La circostanza attenuante comune dell’attivo ravvedimento

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 28 settembre 2020, n. 26966.

La circostanza attenuante comune dell’attivo ravvedimento non è applicabile ai reati contro il patrimonio, in quanto si riferisce esclusivamente all’elisione o all’attenuazione di quelle conseguenze che non consistono in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile. (Fattispecie in tema di ricettazione in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di merito che aveva escluso l’applicabilità della circostanza nonostante l’imputato avesse restituito alla persona offesa i beni, provenienti dal reato presupposto, in seguito depenalizzato, di cui all’art. 647 cod. pen.).

Sentenza 28 settembre 2020, n. 26966

Data udienza 11 settembre 2020

Tag – parola chiave: REATI CONTRO IL PATRIMONIO – RICETTAZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente

Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere

Dott. DI PAOLA Sergio – rel. Consigliere

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/5/2019 della Corte d’appello di Potenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Sergio Di Paola;
Udito il Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Manuali Valentina, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Potenza con sentenza in data 17 maggio 2019, confermava la condanna alle pene ritenute di giustizia pronunciata dal Tribunale di Potenza, in data 8 aprile 2015, nei confronti di (OMISSIS), per il delitto di ricettazione in concorso.
2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in riferimento all’articolo 648 c.p.; la sentenza impugnata non aveva fornito prova del reato presupposto e, in ogni caso, il fatto ipotizzato da cui sarebbe derivata la provenienza dei beni oggetto di ricettazione risultava depenalizzato, impedendo di ravvisare il delitto contestato.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, in relazione al profilo della dimostrazione del dolo dell’imputato nella ricezione dei beni sequestrati.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento all’articolo 712 c.p.; il fatto oggetto di addebito avrebbe integrato al piu’ la contravvenzione di incauto acquisto, erroneamente esclusa dalla sentenza impugnata.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione della legge penale in riferimento all’articolo 62 c.p., n. 6, per aver erroneamente escluso la sussistenza della circostanza attenuante del ravvedimento operoso (avendo l’imputato consentito il recupero della merce sottratta alla vittima).
2.5. Con il quinto motivo si deduce vizio della motivazione in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, alla luce della mancata comparazione delle posizioni processuali degli imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il ricorso e’ inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo e’ testualmente reiterativo del motivo di appello (tanto da censurare la motivazione del provvedimento di primo grado), senza alcuna critica puntuale e specifica alla motivazione della sentenza impugnata che ha preso in considerazione le censure dell’appellante superandole con motivazione priva di vizi logici (pag. 8).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’, infatti, “i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui cio’ serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione che si riferisca al provvedimento impugnato e si confronti con la sua motivazione” (Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133), risultando cosi’ inammissibile per difetto di specificita’ il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al piu’ con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtu’ delle quali i motivi di appello non siano stati accolti (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584, ove si e’ specificato che “la funzione tipica dell’impugnazione e’ quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita’ (articoli 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioe’ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta)”).
Tale principio, assolutamente pacifico, trova applicazione anche ove mediante il ricorso si intenda censurare – come nella specie, ma senza alcuna indicazione al riguardo – il vizio di omessa motivazione rispetto alle censure sollevate con l’atto di appello; ribadito che “se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, per cio’ solo si destina all’inammissibilita’, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale e’ previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, e’ di fatto del tutto ignorato”, si e’ puntualmente osservato che neppure la denuncia del vizio di omessa motivazione, da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di impugnazione, puo’ esser sostenuta correttamente attraverso la riproduzione grafica dei motivi d’appello: “quand’anche effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilita’. E cio’ per almeno due ragioni. E’ censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non e’ mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione (e tanto piu’ nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto, e’ pure onerata dell’obbligo di argomentare la decisivita’ del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso” (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, cit.).
Inoltre, il motivo e’ manifestamente infondato nella parte in cui deduce che l’intervenuta depenalizzazione del fatto da cui deriverebbe la provenienza delittuosa dei beni oggetto di imputazione (articolo 647 c.p.) impedirebbe la riconducibilita’ della condotta dell’imputato nella fattispecie tipica del reato di ricettazione; e’ insegnamento della giurisprudenza di legittimita’ quello che ha ribadito la perdurante rilevanza penale della condotta di ricettazione di bene proveniente dal reato presupposto di cui all’articolo 647 c.p., anche dopo la depenalizzazione ad opera del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 del reato di appropriazione di cosa smarrita, “atteso che nella ricettazione la provenienza da delitto dell’oggetto materia-le del reato e’ elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l’eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell’articolo 2 c.p., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa” (Sez. 2, n. 18710 del 15/12/2016, dep. 2017, Giordano, Rv. 270220; nonche’ Sez. 7, n. 20644 del 16/02/2016 – dep. 18/05/2016, Sarachelli, Rv. 267132).
1.2. Anche il secondo motivo e’ reiterativo delle censure formulate con l’atto di appello, che il ricorrente ha riprodotto testualmente nel corpo del motivo di ricorso, senza indicare alcuna specifica censura relativa alla motivazione della Corte d’appello che, invece (pagg. 8-9), ha valutato compi’utamente il profilo dell’elemento psicologico del contestato delitto, mettendo i rilevo i plurimi elementi di fatto (acquisto della merce “in nero”, senza alcun documento fiscale giustificativo della cessione, da soggetto che non svolgeva attivita’ di commercio dei beni ceduti) da cui e’ stato desunto quantomeno il dubbio che l’imputato doveva aver maturato circa la provenienza della merce, condizione sufficiente per integrare l’elemento psicologico della ricettazione rilevando anche il dolo eventuale configurabile in presenza della rappresentazione, da parte dell’agente, della concreta possibilita’ della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio (Sez. 1, n. 27548 del 17/06/2010, Screti, Rv. 247718; Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, Moscato, Rv. 257237; Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179).
1.3. Il terzo motivo e’ generico, oltre che manifestamente infondato; considerata la corretta valutazione degli elementi da cui e’ stata desunta la sussistenza della consapevolezza da parte del ricorrente circa la provenienza delittuosa dei beni ricevuti, come rilevato nell’esame del motivo che precede, e’ evidente come la deduzione del ricorrente in ordine alla diversa qualificazione del fatto nella meno grave ipotesi dell’incauto acquisto e’ destituita di fondamento, considerata altresi’ la totale assenza di indicazioni circa l’esistenza di un mero difetto di diligenza nell’acquisto (poiche’, come insegna la giurisprudenza di legittimita’, la distinzione tra le due figure di reato discende dal diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico, ricorrendo il dolo nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza: Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, Moscato, cit.; Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, cit.).
1.4. Il quarto motivo e’ manifestamente infondato.
Va, infatti, ribadito il principio, piu’ volte affermato dalla Corte, secondo il quale “la circostanza – attenuante comune dell’attivo ravvedimento (articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, seconda ipotesi) non e’ applicabile ai reati contro il patrimonio, in quanto si riferisce esclusivamente all’elisione o all’attenuazione di quelle conseguenze che non consistono in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile” (Sez. 2, n. 49348 del 04/11/2016, Ninfo, Rv. 268365; Sez. 2, n. 2970 del 12/10/2010, dep. 2011, Tutrone, Rv. 249204; Sez. 5, n. 45646 del 26/10/2010, Scerbo, Rv. 249144; Sez. 5, n. 24326 del 18/05/2005, Bonora, Rv. 232207; Sez. 2, n. 3698 del 16/05/1990, dep. 1991, Tito, Rv. 186758).
1.5. Il quinto motivo e’ generico, oltre che manifestamente infondato: il ricorrente si duole della misura del trattamento sanzionatorio, ancora una volta senza alcun preciso rilievo critico, censurando espressamente solo l’erronea e indeterminata applicazione della recidiva, circostanza invece testualmente esclusa dalla sentenza impugnata che ha precisato come la recidiva fosse stata gia’ esclusa dal Tribunale.
2. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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