La commissione di un furto o di una rapina in ora notturna integra gli estremi dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 4 ottobre 2018, n. 44247.

La massima estrapolata:

La commissione di un furto o di una rapina in ora notturna integra gli estremi dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5, a causa della ridotta vigilanza pubblica che in tali ore viene esercitata, a meno che particolari circostanze non contribuiscano ad accentuare comunque le difese del soggetto passivo, nel caso in esame, peraltro, del tutto insussistenti; corretto e’ quindi il riferimento effettuato dalla Corte di appello al fatto che le persone di notte sono piu’ indifese, con conseguente sussistenza dell’aggravante.

Sentenza 4 ottobre 2018, n. 44247

Data udienza 19 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. COSCIONI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/11/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. COSCIONI GIUSEPPE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SPINACI Sante, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 09/11/2017, che aveva confermato la condanna dell’imputato per i reati di rapina e furto, provvedendo a rideterminare la pena.
1.1 Al riguardo il difensore del ricorrente eccepisce il difetto di motivazione della sentenza impugnata in quanto aveva omesso di rispondere alla specifica doglianza difensiva secondo la quale era impossibile dedurre dai brogliacci telefonici che l’imputato avesse il telefono spento in coincidenza con la commissione dei reati; del tutto contraddittoria e contrastante con i documenti medici in atti era l’asserzione della Corte di appello relativa alla insussistenza di problemi dell’imputato al braccio sinistro, che gli impedivano di arrampicarsi ai piani bassi delle case ed illogica era la riferibilita’ dell’appellativo “zio”, contenuto nelle intercettazioni, al ricorrente; irrazionali erano anche l’equazione svolta dalla Corte “ladro basso=certa partecipazione dell’imputato” e la considerazione secondo la quale dalle conversazioni intercettate non emergeva l’impossibilita’ per (OMISSIS) di commettere reati nel Comune di (OMISSIS); infine, anche la motivazione inerente le telefonate n. (OMISSIS) era illogica e basata su una parziale e distorta lettura delle conversazioni captate.
1.2 Il difensore lamenta che anche relativamente al reato di cui al capo B) vi era stata una distorsione delle conversazioni intercettate n. (OMISSIS) del 20.03.2016 ed illogico era il ragionamento secondo cui si riteneva che l’appellativo “zio” di cui alla conversazione captata il giorno prima del furto potesse essere riferita con certezza al ricorrente, visto che nel colloquio in questione (OMISSIS) chiamava “zio” il coimputato (OMISSIS); inoltre, la Corte di appello non aveva fornito risposta alla specifica eccezione della difesa in relazione alla conversazione n. (OMISSIS).
1.3 Il difensore eccepisce infine che nella sentenza non vi era motivazione sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5, essendosi limitata la Corte di appello ad asserire che nell’orario notturno le persone sarebbero piu’ indifese, senza precisare quel quid pluris richiesto ai fini della configurabilita’ dell’aggravante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2.1 Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, se ne deve rilevare la natura meramente fattuale, in quanto con essi il ricorrente propone una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimita’, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita’, quale e’ quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. 6, 22/01/2014, n. 10289).
Inoltre, si deve rilevare come in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. (Sez. 2, Sentenza n. 35181 del 22/05/2013,Rv. 257784); tale non e’ il caso in esame, nel quale la Corte territoriale ha precisato che non in tutte le occasioni l’appellativo “zio” e’ riferito all’imputato, ma che “in alcuni casi, anche al di la’ di quelli in cui si dice espressamente “lo zio (OMISSIS)” e’ chiaro il riferimento all’imputato; ha valorizzato il riferimento fatto dall’imputato nelle conversazioni (OMISSIS) a due case (“prendere solo in due case”), e quindi ad entrambi i reati contestati, e ai “50”, corrispondente alla somma sottratta ad (OMISSIS) (rapina di cui al capo A); evidenzia, quanto al capo B), il sopralluogo effettuato poche ore prima del furto il dialogo tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui si dice che e’ stato lo “zio” ad indicare la casa e che il giorno successivo (OMISSIS) fa riferimento in macchina con i complici a quello che hanno trovato “ieri sera”, mostrando la propria soddisfazione perche’ era “gia’ pronto a scendere senza prendere niente” (intercettazione n. (OMISSIS) del 6/4/2016, ore 11.39)..
Inoltre, le valutazioni sul fatto che i cellulari degli imputati fossero spenti durante la rapina e’ un giudizio di fatto, come tale non censurabile, al quale il ricorrente contrappone valutazioni tecniche tutte da dimostrare; anche per quanto riguarda i problemi dell’imputato al braccio sinistro, la Corte non li esclude, ma afferma che non emerge l’impossibilita’ di usare l’arto e neppure che l’uso dello stesso sia necessario per arrampicarsi ai piani bassi delle case; determinante e’ poi la considerazione che i sopralluoghi venivano fatti usando l’autovettura della moglie di (OMISSIS), autovettura sulla quale sono state intercettate tutte le conversazioni, che denota la piena partecipazione dell’imputato alla preparazione della commissione dei reati ed alla successiva vendita della refurtiva (vedi pag. 9 della sentenza impugnata).
Nessun travisamento vi e’ stato a proposito della impossibilita’ per (OMISSIS) di agire nel comune di (OMISSIS) in quanto ivi conosciuto, posto che la Corte di appello evidenzia, a tal fine, la frase di (OMISSIS) secondo cui “uno piccolo bisogna avere, non ci sono molti ladri piccoli qua” (pag. 6 sentenza impugnata), con cio’ intendendo che la collaborazione dell’imputato era comunque necessaria.
2.2 Per quanto riguarda l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5, la commissione di un furto o di una rapina in ora notturna integra gli estremi dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5, a causa della ridotta vigilanza pubblica che in tali ore viene esercitata, a meno che particolari circostanze non contribuiscano ad accentuare comunque le difese del soggetto passivo, nel caso in esame, peraltro, del tutto insussistenti (cfr. Cass., sez. 2, 3/05/1991, n. 9088, rv. 188134; Cass., sez. 5, 11/03/2011, n. 19615, rv. 250183; cfr. anche Sez. 5, Sentenza n. 7433 del 13/01/2011, Rv. 249603); corretto e’ quindi il riferimento effettuato dalla Corte di appello al fatto che le persone di notte sono piu’ indifese, con conseguente sussistenza dell’aggravante.
3. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00 cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 2.000,00 alla Cassa delle Ammende.

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