La destinazione sulla casa di abitazione del portiere

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 18 giugno 2020, n. 11802.

La massima estrapolata:

Non sussiste alcun vincolo perpetuo e ‘reale’ di destinazione sulla casa di abitazione del portiere né tanto meno si può ritenere che tale destinazione possa formare oggetto di un’obbligazione “propter rem” sulla cosa , ovvero di dipendenza tra obbligato e titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa.

Sentenza 18 giugno 2020, n. 11802

Data udienza 12 settembre 2019

Tag – parola chiave: COMUNIONE E CONDOMINIO – CONDOMINIO – PARTI COMUNI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 774/2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende in virtu’ di procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3507/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/09/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso, in conformita’ della requisitoria scritta per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato per i ricorrenti e l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS) per il controricorrente.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), premettendo di essere proprietario di un immobile sito in (OMISSIS), facente parte del fabbricato (OMISSIS), conveniva in giudizio il relativo condominio, deducendo che l’immobile, ubicato al piano rialzato ed acquistato con atto per notar (OMISSIS) del 20/12/2004, era interessato da infiltrazioni di acqua provenienti dai muri perimetrali del fabbricato e dai pozzetti di raccolta delle acque luride e meteoriche, risultati lesionati e da lungo tempo non riparati.
Aggiungeva che aveva in precedenza instaurato un ATP che aveva confermato la riconducibilita’ dei danni alla condotta omissiva del condominio e concludeva per l’accoglimento della domanda risarcitoria, relativa sia alla necessita’ di assicurare il ripristino del bene sia alla mancata fruizione dei frutti che avrebbe potuto ritrarre ove avesse potuto fare uso del bene.
Si costituiva il condominio che adduceva che la responsabilita’ dell’accaduto non poteva essergli ascritta, in quanto l’umidita’ che aveva danneggiato il bene dell’attore derivava dal vespaio sottostante i pavimenti, e quindi era rappresentata da una causa estranea al condominio.
Oltre a contestare l’entita’ dei danni richiesti, eccepiva la prescrizione del diritto azionato ex articolo 2947 c.c., ed in via riconvenzionale evidenziava che il regolamento di condominio depositato dalla societa’ costruttrice, e redatto con atto per notaio (OMISSIS) dell’11 settembre 1958, prevedeva che tra i beni comuni ed indivisibili vi fosse anche la casa del portiere, posta al piano seminterrato.
L’immobile era stato effettivamente espropriato dalla societa’ mutuante che sul bene stesso aveva a suo tempo iscritto ipoteca, e lo stesso era stato aggiudicato a tal (OMISSIS), i cui eredi avevano poi trasferito la titolarita’ del bene al (OMISSIS), ma doveva reputarsi che il vincolo di destinazione impresso sull’immobile, appunto adibito a casa del portiere, fosse opponibile anche all’attore, e cio’ anche in assenza di trascrizione del regolamento.
Poiche’ il servizio di portierato era ancora attivo, il condominio rivendicava l’esistenza del vincolo obbligatorio chiedendo altresi’ che fosse accertata l’illegittimita’ dell’accorpamento a quella che era la casa del portiere di due box parimenti appartenenti all’attore, con la conseguente condanna alla riduzione in pristino dei luoghi.
Nel corso del giudizio, acquisito il fascicolo dell’ATP esperito ante causam, l’attore proponeva anche ricorso ex articolo 700 c.p.c., al fine di ottenere l’immediata esecuzione dei lavori finalizzati alla rimozione della situazione di pericolo che investiva sia la condizione del bene attoreo che le condizioni statiche dell’intero edificio.
Il Tribunale di Napoli dichiarava il non luogo a provvedere sulla richiesta cautelare, e con sentenza ex articolo 281 sexies c.p.c., accoglieva la domanda attorea, condannando il condominio al risarcimento dei danni quantificati in Euro 47.388,87, oltre interessi, nonche’ nell’ulteriore somma di Euro 4.115,82 senza interessi, oltre che all’esecuzione dei lavori analiticamente individuati al capo c), rigettando la domanda riconvenzionale. Infine compensava per un quarto le spese di lite e poneva la residua parte a carico del convenuto, comprensive anche delle spese dell’ATP, e di quelle del procedimento ex articolo 700 c.p.c..
Avverso tale sentenza proponeva appello il condominio e la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 3507 del 31/7/2014, ha rigettato il gravame condannando l’appellante al rimborso delle spese del grado.
Quanto ai primi due motivi di gravame, rilevava che effettivamente il (OMISSIS) aveva avanzato una richiesta cautelare ex articolo 700 c.p.c., in corso di causa, e che tale richiesta appariva corretta, in quanto mirava ad evitare un pregiudizio alla sua proprieta’ esclusiva (il che non consentiva di accedere alla diversa tutela di cui all’articolo 1105 c.c., comma 4), non essendo nemmeno dato ricorrere alla denuncia di danno temuto, in quanto i danni alla sua proprieta’ si erano ormai gia’ verificati.
Risultava pero’ che il Tribunale non si era pronunciato sulla domanda ex articolo 700 c.p.c., in quanto aveva direttamente statuito sul merito, reputando quindi la richiesta cautelare assorbita.
Emergevano quindi sia il fumus che il periculum in mora, quanto meno in relazione alla situazione che investiva la proprieta’ esclusiva dell’attore, sicche’ si palesava corretta la decisione di porre a carico del condominio pro quota anche le spese del procedimento cautelare.
Era altresi’ disatteso il terzo motivo di appello che investiva la eccepita improponibilita’ della domanda, stante l’esperibilita’ del diverso rimedio di cui all’articolo 1105 c.c., comma 4, osservando la sentenza d’appello che nella specie l’attore agiva si come condomino, ma a tutela del pregiudizio alla sua proprieta’ esclusiva, ipotesi questa che secondo la giurisprudenza di legittimita’ non poteva trovare rimedio nella diversa norma invocata dal condominio.
In relazione al quarto motivo, che investiva l’eccezione di prescrizione, disattesa dal giudice di primo grado, la decisione di appello osservava che nella fattispecie si era al cospetto di un’ipotesi di illecito istantaneo con effetti permanenti, in quanto la condotta illecita si esauriva in un atto unico o compiuto in un contesto temporale unico, ancorche’ con effetti destinati a rimanere o anche ad ampliarsi nel tempo, sicche’ la prescrizione comincia a decorrere dal momento stesso del compimento della condotta causativa del danno.
Poiche’ nella fattispecie la causa delle infiltrazioni era da individuare nell’inadeguata o carente impermeabilizzazione della parete perimetrale interrata dell’edificio e nelle pessime condizioni dei pozzetti di raccolta delle acque pluviali e luride, l’appellante, gravato del relativo onere in ordine all’eccezione sollevata, non aveva pero’ dimostrato l’epoca in cui si sarebbe verificato l’illecito.
In tal senso alcuna rilevanza avevano la carenza di manutenzione dell’immobile nonche’ la circostanza che i locali fossero sempre rimasti allo stato grezzo; inoltre la CTU redatta dall’ing. (OMISSIS), in una diversa causa instaurata dai danti causa dell’attore nei confronti del condominio, e definita dal Tribunale di Napoli con la sentenza n. 842/2005, che a detta del convenuto dimostrerebbe che i danni oggetto di causa risalgono ad epoca remota, non era stata prodotta in atti e non costituiva quindi valido mezzo di prova.
Ne’ appariva decisiva la denuncia di successione degli eredi di (OMISSIS), gia’ aggiudicatario del bene, in quanto le espressioni ivi riportate non dimostravano che gia’ a quella data il bene fosse stato interessato dalle rilevanti infiltrazioni d’acqua poi accertate nel presente giudizio.
Quanto al diverso motivo di appello che investiva la mancata valutazione del concorso di colpa del danneggiato, la Corte distrettuale osservava che il giudice di primo grado aveva adeguatamente preso in esame lo stato del pavimento dell’appartamento del (OMISSIS), attribuendo allo stesso un’incidenza causale nella misura del 15%, che era stata detratta dall’ammontare dei danni, escludendo altresi’ che le condizioni di manutenzione e di umidita’ avessero concorso a determinare i fenomeni infiltrativi.
In merito invece al diverso principio della compensatio lucri cum damno, in relazione al minor prezzo che l’attore avrebbe pagato ai venditori proprio in considerazione delle complessive condizioni in cui versava il bene, la sentenza osservava che mancando anche in atti il titolo di acquisto del (OMISSIS), non vi era prova che effettivamente il prezzo fosse stato determinato alla luce delle precarie condizioni dell’immobile.
Era disatteso anche il motivo di appello con il quale si deduceva che non si era tenuto conto delle infiltrazioni di acqua piovana provenienti dalla strada esterna, e quindi da un bene non condominiale, e cio’ in quanto il Tribunale aveva considerato solo i danni direttamente riconducibili a cause rientranti nel controllo del condominio, come le condizioni dei muri perimetrali e dei pozzetti di raccolta delle acque.
Quanto, infine al rigetto della domanda riconvenzionale, la sentenza impugnata evidenziava che non corrispondeva al vero l’affermazione dell’appellante secondo cui il Tribunale avesse affermato che originariamente l’unita’ immobiliare dell’attore era costituita da due camere ed accessori, adibita ad alloggio del portiere e da due autonomi locali invece adibiti a deposito, solo successivamente accorpati, avendo il Tribunale solo riportato la tesi difensiva del condominio, dando successivamente atto che la stessa non aveva ricevuto riscontro probatorio.
In tal senso, secondo la Corte d’Appello, andava confermato che emergeva la diversita’ della descrizione della consistenza immobiliare destinata a casa del portiere nel regolamento di condominio rispetto a quella contenuta nell’atto di concessione dell’ipoteca e di successiva aggiudicazione a (OMISSIS), il che gia’ permetteva di escludere la fondatezza delle tesi del condominio.
Ma anche laddove si fosse voluto reputare che una parte dell’immobile appartenente al (OMISSIS) fosse coincisa con quella che era la casa del portiere, il vincolo di destinazione all’epoca impresso non era opponibile all’appellato.
Infatti, il regolamento di condominio era stato preceduto dall’iscrizione ipotecaria in favore della banca mutuante concessa dalla societa’ mutuataria, costruttrice del fabbricato, iscrizione ipotecaria che doveva ritenersi avesse preceduto la redazione del regolamento di condominio.
Successivamente, la banca creditrice aveva intrapreso l’esecuzione immobiliare sull’immobile destinato a casa del portiere, che all’esito della procedura era stato aggiudicato al dante causa dell’attore.
Alla luce di tale sequenza cronologica doveva reputarsi che, ex articolo 2812 c.c., il vincolo di destinazione fosse inopponibile all’acquirente del bene, in quanto una volta costituita la garanzia reale, la societa’ debitrice non avrebbe potuto costituire alcun peso o creare alcun diritto reale opponibile al creditore ipotecario.
Il rilievo circa la liberta’ del bene da pesi in favore del condominio determinava che dovesse essere confermato anche il capo della sentenza di prime cure che aveva disatteso la richiesta del condominio di accertare l’illegittimita’ dell’accorpamento della casa del portiere con due locali adibiti ab origine a deposito, in quanto trattavasi di richiesta evidentemente ancorata al presupposto della sopravvivenza del vincolo di destinazione a casa del portiere.
In tal senso alcuna rilevanza aveva la documentazione prodotta solo in sede di conclusioni dal condominio e relativa al giudizio amministrativo pendente dinanzi al TAR tra il (OMISSIS), il Comune di Napoli ed il condominio, finalizzato all’annullamento del provvedimento con il quale era stato ordinato al (OMISSIS) il ripristino dello stato dei luoghi, in quanto ininfluente ai fini della presente controversia.
(OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente nudo proprietario ed usufruttuaria dell’appartamento sito al piano (OMISSIS) hanno proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza sulla base di sette motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimita’ dell’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In primo luogo deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso sollevata da parte della difesa del (OMISSIS) per essere stato proposto esclusivamente da parte di alcuni condomini in proprio, sebbene alle fasi di merito avesse preso parte il solo condominio.
Rileva il Collegio che la questione che era stata rimessa alle Sezioni Unite, in attesa del cui intervento la causa era stata rinviata a nuovo ruolo, e’ stata oggetto della recente decisione delle Sezioni Unite di cui alla sentenza n. 10934/2019 che ha affermato come non possa negarsi la legittimazione alternativa individuale al singolo condomino quando si sia in presenza di cause introdotte da un condominio o da un terzo che incidano sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune. La pronuncia in questione nel ribadire la tradizionale tesi dell’assenza di personalita’ e soggettivita’ giuridica autonoma per il condominio, ha altresi’ confermato che allorquando si sia in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprieta’ e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non puo’ negarsi la legittimazione alternativa individuale. Non sarebbe concepibile la perdita parziale o totale del bene comune senza far salva la facolta’ difensiva individuale.
Nel caso di specie, a fronte di una pretesa risarcitoria avanzata da parte del (OMISSIS) e ricollegata alla responsabilita’ per l’omessa manutenzione di beni comuni, che involge evidentemente anche la responsabilita’ dei singoli condomini, e tenuto conto della difesa del condominio che aveva posto in discussione l’esatta consistenza dei diritti vantati dal condominio e di riflesso dai singoli condomini sub specie di permanenza del vincolo di destinazione sull’immobile asseritamente adibito a casa del portiere, alla luce di quanto precisato dalle Sezioni Unite, risulta evidente la concorrente legittimazione ad impugnare anche da parte dei singoli condomini, con la conseguente ammissibilita’ del ricorso proposto, sotto il profilo della legittimazione attiva.
Una volta pero’ ritenuta l’ammissibilita’ del ricorso rileva la Corte che il ricorso, sebbene relativo all’impugnazione di una sentenza emessa nei confronti del condominio che pero’ non e’ l’autore dell’impugnazione, non risulta essere stato notificato nei confronti di tutti i soggetti che hanno preso parte al precedente giudizio di merito, non essendo stato infatti indirizzato anche nei confronti del Condominio.
E’ bensi’ vero che nella specie sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’articolo 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti del condominio, a cui il ricorso non e’ stato in precedenza notificato.
Senonche’, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’articolo 111 Cost., comma 2 e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle liberta’ fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli articoli 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attivita’ processuali e formalita’ superflue perche’ non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’articolo 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (articolo 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parita’ (articolo 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale e’ destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).
In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo§) prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del condominio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettivita’ dei diritti processuali delle parti.
2. Il ricorso si articola nei seguenti motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 342 c.p.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Deducono i ricorrenti che la sentenza nella parte in fatto aveva dato atto che era stato acquisito anche il fascicolo relativo al procedimento di ATP intentato dal (OMISSIS).
Tuttavia nell’esaminare la deduzione del convenuto, secondo cui i danni per i quali era stato richiesto il ristoro, risalivano ad epoca anteriore all’acquisto da parte dell’attore, il quale era quindi privo della titolarita’ a richiederli, essendo in ogni caso maturata la prescrizione, la sentenza ha rilevato che la consulenza redatta dall’arch. (OMISSIS) nel diverso giudizio instaurato dagli eredi (OMISSIS) nei confronti del condominio, e definito con la sentenza del Tribunale di Napoli n. 842/2005, non era stata prodotta in atti e non poteva quindi essere valutata.
Assume invece parte ricorrente che tale accertamento e’ stato prodotto durante le operazioni di ATP, con la conseguenza che rientra, una volta acquisito il fascicolo dell’ATP, tra il materiale probatorio che la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare.
Il contenuto di tale consulenza avrebbe quindi permesso di rilevare come i danni lamentati fossero esistenti da epoca remota, ed avrebbe altresi’ permesso di accertare che la consistenza originaria del bene era di soli due vani, palesandosi quindi anche l’illegittimita’ dell’intervenuto accorpamento con due autonomi locali adibiti originariamente a deposito.
2.2 Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 276 c.p.c., comma 2 e articolo 295 c.p.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
La Corte d’Appello, nel rigettare la domanda di riduzione in pristino dell’immobile del (OMISSIS), ha inopinatamente disatteso la richiesta del condominio di sospendere il giudizio ex articolo 295 c.p.c., in attesa della definizione del contenzioso amministrativo pendente dinanzi al TAR Campania, nel quale lo stesso appellato aveva impugnato l’ordinanza comunale di riduzione in pristino.
Poiche’ il condominio con l’atto di appello aveva impugnato il rigetto della domanda riconvenzionale sia per quanto attiene alla ricostituzione del vincolo di destinazione a casa del portiere sia per quanto concerne l’illegittimita’ dell’accorpamento di altri due vani all’originaria casa del portiere, occorreva disporre la sospensione del processo ex articolo 295 c.p.c..
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1105 c.c., comma 4 e articolo 1172 c.c. e degli articoli 91 e 669 bis c.p.c. e segg., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Il condominio si era doluto in appello del fatto che fossero state poste a suo carico, al netto della parte compensata, anche le spese del procedimento ex articolo 700 c.p.c., intentato in corso di causa dall’attore, sul presupposto che tale richiesta cautelare fosse ammissibile, stante l’impraticabilita’ sia di altri rimedi cautelari tipici sia della tutela in sede di volontaria giurisdizione di cui all’articolo 1105 c.c., comma 4.
Tuttavia, la perizia espletata in sede cautelare aveva evidenziato il pericolo alla statica, con la conseguenza che non essendo stata accolta la richiesta di tutela d’urgenza, non potevano essere poste a carico del condominio le relative spese di lite.
2.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1105 c.c., comma 4, articoli 1117 e 1123 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si censura il capo di sentenza che ha disatteso l’eccezione di improponibilita’ della domanda attorea, reputando inapplicabile la previsione di cui all’articolo 1105 c.c., comma 4.
Si sostiene che la lettura dell’articolo 1105 c.c., comma 4, come riferita ai soli danni cagionati alle cose comuni, non e’ condivisibile, dovendosi reputare che anche nel presente caso l’attore avrebbe dovuto preventivamente rivolgersi all’assemblea condominiale al fine di ottenere una Delibera con la quale disporre gli interventi per eliminare le cause determinative del danno.
2.5 Il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2934, 2935, 2938 e 2947 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si deduce che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che l’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria di parte avversa fosse stata genericamente formulata.
Viceversa la prova della data di verificazione dell’illecito e comunque di insorgenza dei danni da epoca remota emergeva dalla perizia (OMISSIS) di cui al primo motivo di ricorso, e dalla dichiarazione degli eredi (OMISSIS) in occasione della presentazione della denuncia di successione.
Tali elementi non sono stati valutati dalla Corte d’Appello che ha altrettanto erroneamente qualificato l’illecito come istantaneo ad effetti permanenti.
2.6 Il sesto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c., comma 1, nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si deduce che e’ erronea la decisione della Corte d’Appello nell’escludere rilevanza alla condotta inerte del danneggiato, essendo altrettanto erronea la mancata applicazione del principio della compensatio lucri cum damno.
2.7 Il settimo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c., nn. 1 e 3, articoli 2643, 2644, 2666, 2808 e 2812 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si impugna la decisione del giudice di appello che ha disatteso il motivo di gravame che mirava a far accettare la preminenza del vincolo a favore del servizio di portierato sull’immobile appartenente all’attore.
Si deduce che la casa del portiere costituisce pacificamente un bene comune ex articolo 1117 c.c., ma che in caso di alienazione del bene a terzi in proprieta’ esclusiva, il vincolo di destinazione e’ destinato a permanere. Tale vincolo deve reputarsi sussistere anche nel caso in cui il bene sia stato gravato da garanzia ipotecaria, essendo quest’ultima compatibile con lo stesso.
3. Rileva il Collegio che la sentenza impugnata e’ stata pronunciata in data 31/7/2014, in data successiva a quella dell’11 settembre 2012, sicche’ alla fattispecie e’ destinata a trovare applicazione la novellata previsione di cui dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che consente di impugnare la sentenza deducendo, quanto ai vizi della motivazione, l’omessa disamina circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti.
Ne deriva quindi che tutti i motivi vanno dichiarati inammissibili nella parte in cui la censura risulta ancora formulata con il richiamo alla vecchia rubrica della norma in esame, dovendosi quindi limitare la disamina delle doglianze dei ricorrenti alle sole violazione di legge, in relazione alle varie previsioni normative richiamate nei singoli motivi di ricorso.
4. Il primo motivo e’ infondato.
Assumono i ricorrenti che la perizia tecnica d’ufficio redatta dall’arch. (OMISSIS) nel diverso giudizio definito tra gli eredi (OMISSIS) ed il condominio in realta’ rientrerebbe nel materiale istruttorio sottoposto all’esame del giudice di appello nel presente giudizio, e cio’ in quanto tale elaborato peritale rientrava tra i documenti che erano stati posti a disposizione del consulente nominato in sede di ATP, palesandosi quindi come erronea l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui non poteva costituire fonte di prova in merito alla circostanza che i danni all’immobile di proprieta’ (OMISSIS) risalissero ad epoca remota.
Rileva il Collegio che, alla luce delle indicazioni contenute nello stesso ricorso, non emerga in maniera univoca che la perizia dell’arch. (OMISSIS) risulti effettivamente allegata alla diversa consulenza redatta in occasione dell’ATP, e che la Corte effettivamente riconosce essere stata acquista agli atti del presente giudizio.
Infatti, a pag. 13 del ricorso si riferisce del contenuto del verbale delle operazioni peritali di ATP dell’11 aprile 2006, dal quale si ricava che il geom. (OMISSIS) (per conto del condominio) ebbe a consegnare al CTU nominato copia della consulenza d’ufficio dell’arch. (OMISSIS), affermazione questa che non comprova che effettivamente tale documento sia stato poi allegato alla consulenza dell’ing. (OMISSIS).
Ancora, a pag. 14, si richiama il contenuto delle memorie ex articolo 183 c.p.c., comma 6, predisposte dal condominio, ove, in relazione alla perizia dell’arch. (OMISSIS), si riferisce della sola esibizione nell’ambito del procedimento per ATP, dizione anche questa che non consente di inferire con certezza (ed in mancanza della indicazione in ricorso del foliario relativo agli allegati alla consulenza redatta in sede di ATP) che anche la consulenza predisposta nel precedente giudizio tra gli eredi (OMISSIS) ed il condominio rientrasse effettivamente tra gli atti dei quali il giudice d’appello poteva servirsi ai fini della formazione del proprio convincimento.
In ogni caso, ed avuto riguardo al contenuto della perizia di cui si lamenta l’omessa considerazione, come riprodotta in ricorso, non puo’ non rilevarsene la carenza del carattere di decisivita’.
Nella stessa (cfr. pagg. 15 e 16 del ricorso) il perito all’epoca nominato, oltre a fornire una descrizione dell’ubicazione e della superficie del bene, si limita a riferire di scadenti condizioni generali di manutenzione e di cattive condizioni generali, laddove la stessa Corte d’Appello, alla pag. 9 della sentenza impugnata, chiarisce come l’assenza di manutenzione ed il fatto che i locali-depositi (accorpati) fossero rimasti allo stato grezzo, oltre a non essere provati, fossero in ogni caso irrilevanti ai fini della tesi difensiva del condominio (affermazione questa che non appare specificamente censurata dai ricorrenti), in quanto cio’ che rilevava ai fini della difesa del convenuto era la circostanza che i danni da infiltrazioni gia’ allora si fossero manifestati, e non anche che il bene versasse in scadenti condizioni manutentive.
Analoga carenza di decisivita’ deve riscontrarsi anche in relazione al diverso profilo della pretesa illegittimita’ dell’accorpamento all’originaria casa del portiere anche di due autonomi locali adibiti a deposito, in quanto, come si avra’ modo di ribadire anche nel prosieguo della motivazione, la ragione che ha fondato la conferma della pronuncia di primo grado non risiede tanto nella mancata dimostrazione che tale accorpamento vi sia stato (anzi la circostanza puo’ sostanzialmente reputarsi ammessa anche dall’attore), ma piuttosto nella considerazione, che trova conforto anche negli scritti difesivi dei ricorrenti (cfr. pag. 18 del ricorso), secondo cui la richiesta di riduzione in pristino stato dell’unita’ immobiliare dell’attore si fondava sul presupposto della persistenza del vincolo sulla parte originaria, corrispondente a quella che era la casa del portiere come designata nel regolamento di condominio, ad abitazione del portiere stesso.
Ed, invero, in disparte la considerazione secondo cui la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado fondandosi su di una concorrente ratio decidendi, da reputarsi autonoma rispetto a quella successivamente sviluppata (rappresentata dal fatto che non vi era prova dell’identita’ tra quella che era designata come casa del portiere nel regolamento di condominio e l’immobile successivamente acquistato all’esito dell’esecuzione immobiliare intentata nei confronti della societa’ costruttrice), ratio che non e’ stata oggetto di censura – il che implica che le ulteriori doglianze, ancorche’ si rivelassero fondate, non determinerebbero la caducazione della decisione gravata – si rileva che i giudici di appello, una volta disatteso il motivo di gravame con il quale si contestava la correttezza della soluzione del Tribunale, che aveva reputato non opponibile il vincolo di destinazione ai successivi acquirenti del bene (integrando tuttavia la motivazione resa sul punto dal Tribunale), hanno correttamente evidenziato che, conformemente a quanto richiesto dallo stesso appellante, l’eliminazione dell’accorpamento era diretta conseguenza della pretesa illegittimita’ della eliminazione del vincolo di destinazione, mancando una specifica censura autonoma rispetto a quella che investiva la ricorrenza del detto vincolo.
Ne discende che, ove anche si ritenga dimostrato che vi sia stato un accorpamento e che lo stesso abbia interessato quella che era la casa del portiere secondo il regolamento (affermazione questa che i giudici di appello, conformemente al Tribunale, hanno reputato non dimostrata), rientrava tra le facolta’ del proprietario di entrambi i beni quella di procedere alla loro riunificazione, non derivando da tale attivita’ di per se’ sola la sua illegittimita’.
5. Anche il secondo motivo e’ infondato.
In primo luogo va richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 4120/2016) il dovere del giudice di pronunciare su tutta la domanda, ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., va riferito all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in merito al diritto sostanziale dedotto in giudizio, sicche’ non e’ configurabile un vizio di infrapetizione per l’omessa adozione, da parte del giudice, di un provvedimento di carattere ordinatorio, come quello relativo alla sospensione necessaria del giudizio ex articolo 295 c.p.c. (conf. Cass. n. 5246/2006).
Gia’ il richiamo a tale principio rende evidente l’infondatezza del motivo.
Va altresi’ evidenziato che, come gia’ osservato in occasione della disamina del primo motivo di ricorso, l’illegittimita’ dell’accorpamento (e la conseguenziale richiesta di riduzione in pristino) era univocamente correlata dal condominio all’accertamento della sopravvivenza del vincolo di destinazione, e cio’ sul presupposto che l’unificazione alla casa del portiere di altri due locali avrebbe pregiudicato l’interesse del condominio al mantenimento della specifica destinazione.
Nel diverso giudizio pendente dinanzi al giudice amministrativo, che si assume avere carattere pregiudiziale rispetto alla controversia in esame, come si ricava dalla lettura del ricorso (pag. 10), l’illegittimita’ deriverebbe invece dal mancato rispetto delle prescrizioni urbanistiche concernenti i requisiti minimi per la destinazione del bene ad uso abitativo.
Trattasi evidentemente di una diversa causa di illegittimita’ e peraltro rilevante solo nei rapporti tra il proprietario e la PA, che invece, secondo la tradizionale giurisprudenza di questa Corte, non puo’ avere efficacia anche nei rapporti interprivatistici, quale quello invece posto a fondamento della domanda riconvenzionale del condominio.
La diversita’ dei presupposti fondanti l’illegittimita’ dell’attivita’ dell’attore consente di affermare che non ricorra in ogni caso il nesso di pregiudizialita’ tale da giustificare la sospensione del presente processo in attesa della definizione di quello pendente in sede giurisdizionale amministrativa.
6. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, devono essere disattesi.
Alla luce del tenore della domanda proposta dall’attore appare del tutto incensurabile la conclusione alla quale e’ pervenuto il giudice di merito circa l’impossibilita’ di poter invocare nella fattispecie il disposto di cui dell’articolo 1105 c.c., comma 4.
Depone in tal senso il precedente di questa Corte, pur richiamato dalla difesa dei ricorrenti (Cass. n. 8876/1998), che ha appunto chiarito che la previsione, ad opera dell’articolo 1105 c.c., comma 4, in materia di comunione, per il caso in cui non si formi una maggioranza ai fini dell’adozione dei provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, dello specifico rimedio del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all’autorita’ giudiziaria perche’ adotti gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione, preclude al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice in sede contenziosa. Tale preclusione concerne tuttavia esclusivamente la gestione della cosa comune, ai fini della sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti, e non opera, per converso, in relazione ad iniziative giudiziarie contenziose promosse dal comunista in qualita’ di terzo, come avviene nel caso in cui il comunista faccia valere in giudizio la posizione di proprietario di cose estranee alla comunione, che dalla rovina della cosa di cui e’ comproprietario abbiano subito pregiudizio.
Ne consegue che avendo il (OMISSIS) inteso far valere i danni subiti dalla sua proprieta’ esclusiva per effetto della difettosa manutenzione dei beni comuni, la domanda poteva liberamente essere avanzata in sede di cognizione ordinaria.
Quanto invece alla deduzione secondo cui non potevano essere poste a carico del condominio anche le spese del procedimento incidentale ex articolo 700 c.p.c., l’affermazione dei ricorrenti secondo cui il provvedimento innominato d’urgenza era stato richiesto dal (OMISSIS) per il solo pregiudizio alle strutture portanti del fabbricato, e non anche, come invece affermato in sentenza (pag. 5), per porre rimedio al rilevante aggravamento dei danni all’immobile di sua proprieta’ esclusiva, risulta priva del carattere di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, avendo i ricorrenti omesso di riprodurre il contenuto delle conclusioni di cui al ricorso avanzato in corso di causa ex articolo 700 c.p.c., ed appare smentita dalla stessa lettura del ricorso, laddove a pag. 5, nell’esporre i fatti di causa, si precisa che la richiesta del (OMISSIS) di adozione dei provvedimenti d’urgenza era finalizzata a far eseguire i “diversi lavori ritenuti improcrastinabili per evitare pregiudizi non solo agli immobili di sua proprieta’ esclusiva, ma anche alle strutture portanti del fabbricato”.
Trattasi di conclusioni che denotano senza incertezze come la misura cautelare fosse preordinata ad assicurare l’eliminazione del pericolo non solo per le parti comuni, ma anche per la proprieta’ esclusiva del ricorrente, attesa la persistenza dei fenomeni di infiltrazioni.
Reputa il Collegio che apparendo del tutto incensurabili le valutazioni compiute dal giudice di appello circa l’impossibilita’ per il (OMISSIS) di poter ricorrere ad altra misura cautelare tipica al fine di porre rimedio al pregiudizio lamentato, ed avendo il Tribunale ritenuto di poter decidere la causa direttamente nel merito, senza doversi pronunciare sulla domanda cautelare (evidentemente assorbita dalla decisione sul merito), appaiono altrettanto incensurabili le valutazioni svolte in sentenza circa la ricorrenza sia del fumus che del periculum in mora, come appunto confermato dal pressoche’ integrale accoglimento della domanda attorea.
Ne consegue che non ricorre la dedotta violazione dell’articolo 91 c.p.c., avendo il giudice di primo grado disciplinato le spese in base al principio della soccombenza, ricomprendendo in esse anche quelle sostenute per l’incidente cautelare, che sebbene non abbia visto l’adozione di uno specifico provvedimento da parte del Tribunale, palesava comunque la fondatezza delle doglianze dell’istante.
7. Il quinto motivo e’ infondato.
La Corte d’Appello, lungi dall’arrestare il proprio giudizio al difetto di specificita’ dell’eccezione di prescrizione sollevata da parte del condominio, ha invece esaminato la stessa nel merito, ritenendo che non potesse trovare accoglimento per la mancata dimostrazione da parte del condominio, a tanto onerato ex articolo 2697 c.c., della data alla quale far risalire l’insorgenza dei danni causati dalle infiltrazioni, e quindi la verosimile data in cui doveva collocarsi la causa produttiva dei danni lamentati.
Va sicuramente rilevato il difetto di interesse dei ricorrenti a contestare la qualificazione della natura giuridica dell’illecito lamentato dal (OMISSIS) come istantaneo ad effetti permanenti, anziche’ come illecito permanente, in quanto solo accedendo alla prima soluzione, sposata anche in sentenza, sarebbe possibile per la parte interessata avvalersi della prescrizione dimostrando che sia decorso il termine di prescrizione legale a far data dal momento del compimento della condotta illecita, laddove accedendo alla tesi dell’illecito permanente, e stante la persistenza dei fenomeni di infiltrazioni nel corso del giudizio, il dies a quo della prescrizione si rinnoverebbe di giorno in giorno sin quando non venga a cessare la condotta illecita.
I giudici di appello, con accertamento in fatto, non suscettibile di rivisitazione in sede di legittimita’, hanno ritenuto che non fosse stata offerta la prova dell’effettiva data di insorgenza della causa delle infiltrazioni, negando in particolare rilevanza alla dichiarazione di successione degli eredi (OMISSIS) del 3 gennaio 1991, in quanto l’affermazione circa le pessime condizioni statiche e locative del bene non dimostrava che a quella data si fossero manifestate anche le infiltrazioni, in ragione delle quali e’ stata in questa sede avanzata domanda risarcitoria.
Trattasi di argomentazioni logiche e coerenti che danno altresi’ contezza del perche’ non assuma rilevanza, ai fini della collocazione temporale della causa delle infiltrazioni, la circostanza che la casa del portiere fosse rimasta priva di manutenzione ovvero che i locali inizialmente adibiti a deposito fossero rimasti allo stato grezzo: il che, come gia’ rilevato in occasione della disamina del primo motivo di ricorso, esclude che possa assumere carattere di decisivita’ la perizia dell’arch. (OMISSIS) piu’ volte richiamata dai ricorrenti, che attesta appunto solo l’assenza di interventi e le carenti condizioni manutentive, ma non anche l’esistenza, gia’ all’epoca dell’accertamento eseguito, di fenomeni di infiltrazioni.
8. Il sesto motivo deve essere rigettato.
La Corte d’Appello ha espressamente esaminato e disatteso le eccezioni di concorso di colpa del danneggiato e di compensatio lucri cum damno (quest’ultima formulata in relazione al preteso vantaggio che l’attore avrebbe tratto al momento dell’acquisto del bene, scontando il prezzo corrisposto le precarie condizioni manutentive in cui versava, e che correttamente il giudice di merito ha ritenuto essere idonea ad incidere sulla titolarita’ dell’attore a reclamare il diritto al risarcimento dei relativi danni), sicche’ le censure dei ricorrenti si risolvono in una contestazione della valutazione in fatto (come tale inammissibile) ovvero in una denuncia di insufficienza motivazionale, che del pari non appare piu’ denunciabile ai sensi della vecchia formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
9. Infine deve essere disatteso anche il settimo motivo di ricorso.
Va in primo luogo ribadito che la decisione di rigetto della domanda riconvenzionale del condomino, volta a far riconoscere la persistenza del vincolo di destinazione sul bene oggetto di causa, si fonda su di una duplice ratio decidendi, una delle quali rappresentata dall’affermazione circa la mancata dimostrazione che il bene poi pervenuto al (OMISSIS) coincidesse con quello che nel regolamento di condominio era stato destinato a casa del portiere, affermazione che la stessa Corte d’Appello reputa di per se’ sufficiente a disattendere la domanda riconvenzionale del condominio.
Tale autonoma ratio non risulta essere stata attinta dai motivi di ricorso, sicche’ dovrebbe derivarne l’inammissibilita’ del motivo in esame (cfr. per il caso di decisione sorretta da plurime rationes decidendi, Cass. n. 15399/2018; Cass. n. 9752/2017).
In ogni caso le censure non possono trovare accoglimento.
E’ pacifico che il bene, che a detta dei ricorrenti era stato destinato a casa del portiere nel regolamento di condominio, e’ stato successivamente sottoposto ad esecuzione immobiliare su iniziativa del creditore ipotecario, la cui garanzia reale risulta essere stata iscritta in epoca anteriore alla stessa predisposizione del regolamento condominiale da parte della societa’ costruttrice (regolamento che non si afferma essere stato a sua volta trascritto).
Atteso che e’ incontestato che legittimamente la proprieta’ del bene e’ stata trasferita a terzi in proprieta’ esclusiva, non ricorre evidentemente la violazione dell’articolo 1117 c.c., potendosi al piu’ dubitare della sopravvivenza del vincolo di destinazione.
Tuttavia, ad avviso della Corte, il ragionamento dei giudici di appello non appare censurabile.
Deve, infatti, farsi richiamo alla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte che con la pronuncia n. 26987/2018, proprio in relazione al vincolo assunto dal proprietario esclusivo di un’unita’ immobiliare ubicata in un condominio di destinazione ad abitazione del portiere, ha ritenuto di escludere l’invocabilita’ della figura dell’obligatio propter rem, alla quale pur si richiama la difesa dei ricorrenti, stante il principio di tipicita’ che connota tale categoria giuridica e che non consente di estenderne le regole a figure non previste dal legislatore, come appunto il vincolo di destinazione de quo.
Da tale premessa e’ stata tratta quindi la conclusione dell’inopponibilita’ del vincolo stesso nei confronti dei successivi acquirenti dell’immobile che si assume esserne gravato.
Ne deriva che aderendo a tale condivisibile precedente, si palesa comunque corretta la soluzione del giudice di merito che ha ritenuto di escludere la persistenza della destinazione sull’immobile oggetto di causa.
Ma anche a voler rimanere alla ratio decidendi adottata dal giudice di appello, il quale ha rilevato che stante la preesistenza dell’iscrizione ipotecaria, il vincolo successivamente apposto al bene da parte del debitore non poteva essere opposto al creditore ipotecario ed ai successivi eventuali acquirenti del bene in sede espropriativa, e cio’ alla luce del disposto di cui all’articolo 2812 c.c., la critica dei ricorrenti non coglie nel segno.
Ed, infatti, rilevato che l’articolo 2812 c.c., chiarisce che i diritti reali parziari costituiti dal debitore sul bene gia’ offerto in garanzia ipotecaria non sono opponibili allo stesso creditore, che puo’ far subastare la cosa come libera, venendosi ad estinguere i diritti cosi’ costituiti con l’espropriazione, deve reputarsi che, analoga sorte debba avere anche il vincolo di destinazione de quo, ove riguardato come ipotesi di obligatio propter rem, dovendo anche in tal caso prevalere il diritto del creditore ipotecario a non subire pregiudizi dalla successiva attivita’ dispositiva posta in essere dal debitore. I ricorrenti si limitano semplicemente ad invocare una pretesa compatibilita’ tra la persistenza del vincolo e la garanzia ipotecaria, non avvedendosi che la ratio dell’articolo 2812 c.c., e’ quella di assicurare al creditore che il valore del bene offerto in garanzia non resti pregiudicato dalla creazione di eventuali limitazioni di carattere reale costituite dal debitore in epoca successiva, ratio che ricorre anche per l’ipotesi in cui il bene sia vincolato a casa del portiere (in quanto si tratta di vincolo che gli stessi ricorrenti configurano come tendenzialmente perpetuo o comunque ricollegato temporalmente alla permanenza del servizio di portierato), attesa l’evidente incidenza dello stesso sul valore venale del bene, ove si ritenga che sia opponibile anche agli eventuali acquirenti all’esito dell’esecuzione forzata.
10. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.
11. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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