La deroga agli strumenti urbanistici per la realizzazione di nuovi parcheggi

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 19 giugno 2020, n. 18576.

Massima estrapolata:

Ai sensi dell’art. 9 comma 1 della legge n. 122 del 24 marzo 1989 (cd. legge Tognoli), letto unitamente all’art. 41 sexies della legge n. 1150/1942 (secondo cui nelle nuove costruzioni debbono essere riservati gli spazi obbligatori di parcheggio), la deroga agli strumenti urbanistici per la realizzazione di nuovi parcheggi deve ritenersi consentita, per gli edifici già esistenti, purché i nuovi parcheggi si trovino nel sottosuolo ovvero al piano terreno degli edifici, non essendo sufficiente che il garage sia qualificato come “pertinenziale” all’abitazione. Anche la giurisprudenza amministrativa è consolidata nell’affermare che la realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata in locali preesistenti o totalmente al di sotto del piano di campagna naturale, è soggetta alla disciplina urbanistica che regola le nuove costruzioni fuori terra, con la precisazione che l’art. 9 della cd. legge Tognoli è applicabile solo ai manufatti che siano completamente interrati, cioè realizzati nel sottosuolo per l’intera altezza.

Sentenza 19 giugno 2020, n. 18576

Data udienza 4 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Diritto urbanistico – Edilizia – Spazi obbligatori di parcheggio – Deroga agli strumenti urbanistici – Realizzazione di un garage o nuovi parcheggi – Presupposti e limiti – L. n. 122/1989 (c.d. Legge Tognoli) – Legge n. 1150/1942 – Lettura unitaria della disciplina – Giurisprudenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza dell’01-07-2019 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Fabio Zunica;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Spinaci Sante, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del primo luglio 2019, la Corte di appello di Napoli, in sede esecutiva, rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di (OMISSIS), finalizzata a ottenere la revoca dell’ordine di demolizione disposto con sentenza resa dal G.I.P. di Napoli il 26 gennaio 1994, divenuta irrevocabile il 26 gennaio 1998, nei confronti di (OMISSIS), madre di (OMISSIS), in seguito deceduta e all’epoca condannata in ordine a violazioni edilizie, riferite alla realizzazione di un garage di circa 42 mq., edificato in (OMISSIS).
2. Avverso l’ordinanza della Corte di appello partenopea, (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione dell’articolo 545 c.p.p. in relazione all’omessa notifica del titolo esecutivo, evidenziando che il ricorrente non era imputato nel processo in cui e’ stato disposto l’ordine di demolizione, per cui egli aveva diritto a ricevere la notifica della sentenza resa nei confronti della madre, non potendosi ritenere equipollente la notifica dell’ordine di demolizione, trattandosi di un documento generico, privo peraltro del capo di imputazione.
Con il secondo motivo, viene eccepita la violazione della L. n. 122 del 1989, evidenziandosi che la costruzione in questione, della ridotta superficie di mq. 44, consiste in un garage a servizio dell’abitazione esistente, per cui si tratta di un’opera che, oltre a essere stata autorizzata con un atto amministrativo avente valore sostanziale di concessione edilizia, era conforme agli strumenti urbanistici, prevedendo la L. n. 122 del 1989 che i Comuni debbano autorizzare la realizzazione dei garage seminterrati, a servizio degli edifici esistenti.
Con il terzo motivo, infine, il ricorrente censura la violazione della L. n. 47 del 1985, articolo 22, osservando che, in ogni caso, l’opera e’ stata oggetto di domanda di condono edilizio e il Comune, con il permesso di costruire n. 4942 del 14 giugno 2018, corredato dall’autorizzazione paesaggistica n. 13 del 18 luglio 2018, ha rilasciato la sanatoria a titolo di condono, legittimando il manufatto oggetto della sentenza di condanna e determinando, per l’effetto della sopraggiunta sanatoria, la decadenza della sanzione penale della demolizione.
Dal permesso di costruire in sanatoria erano rimasti esclusi solo una tettoia e una scala, che pero’ non hanno formato oggetto della sentenza penale, di tal che il procedimento esecutivo doveva ritenersi estinto, tanto piu’ che il ricorrente aveva depositato la relazione tecnica asseverata dal geom. (OMISSIS) che certificava la corrispondenza tra le opere oggetto di demolizione e quelle sanate, in quanto il titolo abilitativo in sanatoria era stato richiesto non solo per l’incremento volumetrico realizzato, ma anche per l’intera consistenza, per cui, stante anche il pagamento dell’intera oblazione, si era in presenza di un permesso in sanatoria legittimo, di cui non poteva ritenersi giustificata alcuna “disapplicazione”.
Ne’ puo’ ritenersi fondato l’assunto della Corte di appello secondo cui vi sarebbero opere successive alla data del condono, non contestando la sentenza penale la prosecuzione delle opere oltre il 31 dicembre 1993 e non essendovi prova che i lavori siano stati eseguiti oltre tale data, non rilevando eventuali lavori interni.
La difesa rileva inoltre che la Procura generale di Napoli, con la circolare del 21 febbraio 2014, ha chiarito che per le opere antecedenti il 28 novembre 1997, in sede di esecuzione, non si puo’ procedere alla demolizione d’ufficio, in quanto solo a partire da tale data il potere in questione si intende trasferito all’ufficio della Procura generale, come potere surrogatorio del Comune, rimasto inerte. Infine, il ricorrente osserva che, se si dovesse qualificare la demolizione come sanzione accessoria di natura penale, sarebbe maturata la prescrizione e il provvedimento non sarebbe eseguibile, fermo restando che, a pur a voler qualificare l’ordine di demolizione come una sanzione amministrativa, sarebbe stata necessaria un’adeguata motivazione volta a individuare l’interesse da salvaguardare, rispetto a una costruzione sanata e risalente a 27 anni prima.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, a (OMISSIS), estraneo al giudizio penale in cui e’ stato emesso l’ordine di demolizione, non era dovuta la notifica della sentenza emessa nei confronti della madre (OMISSIS), in quanto il provvedimento demolitorio, a lui ritualmente notificato nella veste di terzo interessato, conteneva comunque tutti gli estremi idonei a identificare la sentenza di condanna, che peraltro, ove ne avesse fatto richiesta, ben poteva essere rilasciata in copia all’odierno ricorrente.
Dunque, alcuna violazione del diritto di difesa appare ravvisabile nel caso di specie, essendo il terzo nella condizione di esercitare in pieno le sue prerogative difensive.
2. Parimenti infondati sono i due restanti motivi di ricorso, suscettibili di essere trattati unitariamente, perche’ tra loro sostanzialmente sovrapponibili.
Ed invero, nel confrontarsi con le deduzioni difensive, la Corte territoriale ha rimarcato la natura abusiva del garage edificato dall’originaria imputata, tema questo gia’ oggetto di un accertamento penale divenuto definitivo, anche rispetto al ridotto ambito di operativita’ dell’autorizzazione n. (OMISSIS), dovendosi unicamente aggiungere che il richiamo alla L. n. 122 del 1989 non appare pertinente, posto che, come ricordato anche da questa Corte (Sez. 3, n. 6738 del 28/11/2017, Rv. 272508), ai sensi della L. 24 marzo 1989, n. 122, articolo 9, comma 1 (cd. legge Tognoli), letto unitamente alla L. n. 1150 del 1942, articolo 41 sexies (secondo cui nelle nuove costruzioni debbono essere riservati gli spazi obbligatori di parcheggio), la deroga agli strumenti urbanistici per la realizzazione di nuovi parcheggi deve ritenersi consentita, per gli edifici gia’ esistenti, purche’ i nuovi parcheggi si trovino nel sottosuolo ovvero al piano terreno degli edifici, condizione questa che, nel caso di specie, non risulta adeguatamente comprovata, non essendo sufficiente che il garage sia qualificato come “pertinenziale” all’abitazione.
Del resto, anche la giurisprudenza amministrativa e’ consolidata nell’affermare che la realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata in locali preesistenti o totalmente al di sotto del piano di campagna naturale, e’ soggetta alla disciplina urbanistica che regola le nuove costruzioni fuori terra (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4645 del 26/09/2008 e sez. IV, n. 6065 dell’11/11/2006), con la precisazione che l’articolo 9 della cd. legge Tognoli e’ applicabile solo ai manufatti che siano completamente interrati, cioe’ realizzati nel sottosuolo per l’intera altezza (cosi’ Cons. Stato, Sez. V del 12/03/2013 e Tar Marche n. 640 del 25/09/2013).
Quanto al permesso di sanatoria n. 10 del 18 luglio 2018, la Corte di appello, in maniera non illogica, ne ha escluso la rilevanza ai fini della revoca dell’ordine di demolizione, sottolineando che i lavori cui si riferisce la sanatoria, definita anche come condono ex L. n. 724 del 1994, articolo 39, non erano completati alla data del 31 dicembre 1993, data ultima prevista per l’operativita’ del condono, in quanto, in data 23 marzo 1994, gli operanti eseguirono il dissequestro dell’opera, dando atto che lo stato dei luoghi non era mutato rispetto al momento del sequestro, allorquando i lavori erano in corso e peraltro neanche in stato avanzato.
Tale rilievo fattuale, che non ha trovato smentite nel ricorso, e’ indubbiamente idoneo, per la sua pregnanza, a giustificare l’affermazione della Corte territoriale circa l’inefficacia del condono, difettandone uno dei presupposti essenziali, ovvero l’ultimazione delle opere entro il 31 dicembre 1993, a nulla rilevando il pagamento dell’oblazione, circostanza di per se’ non dirimente; a cio’ deve solo aggiungersi che, come chiarito piu’ volte da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 40475 del 28/09/2010, Rv. 249306, Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Rv. 256679 e Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, Rv. 274135), in tema di violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con la sentenza di condanna, non e’ caducato in modo automatico dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria, avendo il giudice dell’esecuzione, investito dell’opposizione da parte del destinatario dell’ordine di demolizione, il dovere di controllare la legittimita’ dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, per cui, entro questi limiti, deve ritenersi consentito il sindacato del giudice dell’esecuzione sulla validita’ dei titoli in sanatoria, come avvenuto nella vicenda in esame, all’esito di un percorso argomentativo tutt’altro che illogico.
3. Quanto al rilievo afferente il notevole tempo trascorso tra l’epoca della realizzazione dell’abuso edilizio e l’esecuzione dell’ordine di demolizione, la Corte territoriale, in modo pertinente, ha richiamato l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 e Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736), secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo imposto dal giudice costituisce una sanzione amministrativa che assolve a un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configurando quindi un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, avendo peraltro carattere reale, producendo cioe’ effetti che ricadono sul soggetto che e’ in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l’autore dell’abuso; da cio’ consegue che, essendo privo di finalita’ punitive, l’ordine di demolizione non e’ soggetto alla prescrizione stabilita dall’articolo 173 c.p. per le sanzioni penali, ne’ alla prescrizione stabilita dalla L. n. 689 del 1981, articolo 28, che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalita’ punitiva.
4. Per quanto concerne infine il riferimento alla circolare della Procura generale di Napoli del 21 febbraio 2014, deve osservarsi che quest’ultima si e’ limitata a individuare uno sbarramento temporale che, come correttamente evidenziato anche dal Procuratore generale, riguarda non la realizzazione delle opere abusive, ma la sola pendenza della procedura esecutiva, procedura che nella vicenda in esame e’ insorta solo dopo l’irrevocabilita’ della sentenza, intervenuta il 16 novembre 1998, dunque in epoca successiva alla data del 28 novembre 1997.
5. Alla stregua di tali considerazioni, deve ribadirsi che il mancato accoglimento della richiesta difensiva volta a ottenere la revoca dell’ordine di demolizione non presenta vizi di legittimita’, per cui si impone il rigetto del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS), con conseguente onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

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