Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 novembre 2021| n. 39532.

Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori.

Non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte illecite poste in essere da parte di uno dei componenti di una unione di fatto ai danni dell’altro, quando sia cessata la convivenza e siano conseguentemente venute meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento.

Sentenza|3 novembre 2021| n. 39532. Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori

Data udienza 6 settembre 2021

Integrale

Tag – parola: Maltrattamenti e atti persecutori – Inapplicabilità dell’art. 572 c.p. in caso di cessazione del rapporto di convivenza “more uxorio” tra l’imputato e la vittima – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISCUOLO Anna – Presidente
Dott. GIORDANO E. – rel. Consigliere

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA B. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/7/2020 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Emilia Anna Giordano;
sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) impugna la sentenza indicata in rubrica che ne ha confermato la condanna per i reati di maltrattamenti in famiglia (articolo 572 c.p.) e atti persecutori (articolo 612-bis c.p., commi 1 e 2), unificati ai sensi dell’articolo 81, comma 2, c.p., in danno della convivente (OMISSIS). L’imputato e’ stato condannato, con la diminuente del rito, alla pena finale di anni uno e mesi sei di reclusione di cui un mese di reclusione inflitto in aumento per il reato di cui all’articolo 612-bis c.p..
2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, denuncia violazione di legge in relazione al reato di cui all’articolo 612-bis c.p. perche’, erroneamente, detto reato non e’ stato ritenuto assorbito il quello di maltrattamenti in famiglia. L’errore di diritto discende, ed e’ questo l’oggetto del secondo motivo di ricorso, dal vizio di motivazione avendo la Corte di merito trascurato che le condotte dell’imputato venivano poste in essere immediatamente dopo la cessazione della convivenza e, comunque, perdurando i vincoli di solidarieta’ familiare in forza del precedente rapporto di convivenza dal quale erano nati due figli della coppia.

 

Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato perche’ proposto per motivi infondati.
La Corte di appello, sulla base di una puntuale ricostruzione in fatto del rapporto tra imputato e persona offesa, ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti da questa Corte, che discendono dalla ricostruzione degli elementi costitutivi dei reati di cui agli articoli 572 c.p. e 612-bis c.p. e dall’applicazione di principi generali in materia di determinatezza delle fattispecie penali e divieto di applicazione analogica.
2.In fatto e’ accertato – e non e’ neppure messo in discussione dal ricorrente – che imputato e persona offesa avevano avviato dall’anno 2004 una stabile relazione affettiva e di convivenza dalla quale erano nati due figli e che gia’ nella primavera del 2014, la donna, esasperata dai soprusi subiti, aveva lasciato la comune abitazione.
In seguito, la donna aveva ripreso la convivenza cedendo alle promesse del compagno fino a quando, nell’aprile del 2015, constatato che non si era prodotto lo sperato cambiamento, aveva interrotto definitivamente la relazione. La donna, tornata nell’ex casa comune dopo un breve periodo nel quale era stata ospite dei genitori, aveva cambiato la serratura della porta di casa, ma l’imputato era solito presentarsi a casa suonando insistentemente il campanello per farsi aprire e bussando anche a casa dei vicini per avere accesso alle aree condominiali, con corredo di minacce e insulti telefonici alla persona offesa protrattisi nel tempo anche dopo che la donna si era decisa a sporgere querela. Non aveva mancato, infine, l’imputato di contattare i colleghi della ex convivente sui social per metterla in cattiva luce.

 

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Sulla base di questi elementi, i Giudici del merito hanno ritenuto che i fatti accertati – come detto incontestati nella loro materialita’ e negli effetti destabilizzanti sulla vita della persona offesa alla quale avevano ingenerato uno stato di ansia tale da modificarne le abitudini – erano stati ricondotti alla fattispecie del delitto di maltrattamenti, per le condotte commesse fino ad (OMISSIS), e a quella di cui all’articolo 612-bis c.p., i fatti commessi da (OMISSIS), non potendo, a seguito della cessazione di convivenza, essere sussunti nel delitto di maltrattamenti in famiglia.
3.Tale conclusione e’, comunque, affatto pacifica nella giurisprudenza di questa Corte.
Accanto alla netta affermazione secondo cui e’ configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall’articolo 612-bis c.p., comma 2) in presenza di condotte di abuso che, sorte nell’ambito di una comunita’ familiare o a questa assimilata, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualita’ temporale (Sez. 6, n. 30704 del 19/5/2016, D’A., Rv. 267942; Sez. 5, n. 41665 del 04/05/2016, C. Rv. 268464; Sez. 6, n. 24575, del 24/11/2011 (dep. 2012), Frasca, Rv. 252906) sono state ricondotte, invece, al delitto di cui all’articolo 572 c.p. condotte abusanti realizzate in assenza della convivenza, poste in essere in situazioni di condivisa genitorialita’, valorizzando il rapporto di convivenza pregressa e la stabilita’ della relazione affettiva (Sez.6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv.276697; Sez. 3, n. 43701 del 12/06/2019, C. Rv. 277987; Sez. 6, n. 25498 del 20/04/2017, S., Rv. 270673). Anche in una piu’ recente sentenza (cfr. Sez. 6, n. 79129 del 19/5/2011, Rabottini, n. m.) questa Corte, ai fini della sussistenza del delitto di cui all’articolo 572 c.p., ha valorizzato l’intensita’ della relazione conseguente dagli obblighi derivanti dall’esercizio congiunto della potesta’ genitoriale verso i figli accompagnata dalla esistenza di un perdurante rapporto sentimentale-affettivo tra l’imputato e la persona offesa. In un’ altra decisione si e’ affermato che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di atti persecutori quando, nonostante l’avvenuta cessazione della convivenza, la relazione tra i soggetti rimanga comunque connotata da vincoli solidaristici, mentre si configura il reato di atti persecutori, nella forma aggravata prevista dall’articolo 612-bis c.p., comma 2, quando non residua neppure una aspettativa di solidarieta’ nei rapporti tra l’imputato e la persona offesa, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Sez. 6, n. 37077 del 03/11/2020, M., Rv. 280431).

 

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Secondo la prospettazione del ricorrente, seguendo questa linea esegetica, il delitto di cui all’articolo 612-bis c.p. ascritto all’imputato e’ assorbito in quello di maltrattamenti con conseguente elisione della pena applicatagli in aumento poiche’ permanevano con la ex compagna, in quanto genitori di due figli, vincoli di solidarieta’ e assistenza.
Il fondamento della sussunzione della condotta nel reato di maltrattamenti di tali orientamenti giurisprudenziali e’ costituito, all’evidenza, non dal rapporto di convivenza, ormai cessato, ma dal legame familiare con la persona ex convivente, un legame per lo piu’ declinato in ragione della filiazione comune che costituisce la massima espressione di un rapporto vincolato da obblighi di assistenza e solidarieta’ e che si proietta, in quanto genitori, sui partner. La lettura delle sentenze richiamate rivela che, nella maggior parte dei casi, la giurisprudenza esaminava vicende innestate su convivenze di lunga durata dalle quali erano nati dei figli.
3.1. Va precisato, per completezza, che quello dei rapporti tra il delitto di maltrattamenti e il delitto di cui all’articolo 612-bis c.p. non e’ un tema che interessa solo la situazione, come quella in esame, che presuppone un rapporto familiare di fatto, derivante dal rapporto di convivenza. La giurisprudenza, infatti, lo ha esaminato anche in relazione ai rapporti familiari derivanti dal matrimonio, in caso di separazione e divorzio. In tali casi e’ univoca l’affermazione secondo cui e’ ravvisabile il delitto di maltrattamenti in presenza di condotte abusanti nella fase della separazione, che non realizza una recisione dei vincoli nascenti dal coniugio che permangono integri (Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017, dep. 2018, P, Rv. 272134; Sez. 6, n. 3356 del 13/12/2017, F, n. m.; Sez. 2, n. 39331 del 5/7/2016, Spazzoli, Rv. 267915) e quello di atti persecutori in caso di divorzio che, invece, determina la cessazione dei vincoli coniugali (Sez. 6, n. 50333 del 12/06/2013, L., Rv. 258644).
In presenza di siffatto quadro si tratta, allora, di verificare come il rapporto di affidamento, la comunanza di vita e di affetti che contrassegnano il rapporto familiare di fatto che si instaura attraverso la convivenza esplica effetti nella fase patologica del rapporto, in particolare quando il rapporto di convivenza e’ cessato, e come tali effetti rilevano (possono rilevare) nello stabilire l’esatto confine tra le fattispecie incriminatrici di cui agli articoli 572 e 612-bis c.p..

 

Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori

4.Prima di passare all’esame della questione e’ opportuno esaminare gli elementi strutturali dei reati di maltrattamenti e atti persecutori non senza trascurare che mentre il delitto di cui all’articolo 572 c.p. costituisce una fattispecie di risalente impianto codicistico il delitto di cui all’articolo 612-bis c.p. e’ oggetto di piu’ recenti interventi legislativi, coevi alla introduzione, nella struttura della fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 572 c.p. della previsione di punibilita’ delle condotte abusanti realizzate in danno di persona… convivente (L. n. 172 del 2012). L’intervento del legislatore ha fatto seguito alla richiesta di apprestare tutela a comportamenti che non trovavano adeguata sanzione punitiva nel sistema del codice, incentrato sulla tutela della famiglia legittima e, piu’ in generale, l’intervento e’ stato volto alla tutela della liberta’ della persona a fronte di comportamenti illegittimi e reiterati che, quando si innestano su relazioni interpersonali affettive, vedono la vittima fortemente condizionata nella sua capacita’ di reazione.
4.1. Il delitto di cui all’articolo 572 c.p. e’ integrato da una condotta che sia qualificabile come “maltrattante” in danno di una persona “della famiglia o comunque convivente” mentre il reato di cui all’articolo 612-bis c.p. punisce, salvo che non costituisca un reato piu’ grave, le condotte vessatorie ivi descritte in danno di una persona, ipotesi che risulta aggravata, ai sensi del comma 2, quando il comportamento e’ commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che e’ o e’ stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Mentre il reato di maltrattamenti e’ un reato contro l’assistenza familiare ed il bene giuridico protetto e’ costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dall’interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumita’ fisica e psichica, il reato di atti persecutori costituisce, invece, un reato contro la persona, e in particolare contro la liberta’ morale, che puo’ essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia “reiterati” (integrando appunto un reato abituale).

 

Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori

Il delitto di cui all’articolo 612-bis c.p. non presuppone, quindi, l’esistenza di relazioni interpersonali specifiche che, cionondimeno, rilevano, in relazione alla sussistenza di qualificati rapporti quali il coniugio – anche se e’ intervenuta separazione o divorzio – o una relazione affettiva con la persona offesa, anche se non piu’ attuale, rapporti sui quali possono innestarsi le condotte abusanti dando luogo a una figura aggravata di reato. Il rapporto tra le due fattispecie incriminatrici, infine, e’ regolato dalla clausola di sussidiarieta’ prevista dall’articolo 612-bis c.p., comma 1, (“salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato”), che rende applicabile il reato di maltrattamenti, piu’ grave per pena edittale rispetto a quello di atti persecutori in presenza di condotte abusanti commesse durante la convivenza.
5.Ben prima della L. n. 172 del 2012, un’ intensa attivita’ interpretativa della giurisprudenza aveva ricondotto nell’ambito della protezione penale di cui all’articolo 572 c.p., la persona del convivente more uxorio, e’ di questo, infatti, che ancora si discute evocando, con una terminologia caricata in passato di una valenza pregiudizialmente negativa, una convivenza in stato coniugale fuori dal matrimonio.
In massime risalenti alla fine degli anni sessanta del secolo scorso si legge, infatti, che agli effetti dell’articolo 572 c.p., deve considerarsi âEuroËœfamiglia’ ogni consorzio di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione: anche il legame di puro fatto stabilito tra un uomo ed una donna vale pertanto a costituire una famiglia in questo senso, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio (Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563). Un principio giunto, senza subire sostanziali modifiche, fino ai nostri giorni, pur passando attraverso variegate affermazioni della giurisprudenza sulla necessita’ della durata e della stabilita’ della relazione. Ricorrente, peraltro, era l’affermazione che il reato era configurabile anche al di fuori della famiglia legittima, in presenza di un rapporto di stabile convivenza, come tale suscettibile di determinare obblighi di solidarieta’ e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilita’, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione (Sez. 3, n. 44262 del 08/11/2005, Sciacchitano, Rv. 232904; Sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Gatto, Rv. 236757).
Famiglia legittima – sulla quale era strutturato il reato di maltrattamenti che ne identificava i componenti nei prossimi congiunti, individuati nell’articolo 307 c.p. – e famiglia di fatto, per questa via, sono state sussunte, sul piano dei rapporti sociali ma anche giuridici, nel concetto unificante di comunita’ familiare dovendo guardare alla sostanza e non alla forma dei rapporti interpersonali: sono, dunque, le strette relazioni e consuetudini di vita che si instaurano fra le persone a costituire la fonte degli obblighi di protezione reciproca e di assistenza e a determinare tra i soggetti una situazione in tutto identica a quella che, per legge, deriva dal coniugio e che esigono, in presenza di comportamenti abusanti, la protezione dell’ordinamento attraverso la incriminazione di condotte che ledono non solo i singoli ma l’essenza stessa del rapporto di affidamento reciproco che ne costituisce il tratto fondante.

 

Ipotesi aggravata del reato di atti persecutori

La tutela assicurata al rapporto di convivenza more uxorio e a quello di coniugio, e’ il caso di precisare, e’ sovrapponibile ma non identica a partire dal referente costituzionale costituito, per la famiglia legittima dall’articolo 29 Cost. – che ne riconosce i diritti come societa’ naturale, fondata sul matrimonio a sua volta ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi – e, per la famiglia di fatto, dagli articoli 2 e 3 Cost. che, tutelano, in chiave di uguaglianza, i diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali in cui svolge la personalita’ individuale e, quindi in ragione della scelta di condivisione di un percorso di vita comune basato sull’affectio, sulla stabilita’, sulla convivenza e sulla responsabilita’ della cura ed educazione dei figli. Le differenze non rilevano solo sul piano del vincolo formale che caratterizza l’unione matrimoniale (oggi non indissolubile) poiche’, fermi in ogni caso i diritti e doveri che derivano verso i figli e i terzi, nella dimensione della comunita’ che deriva dalla convivenza di fatto si tende a riconoscere spazio alla soggettivita’ individuale, mentre in quella derivante dal rapporto di coniugio si attribuisce maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, intesa, cioe’ come stabile comunita’ di persone legate da vincoli di solidarieta’, di fedelta’, e di condivisione su base paritaria.
6. Deve rilevarsi che quella seguita dalla giurisprudenza, non era un’opzione ermeneutica imposta dalla realta’ sociale moderna che registra la disaffezione verso l’istituto del matrimonio – accettata senza riserve poiche’, si osservava in dottrina, essa realizzava una inammissibile estensione in malam partem dell’articolo 572 c.p.. L’espressione una persona della famiglia, era, come anticipato, ritenuta riconducibile alla nozione di “prossimi congiunti” recata dall’articolo 307 c.p., comma 4 che identifica tale categoria esclusivamente nel coniuge, oltre che negli ascendenti, discendenti, fratelli, affini nello stesso grado, zii e nipoti. Alla stregua di tale ultima previsione – oggi integrata dal Decreto Legislativo 19 gennaio 2017, n. 6, articolo 1, comma 1, lettera a), con riferimento alla parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, ma non estesa ai conviventi – la nozione di prossimi congiunti viene ricondotta esclusivamente ai membri della famiglia fondata sul matrimonio e, nel suo tenore letterale, non comprende la persona convivente.
La violazione del divieto di analogia in malam partem riferita alle persone conviventi more uxorio e’ stata superata dalla previsione recata dalla L. n. 172 del 2012 – che, come si e’ detto, ha introdotto nell’articolo 572 c.p. il riferimento testuale alla convivenza – ma e’ qui proposta perche’ il richiamo alla fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 572 c.p. e ai suoi elementi costitutivi ricostruiti sulla base del significato letterale dei sintagmi che la compongono, emerge nella piu’ recente pronuncia del Giudice delle leggi che, sia pure affrontando una questione processuale relativa alla qualificazione giuridica del fatto e del rapporto tra le fattispecie incriminatrici di cui agli articoli 572 e 612-bis c.p., ha esaminato il tema della relazione interpersonale tra persona offesa e autore del reato e della possibilita’ di qualificarla, sulla scorta della stabilita’ della relazione affettiva tra i partner ma in assenza di un rapporto di passata convivenza, come rapporto di appartenenza familiare.
Con la recente sentenza n. 98 del 2021 il Giudice delle leggi ha richiamato l’attenzione dell’interprete al rispetto del “canone ermeneutico rappresentato dal divieto di analogia a sfavore del reo: canone affermato a livello di fonti primarie dall’articolo 14 preleggi nonche’ implicitamente – dall’articolo 1 c.p., e fondato a livello costituzionale sul principio di legalita’ di cui all’articolo 25 Cost., comma 2, (nullum crimen, nulla poena sine lege stricta) (sentenza n. 447 del 1998). Il divieto di analogia – conclude- non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce cosi’ un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo”.

 

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7. E’ sulla scorta di tale principio che occorre, cosi’, tornare al tema di partenza che e’ quello di delineare il confine tra le fattispecie di cui all’articolo 572 c.p. e all’articolo 612-bis c.p., nel caso di condotte abusanti poste in essere in danno dell’ex convivente more uxorio e interrogarsi, in presenza di condotte astrattamente riconducibili all’una o all’altra fattispecie di reato, sull’applicabilita’ della piu’ grave fattispecie di cui all’articolo 572 c.p. – in virtu’ della clausola di sussidiarieta’ recata dall’articolo 612-bis c.p..
I riferimenti testuali alla persona della famiglia ed al convivente, contenuti nell’articolo 572 c.p. costituiscono l’innegabile punto di partenza nell’esegesi di tale fattispecie incriminatrice che, pur aprendosi con l’incipit chiunque, e’ in definitiva un reato proprio che puo’ essere commesso solo dalle persone legate al soggetto passivo da un rapporto qualificato, un “ruolo” nel contesto della famiglia matrimoniale classica (in particolare, il coniuge) o del rapporto di convivenza che determina un complesso di rapporti e, quindi, di obblighi dell’agente.
Nell’attuale struttura della fattispecie incriminatrice, attraverso l’inserimento del riferimento alla persona convivente, il rapporto di convivenza e’ stato, alfine, equiparato, sulla scorta di una precisa scelta del legislatore, a quello della famiglia matrimoniale o classica valorizzandone il comune tratto fondante costituito dalle strette relazioni e consuetudini di vita che si instaurano fra le persone nella comunita’ familiare che sia quella fondata sul matrimonio o quella di fatto. Ed e’ la violazione del rapporto di affidamento reciproco e del principio di solidarieta’ fra i componenti della famiglia, sia essa matrimoniale o di fatto, che reclama, in presenza di comportamenti abusanti, la protezione dell’ordinamento attraverso la incriminazione di condotte che ledono non solo i singoli ma l’essenza stessa del rapporto, tutela realizzata, appunto, con la fattispecie di maltrattamenti di cui all’articolo 572 c.p..
Benche’ il rapporto di convivenza comprenda situazioni personali che possono essere codificate e disciplinate in altri rami del diritto, la convivenza more uxorio rinvia ad una dimensione in fatto della relazione personale, effettiva e attuale al momento del fatto (che, comunque, non va confusa con la mera coabitazione) con la conseguenza che la cessazione della convivenza, anche per volonta’ di uno solo dei componenti della coppia, comporta, senza necessita’ di passare attraverso vincoli di natura formale, il venire meno dell’affectio, e, quindi, dell’affidamento reciproco che giustificava la protezione del singolo nell’ambito della comunita’ familiare di fatto. La tutela del convivente non e’, infatti, collegata ad uno status della persona come si verifica nella famiglia fondata sul matrimonio che da’ luogo allo stato di coniuge che non viene meno neppure in caso di separazione, legale o di fatto, che non comporta di per se’ la cessazione di tutti i vincoli coniugali – ma e’ collegata al rapporto di fatto, che si fonda sulla volonta’ delle parti che liberamente decidono di optare per una tipologia di unione contrassegnata da obblighi e prescrizioni giuridiche minimali e che puo’ essere revocata in ogni momento: ne consegue che, se viene meno l’effettivita’ della convivenza, cessa la convivenza stessa e non e’ piu’ applicabile l’articolo 572 c.p.. Tanto cio’ e’ vero che, in parallelo, in caso di divorzio – che determina lo scioglimento del vincolo coniugale – la sussumibilita’ della condotta abusante verso l’ex coniuge nella fattispecie di cui all’articolo 572 c.p. e’ stata ritenuta giustificata solo in presenza di una situazione di fatto che abbia determinato una ricomposizione della relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarieta’ reciproche, risolvendosi dunque, in un rapporto di convivenza (cfr. Sez. 6, n. 24575, cit.).
Ritiene il Collegio, in linea con il piu’ risalente orientamento nomofilattico innanzi richiamato, che deve escludersi che possa ravvisarsi il delitto di maltrattamenti nel caso in cui condotte abusanti siano poste in essere in danno di persona non piu’ convivente al momento dei fatti con l’autore delle condotte e che, ricorrendone i presupposti, devono essere inquadrate nella fattispecie di cui all’articolo 612-bis c.p..
La cessazione del rapporto di affidamento, di comunanza di vita e di affetti determina la cessazione della convivenza e la conseguente non applicabilita’, a tale fattispecie, dell’articolo 572 c.p.: di tale principio i Giudici della cognizione hanno fatto corretta applicazione la’ dove secondo quanto si evince dall’attenta ricostruzione in fatto operata nelle sentenze – hanno dato conto del fatto che il ricorrente ha posto in essere le condotte aggressive e violente in danno della ex convivente in una situazione nella quale il vincolo affettivo con la persona era del tutto cessato, permanendo, anzi la volonta’ della persona offesa di non ricostituire l’unione di fatto.
8. Non ignora il Collegio l’emersione di un diverso indirizzo interpretativo, richiamato nel ricorso, in cui la riconducibilita’ delle condotte abusanti in danno dell’ex convivente al delitto di cui all’articolo 572 c.p. e’ fatta discendere non dal rapporto di convivenza, ormai cessato, ma dal legame familiare con la persona ex convivente, un legame per lo piu’ declinato in ragione della filiazione comune che costituisce la massima espressione di un rapporto vincolato da obblighi di assistenza e solidarieta’ e che si proietta, in quanto genitori, sui partner.
La nozione di convivenza, come noto, non e’ stata precisata solo nella giurisprudenza gia’ elaborata con riferimento all’articolo 572 c.p. – innanzi citata – ma e’ rinvenibile, pur in carenza di una legge che disciplini organicamente il fenomeno, nei numerosi interventi legislativi che hanno consentito di riconoscere ai componenti della famiglia di fatto ed al convivente singole posizioni soggettive meritevoli di tutela analogamente a quelle proprie dei membri della famiglia legittima o del coniuge. Si tratta di un fitto riferimento di norme illustrate (pagg. 17 e ss.) nella recente sentenza della Corte che si e’ occupata dell’applicabilita’, in capo al convivente della scusante di cui all’articolo 384 c.p., comma 1, (S.U., n. 10381 del 26/11/2020, dep. 2021, Fialova). La sentenza delle Sezioni Unite ha richiamato anche la progressiva e continua tendenza della giurisprudenza, sia civile che penale, a garantire analoghi diritti alle convivenze di fatto, anche in caso di separazione (ad es. la giurisprudenza civile aveva riconosciuto il diritto all’assegnazione della casa familiare al convivente separato, seguita poi dalla codificazione, all’articolo 337-sexies c.c. o in materia di risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto in favore dei membri della famiglia naturale come il convivente more uxorio e il figlio naturale).
Fra tali disposizioni rilevano, in particolare, le disposizioni del codice civile in tema di filiazione che stabiliscono una completa identita’ tra la famiglia matrimoniale e quella non matrimoniale con riguardo al rapporto genitori-figli, che oggi risulta unitariamente disciplinato dagli articoli 315-bis c.c. uniche essendo le regole in materia di diritti e doveri del figlio e responsabilita’ genitoriale: e proprio la condivisa genitorialita’ costituisce, nella giurisprudenza richiamata al punto 3, il presupposto per l’applicabilita’ alle condotte abusanti, in caso di cessata convivenza, del reato di cui all’articolo 572 c.p..
Non sfugge, tuttavia, con riguardo a queste ipotesi, che si e’ in presenza di interventi che incidono in settori dell’ordinamento che ampliano i diritti soggettivi e non invece, di interventi che, come quello punitivo, sotteso all’interpretazione della legge penale ai fini della sua applicazione, presuppone la determinatezza della fattispecie penale e che vieta al giudice la lettura analogica a sfavore in relazione ad una fattispecie incriminatrice il cui elemento costitutivo e’ rappresentato dalla condotta di reato strutturata su un rapporto interpersonale (la convivenza, effettiva ed attuale) che ha una sua precisa connotazione. Si e’, dunque, in presenza di un complesso di diritti che non e’ esportabile al di fuori dei casi specifici e della disciplina di settore in quanto frutto di scelte selettive e mirate a casi determinati da parte del legislatore alla cui “generalizzazione” nella materia penale ostano i vincoli del significato letterale dei sintagmi utilizzati nella configurabilita’ degli elementi costitutivi della fattispecie penale – quale ricostruita nell’articolo 572 c.p., innanzi svolta – e del divieto di analogia, in carenza di una disciplina positiva che, nel diritto penale, si sia occupata – ed avrebbe ben potuto farlo in occasione degli interventi legislativi da ultimo richiamati- del rapporto di convivenza di fatto.
Ritiene il Collegio che la proiezione nel rapporto interpersonale fra persone ex conviventi del vincolo familiare, positivamente disciplinata con riferimento al rapporto tra genitori e figli, finirebbe col dilatare l’applicazione della previsione legislativa di cui all’articolo 572 c.p. in assenza di una legge che disciplini organicamente il fenomeno della convivenza more uxorio e degli effetti giuridici che esso determina tra le parti quando ormai la relazione interpersonale e’ cessata ma incidendo in un settore cruciale, quale quello della individuazione dei confini tra lecito e illecito, in relazione ad un reato che puo’ essere commesso solo dalle persone legate al soggetto passivo da un rapporto qualificato che determina un complesso di obblighi dell’agente, e che, anche nel momento di patologia del rapporto di coppia, deve fare i conti con la volonta’ dei conviventi di sottrarsi agli effetti giuridici tipici della famiglia matrimoniale (e oggi anche dell’unione civile) e sui quali si interverrebbe, invece, estendendo in malam partem la disciplina legislativa omologa a quella del vincolo coniugale.
Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce cosi’ un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo e volto a ricondurre alla persona del convivente una identita’ di statuto analoga a quella del coniuge che cessa, come noto, anche in caso di divorzio – una volta che il rapporto di convivenza sia venuto meno.
I “modelli” diversi di famiglia che si affermano nella societa’ civile, rispetto alla originaria e unitaria fisionomia dell’istituzione familiare, costituiscono figure variegate e differenziate che richiedono, piuttosto che interventi suppletivi dei giudici, interventi, che sono prerogativa del legislatore, volti a disciplinare in maniera organica e su un piano piu’ generale il tema delle convivenze non matrimoniali agli effetti penali che sono, in realta’, molto piu’ complessi del tema posto dall’odierno ricorso e che attengono a istituti e figure criminose diverse, come il delitto di cui all’articolo 570-bis c.p.. E’ pero’ innegabile che i “modelli” di famiglia richiedono tutele diversificate e adeguate ai singoli casi e non soluzioni uniche, valide indistintamente per tutte le fattispecie, muovendo dall’ovvio principio dell’autonomia delle scelte dei singoli nell’ambito di relazioni di matrice affettiva e bilanciandola con la imposizione di vincoli coercitivi e sanzioni che i conviventi intendevano rifiutare non vincolandosi giuridicamente.
Si tratta, oltretutto, di una opzione interpretativa che non sarebbe giustificabile (come in passato) dall’intento di assicurare una piu’ intensa tutela penale a persone particolarmente vulnerabili, le vittime di condotte abusive nell’ambito dei rapporti affettivi, dai quali esse hanno difficolta’ a sottrarsi, dal momento che attraverso l’intervento legislativo del 2012, pur in presenza di alcune differenze, risulta garantita pari dignita’ e pari margini di tutela della situazione personale della vittima durante il rapporto di convivenza, attraverso la previsione dell’articolo 572 c.p. e, dopo la cessazione del rapporto di convivenza, attraverso la incriminazione delle condotte abusanti riconducibili alla fattispecie di cui all’articolo 612-bis c.p., oltre che dalle fattispecie incriminatrici applicabili in relazione a specifiche condotte illecite.
9. Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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