Interessi ultralegali pattuiti per iscritto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 giugno 2022| n. 19298.

Interessi ultralegali pattuiti per iscritto

Nei contratti bancari conclusi prima dell’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992, il requisito della forma scritta richiesto dall’art. 1284 c.c. ai fini della valida pattuizione di interessi superiori rispetto alla misura legale, deve essere inteso in senso strutturale e non funzionale; pertanto, la sua violazione determina l’ordinaria forma di nullità assoluta, con conseguente necessità, ai fini della validità del patto, della sottoscrizione di entrambe le parti, sia pure con atti distinti, purché inscindibilmente connessi, senza poter integrare tale presupposto formale attraverso il c.d. contratto “monofirma”. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che un contratto bancario concluso nel 1991 e sottoscritto dal solo correntista fosse inidoneo ad integrare la forma scritta richiesta dall’art. 1284, comma 3, c.c., al fine di pattuire validamente interessi “ultralegali”, in quanto stipulato prima dell’entrata in vigore delle norme relative alle c.d. nullità di protezione).

Ordinanza|15 giugno 2022| n. 19298. Interessi ultralegali pattuiti per iscritto

Data udienza 5 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave Banca – Rideterminazione del saldo del rapporto di conto corrente e conto anticipi – Contratti 1991 – Interessi ultralegali pattuiti per iscritto – Forma scritta ad substantiam ex art. 1284 cc

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26797/2017 proposto da:
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., (derivante dalla fusione tra (OMISSIS) soc.c.oop. e (OMISSIS) soc. coop. a r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta procura in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1532/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 05/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/04/2022 dalla Cons. Dott. Paola Vella.

FATTI DI CAUSA

1. – Per quanto rileva ancora in questa sede, con atto di citazione notificato il 26/09/2007 la societa’ (OMISSIS) s.r.l. (poi (OMISSIS) s.r.l.) convenne in giudizio la (OMISSIS) s.p.a. per la rideterminazione del saldo del rapporto di conto corrente di corrispondenza n. (OMISSIS) e del conto anticipi n. (OMISSIS) (poi rinumerato come (OMISSIS)), entrambi ancora in essere, con condanna alla restituzione delle somme risultanti a credito, previo accertamento della nullita’ delle operazioni di addebito per interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, commissioni di massimo scoperto, spese e remunerazioni non pattuite, oltre al risarcimento del maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2.
1.1. – La banca convenuta si costitui’ in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea e l’accoglimento della domanda riconvenzionale di condanna della societa’ attrice e dei fideiussori terzi chiamati in causa (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), al pagamento del saldo debitore del conto corrente n. (OMISSIS) nonche’ di fatture anticipate, scadute e non pagate.
1.2. – Alla prima udienza la societa’ attrice eccepi’ che le schede negoziali depositate dalla banca, in quanto prive della sua sottoscrizione, erano inidonee a provare l’esistenza di un valido patto circa la misura ultralegale degli interessi a debito del in ragione della revoca del consenso espressa dall’attrice rispetto alle proposte documentate dalle schede medesime.
1.3. – Con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, l’attrice dedusse che, per ragioni identiche, anche le schede negoziali datate 29 luglio 2005 offerte in comunicazione dalla banca, relative al conto corrente n. (OMISSIS), erano inidonee a “dimostrare l’esistenza di valido contratto bancario e/o di valido disciplinare economico”.
1.4. – Intervenuto il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione e proseguito il giudizio su istanza del curatore fallimentare, venne espletata c.t.u. e disposta la riunione con il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da (OMISSIS).
1.5. – Con sentenza n. 354 del 2012 il Tribunale di Napoli ritenne, tra l’altro, che i contratti di conto corrente, essendo sorti nel 1991, non fossero soggetti a forma scritta a pena di nullita’, ma che la pattuizione di interessi ultralegali difettasse della forma scritta ex articolo 1284 c.c., comma 3, in quanto le schede negoziali del 1991 e del 2005 recavano solo la sottoscrizione del correntista (dal momento che il “segno grafico illeggibile” apposto nel riquadro del modulo contrattuale destinato al “visto” di identificazione del cliente non era idoneo ad esprimere la manifestazione di volonta’ della banca), senza che la loro produzione in giudizio da parte della banca potesse costituire un valido equipollente, sia perche’ effettuata da un soggetto ( (OMISSIS) s.p.a.) diverso da quello cui era stata originariamente indirizzata la proposta ( (OMISSIS) Societa’ cooperativa per azioni a r.l.), sia perche’ la societa’ attrice aveva preventivamente revocato il proprio consenso, cosi’ impedendo il perfezionamento del contratto, sia pure con effetti ex nunc.
Pertanto, ridotti gli interessi al tasso legale, depurato il saldo dagli effetti della capitalizzazione trimestrale degli interessi (per la nullita’ della convenzione anatocistica), escluse commissioni di massimo scoperto e spese ed applicato il criterio della valuta effettiva, all’esito di apposita c.t.u. il Tribunale condanno’ la Banca a restituire al Fallimento la “somma di Euro 408.358,07, oltre interessi al tasso legale sulla somma stessa dal 26.9.2007, nonche’ all’eventuale differenza, a decorrere dal 26.9.2007, tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a 12 mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’articolo 1284 c.c.”, a titolo di maggior danno ex articolo 1224 c.c..
1.6. – Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli ha accolto parzialmente l’impugnazione della decisione di primo grado proposta dal (OMISSIS) soc. coop. (incorporante per fusione la (OMISSIS) s.p.a.), limitatamente ai motivi di appello secondo e terzo (con assorbimento del quarto, sull’equipollenza tra sottoscrizione del contratto e suo deposito in giudizio), con i quali l’appellante aveva dedotto: i) che la procura conferita al difensore della societa’ attrice non conferiva i poteri necessari alla manifestazione della revoca del consenso, la quale era percio’ inefficace; ii) che la dichiarazione sottoscritta dal cliente non costituiva in realta’ la proposta contrattuale, bensi’ la sua accettazione; iii) che il contratto constava di due esemplari e che nell’esemplare del contratto prodotto dalla banca, sottoscritto dal cliente, questi dichiarava “che l’altro esemplare gli era stato dato, debitamente sottoscritto dai soggetti abilitati a rappresentare la banca”, sicche’ in simili casi “il contratto si perfeziona nel momento in cui il contraente, che ha gia’ consegnato all’altra parte la copia da lui sottoscritta, riceve da questa l’altra copia sottoscritta”.
La Corte territoriale, pur discostandosi dichiaratamente dall’orientamento per cui il contratto non sottoscritto da una parte si perfeziona ex nunc con la sua produzione in giudizio ad opera della parte medesima, ha ritenuto che comunque “i contratti prodotti dalla Banca e recanti la sottoscrizione del solo cliente sono validi ed efficaci”, perche’ “la sottoscrizione, in quanto tale, non e’ un elemento naturale della scrittura privata”, tanto che “possono esistere comportamenti concludenti idonei a tener luogo della sottoscrizione, necessita’ di un testo contrattuale scritto” (come ad esempio “l’avvenuta e reiterata esecuzione del contratto unita alla sua mancata contestazione ed al suo mancato disconoscimento”) e che “quella prospettata per la violazione della forma scritta nei contratti bancari e’ una nullita’ di protezione” (…) rivolta a tutelare la parte che possa avere pregiudizio da una mancanza di adeguata valutazione e ponderazione di un testo contrattuale”, sicche’ “il cliente che ha sottoscritto il contratto (…) non puo’ dolersi del fatto che non l’abbia sottoscritto la banca, che non deve essere protetta”, tanto piu’ che si tratta di contratto predisposto dalla stessa banca “su propri moduli e formulari”, cui la banca medesima “ha dato, pacificamente, attuazione, anche con documenti scritti”, addirittura producendolo “a riprova delle pattuizioni intercorse con la controparte”.
Una volta affermata la “validita’ dei contratti di c.c.”, la Corte d’appello ha quindi adottato il conteggio del c.t.u. che considerava i tassi di interesse a credito della banca nella misura contrattuale, condannando la stessa al pagamento della minor “somma di Euro 186.603,81, oltre interessi legali dalla chiusura del conto al saldo”.
1.7. – Avverso detta decisione il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi, illustrato da memoria, cui il (OMISSIS) s.p.a. (derivante dalla fusione tra il (OMISSIS) soc. coop. e la (OMISSIS) soc. coop. a r.l.) ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. – Preliminarmente va disattesa la censura di inammissibilita’ del ricorso “per la violazione del requisito della esposizione sommaria di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 6”, sollevata dalla banca controricorrente in ragione della stigmatizzata voluminosita’ del ricorso, contenente la minuziosa elencazione dei fatti di causa e la trascrizione integrale degli atti di entrambe le parti.
2.1. – In effetti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, ai fini del requisito di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione, nel ricorso per cassazione, “dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali e’, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si e’ articolata; per altro verso, e’ inidonea a soddisfare la necessita’ della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso” (Cass. Sez. U., 5698/2012; conf. Cass. 593/2013, 10244/2013).
2.2. – Successivamente, pero’, lo stesso organo nomofilattico ha precisato che “non viola il principio di autosufficienza, avuto riguardo alla complessita’ della controversia, il ricorso per cassazione confezionato mediante inserimento di copie fotostatiche scannerizzate di atti relativi al giudizio di merito, qualora la riproduzione integrale di essi sia preceduta da una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta” (Cass. Sez. U., 4324/2014; conf. Cass. 19562/2018). Se dunque il ricorso per cassazione “assemblato” mediante l’integrale riproduzione di atti documenti viola la prescrizione di una sommaria esposizione dei fatti, ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la sanzione dell’inammissibilita’ non puo’ essere applicata qualora, una volta espunti – in quanto facilmente individuabili ed isolabili – gli atti o documenti integralmente riprodotti in ricorso, l’atto processuale, ricondotto al canone di sinteticita’, rispetti il principio di autosufficienza (Cass. 8245/2018).
2.3. – Tale approdo e’ in linea con la giurisprudenza della Corte Edu in tema di compatibilita’ delle “limitazioni del diritto di accesso a una giurisdizione superiore” con il principio di cui all’articolo 6, p. 1, della CEDU, a norma del quale “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale” (Corte Edu, 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia; 27 giugno 2017, Sturm c. Lussemburgo; 18 ottobre 2016, Miessen c. Belgio; 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia; 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia). In particolare, con la recente sentenza del 28 ottobre 2021 (Succi ed altri c. Italia) la Corte Edu ha ribadito che le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione – e in particolare l’applicazione del principio di autosufficienza – perseguono uno scopo legittimo (quello di “agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso” e cosi’ permettere alla Corte di Cassazione di garantire “la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia”), purche’ sia rispettato il principio di “proporzionalita’” e che sia evitata “un’interpretazione troppo formalistica”, tale da impedire “l’esame del ricorso per cassazione dell’interessato” (par. 105 e s.).
2.4. – Di qui l’ulteriore e recente chiosa del massimo organo nomofilattico per cui “il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), quale corollario del requisito di specificita’ dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, cosi’ da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa” (Cass. Sez. U., 8950/2022).
2.5. – Nel caso di specie, l’integrale riproduzione degli atti di parte, pur appesantendo inevitabilmente l’esame del ricorso, si inserisce in un tessuto connettivo di sintesi che consente comunque di focalizzare le questioni controverse, rendendo il ricorso ammissibile nonostante l’esposizione dei fatti di causa non sia propriamente “sommaria”, come richiesto dall’articolo 366 c.p.c., n. 3).
Puo’ dunque passarsi all’esame dei motivi.
3. – Con il primo motivo, rubricato violazione e/o falsa applicazione degli articoli 99, 112, 342, 346 c.p.c., articolo 329 c.p.c., comma 2 e articolo 2909 c.c., il ricorrente lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonche’ del giudicato interno, avuto riguardo alla “decisione della Corte distrettuale di riformare la sentenza di primo grado sulla scorta di un aspetto non censurato da parte appellante, ovvero sulla considerazione – contraria al principio di diritto affermato nella sentenza di primo grado – secondo cui la forma scritta richiesta quoad substantiam prescinde dalla sottoscrizione delle parti del contratto”.
3.1. – Il motivo e’ infondato.
3.2. – Dagli atti trascritti in ricorso risulta che, a fronte dell’affermazione del Tribunale per cui “la produzione in esame non consente di ritenere assolto l’onere della pattuizione per iscritto dei tassi di interesse debitori in quanto (..) i citati documenti recano in calce la sottoscrizione della sola correntista (..) e non anche della banca” (contenuta nel foglio 11 della decisione, riportato a pag. 28-29 e a pag. 58 del ricorso), il terzo motivo dell’atto di appello censurava espressamente tale “convincimento del giudice di primo grado” osservando, tra l’altro, che in ambito bancario “il contratto non e’ quasi mai redatto in un unico documento ma e’ la risultante di una proposta e di una accettazione”, e quindi, “se la banca produce l’esemplare del contratto in suo possesso sottoscritto dal solo cliente ma in detto esemplare il contraente dichiara che l’altro esemplare gli e’ stato dato debitamente sottoscritto dai soggetti abilitati a rappresentare la banca, dovrebbe ritenersi che tale documento sia sufficiente a conferire la certezza che tra le parti sia stato concluso un contratto scritto”.
3.3. – E’ dunque evidente che il tema della validita’ del contratto bancario sottoscritto dal solo correntista sia stato devoluto in sede di appello, con la conseguenza che sul punto non si e’ formato alcun giudicato interno e che non e’ stato violato il principio tantum devolutum quantum appellatum.
3.4. – Valga, al riguardo, l’insegnamento nomofilattico per cui “la formazione della cosa giudicata, per mancata impugnazione su un determinato capo della sentenza investita dall’impugnazione, puo’ verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame, perche’ fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non puo’ verificarsi sulle affermazioni contenute nella mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest’ultima sia oggetto del gravame” (Cass., Sez. U., 8521/2007).
4. – Con il secondo mezzo, rubricato violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1350, 2702 c.c., articolo 2729 c.c., comma 2, articolo 2725 c.c., articolo 1284 c.c., comma 3, articolo 1327 c.c., articolo 11 preleggi e Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 117, si impugna la sentenza d’appello “nella parte in cui stabilisce che i patti tratti a giudizio relativi agli interessi ultralegali non necessitavano ai fini della propria validita’ della sottoscrizione della banca, quantunque soggetti a forma scritta”, senza considerare, tra l’altro: che tra gli atti che devono farsi ex lege per atto pubblico o per scrittura privata (articolo 1350 c.c.) rientrano anche le convenzioni di interessi superiori al tasso legale, ex articolo 1284 c.c., comma 3; che la sottoscrizione e’ indispensabile all’esistenza della scrittura privata; che la teoria della “formazione giudiziale” del contratto e’ opinabile e molto criticata in dottrina; che l’articolo 117 T.U.B., e’ entrato in vigore il 1 gennaio 1994 e non riguarda rapporti anteriori, come quello in esame, risalente al 1991, la cui validita’ andava valutata solo sulla scorta dell’articolo 1284 c.c., comma 3; che non e’ condivisibile la distinzione tra “forma di struttura” e “forma di funzione”; che “la concorrenza tra rimedi in relazione a regimi diversificati di forma scritta e di nullita’ (assoluta per i patti relativi agli interessi ultralegali; relativa per i contratti bancari) giammai puo’ risolversi in detrimento degli interessi generali presidiati dall’articolo 1284 c.c.”, poiche’, come deciso mutatis mutandis da Cass. n. 25631/2017, “la disciplina codicistica – piu’ rigorosa – prevale sulla disciplina speciale delle nullita’ protettive”.
In sintesi, il ricorrente chiede darsi continuita’ da questa Corte (Cass. 6559/2017, 36/2017, 10711/2017, 8395/2016, 7068/2016, 5919/2016) in base ai quali: la sottoscrizione di entrambi i contraenti e’ indispensabile quale naturale derivato della bilateralita’ dei contratti bancari, nonche’ dei patti relativi agli interessi ultralegali; l’esistenza di un contratto per il quale e’ richiesta la forma scritta quoad substantiam non puo’ essere provata per testimoni, presunzioni, giuramento o confessione; l’esecuzione del rapporto di conto corrente non vale a perfezionare il contratto; il difetto di sottoscrizione non puo’ essere supplito ex tunc dalla produzione in giudizio della scheda negoziale, poiche’ il relativo perfezionamento puo’ verificare solo ex nunc, con conseguente nullita’ insanabile del patto in questione.
4.1. – Il motivo e’ parzialmente fondato, poiche’ la decisione della Corte territoriale fa leva su un assunto – e cioe’ che “la violazione della forma scritta nei contratti bancari e’ una nullita’ di protezione” – il quale, alla luce dei sopravvenuti approdi nomofilattici in tema di contratti bancari e di intermediazione finanziaria disciplinati dalle norme che presidiano il cd. mercato dei contratti asimmetrici, puo’ valere solo per il “patto sugli interessi ultralegali contenuto nella scrittura monofirma del 29/7/2005” (richiamato a pag. 3 della memoria di parte ricorrente), ma non anche per i due contratti di conto corrente risalenti al 1991.
4.2. – Invero, prima dell’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154, sulla trasparenza bancaria, il cui articolo 3 imponeva per i contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari la forma scritta (prevedendo altresi’, al comma 3, che i contratti “devono indicare il tasso di interesse” e che le clausole “di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte”), non era previsto un onere di forma scritta ne’ “ad probationem” ne’ “ad substantiam” (Cass. 9896/2019) la cui violazione potesse configurare una “nullita’ di protezione”, come quella ora contemplata in favore solo del cliente dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 117, commi 1 e 3 (t.u.b.) e rilevabile d’ufficio dal giudice a norma del successivo articolo 127, comma 2 (Cass. 22385/2019).
Ed e’ indubbio che sia la L. n. 154 del 1992, sia le analoghe disposizioni attualmente contemplate dall’articolo 117 t.u.b. non siano retroattive (Cass. 9896/2019, 23472/2020), tanto che l’articolo 161, comma 6, t.u.b. stabilisce espressamente che i contratti gia’ conclusi alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 385 del 1993 (1 gennaio 2014) sono regolati dalle norme anteriori.
4.3. – Ebbene, nel 1991, all’epoca di stipulazione dei due contratti di conto corrente per cui e’ causa, era vigente la regola generale stabilita dall’articolo 1284 c.c., comma 3, per cui “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”, regola gia’ allora pacificamente interpretata nel senso che per la pattuizione di interessi superiori alla misura legale la forma scritta e’ richiesta ad substantiam e che la sua mancanza e’ causa di nullita’ assoluta del patto, rilevabile dal giudice ex officio (Cass. 6554/1980; conf. Cass. 9080/2002, 15643/2003, 266/2006).
4.4. – Con particolare riguardo al contratto di conto corrente bancario, si affermava di conseguenza che, pur trattandosi all’epoca, come detto, di contratto a forma libera (per quanto spesso caratterizzato, nella prassi, dalla sottoscrizione da parte del correntista di un modulo predisposto dalla banca e riproducente le norme bancarie uniformi dettate dall’Abi), la pattuizione di interessi ultralegali potesse avvenire soltanto mediante un atto sottoscritto – o al piu’ separatamente accettato per iscritto – da entrambe le parti, senza che l’approvazione (ancorche’ ripetuta) da parte del correntista di estratti conto nei quali fossero conteggiati interessi superiori al tasso legale vi potesse supplire alla mancanza dello scritto, poiche’ una simile approvazione, “non essendo espressione diretta di un tale accordo, non documentava la stipulazione del patto, e, pur potendo valere, per la sua natura “lato sensu” confessoria, come dichiarazione ricognitiva di una manifestazione negoziale precedente, non poteva essere utilizzata quale elemento presuntivo dell’esistenza di un patto stipulato nell’osservanza dei requisiti formali richiesti “ad substantiam”” (Cass. 11020/1993; conf. Cass. 4617/1990, 8335/1987).
4.5. – Nel tempo si e’ consolidato l’orientamento per cui, “ai sensi dell’articolo 1284 c.c., comma 3, la costituzione dell’obbligo di pagare interessi in misura superiore a quella legale richiede la forma scritta “ad substantiam”, sicche’, nel caso di mancata sottoscrizione del relativo patto da parte di entrambi i contraenti, non puo’ ritenersi che un accordo siffatto si sia concluso “per facta concludentia””, modalita’ inammissibile in ipotesi “di forma imposta a pena di nullita’ del negozio (solo per la parte corrispondente alla differenza tra il tasso legale e quello convenuto) in considerazione della natura imperativa della norma che lo contempla” (Cass. 3017/2014; conf. Cass. 17679/2009, 23971/2010, 4564/2012, 10516/2016).
4.6. – Di conseguenza, a fronte di dichiarazioni scritte unilaterali, per lo piu’ costituite da ricognizioni di debito ex post da parte del debitore, se ne e’ predicata l’inidoneita’ alla valida costituzione dell’obbligo di pagare interessi ultralegali, poiche’ la forma scritta ad substantiam prescritta dall’articolo 1284 c.c., u.c., richiede una scrittura costitutiva (non gia’ meramente dichiarativa) del rapporto obbligatorio, la cui mancanza comporta inevitabilmente la nullita’ della relativa clausola, con automatica sostituzione della misura convenzionale con quella legale (Cass. 50/1962, 439/1975, 2690/1987, 280/1997, 15643/2003, 266/2006; in senso parzialmente difforme v. Cass. 11757/1991, che, pur ribadendo in astratto il principio, ha tuttavia ritenuto idonea, in concreto, una scrittura “utilizzata ed accettata “ex adverso” ai fini del perfezionamento dell’accordo”, confermando la decisione di merito che aveva individuato una valida convenzione di interessi moratori ultralegali nella dichiarazione contenuta in apposita deliberazione di una azienda autonoma, successivamente integrata dalla quietanza rilasciata dal creditore).
4.7. – In ogni caso, ai fini del rispetto del tradizionale requisito della forma scritta ad substantiam non e’ mai stata messa in discussione – e va qui ribadita – la necessita’ della sottoscrizione dell’accordo ad opera di entrambe le parti, pur ammettendosi che essa possa avvenire non solo contestualmente, ma anche separatamente, mediante distinte scritture, entrambe sottoscritte e inscindibilmente collegate, tali da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, secondo lo schema della formazione del contratto tra assenti (Cass. 25631/2017; conf., da ultimo, Cass. Sez. U., 9775/2022, in tema di stipulazione dei contratti della P.A.).
Tale orientamento ha sicuramente tenuto conto della prassi del settore bancario (Cass. 6559/2017, 5919/2016), che registra di frequente la sottoscrizione del contratto da parte del cliente, il suo deposito presso la banca e la consegna al cliente di un altro documento, identico al primo, a firma dell’istituto di credito, di modo che allo scambio documentale segue la disponibilita’, in capo a ciascuna parte, dell’originale sottoscritto dall’altra.
Si tratta invero di una prassi che sconta fenomenologicamente il rischio di un cliente “scorretto”, il quale non produca in giudizio l’esemplare in suo possesso per negare che esso sia mai stato firmato, tanto da potersi qui apprezzare, come e’ stato osservato, la differenza “sociologica” con la nullita’ della tradizione codicistica, tipica dei contratti aventi ad oggetto beni immobili, di cui all’articolo 1350 c.c. (Cass. 10447/2017).
Cio’ nonostante, si e’ tenuta ferma anche l’ulteriore conseguenza dell’impossibilita’, per il contraente privo del possesso della scrittura (in quanto consegnata all’altro contraente e da questi non esibita), di provare per testimoni l’esistenza del rapporto, non vertendosi in ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell’articolo 2724 c.c., n. 3, bensi’ di impossibilita’ di procurarsi la prova del contratto, ai sensi del n. 2 del medesimo articolo (Cass. 5919/2016).
4.8. – Il riferito percorso ermeneutico si era poi arricchito del principio secondo il quale la produzione in giudizio del contratto da parte del contraente non firmatario realizza un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purche’ la parte che lo ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso, ovvero sia deceduta (Cass. 4564/2012); orientamento pero’ successivamente circoscritto, e cosi’ depotenziato, dalle successive pronunzie che hanno chiarito come il relativo perfezionamento avverrebbe pur sempre ex nunc, lasciando percio’ ferma la nullita’ dei patti privi di forma scritta ad substantiam, non dandosi convalida del contratto nullo, ai sensi dell’articolo 1423 c.c. (ex multis Cass. 5919/2016, 8395/2016).
Al riguardo, la successiva ordinanza interlocutoria n. 10447 del 2017, nel prendere le distanze dal suddetto orientamento, ha sottolineato la specialita’ tanto della “nullita’ di protezione” (azionabile solo dal contraente a cui favore e’ dettata, con conseguente possibilita’ di una sanatoria “di fatto” del negozio) quanto della cd. “forma di protezione” (in quel caso prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23), rispetto alla forma prescritta dall’articolo 1350 c.c., per i contratti immobiliari ad equilibrio simmetrico.
E cio’ sulla scia della dottrina che ha convincentemente distinto le varie prescrizioni, nell’ambito della piu’ generale teorica della forma, osservando in particolare che “la forma ad substantiam, nella sua solennita’ propria degli scambi immobiliari tipici dell’economia fondiaria, funge, nell’ambito dei rapporti paritari, da criterio d’imputazione della dichiarazione, oltre che servire a favorire – a tutela di entrambi contraenti – i “beni” della chiarezza nei contenuti, della ponderazione per l’impegno assunto e della serieta’ dell’accordo, nonche’ a distinguere le mere trattative dall’atto definitivo”, a differenza della formalita’ “di protezione” (detta anche “forma informativa”), introdotta al fine precipuo di proteggere lo specifico interesse del contraente “debole” a comprendere ed essere puntualmente e compiutamente informato su tutti gli aspetti della vicenda contrattuale (Cass. 10447/2017).
4.9. – Puo’ quindi concludersi che, prima dell’entrata in vigore delle norme sulla “nullita’ di protezione”, dettate a presidio del cd. mercato dei contratti asimmetrici, in caso di violazione della forma scritta nei contratti bancari, la pattuizione di interessi ultralegali era soggetta al requisito stringente della forma scritta ad substantiam imposto dall’articolo 1284 c.c., la cui violazione comportava l’ordinaria forma di nullita’ assoluta, con conseguente necessita’, ai fini della validita’ del patto, della sottoscrizione di entrambe le parti, sia pure con atti distinti, purche’ inscindibilmente connessi, e senza dunque possibilita’ di ritenere assolto il requisito per il tramite di contratti cd. “monofirma”, secondo il nuovo approccio ermeneutico inaugurato nel 2018 dal massimo organo nomofilattico di questa Corte.
5. – Invero, con riguardo ai contratti di intermediazione finanziaria, le note sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte nn. 898, 1200, 1201 e 1653 del 2018, hanno affermato l’innovativo principio per cui “in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullita’ (azionabile dal solo cliente) dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalita’ di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicche’ tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed e’ sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben puo’ desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.
5.1. – In epoca coeva il suddetto principio e’ stato esteso ai contratti bancari, nel senso che “la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullita’ per difetto della forma scritta prevista dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 117, comma 3, trattandosi di un requisito che va inteso non in senso strutturale, ma funzionale”, in quanto posto a garanzia della piu’ ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, con la conseguenza che “e’ sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti” (Cass. 14646/2018, 16070/2018).
5.2. – Sempre con riguardo ai contratti bancari, e’ stato altresi’ precisato (in linea con la ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata) che essi “non esigono ai fini della valida stipula del contratto la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della
banca, il cui consenso si puo’ desumere alla stregua di atti comportamenti alla stessa riconducibili, sicche’ la conclusione del negozio non deve necessariamente farsi risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa, potendo la certezza della data desumersi da uno dei fatti espressamente previsti dall’articolo 2704 c.c., o da altro fatto che il giudice reputi significativo a tale fine, nulla impedendo che il negozio venga validamente ad esistenza prima della produzione in giudizio della relativa scrittura ed indipendentemente da tale evenienza” (Cass. 14243/2018).
5.3. – In memoria il ricorrente, pur dando atto del “nutritissimo filone giurisprudenziale che ha ricevuto l’imprimatur delle Sezioni Unite”, e pur convenendo che “il neoformalismo della legislazione di settore (T.u.i.f. e T.u.b.) possa essere qualcosa di diverso dal formalismo classico da impostazione codicistica”, pretende che anche per “la scrittura monofirma del 29/7/2005, quantunque successiva all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992 e del T.u.b.”, il patto sugli interessi ultralegali necessiti, quoad validitatem, della sottoscrizione della Banca, assumendo che “le ragioni ultraindividuali sottese alla prescrizione di forma contenuta nell’articolo 1284 c.c.” andrebbero soddisfatte anche quando detto patto sia inserito in un contratto bancario, poiche’ la legge sulla trasparenza bancaria e il testo unico bancario non avrebbero “inteso derogare l’assetto disegnato dall’articolo 1284 c.c.”.
5.4. – Il Collegio ritiene che tale assunto non sia condivisibile, poiche’, nel vigore della piu’ volte richiamata normativa che ha introdotto la forma e la nullita’ “di protezione” nei contratti bancari, la vicenda contrattuale non puo’ che essere declinata secondo l’approdo ermeneutico delle Sezioni Unite del 2018 sopra citate, in base alla quale, come visto, la nullita’ per difetto di forma del cd. contratto monofirma si giustifica quale nullita’ “di funzione” e non “di struttura”, in quanto fondata sull’esigenza di tutela dell’interesse del cliente – come presidio volto ad assicurare la piena indicazione al cliente degli specifici servizi forniti – e rappresenta una manifestazione di quel che e’ stato definito come “neo formalismo” o “formalismo negoziale”, da intendersi secondo la funzione sua propria della norma, e non attraverso il richiamo alla disciplina generale sulla nullita’.
5.5. – Pertanto, una volta accertato per le schede negoziali del 2005 il rispetto del requisito della forma scritta, nei termini sopra divisati – e cioe’ a prescindere dalla mancata sottoscrizione da parte della banca del documento contrattuale da essa predisposto, essendo sufficiente che il contratto sia stato redatto per iscritto e ne sia stata consegnata una copia al cliente, che vi abbia apposto la propria sottoscrizione – sarebbe illogico e giuridicamente distonico ritenere che quello stesso requisito della forma scritta non riguardi, invece, una delle clausole di cui si compone il contratto medesimo, segnatamente quella in tema di interessi, in forza dell’identico onere di forma imposto dall’articolo 1284 c.c., dal momento che “la validita’ del contratto in relazione ai requisiti di forma scritta si estende evidentemente, in relazione al rispetto della forma suddetta, a tutte le clausole del contratto stesso, ivi compresa quella relativa agli interessi ultra legali” (Cass. 24591/2019).
5.6. – Del resto, lo stesso ricorrente ammette a pag. 68 del ricorso (sia pure in prospettiva speculare) che “anche la prescrizione di forma contenuta nell’articolo 117 T.U.B., al pari di ogni altra imposizione di forma ad substantiam, tende ad assicurare esigenze sopraindividuali di certezza, di trasparenza e di stabilita’”, quali quelle sottese alla regola generale posta dall’articolo 1284 c.c., per cui “non v’e’ ragione di praticare una distinzione tra oneri formali posti dal TUB e residui oneri formali posti dall’ordinamento”, confermando cosi’ quell’omogeneita’ di ratio che non consente soluzioni divergenti sulla validita’, quanto al rispetto della forma scritta, del contratto e della clausola in esso contenuta.
5.7. – Deve quindi concludersi che la decisione impugnata sia corretta, per le motivazioni sopra illustrate, solo con riguardo alla
pattuizione di interessi ultralegali contenuta nella scheda negoziale del 2005, con conseguente rigetto, in parte qua, del secondo motivo, invece da accogliere, come detto, con riguardo ai contratti di conto corrente risalenti al 1991.
6. – Il terzo motivo, rubricato violazione e/o falsa applicazione degli articoli 99, 112, 342, 346 c.p.c., articolo 329 c.p.c., comma 2 e articolo 2909 c.c., denunzia nuovamente la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, delle regole in punto di effetto devolutivo dell’appello nonche’ del giudicato interno, avuto riguardo alla statuizione con cui la Corte d’appello – in assenza di impugnazione sul punto – ha: i) riconosciuto sulla somma dovuta solo gli “interessi legali dalla chiusura del conto al saldo”, nonostante il tribunale avesse attribuito anche “l’eventuale differenza a decorrere dal 26.9.2007 tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a 12 mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’articolo 1284 c.c.”, cosi’ quantificando in via presuntiva il maggior danno ex articolo 1224 c.c., invocato dall’attore, secondo i principi stabiliti da Cass. Sez. U., 19499/2008 in tema di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta; ii) ha modificato l’originaria decorrenza degli accessori dalla data della domanda (26.9.2007) a quella, successiva, di chiusura del conto.
6.1. – La censura e’ fondata.
6.2. – La Corte d’appello, a pag. 2 della sentenza impugnata, ha genericamente sintetizzato la decisione di primo grado come condanna alla restituzione della “somma di Euro 408.358,07 oltre interessi” e, all’esito della decisione, l’ha parzialmente riformata come condanna al pagamento della “somma di Euro 186.603,81 oltre interessi legali dalla chiusura del conto al saldo”, senza nulla motivare al riguardo.
6.3. – In realta’, dagli atti di causa risulta che la statuizione del tribunale recava la condanna alla restituzione della somma di Euro 408.358,07 oltre non solo agli “interessi al tasso legale sulla somma stessa dal 26.9.2007”, ma anche “all’eventuale differenza, a decorrere dal 26.9.2007, tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a 12 mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’articolo 1284 c.c.” – a titolo di maggior danno ex articolo 1224 c.c. – e che con l’atto di appello (integralmente trascritto da pag. 30 a pag. 53 del ricorso) la Banca non aveva svolto alcuna contestazione in ordine agli accessori del credito attribuiti dal giudice di primo grado.
6.4. – Ne consegue che la corte territoriale, eliminando la componente del maggior danno ex articolo 1224 c.c., e modificando la data di decorrenza degli interessi – peraltro senza alcuna motivazione – ha violato il principio “tantum devolutum quantum appellatum”, che, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione, preclude al giudice del gravame di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione.
E’ pur vero che, nel giudizio d’appello, il giudice puo’ riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione; ma cio’ vale a condizione che tale indagine non travalichi il perimetro dell’impugnazione, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e purche’ si tratti di ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico (Cass. 9202/2018, 1377/2016, 8604/2006).
6.5. – Nel caso di specie, l’impugnazione della banca ha riguardato esclusivamente la somma capitale oggetto di ripetizione, senza investire minimamente la questione degli accessori e della loro decorrenza.
6.6. – Ne’ ricorrono i presupposti sottesi alla giurisprudenza invocata dalla controricorrente, in base alla quale “gli interessi compensativi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono una componente di quest’ultimo e, nascendo dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, devono ritenersi ricompresi nella domanda di risarcimento e possono essere liquidati d’ufficio”, sicche’ “l’impugnazione della decisione di primo grado si estende necessariamente anche al computo di quegli interessi, pur se non sia stato specificamente censurato il criterio adottato sul punto, con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di un puntuale rilievo sulla loro modalita’ di liquidazione prescelta dal giudice precedente, puo’ procedere ad una nuova quantificazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene piu’ appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore” (Cass. 4028/2017; conf. Cass. 12140/2016, 18564/2018, 39376/2021, tutte in tema di risarcimento del danno extracontrattuale).
Invero, quella stessa giurisprudenza ha cura di precisare che (solo) “gli interessi compensativi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono – a differenza degli interessi corrispettivi ex articolo 1282 c.c., e degli interessi moratori ex articolo 1224 c.c. – una componente del danno stesso che nasce dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitorio” (Cass. 4028/2017), con la conseguenza che il suddetto principio non puo’ estendersi alla componente del maggior danno ex articolo 1224 c.c., di cui si discute in questa sede.
7. – Il quarto mezzo propone gli stessi vizi denunziati con il terzo, per avere la Corte territoriale “riformato la decisione del giudice di prime cure in punto di commissione di massimo scoperto, spese e valute”, nonostante l’atto di appello non avesse criticato “le parti della sentenza di primo grado relative a commissioni di massimo scoperto, spese e valute”, trattando invece “degli addebiti per commissioni di massimo scoperto e spese, ma unicamente nel cono dell’articolo 346 c.p.c., riproponendo difese gia’ opposte in primo grado”.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il secondo motivo, nei sensi di cui in motivazione; accoglie il terzo motivo; rigetta il primo e il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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