Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 4 marzo 2019, n. 9368.

La massima estrapolata:

Non e’ riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, operata, sebbene clandestinamente, da un soggetto che ne sia partecipe o, comunque, sia ammesso ad assistervi, costituendo, invece, una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore puo’ disporre legittimamente, anche a fini di prova

Sentenza 4 marzo 2019, n. 9368

Data udienza 30 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppin – rel. Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Catanzaro il 24 luglio 2018;
Visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
Udita nell’udienza camerale del 30.11.2018 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Dr. Cocomello Assunta, che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 24 luglio 2018 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha sostituito con gli arresti domiciliari la misura cautelare della custodia in carcere, applicata ad (OMISSIS), indagato per il delitto di estorsione aggravata ai danni di (OMISSIS).
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame l’indagato – tramite il suo difensore – ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’erronea applicazione dell’articolo 273 c.p.p. in relazione all’articolo 629 c.p. e all’articolo 192 c.p.p., comma 3, nonche’ l’erronea applicazione degli articoli 63 e 64 c.p.p. e dell’articolo 191 c.p.p. in relazione alle registrazioni e vizi di motivazione. In particolare, il ricorrente ha lamentato:
– la mancanza di credibilita’ della persona offesa, le cui dichiarazioni, da valutarsi ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, (in quanto indagato di reato connesso o probatoriamente collegato), sarebbero prive di riscontri e smentite dalle dichiarazioni dell’altro coindagato (OMISSIS) (pagg. 136 – 143 fascicolo procedimentale) e del teste (OMISSIS) (pag. 145147 fascicolo procedimentale): circostanze, queste, che, benche’ devolute al giudice del riesame, non avrebbero trovato risposta;
– l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, a cui non sarebbero stati rivolti gli avvertimenti di cui all’articolo 64 c.p.p.;
– l’inutilizzabilita’ delle registrazioni effettuate dalla persona offesa con strumenti forniti dalla polizia giudiziaria.
All’odierna udienza camerale, celebrata ex articolo 127 c.p.p., e’ stata verificata la regolarita’ degli avvisi di rito; all’esito la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile, perche’ proposto per motivi privi del requisito della specificita’ e, comunque, manifestamente infondati.
1.1 Quanto alla censura sulla mancanza di credibilita’ della persona offesa, deve premettersi che, secondo il Tribunale del riesame, il compendio investigativo conduceva a ravvisare la gravita’ indiziaria nei confronti del ricorrente, che “ha posto in essere nei confronti del (OMISSIS) una pesante e insistente azione, connotata da minacce e violenze, per costringerlo a corrispondere la somma di Euro 8.000,00, corrispondente a quanto l’ (OMISSIS) e propri congiunti avrebbero dovuto percepire, a titolo di indennita’ di disoccupazione per la fittizia assunzione alle dipendenze del (OMISSIS), ma non percepita a seguito della convocazione di quest’ultimo presso gli uffici INPS per chiarimenti sul numero dei dipendenti”.
A tale conclusione il giudice del riesame e’ pervenuto sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che, tuttavia, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non erano prive di riscontro ma trovavano conferma nei prospetti INPS sul personale dipendente del (OMISSIS), nei colloqui telefonici registrati dai carabinieri, nei servizi di pedinamento e nelle dichiarazioni di (OMISSIS).
L’assunto del ricorrente, dunque, trova smentita alla luce della motivazione resa dal giudice di merito.
1.2 Quanto alle doglianze relative all’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e alle registrazioni dalla stessa effettuate, deve rilevarsi che il Tribunale del riesame ha correttamente argomentato.
Difatti, ha ricordato che la persona offesa il 9 luglio 2018 aveva confermato le precedenti dichiarazioni alla presenza del difensore di fiducia e dopo aver ricevuto le avvertenze di cui all’articolo 64 c.p.p.; riguardo alla trascrizione della conversazione registrata da (OMISSIS) nell’incontro avuto con (OMISSIS) e (OMISSIS), il Tribunale del riesame ha puntualizzato che trattasi di registrazione ad iniziativa della stessa persona offesa, che rappresenta una modalita’ di documentazione del contenuto della conversazione, gia’ nella disponibilita’ di chi effettua la documentazione e potenzialmente riversabile nel processo attraverso la testimonianza.
Cosi’ argomentando, il giudice del riesame ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati in sede di legittimita’ (Sez. 1, n. 6339 del 22/1/2013, Rv. 254814), secondo cui non e’ riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, operata, sebbene clandestinamente, da un soggetto che ne sia partecipe o, comunque, sia ammesso ad assistervi, costituendo, invece, una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore puo’ disporre legittimamente, anche a fini di prova.
2. La declaratoria di inammissibilita’ totale del ricorso comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che egli ha proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilita’ per colpa (Corte Cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entita’ di detta colpa – della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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