In tema di licenziamento per giusta causa

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Ordinanza 17 giugno 2020, n. 11697.

La massima estrapolata:

In tema di licenziamento per giusta causa, le disposizioni dell’art. 5 st.lav., che vietano al datore di lavoro di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e lo autorizzano a effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l’assenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore che, all’esito di un’indagine demandata dal datore di lavoro a un’agenzia investigativa, risultava aver svolto con assiduità, durante il periodo di riposo per malattia, attività sportiva e ludica attestante l’intervenuta guarigione non comunicata al datore).

Ordinanza 17 giugno 2020, n. 11697

Data udienza 17 ottobre 2019

Tag – parola chiave: Lavoro – Lavoro subordinato (nozione, differenze dall’appalto e dal rapporto di lavoro autonomo, distinzioni) – Estinzione del rapporto – Licenziamento individuale – Disciplinare divieto di cui all’art. 5 st.lav. – Accertamenti sullo svolgimento in costanza di malattia di attività incompatibili – Estensione – Esclusione – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 20765/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 209/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 08/06/2018, R.G.N. 62/2018.

RILEVATO

che:
– con sentenza in data 8 giugno 2018, la Corte d’Appello di Genova ha respinto il reclamo avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva rigettato il ricorso proposto da (OMISSIS) nei confronti del licenziamento per giusta causa intimatogli da (OMISSIS) S.p.A.;
– in particolare, il giudice di secondo grado, confermando, sul punto, quanto gia’ statuito in primo grado, ha ritenuto legittima l’attivita’ investigativa svolta per accertare che il ricorrente (il quale aveva lamentato di essersi procurato un trauma contusivo con lesione lacero contusa mentre, a bordo del proprio scooter, si allontanava dal cantiere presso cui svolgeva le mansioni di montatore di scavo e addetto all’assemblaggio di navi, con certificazione del pronto soccorso, prescrizione di riposo assoluto per alcuni giorni e trasmissione degli atti all’INAIL) si era in realta’ dedicato ad attivita’ fisiche, pedalando per ore e camminando per il centro cittadino con il figlio sulle spalle;
– avverso tale pronunzia propone ricorso (OMISSIS), affidandolo a due motivi;
– resiste, con controricorso assistito da memoria, la (OMISSIS) S.p.A..

CONSIDERATO

che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 300 del 1970, articolo 5, Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 69 e Decreto Legislativo n. 151 del 2015, articolo 25, in ordine alle esenzioni dalla reperibilita’ per i lavoratori subordinati ed alla connessa illegittimita’ dei controlli investigativi effettuati;
– il motivo e’ infondato;
– va rilevato che congrua deve ritenersi la sussunzione della fattispecie e rispettosa del disposto di cui alla L. n. 300 del 1970, articoli 2, 3 e 4, essendo legittimo servirsi delle agenzie investigative per verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente con riguardo a comportamenti tenuti al di fuori dell’ambito lavorativo disciplinarmente rilevanti (ex plurimis, Cass. n. 12810 del 22 maggio 2017);
– a guardar bene, infatti, non si verte in ipotesi di controllo datoriale circa l’esecuzione della prestazione ma, invece, di verifica e controllo di un comportamento extralavorativo illecito, fondata sul sospetto del mancato svolgimento illegittimo dell’attivita’ lavorativa per l’insussistenza della incapacita’ lavorativa nel caso di specie invece presente;
– in casi quali quello di specie nei quali il datore di lavoro sia indotto a sospettare che il mancato svolgimento dell’attivita’ lavorativa sia riconducibile alla perpetrazione di un illecito anche il solo sospetto o la mera ipotesi che un illecito sia in corso di esecuzione giustifica l’espletamento del controllo (sul punto, fra le altre, Cass. n. 848/2015), ne’ rileva la circostanza che si trattasse di infortunio sul lavoro e non di assenza per malattia e, quindi, non fosse richiesta reperibilita’ ed esperibile visita fiscale;
– il secondo motivo, con cui si allega, deducendosi ancora una violazione di legge, configurabile in termini di insussistenza dell’obbligo di rientro in anticipo sul periodo di inabilita’ risultante dalla certificazione INAIL e, in subordine, la sproporzione tra comportamento e sanzione espulsiva, e’ infondato;
– va rilevato, al riguardo, che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimita’ (cfr., sul punto, Cass. n. 25162 del 26 novembre 2011, nonche’ Cass. n. 20433 dell’11 ottobre 2011) le disposizioni della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 5, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermita’ per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facolta’ dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermita’ solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneita’ di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacita’ lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza;
– nel caso di specie, ad avviso del Collegio, gli accertamenti espletati non avevano una finalita’ di tipo sanitario, sicuramente preclusa, mirando, piuttosto, esclusivamente ad una verifica della non riscontrabilita’ della malattia o la idoneita’ di essa a giustificare uno stato di incapacita’ lavorativa rilevante;
– ne discende la legittimita’ dell’accertamento effettuato anche mediante controlli di tipo investigativo non attenendo gli stessi allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa stricto sensu, bensi’, all’insussistenza di una situazione atta a ridurre la capacita’ lavorativa del dipendente;
– d’altro canto, relativamente al controllo concernente l’adeguatezza della sanzione espulsiva, va rilevato che, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 26010 del 17 ottobre 2018) in tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravita’ e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che – anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente – e’ tenuto a valutare la legittimita’ e congruita’ della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, e’ incensurabile in sede di legittimita’;
– nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto dimostrate tutte le circostanze di fatto oggetto della contestazione disciplinare posto che, come rilevato dal primo giudice con statuizione non oggetto di censura, tali circostanze hanno trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai testi informatori ed ha adeguatamente motivato in ordine all’insussistenza di un comportamento improntato a correttezza e buona fede sulla base della perdurante assenza dal lavoro del dipendente nonostante l’intervenuta guarigione dimostrata dallo svolgimento di intensa attivita’ ciclistica nonche’ di altre attivita’ ludiche giudizialmente accertate;
– la Corte, d’altro canto, fornisce adeguata contezza della ritenuta contrarieta’ a buona fede e, anzi, del palese contrasto con i piu’ elementari obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, come risultante dal combinato disposto degli articoli 1175 e 1375 c.c., risultante in tutta la sua gravita’ dal fatto che durante il periodo di riposo prescritto il dipendente aveva svolto assidua attivita’ sportiva ed altre attivita’ piu’ o meno ordinarie quali prendere sulle spalle i propri figli, senza in alcun modo comunicare al datore di lavoro l’intervenuto recupero delle proprie abilita’;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto;
– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo;
– sussistono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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