Interventi di manutenzione straordinaria

Consiglio di Stato, Sentenza|16 novembre 2021| n. 7621.

Costituiscono interventi di manutenzione straordinaria gli interventi volti a rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché diretti a realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non si alterino volumetria e destinazioni di uso.

Sentenza|16 novembre 2021| n. 7621. Interventi di manutenzione straordinaria

Data udienza 30 settembre 2021

Integrale

Tag- parola chiave: Interventi edilizi – Interventi di manutenzione straordinaria – Nozione – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3031 del 2019, proposto dalla società Sa. Be. – So. Im. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Br. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Co. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Bergamo, viale (…),
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Milano, sez. II, 22 gennaio 2019, n. 124, che ha respinto il ricorso n. 1507/2017 R.G. proposto per l’annullamento dell’ordinanza 27 aprile 2017, n. 26 e prot. n. 12329, notificata il 12 giugno successivo, con la quale il Comune di (omissis) ha ingiunto alla Sa. Be. S.r.l. il pagamento della somma complessiva di euro 143.082,64 a titolo di contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) per gli interventi realizzati sull’immobile denominato “fabbricato (omissis)”, sito a (omissis), in via (omissis) piano (omissis) distinto al catasto al foglio (omissis), particella (omissis), subalterno (omissis); e di ogni atto ovvero provvedimento preordinato, consequenziale e comunque connesso.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 30 settembre 2021, il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Interventi di manutenzione straordinaria

FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente appellante è una società immobiliare, proprietaria di un terreno di circa 10 mila metri quadri situato a (omissis), fra le vie (omissis), (omissis) e (omissis), distinto al catasto di quel Comune al foglio (omissis), mappali (omissis), che all’inizio della vicenda per cui è processo era occupato dai fabbricati di un’industria dismessa ed era classificato dal vigente piano di governo del territorio – PGT come (omissis), ovvero area di riqualificazione urbana (sentenza impugnata, p. 2 in fine, fatti storici non contestati).
2. Intenzionata appunto a riqualificare tutta l’area realizzandovi una nuova zona commerciale, la società ha presentato al Comune un progetto di piano integrato di intervento – PII adottato ed approvato con deliberazioni del Consiglio comunale rispettivamente del 18 luglio 2012, n. 32 e del 24 settembre 2012, n. 40, ed ha stipulato il successivo 15 novembre 2012 con il Comune stesso la convenzione attuativa del piano (doc. 11 del Comune, ordinanza impugnata, ove a p. 3 gli estremi delle delibere relative al PII; doc. 10 del Comune, convenzione attuativa).
3. Interessano in questa sede le vicende di uno degli immobili che fanno parte del complesso, denominato “lotto (omissis)” ovvero “fabbricato (omissis)”.
3.1. Per questo lotto, il PII aveva previsto una attività “paracommerciale (omissis)/direzionale con slp [ovvero: superficie lorda di pavimento] pari a 1.249,44 mq” (doc. 11 del Comune cit., p. 2 in fine, il dato è incontestato), e la convenzione 15 novembre 2012 all’art. 7, rubricato “contributo di costruzione”, aveva a sua volta testualmente previsto: “Le parti danno altresì atto che nulla è dovuto per le unità immobiliari contraddistinte sulle tavole di progetto con le sigle A e B, in quanto oggetto di soli interventi di manutenzione e già aventi destinazione d’uso direzionale” (doc. 10 del Comune, cit., p. 14).

 

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3.2. Il significato delle destinazioni cui il PII fa riferimento è poi definito dall’art. 8 delle disposizioni comuni al PGT, che al comma 2 anzitutto dispone: “Gli atti del PGT individuano le vocazioni funzionali e, con esse, le destinazioni d’uso utilizzando i seguenti gruppi omogenei…”. Nell’ambito di questi gruppi omogenei, alla lettera c) del comma vi sono le “attività produttive di beni e servizi… suddivise nelle seguenti diverse destinazioni d’uso…”.
3.3. Fra esse, vi è la destinazione c2, descritta come “direzionale (uffici), professionale e di prestazioni di servizi diversi da quelli inclusi nella destinazione commerciale. È complementare e compatibile la destinazione commerciale, nel rispetto delle norme di cui al Titolo III del PdR” [piano delle regole], rispetto che in questo caso non è in discussione.
3.4. Vi è poi la destinazione (omissis), descritta come “commerciale. Comprende le attività di vendita al dettaglio o all’ingrosso, la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e le attività paracommerciali insediabili nel rispetto delle norme di cui al Titolo III del PdR… Si intendono paracommerciali le attività caratterizzate da una fruizione da parte del pubblico analoga a quelle delle attività di vendita (presenza di personale addetto e accesso diretto del pubblico). Rientrano in questa categoria, a titolo indicativo: – le attività di acconciatore, estetista, centri di abbronzatura, pizza da asporto, gelateria, riparatori, fotografi, eliografi, corniciai, lavanderie, tintorie, stirerie, calzolerie, laboratori di analisi mediche o cliniche con accesso diretto del pubblico, internet center, phone center, ecc. ed in generale tutte quelle attività tradizionalmente indicate come “artigianato di servizio”, anche se svolte da operatori non aventi la qualifica di artigiano purché prevedano l’accesso diretto del pubblico…”.
3.5. Fra le strutture commerciali, lo stesso art. 8, comma 2, prevede in particolare le “medie strutture di livello 2” e fra queste quella citata nel PII per cui è causa, ovvero la struttura (omissis), che è una “Media struttura di vendita di prodotti alimentari avente una superficie di vendita compresa tra 601 e 2.500 m2; esercizio di somministrazione di alimenti e bevande e esercizio di attività paracommerciale avente una superficie utile compresa tra 701 e 3.000 m2”.

 

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4. Sul fabbricato (omissis), allo scopo dichiarato di realizzare quanto previsto dal PII, la società ha effettuato tutta una serie di interventi.
4.1. Con segnalazione certificata di inizio attività – SCIA 17 luglio 2014, n. 40/14, ha sostituito la scala interna esistente con una nuova, ha installato un ascensore, ha realizzato modifiche ai tavolati con demolizione e costruzione di nuovi muri interni e realizzato un vespaio areato al piano interrato (doc. 4 in primo grado del ricorrente appellante, SCIA citata).
4.2. Con SCIA 27 ottobre 2014, n. 6614, ha eseguito interventi di manutenzione straordinaria, consistenti nella divisione del piano interrato mediante pareti in cartongesso, in alcune sistemazioni al piano terreno e nel rifacimento dei bagni al piano primo (doc. 5 in primo grado del ricorrente appellante, SCIA citata).
4.3. Con comunicazione di eseguita attività – CEA 20 novembre 2014, n. 12/14, ha reso noto di avere realizzato una serie di interventi minori ovvero una contro-parete interna al piano terreno sul muro perimetrale lato sud, due nicchie per arredi ad incasso a piano terreno, lo spostamento della porta di passaggio verso la sala al piano interrato, e, infine, un incremento dello spessore del tavolato di separazione fra il bagno disabili e la sala al piano interrato (doc 6 in primo grado del ricorrente appellante, CEA citata).
4.4. Infine, con CEA 9 marzo 2016, n. 3/16, ha reso noto di avere realizzato interventi minori, consistenti nella diversa distribuzione degli spazi interni con isolamento delle contropareti esterne al piano primo (doc. 8 in primo grado del ricorrente appellante, CEA citata). In concreto, con questa diversa distribuzione la società ha ricavato dei magazzini, dei servizi igienici, una cucina con magazzino e una sala da pranzo, realizzando a corredo l’impianto elettrico e idro sanitario, nuovi pavimenti e rivestimenti ed un soffitto fonoassorbente (doc. 17 del Comune, nota 30 marzo 2016 di cui subito).
5. Rispetto a questi interventi, il Comune ha assunto una prima presa di posizione con la nota 30 marzo 2016, prot. n. 6247, in cui, con riferimento agli interventi sin qui descritti, afferma che “gli interventi attuati con i vari titoli edilizi prevedono la realizzazione di un insieme sistematico di opere che trasformano il fabbricato in un organismo edilizio in tutto diverso dal precedente” e conclude “in ragione dì ciò, si chiede di produrre un computo metrico consuntivo delle opere realizzate sul lotto (omissis) e di versare la maggior somma relativa al contributo della totalità opere realizzate, rispetto al titolo originario, entro e non oltre 30 giorni dalla notifica della presente” (doc. 17 del Comune, cit.). Va precisato per chiarezza che la nota appena descritta cita, assieme ai titoli edilizi appena descritti, anche il permesso di costruire 15 novembre 2012, n. 07/12, rilasciato per tutto l’intervento sull’area nel suo complesso; esaminando però l’ordinanza ingiunzione impugnata (doc. 11 in primo grado del Comune, cit.), si comprende però che le opere concretamente eseguite sull’edificio A sono solo quelle di cui alle due SCIA e alle due CEA citate, se pure è formalmente corretto qualificarle come varianti al permesso di costruire originario.
6. La società a questa nota ha risposto con lettera 29 aprile 2016 affermando, in sintesi estrema, di considerare gli interventi svolti come semplice “manutenzione straordinaria”, e quindi di nulla dovere (doc. 19 del Comune, lettera cit.). Ne è seguito uno scambio ulteriore di corrispondenza, del quale non è necessario dare conto dettagliato, perché le parti sono rimaste sulle reciproche posizioni.

 

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7. Per questo motivo, il Comune, con atto 14 novembre 2016 (doc. 24 del Comune) ha dato inizio al procedimento per determinare quanto asseritamente dovuto ed all’esito ha emesso l’ordinanza 27 aprile 2017, n. 26, di cui in epigrafe (doc. 11 del Comune).
7.1. Con l’ordinanza in questione, il Comune richiama anzitutto, nei termini sopra esposti, la destinazione del fabbricato (omissis) prevista dal PII e l’art. 7 della convenzione attuativa. Ciò posto, afferma che con i titoli abilitativi edilizi di cui si è detto “l’immobile è stato invece radicalmente trasformato al fine di accogliere un’attività di ristorazione con mutamento della destinazione d’uso e aumento del carico urbanistico” e che “gli interventi posti in essere hanno trasformato l’organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere che ha portato ad un organismo edilizio diverso dal precedente; tali interventi, ai sensi dell’articolo 3 “Definizioni degli interventi edilizi” del DPR 380/2001 … rientrano tra quelli di ristrutturazione edilizia”. In linea di fatto, non è poi controverso che nell’immobile abbia attualmente sede un “giropizza”, ovvero una pizzeria fast food rivolta ad una clientela giovanile e familiare.
7.2. Ciò posto, sulla base di un computo metrico estimativo delle opere redatto dall’ufficio tecnico ed allegato al provvedimento, il Comune ha ingiunto il pagamento della somma di cui in epigrafe (doc. 11 del Comune, cit.). Le opere considerate sono quelle di cui alle due SCIA e alle due CEA più volte citate, e secondo il computo metrico in questione consistono quanto alla demolizione in: a) demolizione parziale di elementi di fabbricati (cemento armato) entro terra effettuati con mezzi meccanici; b) demolizione di strutture di rampe e pianerottoli di scale con strutture in cemento armato e con strutture in legno e ferro; c) demolizione di tavolati interni, carico e trasporto discarica; d) demolizione massetti, anche armati, in calcestruzzo, compreso abbassamento del piano di carico; e) rimozione del rivestimento dei gradini; f) rimozione del rivestimento degli interni; g) rimozione dei pavimenti esterni; h) rimozione della controsoffittatura; i) rimozione dei serramenti in legno e ferro; l) rimozione delle linee di alimentazione impiantistiche compreso abbassamento del piano di carico; m) rimozione completa dell’impianto dell’ascensore; n) taglio di strutture in conglomerato cementizio per formazione di giunti, tagli, aperture vani. Sempre secondo il computo metrico, le opere di ricostruzione sono invece: a) fornitura e posa in opera di calcestruzzo durevole in accordo con la UNI En 206-1 e UNI 11104; b) fornitura, lavorazione e posa in opera di acciaio per cemento armato secondo UNI EN 13670; c) realizzazione di casseri per fondazioni continue, travi rovesce e platee; d) realizzazione di casseri per pareti in elevazione per vani scala ed ascensori con altezza netta del piano di appoggio fino a 3.50 m; e) murature a cassa vuota per chiusure perimetrali; f) tavolato interno di laterizio; g) intonaco delle pareti; h) posa di isolamento termico compatto con sbarramento al gas Ra. Rn. sotto strutture di fondazioni orizzontali in falda (plinti, fondazioni continue, platee), eseguito con lastre o pannelli rigidi in vetro cellulare; i) vespaio areato costituito con casseri; l) massetto cementizio; m) fornitura e posa in opera di rete zincata antiritiro; n) controsoffitto; o) pavimento; p) servoscala; q) ascensore per disabili; r) montacarichi; s) impianto idrico ed elettrico; t) di finestre e portefinestre in acciaio; u) impianti di condizionamento (sentenza impugnata, pp. 9-10, fatti storici non controversi).

 

Interventi di manutenzione straordinaria

8. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto dalla società contro quest’ingiunzione, ritenendo in sintesi estrema fondata la pretesa del Comune. In motivazione, il TAR ha argomentato così come segue.
8.1. In primo luogo, il TAR afferma che gli interventi realizzati, così come descritti, rientrerebbero effettivamente nel concetto di ristrutturazione edilizia, e comporterebbero l’obbligo di pagare il contributo richiesto, perché considerati nel loro complesso avrebbero creato un organismo edilizio almeno in parte diverso da quello preesistente, sia per quanto riguarda l’aspetto esteriore sia per quanto riguarda l’assetto interno dell’edificio.
8.2. Gli interventi svolti mediante le due SCIA e le due CEA di cui si è detto costituirebbero quindi un artificioso frazionamento di un unico intervento di ristrutturazione; ciò però, sempre ad avviso del TAR, non comporta la necessità di “rimozione” (sentenza, § 3.4 seconda riga) dei titoli predetti, perché altrimenti “la richiesta di pagamento risulterebbe priva di causa” (ibidem).
8.3. La conclusione predetta non muta anche tenendo conto della citata clausola di cui all’art. 7 della convenzione, che ad avviso del TAR va interpretata nel senso di escludere dal contributo i soli “interventi di manutenzione e già aventi destinazione d’uso direzionale” (sentenza, § 3.4 ottavo rigo), ovvero quelli “meramente manutentivi” (sentenza, § 3.4.2. secondo rigo), fra i quali non rientrerebbero quelli di cui si tratta.
8.4. La conclusione per cui il contributo di concessione sarebbe dovuto, ad avviso del TAR, è ribadita anche dal rilievo per cui l’intervento realizzato, in quanto inteso a rendere l’immobile fruibile per un maggior numero di persone, comporterebbe un aumento del carico urbanistico, e quindi andrebbe considerato a titolo oneroso.
8.5. Per queste ragioni, il TAR ritiene infondato l’ulteriore motivo di ricorso dedotto, di difetto di motivazione.
9. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene quattro motivi, di critica della sentenza impugnata e di riproposizione dei motivi dedotti in primo grado, così come segue:
– con il primo di essi, deduce travisamento del fatto da parte della sentenza impugnata quanto all’interpretazione dell’art. 7 della convenzione 15 novembre 2012, che non escluderebbe, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, dal pagamento i soli interventi di manutenzione, intesi secondo logica come manutenzione ordinaria. L’art. 7 in questione, letto nel suo complesso, prevede che il contributo di costruzione sia dovuto per i fabbricati diversi dal fabbricato (omissis), per i quali è previsto il cambio di destinazione d’uso da industriale a commerciale; prevede invece che il contributo stesso non sia dovuto in particolare per il fabbricato (omissis), la cui destinazione, in origine direzionale, non viene mutata;
– con il secondo motivo, deduce travisamento del fatto da parte della sentenza impugnata, nella parte in cui essa afferma che gli interventi realizzati avrebbero aumentato comunque il carico urbanistico. La ricorrente appellante osserva che ciò è stato desunto dal Comune soltanto in base al proprio bilancio, da cui risulta quanto è ovvio, cioè che dall’immobile in questione la società ricava un vantaggio economico. Ciò sarebbe irrilevante nel momento in cui un cambio di destinazione d’uso non vi è stato ed il Comune non ha chiesto alcun adeguamento degli standard previsti, in particolare dei parcheggi, a dimostrazione che il carico urbanistico propriamente inteso è immutato;
– con il terzo motivo, deduce ulteriore travisamento del fatto da parte della sentenza impugnata, nella parte in cui ritiene che gli interventi in concreto realizzati costituiscano ristrutturazione, mentre in realtà si tratta di manutenzione straordinaria con messa a norma rispetto ai requisiti di risparmio energetico, di impiantistica e di accesso per i disabili;
– con il quarto motivo, ribadisce di conseguenza che il provvedimento non è motivato, perché, fermo quello che si è detto, non spiegherebbe perché si ritiene realizzato un organismo edilizio diverso da quello preesistente.
10. Il Comune ha resistito, con memoria 27 maggio 2019, in cui chiede che l’appello sia respinto, evidenziando che l’importo richiesto è contestato nell’an, non nel quantum.
11. Con memoria 17 maggio e replica 27 maggio 2021, la società ha ribadito le proprie difese.

 

Interventi di manutenzione straordinaria

12. Alla pubblica udienza del giorno 30 settembre 2021, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.
13. L’appello è fondato e va accolto, per le ragioni ora esposte.
14. I motivi di appello sono connessi fra loro, in quanto riguardano diverse angolazioni della questione centrale da decidere, ovvero in sintesi se il comportamento della ricorrente appellante sia stato o no conforme a quanto assentito dal Comune con l’approvazione del PII e con il Comune stesso in conformità stipulato, nella convenzione urbanistica che al PII accede.
15. Bisogna infatti evidenziare che il Comune, nell’avanzare la sua pretesa, muove dal presupposto che la società ricorrente appellante abbia realizzato qualcosa di diverso da quanto gli atti citati consentono, dato che afferma, come si è detto sopra che l’immobile sarebbe stato “radicalmente trasformato…con mutamento della destinazione d’uso e aumento del carico urbanistico” (doc. 11 del Comune, cit.). Con ciò, esso secondo logica afferma, per implicito, ma inequivocabilmente, che se quanto gli atti citati dispongono fosse stato rispettato, nulla sarebbe stato dovuto. A riprova, il Comune non risulta mai avere messo in dubbio la validità della clausola di cui all’art. 7 della convenzione astrattamente considerata, ma si è limitato ad adottarne un’interpretazione ad esso favorevole.
16. Ciò posto, la tesi del Comune è infondata, nei termini che seguono.
16.1. In termini generali, l’interpretazione degli atti amministrativi, e quindi del PII per cui è causa, è soggetta alle stesse regole valide per i contratti, contenute negli artt. 1362 e ss. c.c., e in particolare alla regola dell’interpretazione di buona fede, per cui l’atto va inteso in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in dipendenza del principio costituzionale di buon andamento, per cui l’amministrazione deve operare in modo chiaro e lineare e offrire ai cittadini regole di condotta certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative: in questi termini, la costante giurisprudenza di questo Consiglio, per tutte sez. III, 10 giugno 2016, n. 2497, e sez. V, 9 novembre 2010 n. 7966. Questo principio appare valido, a maggior ragione, in casi come il presente, in cui il privato, sulla base di quanto assentito dall’amministrazione, impegna un capitale per fare un investimento nell’ambito di un’attività imprenditoriale, che all’evidenza è soggetta al rischio relativo, ma necessita per essere svolta di un quadro normativo certo.
16.2. Quanto s’è detto per l’atto amministrativo rappresentato dal PII vale poi evidentemente anche per la convenzione urbanistica che ad esso accede, atto cui si riconosce natura di contratto. Sul principio, C.d.S., sez. V, 19 ottobre 2011, n. 5627, sull’analoga fattispecie dell’accordo di programma, che com’è noto intercorre fra amministrazioni: quanto vale per un accordo fra soggetti pubblici, a maggior ragione deve valere per l’accordo fra un’amministrazione ed un privato.

 

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16.3. Ne consegue, per quanto qui direttamente rileva, anzitutto che il concetto di destinazione d’uso ammessa nella zona interessata va ricavato non in astratto, ma sulla base del PII e dell’atto di pianificazione generale, ovvero del PGT, cui esso si conforma, considerato anche che la legittimità del PII stesso non è mai stata messa in dubbio.
16.4. Sulla base del PII e del PGT in questione, va allora detto che l’impresa ricorrente appellante si è attenuta alla destinazione di zona ammessa, ovvero, in altre parole, e contrariamente a quanto il Comune assume, non ha realizzato nulla di diverso da quanto il PII consentiva. Non è infatti controverso che l’edificio A di cui si tratta ospiti, dopo realizzato l’intervento, il “giropizza” di cui si è detto, ovvero un’attività “di somministrazione di alimenti e bevande”. Questo tipo di attività, sulla base delle norme di PGT sopra trascritte, costituisce una struttura (omissis), ovvero una “media struttura di livello 2” con destinazione “paracommerciale”, qualificata espressamente come compatibile con la destinazione “direzionale”. Si tratta quindi proprio della “attività paracommerciale (omissis)/direzionale” prevista dal PII per quel lotto.
16.5. È nel contesto della disciplina di PII così come appena ricostruita, che va ora interpretato il significato della clausola di cui all’art. 7 della convenzione, per cui come si è detto: “Le parti danno altresì atto che nulla è dovuto per le unità immobiliari contraddistinte sulle tavole di progetto con le sigle A e B, in quanto oggetto di soli interventi di manutenzione e già aventi destinazione d’uso direzionale”. In proposito, vanno tenuti presente il criterio interpretativo letterale di cui all’art. 1362 c.c. ed il criterio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c. per cui le clausole negoziali si interpretano nel senso che possano avere qualche effetto, piuttosto che nel senso di non averne alcuno.
16.6. Sotto il primo profilo, è chiaro a semplice lettura che secondo l’intento espresso dalle parti – con la frase “nulla è dovuto” – si voleva che l’intervento sul lotto A, diversamente da quanto previsto per altri lotti per i quali non è sorta controversia, fosse gratuito. Sotto il secondo profilo, se la clausola si fosse intesa, a titolo di paradosso, nel senso che l’intervento fosse stato gratuito se si fosse lasciato il lotto A nello stato in cui esso si trovava, si sarebbe trattato di una clausola inutile, perché evidentemente nessun contributo può essere preteso se un immobile, pur compreso in un PII, non si modifica in alcun modo. Si tratterebbe poi all’evidenza di un’interpretazione che svuoterebbe di significato anche il PII, il cui scopo era recuperare edifici degradati, e non certo lasciarli nella condizione originaria.
16.7. Il ragionevole significato della clausola, ricostruito in positivo secondo corretta interpretazione, non può essere allora che quello per cui il privato, qualora, come in effetti avvenuto, avesse realizzato quanto previsto dal PII per il lotto A non avrebbe pagato contributo, intendendosi che la destinazione di PII così come intesa in concreto, ovvero in base al PGT di quel Comune in quel momento storico, non fosse diversa da quella preesistente.
17. La conclusione di cui sopra è avvalorata anche da un ordine ulteriore di considerazioni, che riguarda la concreta natura dei lavori svolti sul lotto A.
17.1. Ancora in termini generali, la giurisprudenza di questo Consiglio – per tutte sez. II, 18 febbraio 2021, n. 1474, sez. VI, 3 settembre 2020, n. 5354, e sez. II, 3 giugno 2020, n. 3476 – qualifica come manutenzione straordinaria gli interventi volti a rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché diretti a realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non si alterino volumetria e destinazioni di uso. Non condivisibile nella sua assolutezza appare invece l’indirizzo contrario espresso da C.d.S., sez. VI, 9 ottobre 2020, n. 5992, per cui la modifica delle superfici interne esulerebbe sempre dalla manutenzione straordinaria. Questa conclusione non tiene infatti conto del disposto dell’art. 3, comma 1, lett b), t.u. 6 giugno 2001, n. 380, per cui sono manutenzione ordinaria anche l’accorpamento e il frazionamento di unità immobiliari, operazioni all’evidenza impossibili senza modificare il distributivo interno, e quindi le superfici.
17.2. Questi principi vanno applicati al caso di specie, tenendo conto delle concrete particolarità di esso. Premesso che modifica della destinazione d’uso non vi è stata sulla base di quanto inteso dal PGT e dal PII, non si può infatti trascurare che nella specie si trattava di rendere agibile in base ai criteri ed alle normative attuali, particolarmente stringenti nel caso di attività di somministrazione di alimenti e bevande, un edificio abbandonato da lungo tempo e degradato in misura considerevole. I lavori sopra descritti, ciò posto, rientrano allora appieno nei concetti di rinnovo e sostituzione di parti anche strutturali dell’edificio e di realizzazione e integrazione dei servizi igienico-sanitari e tecnologici, banalmente perché se non li si fossero compiuti, dell’edificio non si sarebbe potuto autorizzare l’uso previsto.
18. In conclusione, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va annullato l’atto impugnato con il ricorso di primo grado, così come in dispositivo.
19. La particolarità e complessità in fatto del caso deciso è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 3031/2019), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado (T.A.R. Lombardia Milano n. 1507/2017 R.G.) e annulla l’ordinanza 27 aprile 2017 n. 26 e prot. n. 12329, del Comune di (omissis).
Compensa per intero fra le parti le spese dell’intero giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 settembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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