La lesione del diritto alla serenità personale e familiare conseguente a immissioni illecite

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 gennaio 2024| n. 2203.

La lesione del diritto alla serenità personale e familiare conseguente a immissioni illecite

In tema di responsabilità civile, la lesione del diritto alla “serenità personale e familiare” conseguente a immissioni illecite può generare un danno risarcibile, che, tuttavia, non è in re ipsa, ma deve essere, innanzitutto, allegato in maniera circostanziata, con riferimento a fatti specifici, concreti e indicativi del lamentato peggioramento qualitativo della vita (attraverso il raffronto tra la situazione precedente e quella successiva alle immissioni), e, poi, provato, anche mediante presunzioni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale lamentato dagli attori quale conseguenza di una frana, causata da lavori eseguiti dalla convenuta nel suo fondo, verificatasi a poca distanza dalla loro abitazione sulla base della verosimiglianza e della gravità del timore di abitare nelle vicinanze di un’area interessata da eventi franosi, senza accertare se l’allegazione degli attori fosse idoneamente circostanziata per la necessaria verifica in concreto della gravità della lesione del diritto e della serietà del danno, tenuto conto che la stessa riconducibilità del “rischio frana” nell’ambito delle immissioni intollerabili avrebbe dovuto essere oggetto di adeguata valutazione).

Ordinanza|22 gennaio 2024| n. 2203. La lesione del diritto alla serenità personale e familiare conseguente a immissioni illecite

Data udienza 11 maggio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Proprieta’ – Limitazioni legali della proprieta’ – Rapporti di vicinato – Immissioni – Azione contro le immissioni illecite – Risarcimento dei danni lesione al diritto alla ‘serenità personale e familiare’ – Danno non patrimoniale in ‘re ipsa’ – Esclusione – Onere di allegazione e prova – Necessità – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VINCENTI Enzo – Presidente

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliera-Rel.

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29298/2020 R.G. proposto da:

Ri.Ma., domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato De.Ma.;

– ricorrente –

contro

Co.Am., Se.Ma., domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato Gu.Pr.;

– controricorrenti –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 542/2020, depositata il 06/02/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/05/2023 dalla Consigliera ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO CHE:

1. Il 14 ottobre 2010, i signori Co.Am. e Se.Ma., proprietari di un terreno sito nel Comune di B, convenivano in giudizio la signora Ri.Ma., loro confinante, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni dagli stessi patiti per una frana verificatasi il 25 febbraio 2010.

In particolare, deducevano che tale frana: (a) era stata causata da alcuni lavori eseguiti dalla convenuta nel suo fondo; (b) aveva cagionato agli attori danni materiali, consistiti nella distruzione di piante, alberi secolari e di un pozzo, nonché danni esistenziali, vivendo nel terrore che potesse di nuovo verificarsi uno smottamento. A questo proposito, chiedevano anche di ordinare alla signora Ri.Ma. di eseguire, nella sua proprietà, i lavori come autorizzati con D.I.A. presentata al Comune.

Si costituiva in giudizio la Ri.Ma., opponendosi ad ogni avversa domanda, in quanto l’evento non era causalmente da ricondurre ai suoi lavori, ma al preesistente stato dei luoghi, alla condotta omissiva degli attori per non aver realizzato, nel loro fondo, opere volte ad evitare la stagnazione idrica, nonché al Comune di B per la presenza a monte di una strada comunale che riversava acqua nella zona.

Nel corso del giudizio, il Tribunale disponeva che il contraddittorio fosse integrato nei confronti di In.De. e Ro.Ia., comproprietari per 2/12 del fondo interessato dai lavori denunciati.

Il Tribunale di Benevento, all’esito dell’istruttoria, nel corso della quale disponeva consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 1551 pubblicata l’11 maggio 2015, condannava i convenuti, in solido tra loro: a) a eseguire i lavori previsti nella D.I.A. presentata al Comune oppure, solo in caso di accordo di tutte le parti, a compiere quelli previsti dal c.t.u. come precisati alle pagg. 5 e 6 della relazione peritale, con costi a loro carico; b) a pagare agli attori, a titolo di danni patrimoniali, la somma di Euro 4.235,75 ciascuno, nonché a titolo di danni esistenziali, Euro 5.000,00 ciascuno, oltre interessi e rivalutazione. Respingeva ogni domanda nei confronti del Comune.

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Infine, condannava gli stessi convenuti alla refusione delle spese di lite in favore delle altre parti.

2. La Ri.Ma. proponeva appello, chiedendo l’integrale riforma della decisione impugnata. In subordine, di ridurre il risarcimento del danno patrimoniale, escludendo quello esistenziale. In via istruttoria, chiedeva altresì di ammettere le prove escluse dal Tribunale e di rinnovare la CTU ovvero chiamare a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio.

I signori Co.Am. – Se.Ma. e il Comune, in via preliminare, eccepivano, rispettivamente, l’inammissibilità e la nullità dell’appello; nel merito, ne contestavano la fondatezza, con conferma della pronuncia di primo grado.

La Corte d’appello di Napoli con la sentenza n. 542/2020, depositata il 6 febbraio 2020, confermava integralmente la decisione del Tribunale, condannando l’appellante alla refusione delle spese di lite e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. n. 115/2002.

Il Collegio, respinte le eccezioni preliminari degli appellati e dichiarate inammissibili le richieste istruttorie dell’appellante, sulla base delle risultanze della CTU, tenuto conto della situazione idro – geo – morfologica dell’area classificata dal consulente “a pericolosità di frana”, statuiva che il fenomeno era imputabile esclusivamente alla Ri.Ma. per aver realizzato opere che avevano determinato una modificazione antropica sul pendio e lo scivolamento del terreno, non avendo seguito le indicazioni progettuali della D.I.A.

A giudizio della Corte, dalla documentazione in atti, risultava provata la vicinanza dell’abitazione dei signori Co.Am. – Se.Ma. all’area interessata dalla frana, con conseguente diritto ad ottenere, oltre al risarcimento del danno patrimoniale, anche di quello esistenziale. Sul punto – affermava la Corte – il danno esistenziale va ritenuto sussistente, alla luce della verosimiglianza e della gravità del timore dovuto alla consapevolezza di abitare (circostanza pacifica) a minima distanza da una frana già verificatasi, e col rischio di patirne altre nella propria sfera personale e familiare più immediata. Tale danno è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno economico documentato quando sia riferibile alle lesioni o al pregiudizio della vita familiare all’interno della propria abitazione.

Infine, respingeva l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dei signori Co.Am. – Se.Ma., in quanto la titolarità del diritto di proprietà sul fondo a valle emergeva dalla documentazione ed il primo giudice ne dava atto nella sentenza impugnata in cui affermava che, dalla documentazione da loro prodotta, gli attori risultavano comproprietari, quali coniugi in regime di separazione dei beni, per quote eguali alla metà.

3. Avverso tale sentenza la signora Ri.Ma. propone ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi.

Resistono con controricorso i signori Co.Am. – Se.Ma..

3.1. Nessuno ha depositato memoria.

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CONSIDERATO CHE:

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. per violazione dei principi in tema di allegazione e valutazione della prova ed in relazione all’articolo 2697 codice civile, per aver ritenuto in re ipsa il danno e per aver posto a base della relativa decisione circostanze non allegate e prodotte dalle parti”.

La Corte napoletana, facendo errata applicazione dei principi in materia di onere probatorio, avrebbe accolto la domanda di risarcimento del danno esistenziale ritenendo lesa, in assenza di prova, la “serenità familiare” dei resistenti per il solo verificarsi dell’evento franoso.

4.2. Con il secondo motivo, deduce la “Violazione e falsa applicazione degli articoli 2 Cost., 2059 e 2697 c.c. per aver identificato il danno con la lesione dell’interesse, configurandolo in re ipsa, e qualificando e liquidando come costituzionalmente protetto l’ideale stato di benessere di serenità familiare”. Lamenta che il giudice del merito avrebbe risarcito un ideale stato di serenità personale e familiare che non assurge ad un valore costituzionalmente protetto.

4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta “Violazione dell’articolo 115 c.p.c. per non aver ritenuto pacifico ed incontestato il fatto che l’abitazione fosse notevolmente distante dalla frana”.

Tale circostanza non sarebbe stata oggetto di contestazione e, quindi, su di essa si sarebbe dovuta fondare la decisione del giudizio di merito.

4.4. Con il quarto motivo, prospetta la “Violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione all’articolo 2729 c.c. per aver fondato la decisione su una circostanza non grave, né precisa e né concordante, e senza che la fattispecie concreta fosse ascrivibile a quella astratta”.

La Corte avrebbe riconosciuto il danno esistenziale in base ad una mera presunzione, costituita dalla verosimiglianza del timore dei signori Co.Am. – Se.Ma. dovuto al fatto di abitare a minima distanza dalla frana. In tal modo, avrebbe fondato la sua decisione su elementi non oggettivi (quale la nozione di ‘vicinanza’), privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c.

4.5. Con il quinto motivo, deduce la “Violazione art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare”.

Il Collegio si sarebbe pronunciato trascurando il seguente ragionamento della ricorrente: l’abitazione dei resistenti non era interessata da fenomeni franosi e gli stessi non temevano una nuova frana tanto che avevano continuato a coltivare il terreno circostante l’area franata, indirizzando verso quest’ultima lo scolo di raccolta dell’acqua piovana di propri canali artificiali.

4.6. Con il sesto motivo, deduce la “Violazione articoli 115 e 116 c.p.c. per vizio di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo, dedotto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto principale”.

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Il Giudice del gravame avrebbe altresì trascurato il fatto decisivo costituito dalla condotta dei signori Co.Am. – Se.Ma., i quali, dirigendo l’acqua dei loro canali nell’area della frana, avrebbero così manifestato l’assenza di timore posto invece alla base del danno esistenziale.

4.7. Con il settimo motivo, prospetta la “Violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 per violazione dell’art. 2697 c.c. e 116 c.p.c. per aver ritenuto sufficiente la produzione dei certificati catastali a riprova del diritto di proprietà per la legittimazione attiva alla tutela reale della stessa. Difetto di legittimazione attiva alla tutela reale della proprietà”.

5. ” È logicamente prioritario l’esame del settimo motivo, il quale è infondato.

Nel giudizio di risarcimento dei danni derivati ad un bene immobile da un illecito comportamento del convenuto, atteso che oggetto della pretesa azionata è non già il diretto e rigoroso accertamento della proprietà del fondo, bensì l’individuazione del titolare del bene avente diritto al risarcimento, non è richiesta la prova rigorosa della proprietà (cd. probatio diabolica), potendo il convincimento del giudice in ordine alla legittimazione alla pretesa risarcitoria formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo sufficiente ad escludere un’erronea destinazione del pagamento dovuto (Cass. n. 18841/2016).

Nella specie, il giudice di appello si è attenuto a tale principio ritenendo sussistente la legittimazione attiva dei coniugi in ragione della titolarità del diritto di proprietà sul fondo in forza di quanto emergente dalla documentazione in atti (cfr. pag. 18 sentenza impugnata).

6. Il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono ammissibili (non essendo conferente l’eccezione dei controricorrenti sulla presenza di “doppia conforme” che impedisce la deduzione di censure ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., trattandosi di doglianze relative ad errores in iudicando), nonché fondati nei termini di seguito precisati.

6.1. La Corte territoriale ha basato la propria decisione di conferma della sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto il diritto degli attori al risarcimento del danno non patrimoniale (“danno morale, od esistenziale”), ritenendo corretta l’affermazione del Tribunale circa la sussistenza di detto danno “alla luce della verosimiglianza e della gravità del timore dovuto alla consapevolezza di abitare (circostanza pacifica) a minima distanza di una frana già verificatasi, e col rischio di patirne altre nella propria sfera personale e familiare più immediata”.

Il giudice di appello ha, quindi, richiamato a sostegno della propria statuizione la giurisprudenza di legittimità in tema di “lesione o pregiudizio della vita familiare all’interno della propria abitazione” (Cass. n. 20927 del 16 ottobre 2015 e Cass. n. 3720 dell’8 febbraio 2019).

6.2. Occorre premettere, in punto di diritto, che, in effetti, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’assenza di un danno biologico documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la prova del cui pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni (Cass. n. 26899/2014; Cass. n. 20927/2015, citata; Cass. SU, n. 2611/2017; Cass. n. 10861/2018; non già Cass. n. 3720/2019 citata nella sentenza di appello, che non è pertinente al tema del danno non patrimoniale anzidetto, ma all’esclusione del diritto al risarcimento in conseguenza di pregiudizi “bagatellari”).

Va, inoltre, rammentato che il danno non patrimoniale di cui si invoca il risarcimento non può essere in re ipsa, tenuto conto che il danno risarcibile si identifica non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza del danno deve essere, anzitutto, allegato e, quindi, provato (v. ex multis: Cass. n. 25420/2017; Cass. n. 31537/2018; Cass. n. 6589/2023).

La lesione del diritto alla serenità personale e familiare conseguente a immissioni illecite

L’allegazione a tal fine necessaria deve concernere fatti specifici del caso concreto, essere cioè circostanziata, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico ed astratto, eventuale ed ipotetico (tra le tante: Cass. n. 12143/2016; Cass. n. 28742/2018; Cass. n. 33276/2023), dovendo dare conto del peggioramento qualitativo della vita lamentato, attraverso il raffronto tra la situazione precedente e successiva alle immissioni.

Tale allegazione deve, quindi, essere oggetto di prova, che può essere fornita anche mediante presunzioni (tra le altre: Cass. n. 26899/2014; Cass. 20927/2015; Cass. S.U. n. 2611/2017; Cass. n. 16408/2017; Cass. n. 10861/2018).

Come, poi, affermato dalla Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 26972/2008) e ribadito dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (tra le molte: Cass. n. 24030/2009; Cass. n. 2370/2014; Cass. n. 16133/2014; Cass. n. 3720/2019; Cass. n. 29206/2019; Cass. n. 17383/2020; Cass. n. 33276/2023), il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. – anche quando non sussiste un fatto – reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 cod. civ., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

Tale principio è stato riaffermato anche in tema di danno non patrimoniale da immissioni illecite che comportino la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane (Cass. n. 28742/2018; Cass. n. 19434/2019).

6.3. La Corte territoriale non si è attenuta ai principi sopra ricordati nel ritenere che il danno non patrimoniale cagionato ai coniugi Co.Am. – Se.Ma. dalla ricorrente a seguito della lesione della “serenità personale e familiare” si risolvesse nel timore di abitare nella vicinanza all’area interessata dagli eventi franosi.

Il giudice di appello, sulla scorta dell’anzidetta allegazione, concernente il disagio e la paura che si potesse verificare un’altra frana, non ha considerato, anzitutto, se tale evento futuro e incerto fosse da effettivamente da ricondurre nell’alveo di quei epifenomeni costituiti dalle ‘immissioni intollerabili’ ” su cui si è formata la giurisprudenza richiamata a sostegno della decisione ” che, come tali, in forza del loro peculiare dinamismo, assumono una incidenza specifica quale accadimento idoneo a ledere il diritto alla serenità familiare.

Inoltre, il giudice di appello ha mancato di dare rilievo al profilo del se l’allegazione degli attori si palesasse quale circostanziata premessa per la necessaria verifica in concreto sulla gravità della lesione all’anzidetto diritto e sulla serietà del danno.

Del pari, è stata pretermessa una delibazione in ordine alla concreta ed effettiva non riconducibilità di quanto allegato dagli originari attori a quei meri disagi, fastidi, disappunti, ansie o ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita che, come detto, precludono, in forza del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c., nella misura in cui esprimono i termini di un’incidenza non adeguatamente apprezzabile della sfera personale individuale, inevitabilmente scaturente dal fatto della convivenza sociale.

La lesione del diritto alla serenità personale e familiare conseguente a immissioni illecite

7. Le censure avanzate con il terzo, quarto, quinto e sesto motivo sono assorbite all’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

8. Vanno, dunque, accolti i primi due motivi di ricorso, dichiarati assorbiti dal terzo al sesto motivo e rigettato il settimo motivo.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso per quanto di ragione, dichiara assorbiti il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo e rigetta il settimo motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, in data 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2024.

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