Evasione Iva mediante le frodi carosello

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|22 ottobre 2021| n. 37933.

Evasione Iva mediante le frodi carosello.

In tema di evasione dell’Iva mediante il meccanismo delle cosiddette frodi carosello, che, nelle operazioni di importazione di beni, sfrutta la neutralizzazione dell’Iva all’acquisto mediante l’interposizione di società cartiere, aventi il solo scopo di emettere fatture – con l’esposizione di un’imposta in realtà non versata – destinate ad essere utilizzate nella catena delle cessioni per creare crediti d’imposta inesistenti, una volta appurata l’oggettiva sussistenza della frode attraverso la ricostruzione dei passaggi in cui, in concreto, detto meccanismo si estrinseca, è insita nella stessa gestione di fatto delle società coinvolte, e conseguentemente nella regia e supervisione delle operazioni commerciali dalle stesse poste in essere, la piena consapevolezza, in capo ai soggetti agenti, del sistema fraudolento complessivo, la cui prova principe è costituita dall’esiguità del prezzo di acquisto della merce rispetto a quello corrente.

Sentenza|22 ottobre 2021| n. 37933. Evasione Iva mediante le frodi carosello

Data udienza 16 luglio 2021

Integrale

Tag – parola: Reati tributari – Operazioni inesistenti – Meccanismo della cosiddetta doppia sponda

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 209/20 della Corte di appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano del 5 novembre 2020;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ANGELILLIS Ciro, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso proposto da (OMISSIS) ed il rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS);
Sentiti, altresi’. per (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), del foro di Roma, e, per (OMISSIS), gli avv.ti (OMISSIS), del foro di Roma e (OMISSIS), del foro di Vicenza, che hanno tutti insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Evasione Iva mediante le frodi carosello

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 5 novembre 2020, ha parzialmente riformato la sentenza del 20 aprile 2018 del Tribunale di Bolzano con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati, rispettivamente – previo riconoscimento nei confronti di ambedue del vincolo della continuazione fra i reati loro attribuiti e delle circostanza attenuanti generiche, ritenute per (OMISSIS) equivalenti alla contestata recidiva reiterata e specifica – alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione e di anni 3 di reclusione, oltre che alle pene accessorie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, e all’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque (nei soli confronti di (OMISSIS)), in ordine ai seguenti reati: 1) articolo 81 c.p., comma 2, e articolo 110 c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, per avere, in concorso con altri, (OMISSIS), quale socio di maggioranza ed amministratore di fatto, e (OMISSIS), quale amministratore di fatto della societa’ (OMISSIS) GmbH, emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione dell’IVA, relativamente ai periodi di imposta 2009, 2010 e 2011; 2) articolo 81 c.p., comma 2, e articolo 110 c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, per avere, in concorso con altri, (OMISSIS) e (OMISSIS) in qualita’ di amministratori di fatto della societa’ (OMISSIS) S.r.l., emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione dell’IVA, relativamente ai periodi di imposta 2009, 2010 e 2011; era stata, altresi’, disposta la confisca diretta di tutte le somme di denaro versate al Fondo Unico Giustizia e identificate dai numeri di registro indicati in sentenza, nonche’ la confisca per equivalente di beni mobili, immobili ovvero di somme dovute agli imputati, sino alla concorrenza dell’importo di Euro 9.055.550,00, detratte le somme gia’ versate al FUG.
In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per i reati al lui contestati, per essersi gli stessi estinti per intervenuta prescrizione, confermando nei suoi confronti la confisca diretta; ha, inoltre, dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per i reati a lui contestati, limitatamente all’annualita’ 2009, per essersi gli stessi estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena, per le annualita’ 2010 e 2011, in anni 2 e mesi 10 di reclusione, revocando la pena accessoria di cui all’articolo 29 c.p., e confermando la confisca diretta e per equivalente.

 

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Avverso la sentenza, (OMISSIS) ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
Con un primo motivo, la difesa ha lamentato la violazione di legge, in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, comma 2; la Corte d’appello sudtirolese non avrebbe correttamente interpretato la norma de qua nella parte in cui prevede la non operativita’ della confisca per le somme che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di specie, gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dell’imputato erano stati annullati da parte della Commissione tributaria di Roma, con conseguente estinzione dei crediti erariali, come dedotto con specifico motivo di appello; il venir meno del debito tributario dovrebbe, pertanto, condurre alla revoca della misura di sicurezza patrimoniale disposta a garanzia del pagamento dello stesso.
Con una seconda censura, si e’ prospettata la violazione di legge con riferimento alla L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143, articolo 322 ter c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis; la sentenza impugnata, infatti, essendo stata con essa confermato la sola confisca diretta di quattro buoni postali cartacei, oltre ad un conto corrente, versati a FUG, avrebbe errato nella identificazione dei beni costituenti profitto del reato tributario e rientranti nel perimetro di applicazione della suddetta misura ablatoria.
Infatti, la confisca diretta deve ricadere sullo stesso bene costituente profitto del reato – in questo caso, denaro – rispetto al quale si identifica un nesso di pertinenzialita’ con il delitto contestato, dovendosi altrimenti la misura qualificare come confisca per equivalente; quest’ultima e’ inapplicabile nel caso di specie, essendo stati dichiarati i reati estinti per intervenuta prescrizione.

 

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Ne consegue che gli unici beni sui quali sarebbe stato possibile mantenere il vincolo reale finalizzato alla confisca sarebbero le somme contenute nel conto corrente identificato nel provvedimento di sequestro, con esclusione dei buoni postali cartacei.
La sentenza e’ stata, altresi’, impugnata, con separato ricorso e tramite i difensori del medesimo, anche da (OMISSIS), che ne ha chiesto l’annullamento.
Con un primo motivo, si censurano la violazione dell’articolo 8 c.p.p., comma 1, e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, nonche’ vizi della motivazione in relazione alla individuazione della autorita’ giudiziaria di Bolzano come territorialmente competente.
Tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello avrebbero erroneamente escluso la competenza territoriale della Procura della Repubblica di Roma, ritualmente eccepita dalla difesa, nonostante il fatto che la sede direttiva e amministrativa delle societa’ coinvolte, oltre al domicilio fiscale degli imputati, fossero stati localizzati dagli stessi giudici del merito a Roma. Ritenendo non identificabile il locus commissi delicti, cioe’ il luogo geografico in cui sarebbero state materialmente emesse le fatture relative ad operazioni inesistenti, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente fatto ricorso al criterio sussidiario, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, del luogo di accertamento del reato, in questo modo, contraddicendo la ricostruzione accolta dagli stessi giudici di secondo grado, secondo cui la sede operativa delle societa’ – considerato il principale parametro di determinazione della competenza territoriale dei reati tributari – doveva rinvenirsi in Italia, e in particolare, a Roma; a nulla rilevando, secondo la difesa, che le modalita’ operative informatiche impiegate dagli imputati potessero rappresentare elementi di connessione territoriale con luoghi diversi dalla sede amministrativa della societa’, con la conseguenza di ritenere operante il criterio meramente residuale del luogo di accertamento del reato.
La Corte distrettuale, inoltre, avrebbe errato anche nell’escludere l’impostazione alternativa prospettata dagli imputati, che valorizza il luogo di emissione delle fatture, dunque di consumazione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, da identificarsi, secondo il ricorrente, presso le sedi legali austriaca e romena delle due societa’ coinvolte; anche in questo caso, i criteri di individuazione della competenza territoriale ex articolo 10 c.p.p., avrebbero condotto a radicare la competenza della Procura di Roma, in base al luogo di residenza, dimora o domicilio degli imputati.
Con una seconda doglianza, si contestano la violazione degli articoli 191 e 526 c.p.p., oltre a vizi della motivazione in ordine alla nullita’ della sentenza di primo grado, in quanto la stessa avrebbe integralmente riportato il contenuto dei PVC redatti dalla Guardia di Finanza, sebbene gli stessi non fossero stati legittimamente acquisiti in dibattimento.
La difesa rileva che i PVC redatti dalla Guardia di Finanza nei confronti delle societa’ coinvolte nel presente procedimento – il cui contenuto sarebbe stato l’unico elemento acriticamente considerato dal Tribunale al fine di ritenere la responsabilita’ penale degli imputati – non sarebbero mai stati acquisiti al fascicolo per il dibattimento, avendo il Pm prodotto unicamente gli allegati ad essi ed avendo il giudice di primo grado soltanto autorizzato il teste, Maresciallo (OMISSIS) della Guardia di Finanza, alla consultazione del documento nel corso dell’esame. Inoltre, aggiunge il ricorrente, a seguito di richiesta di acquisizione del documento relativamente ai soli dati oggettivi di analisi, al fine di facilitare il controesame, le parti non avevano prestato il proprio consenso.

 

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In conclusione, non sarebbe possibile per il giudice del merito acquisire automaticamente gli atti in questione, in assenza di rituale produzione documentale, sula base del mero richiamo al loro contenuto operato dal testimone escusso in dibattimento.
In terzo luogo, la difesa ha lamentato la violazione dell’articolo 2639 c.c., nonche’ il vizio di motivazione in relazione alla qualifica di amministratore di fatto della (OMISSIS) GmbH riconosciuta in capo all’imputato per il reato di cui al capo 1).
Da un lato, mancherebbero elementi probatori sintomatici dell’assunzione del predetto incarico gestorio, dall’altro, gli unici indici in tal senso andrebbero riferiti alla carica assunta nella gestione dell’altra societa’, cioe’ la (OMISSIS) S.r.l. In particolare, gli elementi di fatto utilizzati dai giudici di merito a sostegno della richiamata qualifica avrebbero dovuto piu’ correttamente condurre a identificare l’imputato quale mero dipendente, per un breve periodo di tempo, incaricato dalla (OMISSIS) GmbH di procacciare alla stessa clienti e fornitori, privo di alcun potere o delega amministrativa, a differenza di quanto riscontrato per (OMISSIS). L’assunto sarebbe confermato, inoltre, dalla deposizione del Maresciallo (OMISSIS), come dedotto puntualmente nell’atto di appello con uno specifico motivo, al quale la Corte d’appello avrebbe sostanzialmente omesso di fornire riscontro. Non potrebbe, dunque, ravvisarsi un esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della qualifica di amministratore’ in capo al ricorrente, avendo la Corte distrettuale valorizzato in questo senso condotte – pagamento dei fornitori tramite home banking su ordine di (OMISSIS) – poste in essere nell’ambito dell’attivita’ di gestione della diversa societa’ coinvolta, la (OMISSIS) S.r.l.; le due compagini societarie non potrebbero essere oggetto di una tale assimilazione in ragione soltanto del medesimo schema criminoso contestato.
Con un quarto motivo, il ricorrente si e’ doluto della violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, nonche’ del vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei requisiti tipici del meccanismo della “frode carosello” contestato al capo 2) dell’imputazione.
I giudici di merito avrebbero acriticamente esteso alla societa’ (OMISSIS) S.r.l. la qualifica di societa’ cartiera riconosciuta in capo alla (OMISSIS) GmbH, pur in assenza di elementi di riscontro in ordine alla natura fittizia delle operazioni di compravendita e delle relative fatture, senza avere svolto alcun tipo di accertamento, ispezione o accesso nei locali della predetta societa’. Il coinvolgimento nel meccanismo fraudolento sarebbe desunto adottando il medesimo ragionamento dei verificatori della Guardia di Finanza – quindi esclusivamente sulla base dei rapporti commerciali e professionali intrattenuti dalle due societa’.

 

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La ricostruzione suddetta sarebbe smentita dalla testimonianza, di contrario tenore, resa da un dipendente della (OMISSIS) S.r.l., il quale riferisce delle verifiche preliminari effettuate sulle societa’ clienti in vista dell’instaurazione di rapporti contrattuali con le stesse e al fine di verificarne l’operativita’ e la stabilita’. La Corte d’appello, in risposta agli specifici motivi di gravame, avrebbe dovuto dare conto in modo specifico e circostanziato degli elementi di fatto dai quali desumere la partecipazione della societa’ alle operazioni illecite, avendo al contrario la stessa operato una indebita confusione tra i due diversi capi di imputazione, riferiti alle distinte societa’. Inoltre, mancherebbe l’accertamento di due elementi normativi della fattispecie della “frode carosello”: la rivendita dei beni da parte delle societa’ missing trader ai destinatari finali e il profitto conseguito grazie alla frode, consistente nel risparmio dell’imposta sul valore aggiunto, che avrebbe dovuto consentire agli operatori coinvolti di rivendere i beni commercializzati ad un prezzo inferiore al valore normale degli stessi. Elemento, tuttavia, del quale non risulta prova nelle sentenze di primo e secondo grado, essendosi i giudici apoditticamente limitati ad affermare che “il guadagno di coloro che intervenivano nella interposizione del bene era rappresentato dall’Iva non versata dal missing trader”, in assenza di rapporti tra cedenti e societa’ italiane missing trader finalizzati alla esecuzione di un accordo fraudolento. Infine, difetterebbe la prova dell’elemento soggettivo del dolo in capo all’imputato, avendo la Corte d’appello valutato la condotta adoperando, quale parametro, uno standard di diligenza superiore a quello ordinariamente richiesto in operazioni dello stesso tipo di quelle praticate dalle societa’, come delineato anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, finendo cosi’ per pretendere, da parte del ricorrente, un comportamento di fatto inesigibile.
Con una quinta censura, la difesa del ricorrente ha lamentato la violazione dell’articolo 81 c.p., comma 2, e articolo 133 c.p., articoli 533 e 546 c.p.p., nonche’ il vizio della motivazione in ordine agli aumenti di pena per la continuazione, con riferimento ai reati di cui al capo 1) (annualita’ 2010) e ai capi 1) e 2) (annualita’ 2011).

 

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La Corte d’appello, pur esplicitando, a differenza di quanto aveva fatto il Tribunale, la misura dei singoli aumenti di pena per i reati contestati in continuazione con quello piu’ grave, non avrebbe indicato i criteri adottati e gli elementi di fatto valorizzati per pervenire alla determinazione finale della pena in relazione ai reati satelliti. Il ricorrente, inoltre, ha prospettato la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito al dovere del giudice di fornire una piu’ o meno specifica motivazione in ordine, oltre alla individuazione della pena base, anche all’entita’ dei singoli aumenti di pena per la continuazione, formulando conseguente richiesta di rimessione della questione alle Sezioni unite di questa Corte.
Con un sesto motivo, il ricorrente si duole della erronea applicazione dell’articolo 99 c.p., comma 4, nonche’ della violazione dell’articolo 157 c.p..
La Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto la recidiva reiterata, pur a seguito dell’estinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto penale di una delle due condanne in precedenza riportate, a seguito dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, non dovendosi la stessa tenere in considerazione agli effetti della recidiva. Andrebbe, pertanto, esclusa la contestata recidiva reiterata, dal momento che il nuovo reato e’ successivo ad una sola sentenza di condanna. Anche in relazione alla contestata recidiva specifica, non potrebbe ravvisarsi alcuna motivazione rispetto agli elementi oggettivi e soggettivi dai quali desumere la medesima indole tra i reati tributari e quelli per i quali e’ gia’ intervenuta sentenza di condanna nei confronti dell’imputato. Dal riconoscimento della sola recidiva semplice conseguirebbe la doverosa dichiarazione di estinzione dei reati contestati per prescrizione.
Con una settima censura, si prospetta l’erronea applicazione dell’articolo 69 c.p., dal momento che, non ravvisandosi i presupposti della recidiva reiterata, bensi’ quelli della recidiva semplice, non avrebbe dovuto operare il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva reiterata, di cui all’articolo 69 c.p., comma 4. Il giudice di secondo grado, aderendo al giudizio di equivalenza del Tribunale, non avrebbe preso in considerazione la possibile elisione dell’aumento di pena, conseguente all’applicazione della recidiva semplice, ad opera delle circostanze di cui all’articolo 62 bis c.p..
In ultima istanza, il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 37 e 133 c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 12 e 12 bis, nonche’ il vizio di omessa motivazione in ordine ai criteri adottati ai fini della determinazione di durata ed entita’ delle pene accessorie.
La Corte d’appello, compulsata sul punto da uno specifico motivo di gravame, avrebbe dovuto colmare le lacune motivazionali della sentenza di primo grado sui profili prima richiamati, non potendo semplicemente richiamare la – inesistente – valutazione del Tribunale. Infatti, trattandosi di pene accessorie previste dalla legge in misura non fissa, sarebbe stato necessario esplicitare i criteri di determinazione della durata ai sensi dell’articolo 133 c.p., non bastando un generico riferimento alla durata della pena principale. Analoga carenza motivazionale sarebbe ravvisabile con riguardo alla confisca, diretta e per equivalente.

 

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Osserva il Collegio che il ricorso presentato dalla difesa del (OMISSIS), che e’ opportuno, per ragioni sistematiche, affrontare per primo, e’ infondato, sebbene, per i motivi che saranno infra precisati, la sentenza impugnata debba essere, per quanto lo riguarda, parzialmente annullata.
Il primo motivo di ricorso – con cui si contestano i criteri utilizzati dai giudici di merito al fine di individuare la autorita’ giudiziaria di Bolzano come autorita’ territorialmente competente – e’ inammissibile.
La giurisprudenza di legittimita’ ha in piu’ occasioni ribadito che la competenza territoriale per il reato avente ad oggetto la emissione di fatture per operazioni inesistenti, nell’ipotesi di documenti emessi o rilasciati in luoghi rientranti in diversi circondari, si determina a norma della disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, comma 3, – secondo il quale e’ competente il giudice di uno di tali luoghi in cui ha sede l’ufficio del Pm che, per primo, ha provveduto ad iscrivere la notizia di reato – solo se le condotte sono state poste in essere nel corso del medesimo periodo di imposta, mentre, se l’emissione o il rilascio siano avvenuti nel corso di periodi di imposta diversi, trovano applicazione l’articolo 8 c.p.p., o, in subordine, il predetto articolo 18, comma 1, per effetto del quale e’ competente il giudice del luogo di accertamento del reato (Sez. 3, n. 29519 del 10/05/2019, Rv. 276592-02; Sez. 3, n. 20505 del 19/02/2014, Rv. 259680). Inoltre, si e’ osservato che la competenza per territorio prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 18, per i reati tributari va determinata nel “luogo dell’accertamento”, da individuarsi nella sede dell’Ufficio in cui e’ stata compiuta una effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e delle informazioni da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, Rv. 260992).

 

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Nel caso di specie, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, precisando – in linea di continuita’ con la sentenza di primo grado – che l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e’ verosimilmente avvenuta in luoghi diversi dalle sedi, meramente formali, delle societa’ coinvolte nel presente procedimento e utilizzate come schermo per l’emissione dei documenti fiscali, tenuto conto che gli imputati si sono avvalsi di mezzi informatici, starticolo up e sistemi di chiavette elettroniche, i quali consentono di impartire ordini e direttive da luoghi differenti rispetto alla sede legale della societa’ e non facilmente individuabili.
Sicche’, correttamente la autorita’ giudiziaria competente e’ stata individuata, non potendo essere affidabilmente applicati gli altri prioritari criteri, sulla base del residuale criterio legato alla ubicazione della sede giudiziaria che per prima ha esaminato la notizia di reato.
Il secondo motivo di ricorso – con cui si deduce la violazione degli articoli 191 e 526 c.p.p., in ordine al richiamo integrale, da parte della sentenza di primo grado, del contenuto dei PVC non legittimamente acquisiti in dibattimento – e’ inammissibile, in quanto meramente ripetitivo di critiche gia’ disattese in secondo grado, con motivazioni adeguate e complete, incensurabili in sede di legittimita’.
Come bene evidenziato dai giudici di merito, innanzitutto, nel corso del processo di primo grado, il Pm ha prodotto, senza opposizione delle parti, i documenti relativi ad allegati al PVC, da cui il Tribunale ha potuto trarre legittimamente fonte di prova.
In secondo luogo, il Maresciallo (OMISSIS) della Guardia di Finanza, sentito come testimone in contraddittorio con la difesa, ha fatto espresso e continuo riferimento al PVC, richiamandone il contenuto con indicazione specifica delle pagine dello stesso dal quale ha attinto le informazioni riferite in sede di esame testimoniale.

 

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La valutazione del materiale probatorio effettuata dai giudici di merito deve, pertanto, ritenersi sorretta da congrua e logica motivazione, come tale non suscettibile di doglianza in questa sede di legittimita’, posto che essa non si fonda, come suggestivamente segnalato dalla ricorrente difesa, sul contenuto di atti, cioe’ il PVC, non legittimamente acquisiti al dibattimento, ma sulla base di elementi documentali correttamente versati nel materiale probatorio, cioe’ gli allegati a quello, e sulla base delle dichiarazioni testimoniali del teste qualificato che ha dato ai precedenti elementi, richiamando espressamente il PVC, uno specifico significato dimostrativo.
La terza censura – con la quale si contesta la violazione dell’articolo 2639 c.c., relativamente alla qualifica di amministratore di fatto della (OMISSIS) GmbH riconosciuta in capo all’imputato – e’ inammissibile, perche’ formulata in modo non specifico, richiedendosi al giudice di legittimita’ una inaccettabile rivalutazione dei fatti di causa.
Il ricorso non si confronta, infatti, con l’ampia ed esaustiva motivazione della Corte d’appello che ha precisamente indicato gli elementi a sostegno dell’assunzione in via di fatto, da parte del ricorrente, della predetta qualifica gestoria, facendo corretta applicazione del consolidato principio di diritto in base al quale la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’articolo 2639 c.c., richiede l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno si osserva che significativita’ e continuita’ dell’esercizio di tali poteri non sono nozioni che comportino necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, essendo sufficiente l’esercizio di un’apprezzabile attivita’ gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale; ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento dell’esistenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto nella struttura amministrata con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attivita’ della societa’; fasi che possono essere riscontrate laddove si tratti di rapporti con i dipendenti, con i fornitori o con i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita’, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale e disciplinare.
Si tratta di accertamento che costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita’, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534).
In questo caso, la Corte d’appello altoatesina, in modo del tutto coerente con la complessiva ricostruzione dei rapporti interconnessi esistenti tra le due societa’ cartiere – costituenti, sia pure sotto la forma di due diverse soggettivita’, la espressione di un’unica realta’ operativa – ha desunto l’assunzione della qualifica di amministratore di fatto dalla circostanza che (OMISSIS) avesse stipulato con la (OMISSIS) un contratto di incarico per la gestione di clienti e fornitori; che il pagamento dei fornitori della (OMISSIS) avvenisse mediante home banking anche su ordine di (OMISSIS), oltre che di (OMISSIS), i quali sostanzialmente davano, in forma disgiuntiva ancorche’
evidentemente coordinata, le direttive gestionali; che (OMISSIS) fosse
intestatario di un telefono aziendale della (OMISSIS); che il ricorrente, insieme ad (OMISSIS), avesse effettuato diversi viaggi e soggiorni all’estero a spese della (OMISSIS); che, come e’ risultato dalle dichiarazioni testimoniali acquisite in dibattimento, il (OMISSIS) si fosse anche occupato dei rapporti con i dipendenti presso la (OMISSIS), essendo emerso in quella occasione un’assoluta commistione di ruoli gestori tra (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS) all’interno di entrambe le societa’.

 

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La plausibilita’ degli argomenti sulla base dei quali e’ stata affermata dai giudici del merito la qualifica di amministratore di fatto anche della (OMISSIS) in capo al (OMISSIS), ne esclude la sindacabilita’ della presente sede di legittimita’.
La quarta doglianza – con cui si lamenta la violazione dell’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, relativamente alla sussistenza dei requisiti tipici del meccanismo della “frode carosello” – e’ inammissibile per la sua genericita’.
La difesa del (OMISSIS) non prende in considerazione, neanche a fini di critica, le argomentazioni svolte dalla Corte d’appello, limitandosi a formulare alcune deduzioni del tutto sganciate dagli atti di causa, relativamente all’assenza di elementi probatori idonei a riscontrare, sul piano materiale e psicologico, i requisiti tipici del reato contestato; deduzioni che rappresentano la mera ripetizione di doglianze gia’ esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di secondo grado. Inoltre, tali censure sono, altresi’, inammissibili perche’ dirette ad ottenere da questa Corte una rivalutazione di elementi di fatto – riguardanti l’esito delle indagini e degli accertamenti contabili svolti dalla Guardia di Finanza – gia’ analizzati dai giudici del merito con coerenti e conformi argomentazioni; pertanto, nel rammentare che la Corte di cassazione e’ giudice della motivazione, non gia’ della decisione, ed esclusa l’ammissibilita’ di una rivalutazione del compendio probatorio (ex plurimis: Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518; Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, Rv. 266924), va ribadito che la sentenza impugnata ha fornito logica ed esaustiva motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti e alla prova della responsabilita’ del ricorrente relativamente ad essi, con argomentazioni pienamente esaurienti sul piano della logicita’ e prive di contraddizioni.
In particolare, la Corte d’appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, ha esaustivamente ripercorso – alle pagine da 36 a 49 della motivazione della sentenza impugnata – il meccanismo fraudolento della cosiddetta “doppia sponda”, utilizzato dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), attraverso il quale la merce – comprata da parte di societa’ italiane e rivenduta, senza mai abbandonare realmente il territorio nazionale, verso l’Austria o la Romania e, quindi nuovamente ceduta da queste in Italia – era formalmente veicolata all’estero nella forma di una cessione intracomunitaria e formalmente rivenduta a societa’ missing trader italiane, senza alcun addebito Iva. I giudici di merito hanno, inoltre, rilevato la sostanziale omogeneita’ degli operatori con i quali entrambe le societa’ avevano intrattenuto rapporti commerciali negli anni 2009-2011 – tutte societa’ di modeste capacita’ imprenditoriali nei cui confronti venivano fatturati importi di anomala rilevanza e che non effettuavano versamenti Iva – nonche’ la pressoche’ identica composizione della compagine societaria della (OMISSIS) e della (OMISSIS), sostanzialmente aventi al proprio vertice (OMISSIS) e (OMISSIS).

 

Evasione Iva mediante le frodi carosello

Quanto, infine, all’elemento soggettivo, merita dare continuita’ a quell’orientamento giurisprudenziale – che si attaglia perfettamente al caso di specie – secondo cui, in tema di evasione dell’Iva mediante il meccanismo delle cosiddette “frodi carosello” (il quale si realizza allorche’, nelle operazioni di importazione di beni, si sfrutta la neutralizzazione dell’IVA all’acquisto mediante l’interposizione di societa’ cartiere, aventi il solo scopo di emettere fatture – con l’esposizione di un’imposta in realta’ destinata programmaticamente a non essere versata – destinate ad essere utilizzate nella catena delle cessioni per creare crediti d’imposta inesistenti), una volta appurata l’oggettiva sussistenza della frode attraverso la ricostruzione dei passaggi in cui, in concreto, detto meccanismo si estrinseca, e’ insita nella stessa gestione di fatto delle societa’ coinvolte, e conseguentemente nella regia e supervisione delle operazioni commerciali dalle stesse poste in essere, la sussistenza di elementi rivelatori della piena consapevolezza in capo ai soggetti agenti del complessivo sistema fraudolento, la cui prova principe e’ costituita dalla estrema, ed altrimenti non giustificata, esiguita’ del prezzo di acquisto della merce rispetto a quello corrente (Sez. 3, n. 18924 del 20/01/2017, Rv. 269903).
Esiguita’ giustificata, appunto, dalla aspettativa che gli operatori commerciali implicati nella complessa operazione hanno di potere finanziariamente rientrare dell’IVA da essi, solo contabilmente ma non realmente, versata alle interposte “societa’ cartiere”.
Il quinto motivo – con cui il ricorrente si duole del vizio della motivazione in ordine alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione – e’ infondato.
Preliminarmente, deve darsi atto del recente intervento delle Sezioni unite penali di questa Corte (fattore questo che rende evidentemente non piu’ attuale la sollecitazione fatta dal ricorrente di rimessione della relativa questione alle medesime Sezioni unite) – del quale al momento e’, peraltro, nota soltanto la notizia di decisione assunta all’esito dell’udienza del 24 giugno 2021 – le quali sono intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in merito alla questione se, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato piu’ grave e stabilire la pena base per tale reato, debba anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite ovvero lo possa determinare unitariamente.
Hanno sul punto stabilito le Sezioni unite penali che “il giudice deve calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite”.
Cio’ preliminarmente pósto, va, peraltro, rilevato che, nel caso di specie, puo’ ben dirsi rispettato il principio enunciato dalle Sezioni unite, dal momento che la sentenza della Corte distrettuale bolzanina ha indicato separatamente gli aumenti di pena per ciascuno dei reati satellite – rispettivamente di mesi 2 di reclusione per il reato di cui al capo 1) per l’annualita’ 2010 e di mesi 1 di reclusione per ciascuno dei reati commessi nel 2011 – avendo individuato il reato piu’ grave in quello contestato al capo 2) per l’annualita’ 2010, in considerazione del maggior importo del totale delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla societa’ (OMISSIS). Suddetto aumento, disposto in misura assolutamente contenuta considerata la pena base di anni 2 e mesi 6 di reclusione, deve giudicarsi in linea con le recenti indicazioni provenienti dalle Sezioni unite, le quali non appaiono di per se’ in contrasto con il principio secondo cui, anche in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste l’obbligo di specifica motivazione in ordine alla entita’ degli aumenti di pena relativi a ciascuno dei reati satellite, laddove questi aumenti, ove gli stessi, comparati con la pena inflitta per il piu’ grave dei reati posti in continuazione, si caratterizzino per la loro estrema esiguita’ e siano contenuti entro o, comunque, in misura prossima al minimo edittale previsto per il reato satellite di volta in volta preso in considerazione.

 

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Deve, infatti, considerarsi che, in tema di determinazione della pena ex articolo 81, cpv, c.p., un primo profilo attiene alla valutazione di congruita’ della pena espressa a proposito del trattamento sanzionatorio irrogato per il reato-base, cioe’ per il piu’ grave fra quelli posti in continuazione; essa, di regola, si estende ed ingloba anche la valutazione di congruita’ dei singoli aumenti di pena legati ai reati satellite (nel caso di specie, la Corte distrettuale afferma di aderire alla valutazione espressa dal Tribunale, in ordine alla intensita’ del dolo dimostrato per perseguire ed organizzare il proposito criminoso con rilevante danno a carico dell’Erario).
Un secondo profilo, invece, riguarda l’indicazione distinta dei singoli aumenti di pena; ritiene il Collegio che non possa ritenersi illegittima la decisione nella quale essi siano determinati sebbene cio’ sia avvenuto in assenza di una puntuale esplicitazione dei criteri utilizzati ai fini della commisurazione della pena per ciascuno di essi.
Al proposito, fermo restando l’ineludibile rispetto del limite del triplo previsto dall’articolo 81 cpv. c.p., osserva il Collegio che non occorra laddove siffatto aggravamento della pena sia stato comunque contenuto al di sotto del limite edittale minimo previsto per ciascuno dei reati in esame (indice inequivocabile questo del fatto che il meccanismo della continuazione ha effettivamente giuocato, come e’ necessario che avvenga, in termini piu’ vantaggiosi per il prevenuto di quanto sarebbe potuto avvenire laddove fosse stato applicato, anche nella misura per questo piu’ favorevole, il metodo del cumulo materiale) – che l’entita’ di tali aumenti trovi in motivazione una specifica spiegazione, essendo anche per essi adeguato – non diversamente di quanto si verifica per la pena base laddove essa sia commisurata al minimo edittale ovvero sia comunque determinata entro l’alveo del medio edittale sotto il profilo motivazionale il riferimento al criterio della congruita’ e della adeguatezza di essi.
L’indicazione separata dei singoli aumenti che si rinviene nella sentenza impugnata deve, pertanto, essere ritenuta pienamente legittima, in quanto si tratta di aumenti di modestissima entita’ aventi ad oggetto reati del tutto omogenei per tipologia e non decisamente dissimili quanto a gravita’ rispetto al reato posto a parametro della pena base (di tal che il riferimento alla congruita’ della pena riferito a quella inflitta per il reato piu’ grave puo’ ben intendersi riguardante anche gli aumenti per i reati satellite), anche in contemplazione dei piu’ recenti orientamenti della Corte di legittimita’ sul punto.
Il sesto motivo di ricorso – relativo all’erronea applicazione dell’articolo 99 c.p., comma 4, nonche’ alla violazione dell’articolo 157 c.p. – e’ inammissibile.

 

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In punto di recidiva specifica, deve, preliminarmente rilevarsi che l’esame del certificato penale del (OMISSIS) pone in evidenza non due soli precedenti, come affermato dalla ricorrente difesa, ma un ben piu’ elevato numero di pregiudizi penali da questo vantati; cio’ posto si rileva, altresi’, che questa Corte ha avuto modo di affermare che non e’ censurabile in sede di legittimita’, se adeguatamente motivata, la valutazione discrezionale del giudice circa l’esistenza o meno della omogeneita’ tra fatti pregressi e reato giudicando, ai fini del riconoscimento della recidiva specifica, che implica il riscontro della identita’ di modello fra delitti (Sez. 3, n. 11954 del 16/12/2010 – dep. 2011, Rv. 249744).
In particolare, ai sensi dell’articolo 101 c.p., sono “reati della stessa indole” non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, presentano nei casi concreti, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, caratteri fondamentali comuni. Alla stregua di tale criterio, piu’ reati possono considerarsi omogenei per comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali esso sono stati realizzati, quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni che li caratterizzano presentino aspetti che rendano evidente l’inclinazione verso un’identica tipologia criminosa, ovvero quando le modalita’ di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalita’ di aggressione dell’altrui diritto rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa.
Per l’individuazione e per l’esclusione dei caratteri anzidetti e’ necessaria una specifica indagine rimessa alla valutazione discrezionale del giudice e non censurabile in sede di legittimita’ se adeguatamente motivata (Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Rv. 278166; Sez. 6, n. 15439 del 17/03/2016, Rv. 266545; Sez. 3, n. 3362 del 04/10/1996, Rv. 206531).
Nel caso oggetto del presente ricorso, la Corte territoriale ha ben evidenziato che i numerosi precedenti penali dell’imputato (anche ad escludere quelli per i quali vi e’ stato il positivo esito dell’affidamento in prova del prevenuto, fenomeno che determina la irrilevanza ai fini della verifica della recidiva delle relative condanne: Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 agosto 2017, n. 39550), in particolare per furto e per associazione a delinquere, fraudolenta distruzione della cosa propria, simulazione di reato, falsita’ materiale, ricettazione abuso d’ufficio, rivelazione di segreti d’ufficio e spendita di monete falsificate, denotano una maggiore propensione alla ricaduta nel reato e costituiscono fattispecie delittuose della medesima indole di quella tributaria contestata nel presente procedimento. Inoltre, dall’esame del certificato del casellario giudiziale emergono, tra le altre, una condanna per un reato tributario e una condanna per reato di falso ideologico, le quali, considerate unitamente anche alle precedenti tipologie di reato indicate a carico del (OMISSIS), giustificano pienamente – evidenziando sia la proclivita’ dell’imputato alla commissione di reati nei quali la condotta e’ costituita, in parte piu’ o meno maggioritaria, dalla mistificazione della realta’ sia la sua gia’ sperimentata vocazione per la violazione delle normative poste a tutela delle entrate finanziarie dello Stato di carattere, lato sensu, tributarie – la qualificazione della recidiva come specifica, oltre che reiterata.
La sussistenza della aggravante della recidiva specifica e reiterata contestata, operando, in quanto aggravante ad effetto speciale, con riferimento al calcolo del termine prescrizionale sia in relazione alla determinazione della pena massima applicabile ai reati contestati, punto di riferimento per il calcolo della prescrizione ordinaria, sia in relazione all’entita’ del differimento del termine prescrizionale in presenza di eventi interruttivi di esso (pari ai 2/3 della pena massima irrogabile), fa si’ che ancora ad oggi i reati contestati al (OMISSIS), per i quali gia’ non vi sia stato proscioglimento (oramai intangibile stante la mancata impugnazione di tale statuizione da parte della pubblica accusa), ancora non siano andati incontro al fenomeno estintivo per il decorso del tempo.

 

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Da quanto detto dianzi deriva, inoltre, l’inammissibilita’ del settimo motivo di ricorso, riferito alla violazione del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata recidiva specifica e reiterata, in forza del disposto dell’articolo 69 c.p., comma 4, che ha trovato corretta applicazione, da parte di entrambi i giudici di merito, nel caso de quo.
Infine, l’ottavo motivo – relativo per quanto ora esaminato alla determinazione delle pene accessorie – esso, tenendo in disparte, per il momento la questione avente ad oggetto la confisca, e’ inammissibile per genericita’.
La difesa non si confronta con la motivazione della sentenza della Corte d’appello, la quale ha legittimamente ritenuto di confermare, peraltro solo in parte, le pene accessorie nella specie e nella misura stabilite dal Tribunale, pur a fronte della riforma del trattamento sanzionatorio principale a seguito della dichiarazione di prescrizione di alcuni reati, alla luce della gravita’ degli episodi contestati al ricorrente.
Passando, a questo punto ad esaminare il ricorso di (OMISSIS), si rileva che lo stesso e’ invece, fondato quanto al secondo motivo di impugnazione, con il quale, in sostanza, il ricorrente lamenta il fatto che, in occasione della disposta confisca, i giudici del merito abbiano attribuito la qualificazione indiscriminata di profitto del reato contestato, all’intero importo finanziario in titolo rappresentativi ed oggetto di sequestro preventivo, ridondando, peraltro, gli effetti di tale fondatezza anche in favore della posizione del (OMISSIS), in forza delle ragioni che saranno in conclusione esaminate.
Occorre, infatti, preliminarmente soffermarsi sulla struttura della fattispecie delittuosa prevista e punita dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8: le operazioni di emissione di fatture per operazioni inesistenti vedono di regola coinvolti due soggetti, cioe’ una societa’ che emette le fatture – punita ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, – e una societa’ che utilizza le fatture punita ai sensi del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, – portandole in detrazione, inserendole nella sua contabilita’ come se fossero operazioni passive esistenti, comportando tale “sistema”, vuoi attraverso il meccanismo della detrazione, proprio delle imposte dirette, vuoi attraverso il meccanismo della compensazione, proprio dell’IVA, un risparmio di imposta.
Il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 9, prevede che “in deroga all’articolo 110 c.p.: a) l’emittente di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non e’ punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 2; b) chi si avvale di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non e’ punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 8”.
Deve, a questo punto, considerarsi che, mentre l’utilizzatore consegue un profitto pari all’indebito risparmio di imposta risultante dall’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti, l’emittente consegue, abitualmente, un utile dalla commissione del reato, da qualificare dogmaticamente quale “prezzo del reato”, da tenersi distinto dal ricordato profitto conseguito dall’utilizzatore, pari al compenso versatogli da questo per l’emissione delle fatture; si tratta di regola di un importo inferiore, anche in maniera macroscopica, al profitto realizzato dell’utilizzatore.
Non potendosi configurare il concorso, come sopra precisato, non appare conforme al diritto prevedere per l’emittente un sequestro preventivo e una successiva confisca per un importo finanziario avente un valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture.
Nei suoi confronti, il sequestro potra’ essere disposto solo ed esclusivamente per il compenso (id est: il prezzo del reato) da lui conseguito (per altro non in termini di necessarieta’ ai fini della integrazione del reato, trattandosi di delitto di pericolo e non di danno).
In tal senso, giova tener presente il principio di diritto secondo cui, in materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non puo’ essere disposto sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, poiche’ il regime derogatorio previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 9, escludendo la configurabilita’ del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo. (In motivazione, la Suprema Corte ha chiarito che il vincolo nei confronti dell’emittente puo’ essere imposto in relazione al solo prezzo del delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, da individuare – in sede di sequestro – con riferimento a qualsiasi utilita’ economica valutabile ed immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato) (Sez. 3, n. 43952 del 05/05/2016, Rv. 267925; Sez. 3, n. 15458 del 04/02/2016, Rv. 266832; Sez. 3, n. 42641 del 26/09/2013, Rv. 257419).
Inoltre, in tema di reati tributari, la confisca per equivalente del profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, astrattamente consentita dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, non puo’ essere disposta qualora dalla commissione della condotta non sia derivato un effettivo risparmio di imposta ne’ per l’emittente, ne’ per il destinatario dei documenti fittizi (Sez. 3, n. 48104 del 06/11/2013, Rv. 258052).
Nell’ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, non si e’ necessariamente in presenza di un fatto di evasione in relazione al quale puo’ ritenersi realizzato, automaticamente, un risparmio, in quanto questo, ad onta dell’avvenuto perfezionamento del relativo reato, non si verifica mai in capo al soggetto autore del reato e potrebbe non sussistere neppure in riferimento al contribuente, laddove quest’ultimo non ponga in essere la specifica condotta di risparmio di imposta comportante l’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti.

 

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Da cio’ consegue che, ai fini della legittima adozione di un sequestro preventivo e della successiva sua conversione in confisca deve, in fatto e senza automatismi, accertarsi per l’emittente delle fatture il conseguimento di un utile dalla commissione del reato (condizione, si ribadisce, non invece, necessaria ai fini della integrazione del reato e, pertanto, della pronunzia di una sentenza di condanna), che non puo’ ritenersi pari a quello dell’utilizzatore, e neanche pari all’importo delle fatture emesse, per la sopra vista assenza di concorso reciproco (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 9).
Nel caso di specie, tanto la sentenza del Tribunale quanto la sentenza della Corte d’appello fanno, in maniera indistintamente generica, riferimento ai concetti – che, come si e’ segnalato, richiamano oggetti fra loro ontologicamente (e sotto il profilo del loro trattamento normativo) distinti – di profitto e prezzo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, senza tuttavia specificare gli elementi in base sarebbe stato possibile individuare nella somma oggetto di sequestro e poi di confisca il prezzo conseguito dall’emittente (anzi nel caso dagli emittenti) le fatture medesime.
Pertanto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso formulato da (OMISSIS), la sentenza impugnata deve essere annullata nella parte in cui in essa e’ stata confermata la confisca disposta nei confronti dell’imputato.
Alla luce dei rilievi suesposti, di carattere preliminare, devono ritenersi conseguentemente assorbiti gli ulteriori profili di ricorso dedotti da (OMISSIS) e riferiti alla erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, relativamente a pretese tributarie venute meno a seguito di annullamento, da parte della Commissione tributaria provinciale, degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dell’imputato ed alla limitazione del sequestro diretto alle sole somme di danaro.
Deve, peraltro, osservarsi che, anche con riferimento alla posizione del (OMISSIS), devono ribadirsi le considerazioni svolte relativamente al ricorso di (OMISSIS), operando in questo caso l’effetto estensivo dell’impugnazione.
La confisca, pertanto, deve essere annullata anche nei confronti di (OMISSIS), non avendo i giudici di merito correttamente specificato gli elementi in base ai quali individuare l’utilita’ conseguita dall’emittente le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Deve, infatti, ricordarsi che, ai fini dell’operativita’ dell’istituto dell’estensione dell’impugnazione, di cui all’articolo 587 c.p.p., deve considerarsi non ricorrente anche il coimputato presente nel giudizio di cassazione che non abbia impugnato il punto della decisione annullata dalla suprema Corte in accoglimento di motivi non esclusivamente personali proposti da altro imputato, valendo tale principio anche con riferimento all’avvenuta confisca, laddove questa sia fondata sulle medesime ragioni sia nei confronti dell’imputato che abbia impugnato la relativa statuizione sia nei confronti di altro coimputato (in tale senso, infatti: Sez. 2, n. 4159 del 12/11/2019 – dep. 2020, Rv. 278226; Sez. 6, n. 1940 del 03/12/2015 – dep. 2016, Rv. 266686).

 

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In forza delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla disposta confisca, con riferimento ad entrambi i ricorrenti, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte d’appello di Trento.
Il solo parziale effetto demolitorio della presente sentenza fa si’ che il provvedimento impugnato, per quanto attiene alla affermazione della penale responsabilita’ del Grusso e alla determinazione della pena a lui inflitta, sia, a questo punto, divenuto, relativamente a detti punti, definitivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla disposta confisca, con riferimento ad entrambi i ricorrenti, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte d’appello di Trento.
Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS).
Dichiara irrevocabile la parte di sentenza relativa all’affermazione della responsabilita’ penale di (OMISSIS).

 

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