Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|7 ottobre 2021| n. 36420.

Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità.

In tema di intercettazioni telefoniche, la verifica dei presupposti di legittimità va effettuata con riguardo alla qualificazione del reato per il quale, in concreto, si dispone di indizi idonei al momento dell’autorizzazione, sicchè, ove “ab origine” il reato astrattamente configurabile non era tra quelli contemplati dall’art. 266 cod. proc. pen., le intercettazioni sono inutilizzabili pur se formalmente disposte per un titolo di reato che le consentiva. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inutilizzabili le intercettazioni inizialmente disposte in relazione al reato di corruzione e poi utilizzate con riguardo al reato di abuso d’ufficio, sul presupposto che quest’ultima era l’unica fattispecie concretamente configurabile sulla base degli elementi disponibili fin dal momento in cui l’autorizzazione era stata disposta).

Sentenza|7 ottobre 2021| n. 36420. Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

Data udienza 19 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola: Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio – Abuso di atti d’ufficio – Intercettazioni autorizzate per reati diversi e ulteriori – Utilizzabilità – Esclusione – Ratio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia – rel. Consigliere

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 5/10/2020 del Tribunale di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIORDANO Emilia Anna;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Orsi Luigi che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
sentito il difensore del ricorrente, avvocato (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Milano, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, ha disposto con ordinanza del 5 ottobre 2020 la misura della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio ai sensi dell’articolo 289 c.p.p., nei confronti di (OMISSIS). Questi, gerente dell’Agenzia delle Entrate-Ufficio Provinciale del Territorio di Milano e responsabile dell’Area Certificati, pertanto in qualita’ di pubblico ufficiale, e’ sottoposto ad indagini per il reato di cui all’articolo 323 c.p. perche’, in violazione dell’articolo 97 Cost., L. n. 241 del 1990, articolo 1; Decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013, articoli 3, 4, 6 e 7, della procedura operativa disciplinata con nota n. 45 del 20 giugno 2003 dell’Agenzia delle Entrate e del Codice di Comportamento del personale dell’Agenzia, intenzionalmente procurava ad utenti dell’ufficio un ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nella consegna di atti e certificati ipotecari senza che fossero versate le relative tasse e, in particolare, prestandosi alla consegna di documenti estratti dal collega, (OMISSIS).
2. Le illecite attivita’ dell’indagato, secondo la prospettazione posta a base dell’ordinanza impugnata, sono emerse e sono provate per tabulas dal contenuto delle intercettazioni telefoniche eseguite nel corso delle attivita’ investigative svolte nei confronti di dipendenti dell’Agenzia delle Entrate per reati di corruzione commessi nel rilascio delle visure.
3. Il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura perche’ aveva ritenuto non utilizzabili nei confronti di (OMISSIS) le risultanze delle intercettazioni poiche’ l’utilizzabilita’ dei risultati delle intercettazioni, sia pure disposte nell’ambito del “medesimo procedimento”, presuppone che i “reati diversi” da quelli per i quali il mezzo di ricerca della prova e’ stato autorizzato rientrino nei limiti di ammissibilita’ stabiliti dall’articolo 266 c.p.p., che non ricorrono per il delitto di cui all’articolo 323 c.p., punito con la pena fino a quattro anni di reclusione. Osservava, in particolare, che era opportuno applicare, ai fini della decisione sull’utilizzabilita’, le prescrizioni recate dalla sentenza a Sezioni Unite Cavallo sulla nozione di medesimo procedimento sebbene tale sentenza fosse intervenuta sul tema con un’affermazione incidentale, essendo altro il conflitto di interpretazione demandato alle Sezioni Unite.
4. Il Tribunale non ha condiviso le coordinate interpretative tracciate dal giudice per le indagini preliminari e le conclusioni raggiunte.

 

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Secondo l’ordinanza impugnata, infatti, non opera – in relazione al caso in esame – il limite di cui all’articolo 266 c.p.p., poiche’ le operazioni di intercettazione sono state disposte in un unico procedimento penale e i fatti storici sottoposti al giudice in sede di autorizzazione delle operazioni di intercettazione erano in sostanza gli stessi poi confluiti nelle imputazioni provvisorie, alcune delle quali erano state, ex post, qualificate dal pubblico ministero – rispetto alla iniziale piu’ grave ipotesi di corruzione – come fattispecie di abuso d’ufficio, contenuta in ognuna delle corruzioni contestate, ma assorbita nel loro maggior disvalore, come del resto la clausola di riserva dell’articolo 323 c.p.. In particolare, l’autorizzazione alle operazioni di intercettazioni (cfr. richiesta del 26 gennaio 2018, RIT 135/2018) era richiesta e ottenuta poiche’ all’esito delle prime indagini erano emersi gravi indizi di una diffusa illegalita’ ed asservimento di alcuni dipendenti agli interessi di una serie di utenti privati emergendo “una sorta di fidelizzazione di alcuni impiegati pubblici con professionisti esterni, in particolare esercenti l’attivita’ di visuristi” e, fra questi, erano emersi i rapporti di (OMISSIS) con il collega (OMISSIS) e l’atteggiamento di smaccato favore nei confronti del figlio del (OMISSIS) dei funzionari dell’Agenzia. In relazione al (OMISSIS), tuttavia, non e’ stata acquisita la prova della promessa o pagamento del corrispettivo o la consapevolezza del pubblico ufficiale che promessa o pagamento erano stati fatti a favore di altri dipendenti, con la conseguente contestazione del reato di abuso di ufficio. Le condotte ascritte al (OMISSIS) ai capi 13) e 22) – prosegue l’ordinanza impugnata – sono, del resto, sostanzialmente coincidenti con il reato di corruzione ascritto al (OMISSIS) ai capi 12) e 21) mentre il reato contestato al (OMISSIS) al capo 27) a favore del figlio, e’ connesso ai piu’ gravi reati di corruzione come emerge dall’identita’ del contesto fattuale, temporale e soggettivo di riferimento; dal carattere omologo dei beni giuridici lesi; dal fatto che fosse emerso un chiaro disegno unitario in capo ai pubblici dipendenti nell’adozione di reiterate prassi illecite con modalita’ seriali. Si tratta, conclude il Tribunale, dei fatti prospettati nelle comunicazioni di notizie di reato diversamente qualificati o, comunque, di fatti reato senz’altro connessi ai piu’ gravi reati corruzione prospettati in sede di richiesta e autorizzazione sicche’ non vi e’ dubbio che si verta in ipotesi di utilizzazione di risultati di intercettazioni disposte nel medesimo procedimento in cui le stesse sono state autorizzate sussistendo uno stretto legame sostanziale – come richiesto dalla Sezioni unite – tra i reati oggetto di specifica autorizzazione e reati qualificati diversamente o emersi ex post rispetto alle operazioni di intercettazione.

 

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5. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 163 disp. att. c.p.p., il difensore denuncia:
5.1. violazione di legge processuale, in relazione all’articolo 266 c.p.p., poiche’ i reati ascritti all’indagato non rientrano nel limite di ammissibilita’ fissato dalla legge;
5.2. violazione di legge e vizio di motivazione sulla ricorrenza delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), che il Tribunale ha modellato sul pericolo di recidiva sviluppato trattando la posizione degli altri indagati ma senza svolgere considerazioni pertinenti alla posizione del ricorrente, considerazioni che si rivelano, inoltre, del tutto astratte, con riferimento all’attualita’, tenuto conto dell’epoca di accertamento dei fatti; della richiesta dell’indagato di trasferimento ad altre mansioni sintomatica del distacco dall’ambiente di lavoro e dai rapporti di colleganza del precedente ufficio comportamento apprezzabile in chiave favorevole all’indagato e da valutare insieme alla incensuratezza del ricorrente.

 

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’ordinanza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, deve essere annullata con rinvio.
2. Il Tribunale di Milano ha ritenuto utilizzabili le risultanze delle intercettazioni nei confronti di (OMISSIS) sulla base di un’articolata ratio decidendi e, cioe’:
– che il procedimento in cui le autorizzazioni sono state autorizzate e quello in cui i risultati devono essere utilizzati coincidono, versandosi nell’ipotesi che esula dall’applicazione dell’articolo 270 c.p.p., sulla quale si sono pronunciate le Sezioni Unite, che hanno inteso accogliere una nozione sostanziale di “diverso procedimento” ai sensi dell’articolo 270 c.p.p. e che hanno ritenuto non decisivo che le notizie di reato siano iscritte nell’ambito di procedimenti solo formalmente diversi o, specularmente, che.il procedimento sia formalmente unitario ma relativo ad ipotesi di reato, pur iscritte nello stesso “fascicolo”, ma del tutto diverse rispetto a quelle prospettate in sede di richiesta e autorizzazione delle intercettazioni;
– che si e’ in presenza degli stessi fatti storici sottoposti al giudice per le indagini preliminari in sede di autorizzazione delle intercettazioni poi confluiti nelle incolpazioni provvisorie alcune delle quali erano state, ex post, qualificate dal pubblico ministero, rispetto alla iniziale contestazione di corruzione, in fattispecie di abuso d’ufficio che, con il delitto di corruzione condividono, il nucleo essenziale della condotta esaminata dal giudice per le indagini preliminari ai fini dell’autorizzazione, ovvero, in particolare con riferimento al reato di abuso di cui al capo 27), che si tratta di reato connesso ai piu’ gravi reati di corruzione, come emerge dall’identita’ del contesto fattuale, temporale e soggettivo di riferimento, dal carattere omologo dei beni giuridici lesi, dal fatto che fosse emerso un chiaro unitario disegno unitario in capo al pubblico ufficiale nell’adozione di reiterate prassi illecite con modalita’ seriali.

 

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Non opera, dunque, vertendosi in ipotesi di medesimo procedimento, il limite di cui all’articolo 266 c.p.p..
Chiara e’ la ratio della interpretazione proposta dal Tribunale del riesame: il diverso regime di utilizzazione delle conversazioni intercettate, secondo la lettura proposta dalle Sezioni Unite, non puo’ essere seguito perche’ determina distorsioni incompatibili con il principio di non dispersione degli elementi di prova, che possiede rilevanza costituzionale, e potrebbe comportare una disparita’ di trattamento tra indagati nello stesso procedimento, come in parte avvenuto, in mancanza di disposizioni normative che differenzino il regime di utilizzabilita’ del materiale di prova che, comunque, rimarrebbe acquisito al procedimento, con conseguente trascrizione delle registrazioni, in quanto pertinente ai fini di prova del reato per il quale l’autorizzazione e’ stata concessa. Si tratta, invece, di un aspetto, questo, che sembra risolto nel nuovo articolo 270 c.p.p., comma 1, – come modificato per effetto del Decreto Legge 30 dicembre 2019, n. 161 e L. 28 febbraio 2020, n. 7 – che troveranno applicazione con riferimento ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, e che prevede la possibilita’ di utilizzazione delle risultanze delle intercettazioni “in procedimenti diversi”, e, dunque, a prescindere dalle ipotesi di connessione, per tutto il catalogo dei reati di cui all’articolo 266 c.p.p., comma 1.
3.Osserva il Collegio che le opzioni interpretative delineate dal Tribunale sono affatto sovrapponibili e che le stesse involgono questioni giuridiche diverse che solo in parte sono riconducibili alla portata interpretativa della sentenza delle Sezioni Unite n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo Rv. 277395.
L’oggetto della sentenza Cavallo, attiene, come noto, alle ipotesi in cui, rispetto al fatto-reato per cui sono state autorizzate le intercettazioni, emergano fatti-reato diversi ed ulteriori per effetto delle captazioni eseguite ed e’ in tale contesto che le Sezioni unite hanno fissato le condizioni necessarie per utilizzare i risultati delle captazioni al fine di provare tali fatti. In tal senso depone il principio di diritto affermato dalle stesse Sezioni unite, secondo cui “in tema di intercettazioni, il divieto di cui all’articolo 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali e’ obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex articolo 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreche’ rientrino nei limiti di ammissibilita’ previsti dall’articolo 266 c.p.p.”.
4. Sulla scorta di tale premessa deve affermarsi che ove ci si trovi in presenza di esiti delle operazioni di intercettazione che riguardino lo stesso fatto-reato sin dall’inizio autorizzato, seppur diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni stesse, non si e’ in presenza di altro reato – ulteriore e diverso – connesso a quello per cui l’autorizzazione e’ stata disposta e che si aggiunge a quello per cui si e’ proceduto a intercettazioni, ipotesi che costituisce oggetto, come si e’ anticipato, della sentenza Cavallo.
E, in tale evenienza, altri, ma non meno stringenti e irrilevanti sono i principi che regolano il tema della utilizzabilita’ delle intercettazioni.

 

Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

In piu’ occasioni, la Corte di cassazione ha ritenuto utilizzabili i risultati delle intercettazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le medesime sono consentite, anche quando l’imputazione venga successivamente modificata e il giudizio di colpevolezza venga conseguentemente emesso per una fattispecie di reato per cui non sarebbe stato possibile autorizzare le operazioni di intercettazione (Sez. 1, n. 12749 del 19/03/2021, Cusumano, Rv. 280981; Sez. 1, n. 24163 del 19/05/2010, Satta, Rv. 247943; Sez. 6, n. 50072 del 20/10/2009, Bassi, Rv. 245699), sempre che, all’atto della verifica da parte del giudice, nel momento genetico della intercettazione ovvero al momento delle proroghe, sussistessero i presupposti previsti dalla legge per disporre il mezzo di ricerca della prova, e, in particolare, i gravi indizi di reato.
Tale verifica assolve ad una ineliminabile funzione di garanzia perche’, attraverso essa, deve essere esplicitato il collegamento tra l’indagine tecnica – estremamente intrusiva -, la persona le cui comunicazioni si intendono utilizzare e la sussistenza dei presupposti che legittimano l’adozione del mezzo di ricerca della prova: e’ indispensabile, dunque, fin dal momento di autorizzazione, la verifica della qualificazione giuridica, sia pure provvisoria, del fatto che deve risultare ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative.
L’autorizzazione del giudice e’, dunque, collegata al presupposto dei gravi indizi di reato che non assumono una connotazione probatoria in chiave di colpevolezza, come nella materia cautelare – ma che esige un vaglio di particolare serieta’ delle esigenze investigative, che vanno riferite ad uno specifico fatto costituente reato, in modo da circoscrivere l’ambito di possibile incidenza dell’interferenza nelle altrui comunicazioni private” (Sez. 6, n. 36874 del 2017, in motivazione) ed impongono al giudice un vaglio idoneo ad indicare l’attendibilita’ della fattispecie probatoria e la necessita’ del mezzo di ricerca della prova. Anche rispetto ad un soggetto indagato, e’ necessario inoltre che il mezzo di ricerca della prova in questione sia indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini: “per giustificare l’indispensabilita’ ai fini della prosecuzione delle indagini, la motivazione deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l’intercettazione di una determinata utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona e, percio’, non puo’ omettere di indicare il collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando” (Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, Lombardi Stronati, Rv. 243241; nello stesso senso, piu’ recentemente, Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, Nascetti, Rv. 268900), in attuazione dell’obbligo di motivazione imposto dall’articolo 15 Cost. e articolo 267 c.p.p., comma 1. Ai fini di una corretta motivazione del provvedimento autorizzativo e’ indispensabile che vengano in essa indicate le “ragioni” sulla cui base il giudice ritenga di dover autorizzare le intercettazioni richieste dal pubblico ministero, in quanto proprio quelle intercettazioni, relative a quella particolare utenza, risultano “indispensabili” per il completo accertamento del fatto specifico cui si riferiscono le indagini, nonche’ per la individuazione dei responsabili. Nelle ipotesi in cui il collegamento sia riferito ad un soggetto non indagato la necessita’ di motivare la correlazione tra l’indagine in corso e l’intercettato e’ oltremodo maggiore e, anche in tal caso, e’ necessario che il giudice indichi ed espliciti chiaramente l’interesse investigativo sottostante, e chiarisca le ragioni di collegamento diretto o indiretto (conoscenza) tra il soggetto ed il fatto di reato oggetto di accertamento; e’ necessario – detto altrimenti – che si indichino i motivi per i quali il soggetto terzo che si intende intercettare dovrebbe essere “informato sui fatti” e perche’ si ritiene che vi possano essere conversazioni o comunicazioni attinenti a quei fatti.

 

Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

La verifica statica compiuta dal giudice al momento in cui l’autorizzazione e’ stata disposta, considerando la provvisorieta’ dell’addebito, la fluidita’ degli elementi raccolti, la loro possibile modificazione, acquista valore in presenza di una situazione di corrispondenza tra quanto si richiede e cio’ che emerge dalle indagini in relazione ad un determinato fatto storico che costituisce oggetto della provvisoria imputazione, e che, soprattutto in relazione alla sua qualificazione giuridica, puo’ subire mutamenti per effetto di sopravvenuti motivi fisiologici, legati cioe’ alla naturale evoluzione del procedimento, che possono determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione giuridica. Ma questa situazione e’ diversa da quella in cui, invece, fin dall’inizio emerga la diversita’ storica del fatto ovvero sia seriamente prospettabile, sulla base degli atti, una differente qualificazione giuridica del fatto. A questo fine, in relazione alla verifica dei presupposti di legittimita’ del provvedimento autorizzativo, rileva l’analisi del fatto storico posto a base del provvedimento autorizzativo e che questo sia rimasto sostanzialmente immutato anche se non completamente riscontrato per effetto di fisiologici mutamenti emersi a seguito dell’intercettazione ma tenendo ben chiaro il limite costituito dal rigoroso rispetto della descrizione di un fatto – reato autorizzabile per scongiurare il pericolo di elusione dei limiti legali stabiliti dagli articoli 266 e 267 c.p.p..
4.1. L’ordinanza impugnata non ha fatto corretta applicazione di tali principi ed ha, apoditticamente, richiamato il tema della diversa qualificazione giuridica del fatto in relazione a precisi episodi, ascritti al (OMISSIS) al capo 13), si tratta del reato di abuso a favore di tale (OMISSIS), commesso in (OMISSIS), al capo 22), reato di abuso in favore di (OMISSIS), commesso in (OMISSIS) e al capo 27), reato di abuso, in favore del figlio del ricorrente, commesso in (OMISSIS). Si tratta di episodi emersi dalle intercettazioni che erano state specificamente autorizzate per accertare episodi di corruzione dei funzionari dell’Agenzia. Come anticipato, il provvedimento di autorizzazione ipotizza la connessione tra cio’ che e’ emerso dalle indagini al momento dell’autorizzazione delle operazioni e la necessita’ di acquisire ulteriori elementi di prova ponendosi in chiave prospettica rispetto al fatto storico posto a base del provvedimento: e non e’ revocabile in dubbio che, nel caso in esame, oggetto dell’indagine tecnica autorizzata dal giudice per le indagini preliminari era la ricostruzione di episodi in cui i funzionari dell’Agenzia delle Entrate non si limitavano alla mancata esazione di quanto dovuto all’ufficio per il rilascio delle visure o dei certificati o, comunque, di pratiche di competenza ma proprio il reato di corruzione che, come noto, ha ad oggetto un accordo inteso alla scambio tra la documentazione consegnata e le remunerazioni corrisposte ai funzionari. Il clima di diffusa illegalita’ che regnava all’interno dell’Agenzia delle Entrate e che sarebbe stato avallato anche, nella qualita’, dal (OMISSIS) – richiamato nell’ordinanza impugnata e correttamente evocabile in ragione alla esigenza connessa alla indispensabilita’ del mezzo – non per cio’ ridonda sulla base indiziaria oggettiva, che costituisce il fondamento del provvedimento di autorizzazione, base che deve essere ancorata ad una precisa realta’ di fatto che si deve investigare in quanto corrispondente ad un reato per il quale sono ammissibili operazioni di intercettazione.
4.2. Non sono, dunque, pertinenti all’ipotesi di riqualificazione giuridica del fatto i passaggi argomentativi sviluppati alle pagg. 6 e 9 dell’ordinanza impugnata in cui il Tribunale rileva che “il giudice per le indagini preliminari, nell’autorizzare le captazioni in relazione alle ipotesi di corruzione, ha, in realta’ preso in esame lo stesso nucleo essenziale delle condotte di abuso di ufficio, che, talora rappresentano il titolo di reato di cui e’ chiamato a rispondere il pubblico ufficiale che non ha percepito la remunerazione (nel caso il (OMISSIS), in relazione ai reati ascrittigli ai capi 13 e 22) o che costituisce titolo di reato strettamente connesso alle ipotesi corruttive in quanto avvinto dal medesimo disegno criminoso sotteso all’azione, in relazione al reato di cui al capo 27)”. Si tratta, infatti, di una motivazione che si avvale di vuote perifrasi (l’identita’ del contesto fattuale, temporale e soggettivo; il carattere omologo dei beni giuridici lesi; l’emersione di un contesto unitario e seriale) che rinviano, genericamente, alla emersione di un sistema di illeciti consumati all’interno dell’Agenzia perche’ il reato di abuso di ufficio non consente il ricorso alle operazioni di intercettazioni, diversamente da quello di corruzione in cui la condotta non si risolve, come si e’ detto, in una mera violazione dei doveri di ufficio ma in un accordo sinallagmatico tra privato e pubblico agente il cui oggetto e’ la compravendita dei poteri del pubblico funzionario e la cui prospettazione costituiva la base indiziaria del provvedimento di autorizzazione.

 

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5. La motivazione del Tribunale e’, in realta’, direttamente evocativa della diversita’ strutturale del fatto che si sarebbe dovuto investigare attraverso le intercettazioni e i fatti emersi dalle intercettazioni che si risolvono in episodi di abuso in atti di ufficio e, dunque, rinvia ad una situazione che, ai fini della valutazione della utilizzazione degli esiti delle intercettazioni, richiama all’applicazione dei principi, condivisibili e vincolanti, della sentenza Cavallo, dalla quale e’ partito l’esame, sentenza sui cui principi e’ strutturata, ma per disattenderne la portata e vincolativita’, la motivazione dell’ordinanza impugnata con argomentazioni, mutuate dalla dottrina ampiamente citata, ma che si rivelano erronee. L’interpretazione del Tribunale conduce al risultato paradossale che attraverso la utilizzazione trovano ingresso nel procedimento intercettazioni che non potevano essere legittimamente autorizzate perche’ il titolo di reato non ne consentiva l’autorizzazione.
5.1. Il Tribunale del riesame ritiene che gli esiti delle intercettazioni relativi ai reati di abuso in atti di ufficio ascritti a (OMISSIS) sono emersi nell’ambito di medesimo procedimento in quanto il procedimento nel quale le autorizzazioni sono state disposte e quello in cui devono essere utilizzate coincidono; che si e’, comunque, in presenza di una fattispecie connessa ai sensi dell’articolo 12 c.p.p., lettera c), poiche’ le condotte di abuso ricostruite a carico del (OMISSIS) sono state commesse allo scopo di eseguire il reato di corruzione, ascritto al coindagato (OMISSIS) e tanto giustifica l’affermazione di una “connessione forte”, sul piano sostanziale, fra i fatti per i quali era stata disposta l’autorizzazione e i fatti emersi a carico del (OMISSIS).
Comunque, prosegue l’ordinanza impugnata, l’utilizzazione delle risultanze delle intercettazioni non e’ soggetta al limite di cui all’articolo 266 c.p.p.: la soluzione individuata dalle Sezioni Unite, si sostiene, pone, per via giurisprudenziale, un ulteriore limite, non previsto dalla legge, alla utilizzabilita’ delle intercettazioni; crea disparita’ di trattamento tra i diversi indagati poiche’ una medesima base probatoria sarebbe al contempo utilizzabile solo per alcuni (nel caso per il delitto di corruzione, commesso dal (OMISSIS)) e non per quello di abuso (commesso dal (OMISSIS)) cosi’ da rendere autocontraddittorio il sistema; espone al rischio di interpretazione abrogativa la novella recata dall’articolo 270 c.p.p. e, infine, le Sezioni unite si sono espresse su una “questione” che non era stata loro devoluta e su un punto che non era rilevante ai fini della “decisione del ricorso” e, per tale aspetto, l’affermazione si risolve in un obiter dictum, argomento, questo, per vero richiamato solo en passant nell’ordinanza.
6. Ritiene, innanzitutto, il Collegio che e’ irrilevante, ai fini della individuazione della nozione di medesimo procedimento, la circostanza che il procedimento nel quale le intercettazioni sono state disposte e quello in cui gli esiti delle operazioni devono essere applicate e’ il medesimo procedimento penale, circostanza valorizzata nell’ordinanza impugnata e che costituisce l’incipit del ragionamento decisorio.
L’affermazione del giudice della cautela riposa su una nozione elaborata da un risalente orientamento giurisprudenziale ritenuto non condivisibile dalle Sezioni Unite con la sentenza Cavallo che ha evidenziato come esso facesse leva su una nozione formale di “procedimento”, che si risolve in una mera etichetta e in uno schermo che porta ad un esito interpretativo contrario alla ratio del divieto di cui all’articolo 270 c.p.p. e ai principi costituzionali di cui e’ espressione e che costituiscono il quadro di riferimento costituzionale sul quale e’ intessuta la motivazione della decisione delle Sezioni Unite.
Le Sezioni Unite hanno escluso che, fermo il limite di cui all’articolo 266 c.p.p., ci si trovi in presenza di utilizzazione in presenza di procedimenti diversi quando sia accertata la esistenza di legame sostanziale tra i fatti per i quali e’ stata disposta l’intercettazione e i fatti emersi, da provare attraverso la utilizzazione di quei risultati di prova. E”la parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede” (Corte Cost., sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un’autorizzazione in bianco”.

 

Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

E’ in tale contesto che le Sezioni unite hanno, dunque, affrontato il “problema della necessita’ o meno che il reato accertato sulla base dell’intercettazione autorizzata in specifica relazione ad altro reato rientri nei limiti di ammissibilita’ del mezzo di ricerca della prova” e chiarito che “consentire, in caso di connessione dei reati o di emersione del nuovo reato nel procedimento ab origine iscritto, l’utilizzazione probatoria dell’intercettazione in relazione a reati che non rientrano nei limiti di ammissibilita’ fissati dalla legge si tradurrebbe…. nel surrettizio, inevitabile aggiramento di tali limiti, “con grave pregiudizio per gli interessi sostanziali tutelati dall’articolo 266 c.p.p. che intende porre un limite alla interferenza nella liberta’ e segretezza delle comunicazioni in conformita’ all’articolo 15 Cost.”. Cio’, dunque, ha giustificato l’affermazione secondo cui “l’utilizzabilita’ dei risultati di intercettazioni disposte nell’ambito di un “medesimo procedimento” (nell’accezione di seguito delineata…) presuppone che i reati diversi da quelli per i quali il mezzo di ricerca della prova e’ stato autorizzato rientrino nei limiti di ammissibilita’ delle intercettazioni stabiliti dalla legge.
Prescindendo in questa sede dall’affrontare la questione relativa al “nuovo” articolo 270 c.p. (non applicabile alla vicenda in esame) deve escludersi che le Sezioni Unite si siano pronunciate su una questione a loro non rimessa, quale quella dell’autorizzabilita’ autonoma dell’intercettazione per i reati di un medesimo procedimento al fine della utilizzazione delle intercettazioni legittimamente autorizzate per un reato connesso, o che si sia in presenza di un’affermazione del tutto slegata dalla questione controversa e, pertanto superflua. Si e’ affermato, infatti che in tema di giudizio di legittimita’, il principio di diritto affermato dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione e’ vincolante, ai sensi dell’articolo 618 c.p.p., comma 1-bis, anche in relazione agli aspetti preliminari e conseguenziali ad esso, ancorche’ relativi a profili non specificamente devoluti ma che si rendano, tuttavia, necessari per meglio delimitare il significato e la portata applicativa del principio stesso che, in tal modo, riveste carattere unitario (Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501).
5.3.1 principi enunciati dalla sentenza Cavallo costituiscono il precipitato delle risalenti sentenze della Corte Costituzionale (in particolare Corte Cost. sent. n. 34 del 1973; n 366 del 1991 e n. 63 del 1994), diffusamente richiamate dalle Sezioni Unite, e che hanno, con chiarezza e precisione, declinato le caratteristiche e il contenuto di valore del diritto alla liberta’ e segretezza delle comunicazioni ed alla loro inviolabilita’ e ne hanno esaminato il rapporto con l’interesse, ritenuto costituzionalmente rilevante, alla repressione dei reati e, quindi, ritenuto ragionevole il bilanciamento tra valori realizzato attraverso la previsione con l’articolo 270 c.p.p., comma 1,, ma affermando, con nettezza, al fi fuori eccezione, sia la centralita’ del provvedimento di autorizzazione del giudice che la necessita’ che l’utilizzazione in giudizio come elementi di prova delle informazioni raccolte attraverso le intercettazioni legittimamente disposti nell’ambito di un processo, deve essere circoscritta alle informazioni strettamente rilevanti al processo stesso.
Proprio con riferimento all’articolo 270 c.p.p., comma 1, la Corte Cost (sentenza n. 63 del 1994), ha affermato che la disposizione l’articolo 270 c.p.p., comma 1, pone “una norma del tutto eccezionale”: “la possibilita’ di utilizzare i risultati delle intercettazioni disposte nell’ambito di un determinato processo limitatamente ai procedimenti diversi, relativi all’accertamento di reati per i quali e’ obbligatorio l’arresto in flagranza, risponde all’esigenza di ammettere una deroga alla regola generale del divieto di utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti, giustificata dall’interesse dell’accertamento dei reati di maggiore gravita’”; in altri termini, “la norma che eccezionalmente consente, in casi tassativamente indicati dalla legge, l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, limitatamente all’accertamento di una categoria predeterminata di reati presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale, costituisce indubbiamente un non irragionevole bilanciamento operato discrezionalmente dal legislatore fra il valore costituzionale rappresentato dal diritto inviolabile dei singoli individui alla liberta’ e alla segretezza delle loro comunicazioni e quello rappresentato dall’interesse pubblico primario alla repressione dei reati e al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono” (Corte Cost., sent. n. 63 del 1994).
L’articolo 270 c.p.p. costituisce l’attuazione in via legislativa del bilanciamento di due valori costituzionali tra loro contrastanti: il diritto dei singoli individui alla liberta’ e alla segretezza delle loro comunicazioni e l’interesse pubblico a reprimere reati e a perseguire in giudizio coloro che delinquono e solo al cospetto di reati particolarmente gravi: ed e’ questo il solo caso in cui il primo cede al secondo.

 

Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

Ma, con forza, la Corte (Corte Cost., sent. 366 del 1991) ha affermato, altresi’, che, a fronte della intrusivita’ del mezzo, le restrizioni alla liberta’ e segretezza della comunicazioni conseguenti alle intercettazioni telefoniche sono sottoposte a condizioni di validita’ particolarmente rigorose, commisurate alla natura indubbiamente eccezionale dei limiti apponibili ad un diritto personale di carattere inviolabile, nel senso che “il suo contenuto di valore non puo’ subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un di un interesse pubblico rilevante sempreche’ l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di legge e la misura limitativa sia disposta con atto motivato dell’autorita’ giudiziaria” aggiungendo che “l’atto dell’autorita’ giudiziaria con il quale vengono autorizzate le intercettazioni telefoniche deve essere puntualmente motivato o per usare altra espressione deve avere una adeguata e specifica motivazione quanto alla utilizzazione in giudizio come elementi di prova delle informazioni raccolte con le intercettazioni legittimamente disposte nell’ambito del processo deve essere circoscritta alle informazione strettamente rilevanti nel processo stesso”. Non ha mancato il giudice delle leggi di sottolineare che “l’articolo 15 Cost. -oltre a garantire la “segretezza” della comunicazione e, quindi, il diritto di ciascun individuo di escludere ogni altro soggetto diverso dal destinatario della conoscenza della comunicazione-tutela pure la “liberta’” della comunicazione: liberta’ che risulterebbe pregiudicata, gravemente scoraggiata o, comunque, turbata ove la sua garanzia non comportasse il divieto di divulgazione o di utilizzazione successiva delle notizie di cui si e venuti a conoscenza a seguito di una legittima autorizzazione di intercettazioni al fine dell’accertamento in giudizio di determinati reati: di qui consegue che l’utilizzazione come prova in altro procedimento trasformerebbe l’intervento del giudice richiesto dall’articolo 15 Cost. in un’inammissibile autorizzazione in bianco, con conseguente lesione della “sfera privata” legata alla garanzia della liberta’ di comunicazione e al connesso diritto di riservatezza incombente su tutti coloro che ne siano venuti a conoscenza per motivi di ufficio. Ed e’ dalla tutela della liberta’ di comunicazione che deriva, in via di principio, ed e’ vietata l’utilizzabilita’ dei risultati di intercettazioni validamente disposte nell’ambito di un determinato giudizio come elementi di prova in processi diversi, per il semplice fatto che, ove cosi’ non fosse, si vanificherebbe l’esigenza piu’ volte affermata che l’atto giudiziale di autorizzazione delle intercettazioni debba essere puntualmente motivato nei sensi e nei modi precedentemente chiariti”.
Deve, dunque essere ribadito il condivisibile principio affermato nella sentenza Cavallo secondo cui i limiti di ammissibilita’ di cui all’articolo 266 c.p.p., da una parte definiscono il perimetro legale all’interno del quale il giudice deve operare la sussistenza, nella fattispecie concreta, dei presupposti dell’autorizzazione e, dall’altra, sono espressione diretta e indefettibile della riserva assoluta di legge, ai sensi dell’articolo 15 Cost., che governa la materia delle intercettazioni e dell’istanza di rigorosa e inderogabile tassativita’ che da essa discende (cfr. Corte Cost., sent,. n. 63 del 1994), limite che, anche i contrastanti orientamenti emersi in relazione alla nozione di procedimento diverso, avevano ritenuto fermo (ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 4942 del 15/01/2004, Bozena, Rv. 229999).
Non si e’, per tornare alle obiezioni del Tribunale, in presenza di un limite surrettiziamente introdotto – rispetto al quadro normativo – dalla giurisprudenza ma di una condizione che discende dal sistema di valori e principi costituzionali e dalla sua ratio, affermazione rispetto alla quale cede anche la presunta disparita’ di trattamento tra i diversi indagati che dell’applicazione del principio costituisce logica e naturale conseguenza poiche’ l’unica ragionevole deroga alla inviolabilita’ del diritto alla liberta’ e segretezza delle comunicazioni e’ costituita dalla previsione legislativa di cui all’articolo 270 c.p.p., mentre l’autorizzazione del giudice, funzionale al realizzare il bilanciamento tra l’inviolabilita’ del principio e l’interesse a reprimere i reati e a perseguire in giudizio coloro che delinquono, non si limita a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova, ma ne circoscrive l’utilizzazione dei suoi risultati ai fatti-reato che all’autorizzazione stessa risultino riconducibili e che, come anticipato al punto 4, deve dar conto dei “soggetti da sottoporre al controllo” e dei “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede”, delimitazione che, a sua volta, e’ condizione essenziale affinche’ l’intervento giudiziale abilitativo non si trasformi, in una “autorizzazione in bianco” o, peggio, in un provvedimento slegato – nei suoi precisi referenti positivi sui limiti di autorizzabilita’ – dalla successiva utilizzabilita’, a campo libero, dei risultati che ne sono derivati.
6. Come si e’ detto l’ordinanza impugnata non ha fatto corretta applicazione, disattendendoli, dei principi recati dalla sentenza Cavallo poiche’ la motivazione dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di abuso in atti di ufficio e’ fondata sulle risultanze di operazioni di intercettazioni telefoniche non utilizzabili, perche’ acquisite per reati diversi e ulteriori rispetto ai reati di corruzione che costituivano oggetto del provvedimento di autorizzazione e in violazione dei limiti di cui all’articolo 266 c.p.p., non essendo possibile, per il reato di abuso in atti di ufficio, il ricorso a tale modalita’ di investigazione. L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata e il giudice del rinvio, dovra’ procedere alla c.d. prova di resistenza per la eventuale formulazione del giudizio di gravita’ indiziaria.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano competente ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 7.

 

Intercettazioni telefoniche e la verifica dei presupposti di legittimità

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