La dichiarazione di fallimento di una società di fatto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 maggio 2021| n. 14365.

Il giudizio per la dichiarazione di fallimento di una società di fatto non presuppone l’instaurazione del litisconsorzio necessario fra tutti i soci, dal momento che il principio generale per cui l’accertamento di un rapporto sociale postula il contraddittorio fra la totalità dei presunti e reali componenti dell’ente non trova applicazione qualora l’accertamento relativo all’esistenza del rapporto sociale sia meramente strumentale rispetto alla decisione sulla dichiarazione di fallimento.

Ordinanza|25 maggio 2021| n. 14365. La dichiarazione di fallimento di una società di fatto

Data udienza 10 febbraio 2021

Integrale
Tag/parola chiave: FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI – DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO – La dichiarazione di fallimento di una società di fatto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 9448/2017 r.g. proposto da:
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)), in proprio e nella qualita’ di socio e legale rappresentante della societa’ di fatto composta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con cui elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO della societa’ di fatto composta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei soci illimitatamente responsabili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in persona del curatore fallimentare legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con il quale elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– controricorrente –
contro
FALLIMENTO Impresa (OMISSIS) s.r.l., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore curatore fallimentare avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con il quale elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– controricorrente –
nonche’ nei confronti di:
(OMISSIS) e (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata in data 16.3.2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/2/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

La dichiarazione di fallimento di una società di fatto

RILEVATO

Che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia ha rigettato il reclamo L. Fall., ex articolo 18, presentato da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti del Fallimento Impresa (OMISSIS) s.r.l. (creditore istante) e del Fallimento della societa’ di fatto holding composta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Padova n. 243/2016 con la quale era stato esteso il fallimento alla holding personale composta dai predetti soci.
La corte di merito ha in primo luogo ricordato la ricostruzione fattuale posta dal tribunale a sostegno dell’estensione del fallimento alla predetta societa’ di fatto (s.d.f.): i) i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), con i figli (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano creato una societa’ di fatto holding occulta la cui funzione era quella di esercitare l’attivita’ di direzione e coordinamento rispetto alle quattro “societa’ di famiglia”: l’impresa (OMISSIS) s.r.l. (il cui fallimento era il creditore istante del fallimento oggi contestato), la Costruzioni (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS), la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., tutte societa’ i cui soci erano i membri della famiglia (OMISSIS); ii) il fallimento istante aveva invero affermato, quale titolo legittimante la richiesta di fallimento, il credito risarcitorio ex articolo 2497 c.c., nascente dai danni conseguenti dalla predetta illegittima attivita’ di direzione e di controllo che aveva arrecato pregiudizio economico alla societa’ controllata anch’essa fallita; ha inoltre evidenziato che: iii) il tribunale aveva ritenuto di applicare il termine di cui alla L. Fall., articolo 10, anche alle societa’ non iscritte nel RR.II. e considerato che in seguito al fallimento della societa’ controllata (che era anche quella istante del fallimento di cui qui in discussione) doveva considerarsi cessata l’attivita’ di direzione e controllo da parte della holding, lo stesso tribunale aveva ritenuto che ricorressero i presupposti di urgenza per abbreviare i termini, ai sensi della L. Fall., articolo 15, comma 6, concessi per la notificazione del ricorso per fallimento; considerato poi che non si erano perfezionate le notifiche ai soci illimitatamente responsabili (a differenza di quella alla societa’), era stata anche autorizzata la notificazione d’urgenza a mezzo dei carabinieri. La corte distrettuale ha dunque ritenuto che: a) le doglianze relative alla mancata notificazione del ricorso per fallimento alla socia (OMISSIS) non erano fondate, posto che il tribunale non aveva dichiarato il fallimento personale della predetta socia illimitatamente responsabile; b) il termine a difesa di nove giorni in favore della (OMISSIS) e di sei giorni per i soci (OMISSIS) e (OMISSIS) doveva considerarsi congruo per lo svolgimento delle ragioni difensive delle parti in relazione all’istanza di fallimento sopra descritta; c) il termine di cui alla L. Fall., articolo 10, era applicabile anche alle societa’ di fatto non iscritte al registro delle imprese, di talche’ era legittima la decisione del tribunale di abbreviare i termini per la notifica, dovendosi ritenere essere venuta meno l’attivita’ di direzione e di controllo della holding al momento del fallimento della societa’ controllata; d) anche la lamentata violazione del termine a difesa era comunque da ritenersi doglianza solo astrattamente prospettata, posto che la (OMISSIS) si era difesa nel merito e gli altri soci non avevano neanche allegato un concreto pregiudizio alle loro prerogative difensive; e) la notifica del ricorso per fallimento alla societa’ occulta doveva, inoltre, considerarsi perfezionata con la notifica ad uno dei soci occulti, come avvenuto nel caso in esame con la notificazione alla (OMISSIS); f) per la configurazione della societa’ occulta holding avevano rilievo, piu’ in particolare, due vicende: 1) la prima relativa all’effettuazione di prelievi, dal 2004 al 2011, da parte dei soci della Impresa (OMISSIS) s.r.l., di liquidita’ senza l’effettiva produzione di utili (per un importo complessivo pari ad Euro 2.300.000), con successivo accollo dei relativi debiti dei soci da parte delle altre due societa’ del gruppo, (OMISSIS) s.a.s., senza alcuna giustificazione economica e con l’ulteriore conseguenza che i crediti non venivano soddisfatti ma solo registrati con una operazione di “giroconto” contabile; la successiva operazione di trasferimento immobiliare in favore della impresa (OMISSIS) s.r.l. da parte della (OMISSIS) s.a.s. concretizzava un trasferimento di valori nullo (stante la garanzia ipotecaria insistente sul cespite immobiliare ed il prezzo puramente fittizio di vendita, che non corrispondeva alla sua effettiva consistenza di valore apprezzabile sul mercato);

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2) la seconda operazione posta in essere nel 2008 che, per effetto della scissione societaria, aveva visto l’impresa (OMISSIS) s.r.l. trasferire alla neocostituita (OMISSIS) s.a.s. alcuni immobili; tra cui il capannone industriale, in cui si svolgeva l’attivita’ sociale, e nel 2013 la (OMISSIS) s.r.l. trasferire, a sua volta, alla neocostituita (OMISSIS) s.r.l. il principale ramo d’azienda per un canone di affitto non congruo; ed inoltre occorreva considerare che: 3) le predette operazioni di accollo dei debiti personali dei soci da parte delle societa’ del gruppo e la vendita dell’immobile ad un valore pari al doppio del valore di mercato integravano operazioni prive di significato economico ed anzi mettevano in luce l’esistenza di una societa’ occulta volta alla direzione e al controllo economico delle societa’ facenti parte del gruppo societario controllato dalla famiglia (OMISSIS); g) anche l’ulteriore censura relativa al mancato accertamento del credito oggetto dell’istanza di fallimento doveva considerarsi infondata, posto che l’accertata sottrazione di attivo dalle casse sociali della societa’ poi dichiarata fallita (ed istante il fallimento) dimostrava in favore di quest’ultima l’esistenza di un corrispondente ed ingente credito risarcitorio ex articolo 2497 c.c., che non avrebbe dovuto essere accertato giudizialmente ma solo delibato incidenter tantum dal giudice fallimentare; h) non assumevano rilevanza, anche ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, le problematiche personali e di salute del socio (OMISSIS), posto che l’insolvenza si valuta su un piano prettamente oggettivo, a prescindere dall’imputabilita’ delle singole cause del dissesto, e che non poteva essere messo in discussione il ruolo attivo di amministratore svolto dal (OMISSIS) all’interno delle compagini delle societa’ del gruppo.

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2. La sentenza, pubblicata il 16.3.2017, e’ stata impugnata da (OMISSIS) con ricorso per cassazione, affidato a tredici motivi, cui FALLIMENTO Impresa (OMISSIS) s.r.l. e FALLIMENTO della s.d.f. hanno resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza della corte di appello e di quella dichiarativa di fallimento per violazione e falsa applicazione dell’articolo 102 c.p.c., in relazione alla L. Fall., articolo 147, per la mancata notifica alla presunta socia (OMISSIS).
1.1 La doglianza e’ in realta’ infondata.
La censura si fonda su un postulato che non e’ condivisibile, e cioe’ che il giudizio per la dichiarazione di fallimento di una societa’ di fatto presupponga il litisconsorzio necessario tra tutti i soci della stessa.

 

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Sul punto, va fornita continuita’ applicativa a quel filone giurisprudenziale consolidatosi nel tempo secondo cui occorre escludere l’esistenza di un litisconsorzio necessario in relazione ad una procedura fallimentare promossa nel presupposto dell’esistenza di una societa’ di fatto per come allegata dal fallimento istante nei confronti di un soggetto terzo (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 8676 del 01/09/1998). E’ stato cosi’ espressamente affermato nell’arresto da ultimo citato che “l’opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento va notificata solo al curatore e ai creditori che hanno chiesto il fallimento, non anche al fallimento del soggetto che e’ stato ritenuto socio di fatto” (cosi’, verbatim, Cass. 8676/1998); v. nello stesso senso anche: Cass. 1225 e 122/1998). Invero, “il principio generale, secondo cui l’accertamento di un rapporto sociale deve essere necessariamente effettuato in contraddittorio di tutti i presunti e reali componenti della societa’, non trova applicazione nell’ipotesi particolare di opposizione ad una sentenza dichiarativa di fallimento di una societa’ di persone e dei soci in proprio da parte di un socio illimitatamente responsabile che, per sottrarsi all’estensione del fallimento nei propri confronti, neghi il rapporto sociale. Cio’ in quanto l’accertamento relativo all’esistenza di detto rapporto e’ strumentale rispetto alla decisione sull’opposizione avverso la dichiarazione di fallimento che costituisce il vero oggetto del giudizio e che e’ retta dalla disposizione della L. Fal., articolo 18” (cosi’, expressis verbis, Cass. 122/1998, cit.; v. anche Sez. 1, Sentenza n. 3163 del 02/04/1999).
Tale principio, affermato in riferimento al giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento (nel precedente regime normativo: cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 7760 del 02/08/1990; v. 1041/80, mass. n. 404504; 6023/88, mass n. 460446; 3344/69, mass. n. 343408; 3017/69, mass. n. 342914; 2573/67, mass. n. 329931), e’ estensibile, per analogia di ratio, anche al giudizio volto, in prima istanza, alla declaratoria di fallimento di una societa’ di fatto, allo stesso modo, pertanto, di quanto gia’ affermato, sempre dalla giurisprudenza di questa Corte, in materia di dichiarazione del fallimento sociale L. Fall., ex articolo 147, in estensione ai soci illimitatamente responsabili (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 122 del 09/01/1998, cit. supra, con motivazione per esteso).

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Ne consegue che l’infondatezza della denunciata nullita’ processuale e’ dimostrata – come correttamente rilevato anche da parte della corte di appello – dalla circostanza che il fallimento e’ stato dichiarato nei confronti degli altri soci illimitatamente responsabili e non gia’ nei confronti della socia (OMISSIS) nei cui confronti non si era perfezionato il procedimento di notificazione dell’istanza di fallimento.
2. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza in ragione dell’inesistenza della notifica alla societa’ di fatto.
2.1 Anche tale censura e’ in realta’ infondata.
Orbene, e’ utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, la notifica di un atto giudiziario ad uno dei soci, e nel suo domicilio, di una societa’ di fatto e’ valida perche’ ciascuno di essi ne ha la rappresentanza ed e’ legittimato a stare in giudizio per la stessa, mentre d’altro canto manca un sistema che dia pubblicita’ alla sede sociale di essa (Sez. 2, Sentenza n. 850 del 02/02/1999). Del resto, e’ stato altresi’ precisato che la rappresentanza di una societa’ in nome collettivo irregolare spetta, in difetto di una specifica regolamentazione della gestione sociale, disgiuntamente a ciascuno dei soci, a norma degli articoli 2293 e 2257 c.c., con la conseguenza che ognuno di loro e’ legittimato a stare in giudizio per la societa’, sia come attore che come convenuto, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri soci (Sez. 2, Sentenza n. 10689 del 14/12/1994).
Cio’ detto, risulta circostanza non controversa quella secondo cui la notificazione alla societa’ di fatto si e’ perfezionata tramite la notificazione alla socia (OMISSIS) presso la sua residenza, con cio’ determinando l’instaurazione del contraddittorio processuale anche nei confronti della societa’ fallenda. Del resto, va anche aggiunto che la notificazione dell’atto di impugnazione ad una societa’, pure se questa sia, come la societa’ di fatto, una societa’ di persone, deve essere eseguita mediante consegna di un’unica copia, indipendentemente dal numero dei soci che ne abbiano assunto la rappresentanza processuale, poiche’ la societa’ costituisce un soggetto unitario, distinto, anche ai fini processuali, dai singoli soci (Sez. 5, Sentenza n. 15538 del 06/11/2002).
3. Con un terzo motivo il ricorrente articola, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di violazione della L. Fall., articolo 15, per aver ritenuto, la sentenza impugnata, giustificata l’abbreviazione dei termini processuali sulla base di una erronea applicazione della L. Fall., articolo 10.

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3.1 La censura presenta plurimi e concorrenti profili di inammissibilita’.
3.1.1 Sotto un primo profilo di riflessione, non puo’ essere dimenticato, in termini generali, che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, e’ inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi” (cfr. Sez. U., Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017; Sez. 5 -, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 18119 del 31/08/2020).
3.1.2 Orbene, la decisione impugnata si fonda, come ratio decidendi principale, in relazione al rigetto dell’eccezione di ritenuta illegittimita’ del provvedimento presidenziale di abbreviazione dei termini processuali di cui alla L. Fall., articolo 15, sulla mancata allegazione da parte dell’odierno ricorrente ( (OMISSIS)) di un concreto pregiudizio processuale discendente dall’asserita violazione del termine a difesa.
Tale ratio non e’ stata in alcun modo censurata da parte del ricorrente, cosi’ rendendo inammissibili le ulteriori censure proposte sul punto qui da ultimo in esame nel terzo motivo di ricorso.

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Del resto, non puo’ neanche essere dimenticato – quanto alla sopra riferita ratio decidendi e in termini piu’ generali – che, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, il mancato rispetto del termine di quindici giorni che deve intercorrere tra la data di notifica del decreto di convocazione del debitore e la data dell’udienza (come previsto dalla nuova formulazione della L. Fall., articolo 15, comma 3) e la sua mancata abbreviazione nelle forme rituali del decreto motivato sottoscritto dal presidente del tribunale, previste dalla L. Fall., articolo 15, comma 5, costituiscono cause di nullita’ astrattamente integranti la violazione del diritto di difesa, ma non determinano – ai sensi dell’articolo 156 c.p.c., per il generale principio di raggiungimento dello scopo dell’atto – la nullita’ del decreto di convocazione se, il debitore, pur eccependo la nullita’ della notifica, abbia attivamente partecipato all’udienza, rendendo dichiarazioni in merito alle istanze di fallimento, senza formulare, in tale sede, rilievi o riserve in ordine alla ristrettezza del termine concessogli, ne’ fornendo specifiche indicazioni del pregiudizio eventualmente determinatosi, sul piano probatorio, in ragione del minor tempo disponibile (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 14814 del 19/07/2016).
Se, poi, a cio’ si aggiunge che, nel caso in esame, l’abbreviazione del termine per la notifica e per il deposito delle memorie difensive era stata, peraltro, espressamente autorizzata con provvedimento presidenziale, come prescritto dalla L. Fall., articolo 15, comma 6, allora la doglianza cosi’ proposta dal ricorrente risulta vieppiu’ infondata, oltre che inammissibile nei termini gia’ sopra chiariti.
3.1.3 Ma la censura e’ anche inammissibile per un altro ordine di ragioni concorrenti.
La decisione istruttoria di abbreviazione dei termini processuali, ai sensi della L. Fall., articolo 15, comma 6, si fonda invero su una valutazione in fatto discendente dalla ritenuta applicabilita’ del termine decadenziale di cui alla L. Fall., articolo 10, anche alle societa’ non iscritte nel registro, su cui peraltro e’ dato registrare incertezza esegetica nella stessa giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ (cfr. per l’applicabilita’: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15346 del 25/07/2016; contra: Sez. 1, Sentenza n. 5520 del 06/03/2017).
Orbene, osserva la Corte che – senza voler entrare nel merito della discussione qui da ultimo accennata (anche in ragione dell’accertata inammissibilita’ della doglianza cosi’ prospettata e perche’, peraltro, la questione non e’ neanche rilevante ai fini decisori qui prospettati) – la decisione del tribunale di abbreviazione dei termini si fonda sull’accertamento di una esigenza processuale di accelerazione della procedura che involge, per quanto sopra accennato, valutazioni strettamente fattuali che non sono qui piu’ censurabili, per lo meno sotto il profilo della prospettata violazione di legge.
3.1.4 Deduce, inoltre, il ricorrente che l’attivita’ di cessazione dell’attivita’ di direzione e controllo sulla societa’ controllata (poi fallita ed istante il fallimento) risalirebbe ad un periodo precedente, e cioe’, al 2013, con cio’ determinando il maturarsi del termine di cui alla L. Fall., articolo 10, ben prima della dichiarazione di fallimento della societa’ controllata, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito nel provvedimento qui impugnato.
La doglianza, cosi’ prospettata, e’ all’evidenza inammissibile.
La censura presupporre un accertamento in fatto che nono demandabile al giudice di legittimita’.

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4. Il quarto mezzo declina, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di violazione dell’articolo 15, per il mancato rilievo della nullita’ ovvero inesistenza del provvedimento datato 10.11.2016, in ragione della soppressione del termine per il deposito di memorie difensive.
5. Con il quinto motivo si deduce, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione della L. Fall., articolo 15, ovvero, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al profilo secondo cui il termine stabilito dall’articolo 15, deve intercorrere tra la notificazione e la data di udienza mentre la corte di merito aveva fatto riferimento al termine intercorso tra la notifica ed il deposito della richiesta di un termine.
6. Il sesto mezzo declina, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla valutazione di un congruita’ del termine a difesa concesso nonostante la particolare complessita’ della vertenza.
7. Il ricorrente propone, inoltre, un settimo motivo di censura, con il quale, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia di nuovo error in procedendo, in riferimento alla violazione della L. Fall., articolo 15, dell’articolo 164 c.p.c. e degli articoli 24 e 111 Cost., per il mancato rilievo della nullita’ del procedimento in ragione della mancata concessione del termine a difesa.
8. L’ottavo mezzo articola, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione della L. Fall., articoli 15 e 147, nonche’ degli articoli 102 e 164 c.p.c., laddove la sentenza impugnata aveva affermato che i due soci (OMISSIS) non avrebbero potuto chiedere un termine a difesa in considerazione della medesimezza delle contestazioni sollevate ai tre soci delle quali avevano avuto conoscenza tramite la (OMISSIS).
8.1 I motivi sopra esposti – che si concentrano tra la quarta e l’ottava doglianza – possono essere esaminati insieme (stante la comunanza di contestazioni sollevate) e vanno rigettati.
8.1.1 Le censure sono tutte accumunate dal medesimo profilo di inammissibilita’ gia’ sopra rilevato, e cioe’ la mancata impugnazione della ratio decidendi principale posta a sostegno del diniego delle gia’ proposte censure di nullita’ del procedimento per la violazione del termine a difesa, ratio che si concentra nella mancata allegazione da parte dei reclamanti di un serio e concreto pregiudizio all’esercizio delle prerogative difensive in relazione alla prospettazione, solo astratta, del pregiudizio conseguente al mancato rispetto di un termine minimale per approntare un’utile difesa giudiziale.
8.1.2 Sul punto e’ gia’ stato chiarito che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, il mancato rispetto del termine di quindici giorni che deve intercorrere tra la data di notifica del decreto di convocazione del debitore e la data dell’udienza (come previsto dalla nuova formulazione della L. Fall., articolo 15, comma 3) e la sua mancata abbreviazione nelle forme rituali del decreto motivato sottoscritto dal presidente del tribunale, previste dalla L. Fall., articolo 15, comma 5, costituiscono cause di nullita’ astrattamente integranti la violazione del diritto di difesa, ma non determinano – ai sensi dell’articolo 156 c.p.c., per il generale principio di raggiungimento dello scopo dell’atto – la nullita’ del decreto di convocazione se, il debitore, pur eccependo la nullita’ della notifica, abbia attivamente partecipato all’udienza, rendendo dichiarazioni in merito alle istanze di fallimento, senza formulare, in tale sede, rilievi o riserve in ordine alla ristrettezza del termine concessogli, ne’ fornendo specifiche indicazioni del pregiudizio eventualmente determinatosi, sul piano probatorio, in ragione del minor tempo disponibile (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 14814 del 19/07/2016; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16757 del 16/07/2010, cit. sopra).
Cio’ posto e chiarito ancora una volta che, nel caso in esame, l’abbreviazione dei termini processuali di cui qui in discorso era stata autorizzata con apposito provvedimento presidenziale, il ricorrente non ha impugnato la ratio decidendi sopra riportata ne’ ha allegato quale sarebbe stato il concreto pregiudizio alle sue prerogative difensive discendente dalla compressione (ovvero soppressione, come dal ricorrente dedotto) del termine a difesa previsto dalla L. Fall., articolo 15.
8.1.3 A cio’ si aggiunga che le ulteriori doglianze articolate in riferimento ai provvedimenti datati 4.11.2016 e 10.11.2016 sono del tutto destituite di fondamento, posto che gli stessi si sono limitati ad autorizzare semplicemente il rinnovo delle notificazioni senza disporre ulteriori abbreviazioni dei termini a difesa.

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9. Con il nono motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo in relazione alle istanze istruttorie e di merito che il reclamante avrebbe potuto esercitare gia’ nel giudizio di primo grado.
9.1 La doglianza, per come formulata, e’ inammissibile.
La censura e’ inammissibile per la sua evidente genericita’ di formulazione e per un congenito difetto di autosufficienza, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, non avendo indicato il ricorrente quali fossero le sopra richiamate istanze istruttorie ovvero di merito, il cui esame sarebbe stato pretermesso dal giudice del reclamo, e in quale atto difensivo avesse dedotto tale profilo di censura, prospettato per la prima volta anche solo nella sede del giudizio di reclamo L. Fall., ex articolo 18.
10. Con il decimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione dell’articolo 112 e comunque omesso esame degli elementi istruttori laddove la corte territoriale non si era pronunciata in ordine alle istanze istruttorie.
10.1 La censura presenta un doppio profilo di inammissibilita’.
Per un verso, non puo’ essere dimenticato che, secondo gli insegnamenti espressi da questa Corte di legittimita’, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione e’ denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. 6 1, Ordinanza n. 13716 del 05/07/2016; Sez. 6-1, Ordinanza n. 24830 del 20/10/2017).
Ne consegue che la doglianza articolata come violazione dell’articolo 112 c.p.c., e’ irricevibile nella sua formale declinazione.
10.2 Ma anche a voler superare tale pur assorbente profilo di inammissibilita’ e a voler ritenere la doglianza declinata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, occorre subito evidenziare come la censura risulta all’evidenza generica, non spiegando la decisivita’ delle prove di cui si lamenta il mancato esame e la mancata ammissione. Senza contare che la sentenza impugnata risponde espressamente sulle richieste istruttorie dell’odierno ricorrente (v. pagg. 14, 18 e 19 della sentenza), con cio’ potendo escludersi in radice il lamentato vizio di “omesso esame” per come esposto nella rubrica del motivo.
11. L’undicesimo mezzo declina, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo in ordine ai profili di esteriorizzazione della holding gia’ nel dicembre 2013 con la conseguente non fallibilita’ della s.d.f. gia’ alla fine del 2015 per decorso del termine di cui alla L. Fall., articolo 10.
11.1 Sul punto osserva la Corte che – anche a voler superare la intrinseca contraddittorieta’ della censura con la tesi perorata in altro motivo di censura (v. terzo motivo di ricorso) laddove si sosteneva, sempre da parte del ricorrente, la non applicabilita’ del termine decadenziale di cui alla L. Fall., articolo 10, alle societa’ irregolari (li’ per dedurne l’illegittimita’ della disposta abbreviazione del termine di cui alla L. Fall., articolo 15, comma 5) – la doglianza e’ inammissibile sia in ragione della sua genericita’ di formulazione, sia perche’ volta a sollecitare la Corte di legittimita’ ad un nuovo scrutinio di merito in ordine ai profili fattuali di “esternalizzazione” della societa’ occulta e sia perche’ risulta essere fatto nuovo non dedotto nei precedenti gradi di giudizio.

La dichiarazione di fallimento di una società di fatto

12. Con il dodicesimo mezzo il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, motivazione apparente in relazione all’articolo 2247 c.c..
13. Il tredicesimo mezzo denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’articolo 112 c.p.c. e omessa pronuncia.
13.1 Gli ultimi due mezzi di impugnazione presentano profili di inammissibilita’ e di infondatezza.
13.2 Si denuncia in primis vizio di motivazione apparente in relazione alla valutazione degli elementi di esteriorizzazione della societa’ occulta ed anche dei requisiti fattuali e giuridici di tale societa’ di fatto.
13.3 Sul punto giova ricordare che, secondo le espressioni di questa Corte, a motivazione e’ solo apparente, e la sentenza e’ nulla perche’ affetta da “error in procedendo”, quando, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; N. 8053 del 2014; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019).
13.3.1 Cio’ posto, la doglianza non e’ meritevole di accoglimento posto che la corte di merito ha spiegato, in modo esaustivo e con valutazioni in fatto qui non piu’ censurabili, quali fossero gli indici rivelatori di una societa’ di fatto svolgente funzione di direzione e di controllo delle altre societa’ del gruppo familiare (OMISSIS), e cio’ con particolare riferimento alle due operazioni “rivelatrici”: 1) la prima relativa all’effettuazione di prelievi, dal 2004 al 2011, da parte dei soci della impresa (OMISSIS) s.r.l. di liquidita’ senza l’effettiva produzione di utili (per un importo complessivo pari ad Euro 2.300.000), con successivo accollo dei relativi debiti dei soci da parte delle altre due societa’ (OMISSIS) s.a.s., senza alcuna giustificazione economica e con l’ulteriore conseguenza che i crediti non venivano soddisfatti ma solo registrati con una operazione di “giroconto” contabile e con la successiva operazione di trasferimento immobiliare in favore della impresa (OMISSIS) s.r.l. da parte della (OMISSIS) s.a.s. che doveva considerarsi corrispondente ad un valore economico nullo; 2) la seconda operazione posta in essere nel 2008 che, per effetto della scissione societaria, aveva visto la impresa (OMISSIS) s.r.l. trasferire alla neocostituita (OMISSIS) s.a.s. alcuni immobili tra cui il capannone industriale in cui si svolgeva l’attivita’ sociale e nel 2013 la (OMISSIS) s.r.l. trasferire alla neocostituita (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l. il principale ramo d’azienda per un canone di affitto non congruo. Con la conseguente valutazione secondo cui le predette operazioni di accollo dei debiti personali dei soci da parte delle societa’ del gruppo e la vendita dell’immobile ad un valore pari al doppio del valore di mercato evidenziano la commissione di operazioni prive di significato economico ed anzi mettevano in luce l’esistenza di una societa’ occulta volta alla direzione e al controllo economico delle societa’ del gruppo societario familiare.
13.3.2 Ma la decisione impugnata risulta anche conforme ai principi dettati in subiecta materia dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimita’.

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Invero, e’ stato affermato che la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perche’ possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l’esistenza di una societa’ occulta, ma cio’ non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attivita’ societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilita’ dei singoli partecipi (articolo 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (articoli 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarita’ della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non gia’ in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17925 del 12/09/2016).
13.4 Da ultimo non e’ neanche rintracciabile il vizio di omesso esame nei termini di cui all’articolo 112 c.p.c..
Sul punto, non puo’ essere dimenticato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma e’ necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: cio’ non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011; Sez. 1, Sentenza n. 21612 del 20/09/2013; Sez. 1, Sentenza n. 17956 del 11/09/2015; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017).
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

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P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida per ciascun controricorrente in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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