La convenzione urbanistica

Consiglio di Stato, Sentenza|25 gennaio 2021| n. 745.

La convenzione urbanistica, in quanto contratto ad oggetto pubblico, presenta un “contenuto” sostanzialmente definito dalla legge e dagli atti di pianificazione, di modo che non può configurarsi una “autonomia”, e dunque una “disponibilità ” delle obbligazioni da assumersi con la convenzione da parte dell’Amministrazione, se non nella misura in cui le stesse trovano previo riscontro nella legge e negli stessi atti di pianificazione. Ciò significa, sul piano pubblicistico, che nel caso delle convenzioni urbanistiche, il contenuto contrattuale (obbligazioni e connesse prestazioni) è definito dalla legge (e non è dunque nella disponibilità delle parti), di modo che possono, in linea di massima, trovare applicazione sia l’istituto di eterointegrazione del contratto di cui all’art. 1419, secondo comma, c.c., sia il meccanismo di inserzione automatica di clausole, di cui all’art. 1339 c.c..

Sentenza|25 gennaio 2021| n. 745

Data udienza 11 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Contratti – Convenzione urbanistica – Accordo pubblico sostitutivo – Disciplina applicabile – Art. 11 l. 241/1990 – Eterointegrazione e inserzione automatica di clausole – Operatività

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 8460 del 2019, proposto dalla società In. s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ge. Pe. e Gi. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ni. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, sede staccata di Pescara, sezione prima, n. 128 del 3 maggio 2019, resa tra le parti, concernente il diniego di un permesso di costruire.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società In. ha acquistato nel 2006 un’area oggetto nel 2003 di perequazione urbanistica a seguito di una convenzione tra il Comune di (omissis) e la precedente proprietà .
1.1. In particolare, la convenzione, stipulata in applicazione dell’art. 72, comma 3, delle NTA del PRG allora vigente, prevedeva il trasferimento della cubatura complessiva di mc. 17.038 sull’area della In. a fronte della cessione all’Amministrazione comunale da parte della signora Elena Bo. (dante causa della società ) di una superficie, su un lotto contiguo, necessaria alla realizzazione di standard (un edificio di culto per mq 3.650 e per una strada e parcheggi per mq. 510).
1.2. La norma di cui all’art. 72 delle NTA è stata tuttavia abrogata dal Comune con delibera del Consiglio comunale n. 43 del 2005.
1.3. In ogni caso, dopo l’acquisto dell’area, la società ha presentato in due fasi successive e per quattro lotti (lotto 1A-lotto 2A a maggio 2007 e lotto 3A-lotto 4A a luglio 2007) un progetto unitario sulla parte del fondo in cui era consentito un intervento diretto (per mq 6.130). I relativi progetti sono stati approvati dall’Amministrazione comunale nel 2007, ma l’interessata ha ritirato solo il permesso di costruire relativo al lotto 1A e non ha mai iniziato i lavori, neanche nel periodo di proroga successivamente concessole (per motivi ricondotti dalla stessa alla crisi finanziaria e del mercato immobiliare).
1.4. Le sopravvenute NTA connesse alla variante al PRG, adottata con deliberazione del Consiglio Comunale n. 87 del 23 ottobre 2007 e definitivamente approvata con deliberazione dello stesso Consiglio n. 23 del 25 marzo 2013, hanno poi definitivamente ridimensionato le volumetrie realizzabili per le Zone B2 “ad intervento diretto”, tra le quali rientrava anche quella della società In. (il previgente indice di 4 mc/mq è stato sostituito da un indice di superficie di 0,75 mq/mq, con la possibilità di coprire non più del 50% dell’area con fabbricati di altezza massima pari a mt 10,50).
1.4. La società In. nel 2014 ha quindi presentato quattro nuovi progetti (uno per ogni lotto), in “variante funzionale” a quelli già prodotti nell’anno 2007. I progetti hanno riproposto le stesse volumetrie del primo progetto approvato, senza considerare le variazioni dell’indice di edificabilità intervenute con le successive NTA. Le istanze sono state comunque respinte dal Comune.
1.5. Il 27 maggio 2016 la In. ha infine presentato quattro nuove istanze per ottenere il permesso di costruire su ciascuno dei medesimi lotti ricadenti nell’area rientrante nella Zona B2 delle NTA. Il nuovo intervento costruttivo prevedeva la superficie complessiva ottenuta sommando alle superfici utili nette previste dall’art. 95 delle NTA (“Zona B2 – Di completamento semintensiva da integrare” – 0,75 mq/mq di superficie fondiaria – per intervento diretto) le superfici derivanti dalla volumetria acquisita per perequazione in base alla convenzione del 2003.
1.6. Il Comune di (omissis) ha respinto le istanze relative a tutti e quattro i lotti rilevando il contrasto con l’articolo 95 delle NTA del PRG, poiché l’edificio previsto di 6 piani complessivi sarebbe arrivato a misurare 18 metri di altezza a fronte del massimo consentito nella zona pari a 10.5 mt.
1.7. Con quattro distinti ricorsi la società In. ha quindi impugnato i provvedimenti di diniego al Tar per l’Abruzzo, sede staccata di Pescara, evidenziando che le norme sopravvenute del PRG avrebbero potuto incidere sui diritti edificatori, ma non sull’acquisto ormai definitivo di crediti di volumetria peraltro in funzione corrispettiva alla cessione di aree a standard, non potendo far venir meno il sinallagma delle prestazioni reciproche assunte con la convenzione. In sostanza, l’abrogazione del previgente art. 72 NTA, che disponeva la possibilità di stipulare la predetta convenzione, non avrebbe inciso sulla stessa in quanto già stipulata.
2. Il Tar di Pescara, con la sentenza indicata in epigrafe, dopo aver riunito i quattro ricorsi, li ha respinti. Lo stesso Tribunale, distinguendo tra gli effetti privatistici e pubblicistici derivanti dalla convenzione, ha rilevato come il contenuto pubblicistico della stessa, che riguardava la quantità di cubatura in concreto esprimibile e il numero di piani realizzabile in deroga ai parametri allora vigenti, sarebbe stato incompatibile con la disciplina urbanistica vigente.
2.1. Secondo il Tar, la convenzione doveva infatti essere valutata la pari di un qualsiasi piano attuativo sebbene adottato per mezzo di accordo sostitutivo ex articolo 11 della legge 241 del 1990. Di conseguenza, la durata della sua efficacia, e con essa quella dell’affidamento tutelabile del privato stipulante, non avrebbe potuto eccedere i 10 anni ai sensi dell’articolo 17 della legge 1142 del 1942.
3. Contro la predetta sentenza ha proposto appello la società In. sulla base dei seguenti motivi di censura.
3.1. La sentenza impugnata, dopo aver distinto tra gli effetti privatistici e quelli pubblicistici della cessione di cubatura intercorrente tra la P.A. e il privato e precisato che il contenuto pubblicistico riguarda la quantità di cubatura realizzabile, avrebbe erroneamente assunto che la convenzione di cessione “deve essere valutata al pari di un qualsiasi piano attuativo”, con il corollario che “la durata della sua efficacia, e con essa quella dell’affidamento tutelabile del privato stipulante, non può eccedere i 10 anni… ove incompatibile con la sopravvenuta disciplina urbanistica”.
3.1.1. Per la società appellante, la sentenza avrebbe così introdotto una motivazione non formulata dal Comune che non avrebbe mai dedotto la soggezione della convenzione di cessione di cubatura ad un termine di efficacia.
3.1.2. L’accordo tra Comune e privato (quello di cui all’atto pubblico del 18 febbraio 2003) non sarebbe invece accessivo ad alcun piano attuativo di secondo grado, né partecipa della natura propria dei piani esecutivi, in cui il privato è coinvolto nella trasformazione urbanistica del territorio assumendosi precisi obblighi ed oneri, sicché la mancata esecuzione del piano (e segnatamente delle opere di urbanizzazione) nel termine decennale comporterebbe l’inefficacia dello stesso, precludendo l’ulteriore edificazione residenziale della zona e dando la possibilità al Comune di dare diversa conformazione ed assetto alla aree già disciplinate dallo strumento di secondo grado.
3.1.3. La convenzione a suo tempo sottoscritta tra il Comune di (omissis) e la dante causa signora Bo., per l’appellante, non sarebbe infatti ascrivibile al novero delle convenzioni urbanistiche (in cui il privato è coinvolto nella urbanizzazione delle aree destinate all’edificazione), risultando per tabulas che essa non prevede l’assunzione, a carico del proprietario privato, dell’onere delle urbanizzazioni primarie e di una quota parte delle urbanizzazioni secondarie, non fissa termini (non superiori a dieci anni) entro i quali deve essere ultimata l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, non contempla (conseguentemente) congrue garanzie finanziarie per l’adempimento di obblighi di esecuzione di opere, così come è legislativamente previsto per le convenzioni accessive a piani attuativi.
3.1.4. In ogni caso, evidenzia la società appellante, tenuto conto che la prima approvazione dei progetti allegati alle istanze di rilascio del titolo abilitativo risaliva al 14 novembre 2007, l’asserito periodo di efficacia decennale non avrebbe potuto che decorrere dalla data di approvazione degli stessi.
3.2. Per l’appellante, risultando le aree oggetto di giudizio già urbanizzate, mancherebbe l’esigenza del filtro di un piano attuativo di esecuzione. D’altro canto, sarebbe stata proprio la convenzione sottoscritta tra il Comune di (omissis) e la signora Bo. a confermare che la trasformazione urbanistica delle aree interessate dovesse intervenire attraverso la “edificazione diretta” (per mezzo del solo permesso abilitativo), senza l’intermediazione di un piano urbanistico di secondo grado.
3.2.1. Nel caso di specie la “cessione di cubatura” si sarebbe atteggiata come una “datio in solutum”, assolvendo ad una funzione rimediale. Il proprietario dell’area ceduta ottiene il ristoro non mediante una contestuale controprestazione da parte dell’Amministrazione (come accadrebbe in caso di immediata liquidazione di una indennità ), bensì tramite l’assegnazione di un titolo che garantisce al soggetto un soddisfacimento differito.
3.2.2. In sostanza, si sarebbe trattato di una compensazione che diversamente da un diritto edificatorio perequativo, sottoposto al potere di revisione del piano da parte della P.A., ha costituito il risultato di una prestazione che il privato ha già assolto, cedendo la propria area (sussisterebbe, al contrario, nella convenzione un vincolo di asservimento derivante dalla natura reale del trasferimento).
3.2.3. Non sarebbe poi fondata la tesi dell’Amministrazione secondo cui l’accordo sarebbe “caduto”, con l’abrogazione, ad opera della deliberazione del Consiglio comunale n. 43/2005 che ha eliminato la previsione sulle norme tecniche che consentivano la perequazione compensativa. L’art. 11 della legge n. 241/1990, norma a fondamento dell’accordo in esame, non consentirebbe infatti, alla luce dei principi del codice civile, una risoluzione unilaterale da parte pubblica, con la conseguenza che una revoca dovrebbe comunque essere indennizzata.
4. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio il 4 novembre 2019, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato documenti il 24 settembre 2020 ed una memoria il 5 ottobre 2020.
5. La società appellante ha depositato una memoria di replica il 14 ottobre 2020.
6. Il 28 ottobre 2020 entrambe le parti hanno depositato una nota di udienza ai sensi del decreto n. 28 del 2020, chiedendo congiuntamene il passaggio in decisone della controversia.
7. La causa è stata trattenuta per la definitiva decisione, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, nell’udienza tenutasi in video conferenza l’11 novembre 2020.
8. L’appello non è fondato.
9. Nei motivi di appello, che possono essere trattati congiuntamente, la società ricorrente sostiene, ai fini del calcolo del volume e delle altezze consentite sull’area di sua proprietà, che la convenzione stipulata nel 2003 dalla sua dante causa, signora Bo., con il Comune di (omissis), ai sensi dell’art. 72 delle NTA all’epoca vigente, avrebbe consentito di cumulare la superficie derivante dalla conseguente perequazione con quella consentita art. 95 delle NTA relative alla successiva variante al PRG approvata nel 2013.
9.1. In sostanza, l’abrogazione dell’art. 72 delle NTA previgenti operata dalla delibera di Consiglio comunale n. 42 del 12 luglio 2005 e le sopravvenute NTA adottate nel 2007 non avrebbero inciso sull’efficacia della stessa convenzione, la quale, contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione, non poteva comunque ritenersi equivalente ad un piano attuativo con scadenza decennale, risultando invece un accordo comunque vincolante per lo stesso Comune.
9.2. Il Tar, inoltre, nel sostenere che la convenzione “deve essere valutata al pari di un qualsiasi piano attuativo”, con il corollario che “la durata della sua efficacia, e con essa quella dell’affidamento tutelabile del privato stipulante, non può eccedere i 10 anni… ove incompatibile con la sopravvenuta disciplina urbanistica”, avrebbe introdotto un profilo motivazionale non formulato dal Comune che non avrebbe mai prospettato la scadenza del termine di efficacia della stessa.
10. La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
11. La convenzione intervenuta tra la signora Bo., precedente proprietaria dell’area dell’appellante, e il Comune di (omissis) è stata stipulata il 18 febbraio 2003 ai sensi dell’art. 72 delle NTA al PRG allora vigente. Tale disposizione prevedeva che ai fini della perequazione urbanistica il titolare di aree destinate a standard potesse cederle gratuitamente all’Amministrazione in cambio del trasferimento della cubatura corrispondente su un’area edificabile limitrofa.
11.1. In particolare, la signora Bo. era proprietaria di un ampio terreno interessato in parte da destinazione a standard e per questa ragione si accordava con il Comune per trasferimento della cubatura complessiva di mc. 17.038 sul lotto libero (ricadente in Zona B2 di completamento semintensiva da integrare, nella porzione “ad intervento diretto”) a fronte della cessione all’Amministrazione comunale di una superficie, sul lotto contiguo, per la realizzazione dei predetti standard (un edificio di culto per mq 3.650 e una strada e parcheggi per mq. 510).
11.2. In concreto, in base alle previsioni della convenzione, ai metri cubi perequati andava abbinata e quindi sommata quella prevista per la zona B2, omogeneamente distribuita ad edificazione diretta, con la conseguente possibilità di edificare fino a n. 5 piani (a seguito della perequazione due piani in più dei tre previsti nella stessa zona).
11.3. Giuridicamente, la convenzione, come riconosciuto dalla stessa società appellante, si è posta quindi come una misura attuativa del PRG ed è rientrata nel novero degli accordi sostitutivi di cui all’11 della legge n. 241/1990 (pag. 9 dell’appello).
11.4. Con delibera del Consiglio comunale n. 43 del 12 luglio 2005 è stato infine abrogato il citato art. 72 delle NTA.
11.4. Con atto del 31 luglio 2006 la società appellante ha acquistato dalla signora Bo. il lotto interessato alla perequazione ed è subentrata nei diritti di cubatura acquisiti, con effetto reale, dalla dante causa ai sensi della convenzione.
11.5. In questo quadro, ha quindi chiesto in due fasi successive e per quattro lotti (lotto 1A-lotto 2A a maggio 2007 e lotto 3A-lotto 4A a luglio 2007) l’approvazione di un progetto unitario sulla parte del fondo su cui era consentito un intervento diretto (per mq 6.130). I relativi progetti sono stati approvati dall’Amministrazione comunale nel 2007, ma l’interessata ha ritirato solo il permesso di costruire relativo al lotto 1A e non ha mai iniziato i lavori
11.6. Il Comune di (omissis), con delibera n. 87 del 23 ottobre 2007 ha poi adottato una variante al PRG, con le relative NTA, ridimensionando le volumetrie realizzabili per le Zone B2 “ad intervento diretto”, tra le quali rientrava anche quella della società In. (il previgente indice di 4 mc/mq è stato sostituito dall’art. 95 delle NTA da un indice di superficie di 0,75 mq/mq, con la possibilità di coprire non più del 50% dell’area con fabbricati di altezza massima pari a mt 10,50).
11.7. La società appellante nel 2014 ha presentato quattro nuovi progetti (uno per ogni lotto), in “variante funzionale” a quelli già prodotti nell’anno 2007. I progetti hanno riproposto le stesse volumetrie del primo progetto approvato, senza considerare le variazioni dell’indice di edificabilità intervenute con le successive NTA. Le istanze sono state comunque respinte dal Comune.
11.8. Il 27 maggio 2016 l’appellante ha infine presentato quattro nuove istanze per ottenere il permesso di costruire su ciascuno dei medesimi lotti ricadenti nell’area rientrante nella Zona B2 delle NTA. Il nuovo intervento costruttivo prevedeva la superficie complessiva ottenuta sommando alle superfici utili nette previste dall’art. 95 delle NTA (“Zona B2 – Di completamento semintensiva da integrare” – 0,75 mq/mq di superficie fondiaria – per intervento diretto) le superfici derivanti dalla volumetria acquisita per perequazione in base alla convenzione del 2003.
11.9. Il Comune di (omissis) ha tuttavia respinto le istanze relative a tutti e quattro i lotti rilevando il contrasto con l’articolo 95 delle NTA del PRG, poiché l’edificio previsto di 6 piani complessivi avrebbe avuto una volumetria eccedente quella consentita e sarebbe arrivato a misurare 18 metri di altezza a fronte del massimo previsto nella zona pari a 10.5 mt.
12. Ricostruita sommariamente la vicenda oggetto della controversia, va preliminarmente osservato che a seguito della richiamata “convenzione di perequazione” il Comune ha provveduto al rilascio nel 2007 dei relativi permessi di costruire poi decaduti per mancato inizio dei lavori. Successivamente, è intervenuta la nuova disciplina delle NTA, definitivamente approvata nell’anno 2013. Tale differente disciplina ha variato le modalità di intervento, alcuni parametri urbanistico-edilizi quali il numero di piani e il rapporto volumetrico (oggi superficie utile netta, cd. SUN).
12. A fronte di tali circostanze, l’appellante ritiene che la convenzione del 2003 dovesse trovare comunque applicazione essendo ormai inderogabile l’impego assunto con la stessa dal Comune (alla disciplina urbanistica prevista dall’art. 95 delle NTA avrebbero dovuto essere sommate le previsioni perequative della medesima convenzione).
12.1. Sul punto, invece appare convincente quanto evidenziato dal Tar nella sentenza impugnata e cioè che un conto sono i profili civilistici derivanti dalla convenzione ed un altro sono quelli di natura pubblicistica ” Il trasferimento di cubatura, inteso come asservimento della potenzialità edificatoria di un’area in vantaggio di altro fondo, è presente nella convenzione in questione e attiene appunto a un effetto negoziale paritetico tra Comune e privato che fa sì che le potenzialità edificatorie delle aree cedute al Comune stesso siano state trasferite in modo permanente in favore delle aree della ricorrente. Tale vincolo di asservimento ha carattere reale, definitivo e permanente e quindi non può essere revocato unilateralmente da una delle parti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI 9 febbraio 2016 n. 547). Diverso è invece il contenuto pubblicistico della medesima convenzione urbanistica tra privato e Comune, che riguarda la quantità di cubatura in concreto esprimibile e il numero di piani realizzabile, in deroga ai parametri vigenti e a quelli sopravvenuti”.
12.2. In buona sostanza, la convenzione andava valutata al pari di un qualsiasi piano attuativo sebbene adottata per mezzo di accordo sostitutivo ex articolo 11 della legge 241 del 1990.
12.3. Né l’affermazione del Tar in ordine alla similitudine della convenzione ad un piano attuativo può ritenersi una ultrapetizione, come affermato dall’appellante. Il tema della validità e della ultrattività della medesima convenzione è stato infatti oggetto di specifica contestazione nel diniego impugnato (cfr. nota prot. n. 30877 del 20 giugno 2017).
12.4. In ogni caso, non può ritenersi sussistente una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in quanto il Tar ha esaminato un aspetto, quello del termine del piano attuativo, in rapporto di necessaria connessione con quelli espressamente formulati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 2020, n. 2486).
12.5. D’altra parte, non sembra in dubbio che la convenzione prevista dall’art. 72 delle NTA, poi abrogato, avesse carattere di attuazione della disciplina generale del PRG, quantomeno nella sua natura di accordo sostitutivo di provvedimenti che sarebbero comunque derivati dall’applicazione del regime urbanistico dell’area per la parte relativa agli standard.
12.6. Sotto il profilo dell’accordo sostitutivo, nella specie una convenzione urbanistica, va rilevato che lungi dal costituire un contratto di diritto privato e/o immediatamente disciplinato dal codice civile, lo stesso deve essere inquadrato tra i contratti ad oggetto pubblico, per i quali trova applicazione la disciplina di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990. Di conseguenza, la convenzione urbanistica, in quanto contratto ad oggetto pubblico, presenta un “contenuto” sostanzialmente definito dalla legge e dagli atti di pianificazione, di modo che non può configurarsi una “autonomia”, e dunque una “disponibilità ” delle obbligazioni da assumersi con la convenzione da parte dell’Amministrazione, se non nella misura in cui le stesse trovano previo riscontro nella legge e negli stessi atti di pianificazione. Ciò significa, sul piano pubblicistico, che nel caso delle convenzioni urbanistiche, il contenuto contrattuale (obbligazioni e connesse prestazioni) è definito dalla legge (e non è dunque nella disponibilità delle parti), di modo che possono, in linea di massima, trovare applicazione sia l’istituto di eterointegrazione del contratto di cui all’art. 1419, secondo comma, c.c., sia il meccanismo di inserzione automatica di clausole, di cui all’art. 1339 c.c.. (cfr. Cons. Stato sez. IV, 7 settembre 2018, n. 5276).
12.7. Conseguentemente, al di là del termine di efficacia decennale della convenzione individuato dal Tar, l’incompatibilità con la sopravvenuta disciplina urbanistica rende di per sé giustificato il diniego dell’Amministrazione impugnato (ciò anche considerando il principio generale secondo cui le scelte urbanistiche dell’Amministrazione in materia di pianificazione non possono in linea di massima essere vincolate in ragione della discrezionalità sottesa alla stessa funzione).
12.8. Peraltro, il richiamo alle previsioni della convenzione avrebbe avuto concreto rilievo nel momento in cui è stata modificata la disciplina urbanistica dell’area o comunque in costanza del primo atto applicativo della stessa (rigetto delle istanze del 2014), ma in tali circostanze l’appellante non ha ritenuto di proporre impugnazione.
13. Nel caso di specie, come rilevato dal Tar, resta pertanto valido e efficace il trasferimento sulle aree acquistate dall’appellante della cubatura astrattamente prevista dalla convenzione, ma tale cubatura va misurata in ragione dei parametri di cubatura e di altezza previsti dal PRG vigente per quelle aree edificabili in zona B2.
14. Non può, infine, ritenersi fondato il profilo relativo all’indennizzo previsto dall’art. 11, comma 4, della legge n. 241/1990. Nel caso di specie non si è trattato di una revoca dell’accordo in quanto i titoli edilizi erano comunque stati rilasciati nel 2007 ed in ogni caso le sopravvenienze hanno avuto un effetto sostanzialmente “automatico” che ha reso le originarie previsioni incompatibili con il nuovo assetto pianificatorio.
15. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
16. Le spese della presente fase di giudizio possono essere compensate in ragione della complessità della questione trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello (n. 8460/2019), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020, svoltasi da remoto in audio conferenza, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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