella propria abitazione, elemento corroborato delle dichiarazioni autoaccusatorie rese dal (OMISSIS) agli operanti al momento del ritrovamento dello stupefacente.
La motivazione addotta dalla Corte territoriale in tema di concorso si giustifica con il fatto che, anche a voler ritenere – come ipotizzato dal ricorrente – che la droga sequestrata fosse di proprieta’ del fratello del (OMISSIS), che era con lui presente nell’abitazione al momento dell’intervento della polizia giudiziaria, in ogni caso sarebbe configurabile una responsabilita’ ex articolo 110 c.p., avendo il (OMISSIS), in ipotesi, custodito la droga per conto del fratello.
12. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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