La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 marzo 2023| n. 6614.

La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado

La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado o del decreto ingiuntivo può essere proposta nel giudizio d’appello senza che ciò implichi violazione del divieto di domande nuove posto dall’art. 345 c.p.c., dovendo applicarsi, in via analogica, il principio generale in base al quale, per ragioni di economia processuale, la domanda di risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2, c. p. c. può essere proposta anche in grado di appello, come pure la domanda di riduzione in pristino ed ogni altra conseguente davanti al giudice di rinvio (art. 389 c.p.c.).

Ordinanza|6 marzo 2023| n. 6614. La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado

Data udienza 7 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: LOCAZIONE – IMMOBILI – AD USO DIVERSO DA QUELLO ABITATIVO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2942/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato CRISTINA NICASTRO, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato GIORGIO MARCELLI;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato ELVIRA GANCI, e dall’avvocato FABIO MARTORANA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2193/2018 della Corte d’Appello di PALERMO, depositata in data 6 novembre 2018.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado

RILEVATO

che:
(OMISSIS) ricorre, formulando tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 2193-2018 emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, resa pubblica il 06/11/2018;
resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, basato su un motivo, (OMISSIS) S.p.A.;
il ricorrente rappresenta nella descrizione del fatto di avere citato, dinanzi al Tribunale di Palermo, la (OMISSIS) S.p.A., perche’ fosse condannata a farsi carico di ogni onere economico relativo alle domande di sanatoria per abusi edilizi da essa presentate in data (OMISSIS) e (OMISSIS) e, pertanto, fosse condannata a restituirgli l’importo di Euro 63.797,30 versato al Comune di Palermo per oblazioni, interessi, accessori, oneri di urbanizzazione, contributo costo di costruzione; a tal fine deduceva: a) di avere stipulato, nel maggio 1984, con la (OMISSIS) S.p.A., originaria dante causa della convenuta, un contratto di affitto avente ad oggetto l’appezzamento di terreno sito in (OMISSIS), con ingresso da (OMISSIS); la affittuaria, con scrittura privata del 1986, aveva dato atto di avere realizzato alcuni magazzini, un capannone e un corpo di fabbrica ad uso ufficio, per i quali aveva presentato, il (OMISSIS), domanda di sanatoria, con assunzione dei relativi oneri, e si era obbligata, al termine del contratto, a restituire i terreni e le costruzioni realizzate senza nulla pretendere; b) di avere, in seguito, autorizzato l’affittuaria a presentare domanda integrativa di sanatoria, ai sensi della L. n. 724 del 1994; d) di avere, con raccomandata del 18 ottobre 2006, invitato l’affittuaria a provvedere al pagamento, entro il 31 dicembre 2006 (data convenuta con la medesima per il rilascio dei cespiti), a favore del Comune di Palermo dell’importo dovutogli, pari a Euro 52.274,62; e) infine, di avere, allo scopo di scongiurare il rigetto delle istanze di condono, provveduto personalmente a versare, nel 2009, al Comune di Palermo le somme ancora dovute;
la convenuta, costituitasi in giudizio, negava di avere mai assunto l’obbligo di definire le pratiche di sanatoria e riteneva che l’attore avesse eseguito il pagamento delle somme pretese, ex articolo 1180 c.c., con esclusione del diritto di regresso, aggiungeva che il pagamento avrebbe riguardato un credito estinto per prescrizione e contestava la corrispondenza tra le somme richieste e quanto corrisposto al Comune di Palermo;
il Tribunale, con sentenza n. 1428/20123, condannava la societa’ (OMISSIS) S.p.A. al pagamento di Euro 63.797,30;
la Corte d’Appello, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, investita del gravame dalla societa’ (OMISSIS), ha accolto l’appello, negando che la clausola n. 4 della scrittura privata del 22 giugno 1987 (la quale precisava che, alla restituzione dell’immobile, la societa’ (OMISSIS) S.p.A. avrebbe riconsegnato gli immobili affittati con le costruzioni ivi realizzate senza nulla pretendere per la loro costruzione e per la loro sanatoria, avendo le parti considerato tali oneri nella regolamentazione dei loro rapporti) comportasse “un’assunzione di responsabilita’ della societa’ conduttrice per quanto eventualmente da fare e da pagare in relazione alla sanatoria presentata (e si badi bene, la previsione contrattuale puo’ riguardare solo la prima domanda cioe’ quella del 1986) sembra piuttosto prevedere una rinunzia della stessa societa’ conduttrice a far valere i propri diritti rispetto alle opere edificate e rispetto a quanto gia’ corrisposto per la sanatoria presentata”; ha escluso, inoltre, la sussistenza di altra scrittura privata tra le parti che si riferisse alla domanda di sanatoria presentata nel 1995; ha ritenuto tardiva, perche’ formulata solo con la memoria integrativa, a seguito del mutamento del rito, la domanda di rimborso delle somme corrisposte al Comune sulla scorta di un obbligo di legge di natura solidale per il versamento degli oneri accessori a carico della conduttrice, in quanto autrice degli abusi; ha reputato che, ai sensi della L. n. 47 del 1985, articolo 31, comma 3, non sia configurabile una obbligazione per oneri di urbanizzazione e oblazione per la sanatoria, “direttamente a carico del conduttore o di soggetto diverso dal proprietario”;
la trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte; il ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:
Ricorso principale.
1) con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’espresso obbligo assunto da (OMISSIS) S.p.A. (rectius: (OMISSIS) S.p.A.), dante causa di (OMISSIS) S.p.A., contenuto nell’articolo 9 del contratto di locazione stipulato il 2 gennaio 1986 e riprodotto in seno all’articolo 9 del contratto di locazione stipulato in data 1 aprile 1998;
1.1) in primo luogo, mette conto rilevare che il ricorrente non ha soddisfatto le prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, in quanto, per un verso, omette di riprodurre il tenore della clausola dei due contratti di cui lamenta l’omesso esame e, per altro verso, non localizza in questo giudizio di legittimita’ i due contratti, siccome impone la consolidata giurisprudenza di questa Corte;
anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso, e’ la semplificazione dell’attivita’ del giudice di legittimita’ e allo stesso tempo la garanzia della certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione) ed ha investito questa Corte del compito di farne applicazione secondo un criterio di proporzionalita’ rispetto allo scopo, onde scongiurare una interpretazione troppo formale delle limitazioni imposte ai ricorsi che trasformerebbe il principio di autosufficienza del ricorso in uno strumento per limitare il diritto di accesso ad un organo giudiziario in modo o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto (al p.to 81 in motivazione), il principio di autosufficienza e’ soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito – (cosi’ Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, la quale ha ritenuto soddisfatte le prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, perche’ parte ricorrente nell’enucleare i motivi di ricorso, aveva “fatto specifico riferimento ai diversi atti e documenti allegati nel giudizio innanzi al Tsap, individuandoli in modo sufficientemente chiaro e nei termini in cui gia’ erano stati richiamati nella sentenza di merito, nonche’ riportandone alcuni estratti”): requisito che puo’ essere concretamente soddisfatto “anche” fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda (Cass. 19/04/2022, n. 12481); sulle modalita’ di soddisfacimento delle prescrizioni di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, cfr. Cass., Sez. un., 03/11/2011, n. 22726 che ammette “la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 3”; a tale ultimo riguardo, si osserva che nemmeno in calce al ricorso parte ricorrente ha indicato la produzione del fascicolo di primo grado, cui si fa riferimento nel ricorso;
deve confermarsi, dunque, che il motivo e’ stato formulato in violazione del principio di autosufficienza, non bastando, a tal fine, l’allegazione dei contratti per cui e’ causa;
1.2) in secondo luogo, parte ricorrente non ha soddisfatto gli oneri di allegazione posti a carico di chi invoca il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistenti nell’indicazione del dato extratestuale dal quale evincere la esistenza del fatto omesso nonche’ il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione tra le parti; cio’ non consente di attribuire al fatto asseritamente omesso i caratteri del tassello mancante alla plausibilita’ cui e’ giunta la sentenza rispetto a premesse date – nel quadro del sillogismo giudiziario (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054);
2) con il secondo motivo il ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello la violazione degli articoli 667 e 426 c.p.c., perche’, motivando sull’accoglimento del secondo motivo di appello, aveva ritenuto che solo con la memoria integrativa del 14 settembre 2012, depositata a seguito del mutamento del rito, quindi tardivamente, sarebbe stata prospettata “l’esistenza di un obbligo giuridico in capo al conduttore in quanto autore degli illeciti abusivi”;
la tesi del ricorrente e’ che solo con la memoria integrativa di cui all’articolo 426 c.p.c., si cristallizzi il thema decidendum e che la Corte territoriale abbia errato nell’anticipare le preclusioni al momento del mutamento del rito;
inoltre, il giudice a quo non avrebbe tenuto conto dei principi di cui alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 12310/2015 che consente alla parte di alterare gli elementi oggettivi e soggettivi della domanda a condizione che la domanda originaria venga sostituita;
2.1) si osserva innanzitutto che l’articolo 667 c.p.c., di cui viene dedotta la violazione, regola il passaggio dalla fase sommarla di un procedimento a quella a cognizione piena e quindi non assume rilievo nella vicenda per cui e’ causa; di conseguenza, non e’ pertinente la giurisprudenza richiamata a supporto della censura, perche’ essa attiene al passaggio dalla fase sommaria del procedimento per convalida alla fase a cognizione piena, che e’ cosa ben diversa dal cambiamento del rito disposto quando su una causa soggetta al rito del lavoro ed introdotta con il rito ordinario, come nella specie, viene disposto il passaggio al rito speciale.
in tale ultima eventualita’, questa Corte ritiene che “dopo che il giudice ha disposto il mutamento del rito, e’ alle parti consentito solamente il deposito di memorie integrative, che non possono contenere domande nuove, a pena di inammissibilita’ rilevabile anche d’ufficio dal giudice, non sanata neppure dall’accettazione del contraddittorio sul punto (Cass. 31/05/2015, n. 11596; Cass. 07/11/1987, n. 8256);
il contenuto della memoria integrativa di cui si discute non e’ stato riportato, in spregio delle prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, il che rende impossibile a questa Corte esaminare la questione sottoposta al suo scrutinio sotto il profilo che il ricorrente evoca citando Cass. n. 112310/2015;
3) con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 47 del 1985, articolo 31, comma 3;
attinta da censura e’ la statuizione di accoglimento del motivo di appello con cui l’affittuaria aveva negato di poter essere destinataria di una domanda di rivalsa, perche’ della L. n. 47 del 1985, articolo 31, comma 3, escluda, la configurabilita’ di una obbligazione per oneri di urbanizzazione e oblazione per la sanatoria, direttamente a carico del conduttore o di soggetto diverso dai proprietari;
l’errore della Corte consisterebbe nel non avere considerato che il diritto di rivalsa non spetta al soggetto interessato dalla sanatoria che sia anche l’autore dell’abuso, mancando il presupposto del regresso, in quanto il responsabile dell’abuso, ancorche’ conduttore dell’immobile, “e’ legittimato a presentare istanza di condono, giacche’ una volta sanati gli abusi commessi puo’ sottrarsi alle conseguenze negative dell’illecito in essere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo”.
il motivo non merita accoglimento, perche’ se la ratio decidendi da ritenere impugnata e’ quella relativa alla questione che era stata introdotta con la modifica della domanda – come parrebbe dalla prospettazione del ricorrente ed anche dalla lettura del secondo motivo dell’appello, per come riferito dalla sentenza impugnata – allora il motivo risulta inammissibile alla stregua del principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., 20/02/2007, n. 3840, secondo il quale “Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilita’ (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si e’ spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere ne’ l’interesse ad impugnare; conseguentemente e’ ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed e’ viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata”;
Ricorso incidentale.
3) la societa’ ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in riferimento alla domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte territoriale omesso di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado, pur essendo stata la relativa domanda ritualmente formulata con l’atto di impugnazione e reiterata in comparsa conclusionale, come dimostrato in ottemperanza alle prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6;
il motivo va accolto;
la societa’ ha dimostrato di avere effettivamente formulato ritualmente e tempestivamente la domanda di restituzione e la Corte d’Appello ha omesso di pronunciarsi su di stessa;
deve escludersi che la restituzione sia un effetto derivante ipso facto della riforma in appello della sentenza di prime cure, perche’ il codice di rito non contiene una disciplina relativa alle restituzioni, se non per le restituzioni conseguenti ai giudizi di cassazione e di revocazione, rispettivamente, agli articoli 389 e 402, e perche’ se cosi’ fosse non si spiegherebbe per quale ragione l’articolo 389 c.p.c., imponga alla parte vittoriosa di proporre un’autonoma domanda restitutoria o ripristinatoria, ne’ perche’ l’articolo 402 c.p.c., prescriva che il giudice abbia, una volta pronunciatosi a favore della revocazione, il potere-dovere di ordinare la restituzione o il ripristino (Cass. 30/10/2020, n. 24171);
ne consegue che la domanda restitutoria deve essere oggetto di apposita domanda formulata in un giudizio ad hoc ovvero, in deroga al divieto di cui all’articolo 345 c.p.c., al giudice d’appello, come avvenuto nel caso di specie; in tal senso e’ pacificamente orientata la giurisprudenza di questa Corte che ammette senza riserve che la domanda restitutoria o ripristinatoria non possa ne’ debba essere considerata domanda nuova e possa proporsi in appello, senza che cio’ implichi violazione del divieto sancito dall’articolo 345 c.p.c., dovendosi applicare per analogia il medesimo principio che, per ragioni di economia processuale, consente di proporre la domanda di risarcimento del danno per responsabilita’ aggravata anche in appello (articolo 96 c.p.c., comma 2) e la domanda di riduzione in pristino ed ogni altra conseguente alla sentenza di Cassazione anche al giudice di rinvio (articolo 389 c.p.c.); a tal fine non rileva se la riforma della sentenza sia avvenuta per ragioni di rito o di merito, atteso che il potere del giudice di condannare la parte alle restituzioni deriva, in applicazione delle norme sopra richiamate, da motivi di economia processuale e trova fondamento nell’accoglimento dell’appello e non nella natura della decisione (Cass. 13/07/2004, n. 12905 e Cass. 17/03/2005, n. 5787); cio’ trova indiretta conferma nel fatto che, nel caso in cui sia promosso un autonomo giudizio restitutorio o ripristinatorio dinanzi allo stesso giudice competente per la riforma della sentenza di condanna, il secondo giudizio non comporta la sospensione di quello avente ad oggetto la domanda restitutoria nemmeno nel caso di un’eventuale compensazione dei crediti (Cass. 19/02/2003, n. 2480);
deve porsi, nondimeno, attenzione al fatto che la condanna alla restituzione puo’ determinare un ampliamento dell’oggetto dell’accertamento compiuto dal giudice, il quale, al pari di quello che avviene per le azioni di condanna, cadra’ sul rapporto sostanziale fra attore e convenuto; a titolo esemplificativo si veda Cass. 3/09/2007, n. 18512, la quale ha precisato che la richiesta di una statuizione di condanna e la giustificazione della sua immediata, sia pur provvisoria esecutivita’, presuppongono, dal punto di vista logico, una previa statuizione di accertamento, sicche’ per rimuoverne gli effetti potrebbe essere indispensabile un’analoga statuizione che accerti l’an ed il quantum dell’effetto restitutorio; tale conclusione trova supporto indiretto nelle pronunce che ammettono la possibilita’ di ricorrere alla procedura della correzione di errore materiale di quelle sentenze che, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, omettano di pronunciarsi sulla richiesta restitutoria “solo” se essa non richieda accertamenti ne’ sull’an ne’ sul quantum: cfr., in tal senso, Cass. 2/07/2019, n. 17664; non e’ questo il caso, tant’e’ che la stessa ricorrente incidentale aveva chiesto alla Corte d’Appello la restituzione totale o parziale dell’importo versato;
deve, dunque, accogliersi il motivo, ma non anche la richiesta di provvedere ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2.
5) ne consegue che il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile e che il ricorso principale va accolto con rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e rinvia in relazione al motivo accolto alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

 

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