Criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 25 febbraio 2019, n. 8340.

La massima estrapolata:

Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto e’ connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima.
Ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non e’ coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perche’ tratta in errore dalla esposizione ad un pericolo inesistente.
Si configura, invece, l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa e’ posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato.
Integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, quindi, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico e’ l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volonta’ dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorche’ in contrasto con la realta’, a lei ignota.
La coazione della volonta’ si distingue infatti dalla manipolazione agita attraverso l’induzione in errore, in quanto solo nel primo caso l’azione illecita si presenta irresistibile.
L’induzione in errore e’ azione diversa dalla costrizione sebbene entrambe le condotte siano idonee a deviare il fisiologico sviluppo dei processi volitivi.
La condotta induttiva, anche quando si manifesta con la esposizione di pericoli inesistenti, si differenzia dalla condotta estorsiva proprio nella misura in cui la volonta’ risulta “diretta” e “manipolata”, ma non irresistibilmente “piegata”.
L’idoneita’ della rappresentazione del male a “dirigere” piuttosto che “piegare” la volonta’ non puo’ essere stabilita in astratto, ma necessita di uno scrutinio che verifichi in concreto la consistenza della azione minatoria, anche rispetto all’effettiva resistenza della vittima.

Sentenza 25 febbraio 2019, n. 8340

Data udienza 30 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppina A. R – Consigliere

Dott. MONACO Marco Mari – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/04/2018 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MONACO MARCO MARIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COCOMELLO ASSUNTA che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che si riporta per entrambi i ricorrenti ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

La CORTE d’APPELLO di PALERMO, con sentenza del 13/4/2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal GIUDICE per le INDAGINI PRELIMINARI del TRIBUNALE di PALERMO il 20/4/2017, escludeva l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, , rideterminata la pena, confermava nel resto la condanna nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) che per il reato di cui agli articoli 56 e 629 c.p. e L. n. 203 del 1991, articolo 7.
1. (OMISSIS) e (OMISSIS), padre e figlio, venivano rinviati a giudizio per il reato di tentata estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, ora articolo 416 bis c.p., comma 1 e articolo 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, commesso in concorso con (OMISSIS) ai danni di (OMISSIS).
In specifico ai ricorrenti veniva contestato, agendo quali intermediari rispetto ad una richiesta estorsiva di ignoti componenti dell’associazione “cosa nostra”, di avere in effetti tentato di estorcere la somma di 2.500,00 Euro che la persona offesa avrebbe dovuto versare in occasione delle festivita’ natalizie e pasquali a titolo di “messa a posto”.
All’esito del processo, celebrato con le forme del rito abbreviato, i tre imputati venivano condannati per il reato cosi’ come contestato nel capo di imputazione.
Avverso la sentenza gli imputati proponevano appello nel quale, per quanto oggetto del presente ricorso, sostenevano l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato, che i fatti dovessero essere qualificati come tentata truffa e l’insussistenza delle aggravanti contestate.
All’esito del giudizio di appello la Corte territoriale assolveva (OMISSIS) per non aver commesso il fatto e, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, rideterminava la pena a (OMISSIS) ed a (OMISSIS), al quale concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena ed eliminava la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
2. Avverso la sentenza propongono ricorso gli imputati che, a mezzo dei rispettivi difensori, deducono i seguenti motivi.
3. Ricorso avv. (OMISSIS) per (OMISSIS).
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 56 e 629 c.p., laddove la Corte d’Appello ha confermato la dichiarazione di responsabilita’ per il reato di tentata estorsione. La difesa rileva che la Corte territoriale, anche omettendo di valutare alcune delle specifiche considerazioni contenute nell’atto di appello, avrebbe erroneamente applicato la legge penale e sarebbe comunque pervenuta ad una decisione illogica e contraddittoria. In specifico i giudici di secondo grado, esclusa la responsabilita’ del Caviglia e la sussistenza dell’aggravante dell’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, non avrebbero proceduto ad una coerente valutazione dell’effettiva natura della condotta posta in essere dal ricorrente, erroneamente ritenuta estorsiva piuttosto che caratterizzata da artifici e raggiri. Sotto un diverso profilo, d’altro canto, la difesa evidenzia l’illogicita’ della motivazione poiche’ una corretta lettura degli elementi emersi evidenzierebbe l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato contestati;
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, laddove la Corte d’Appello ha ritenuto di confermare la sussistenza dell’aggravante. La difesa osserva che la sentenza di primo grado e quella d’appello sarebbero sul punto in evidente contraddizione e che, d’altro canto, avendo la Corte territoriale escluso qualsivoglia contatto tra il ricorrente e l’associazione mafiosa, la contestata aggravante non possa ritenersi sussistente. Il Licata, infatti, non puo’ evidentemente aver agevolato una associazione di cui non faceva parte ne’ la responsabilita’ dello stesso puo’ essere determinata facendo riferimento a condotte poste in essere, in precedenza, da altri soggetti, ignoti, e con i quali non avrebbe avuto alcun rapporto.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, laddove la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente la citata aggravante. La difesa evidenzia che la Corte d’appello, facendo esclusivo riferimento alla conversazione intercorsa il 18/6/2016 e non tenendo conto delle dichiarazioni di alcune persone informate dei fatti, sarebbe pervenuta ad una conclusione errata ed illogica quanto alla partecipazione ed al ruolo avuto da (OMISSIS) nei fatti accaduti e, pertanto, in merito alla sussistenza dell’aggravante contestata.
4. Ricorso avv. (OMISSIS) per (OMISSIS).
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 192 c.p.p. ed in relazione agli articoli 56, 629 e 640 c.p.. La difesa rileva che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe caratterizzata da un “salto logico” che determinerebbe la sostanziale illogicita’ del provvedimento impugnato. Con specifico riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo di (OMISSIS), infatti, la valutazione di quanto emerso nel corso del processo sarebbe parziale ed incompleta. Sotto altro profilo, inoltre, la circostanza che sia stata escluso che i due (OMISSIS) abbiano operato in concorso con gli autori degli atti intimidatori, avrebbe dovuto indurre i secondi giudici, quanto meno, ad attribuire ai fatti la diversa qualificazione di tentata truffa.
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 e L. n. 356 del 1992, articolo 12 quinques. La difesa rileva la contraddittorieta’ ed illogicita’ del ragionamento seguito dalla Corte territoriale che, pur escludendo che (OMISSIS) e (OMISSIS) facciano parte dell’associazione mafiosa o che abbiano operato per agevolarla e che vi sia mai stato un accordo ovvero un concorso con gli autori delle originarie condotte intimidatorie, ha ritenuto che sussistesse l’aggravante di cui all’articolo 416 bis c.p., comma 1.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati.
1. Le doglianze quanto alla dichiarazione di responsabilita’ ed alla qualificazione giuridica, oggetto del primo motivo di ricorso dell’avv. (OMISSIS) e del primo motivo dell’avv. (OMISSIS), sono infondate.
1.1. Questione qualificazione giuridica.
Con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, va ribadito che il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto e’ connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima.
Ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non e’ coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perche’ tratta in errore dalla esposizione ad un pericolo inesistente.
Si configura, invece, l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa e’ posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (Sez. 2, 7662/2015 Rv. 262574; Sez. 2 n. 11453 del 17/2/2016 Rv. 267124; Sez. 2 46084/2015 Rv. 265362).
Integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, quindi, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico e’ l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volonta’ dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorche’ in contrasto con la realta’, a lei ignota (Sez. 2, n. 21974 del 18/04/2017, Cianci, Rv. 270072).
La coazione della volonta’ si distingue infatti dalla manipolazione agita attraverso l’induzione in errore, in quanto solo nel primo caso l’azione illecita si presenta irresistibile.
L’induzione in errore e’ azione diversa dalla costrizione sebbene entrambe le condotte siano idonee a deviare il fisiologico sviluppo dei processi volitivi.
La condotta induttiva, anche quando si manifesta con la esposizione di pericoli inesistenti, si differenzia dalla condotta estorsiva proprio nella misura in cui la volonta’ risulta “diretta” e “manipolata”, ma non irresistibilmente “piegata”.
L’idoneita’ della rappresentazione del male a “dirigere” piuttosto che “piegare” la volonta’ non puo’ essere stabilita in astratto, ma necessita di uno scrutinio che verifichi in concreto la consistenza della azione minatoria, anche rispetto all’effettiva resistenza della vittima.
Tale indagine non puo’ che analizzare l’idoneita’ coercitiva della minaccia nel momento in cui la stessa viene posta in essere, nulla rilevando che ex post il male prospettato risulti irrealizzabile, e deve ravvisarsi estorsione in tutti i casi in cui sussista la minaccia di un male, a prescindere dal fatto che questo sia reale o immaginario, dal momento che identico e’ l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo (Sez. 6, n. 27996 del 28/05/2014, Stasi e altro, Rv. 261479).
Nel caso di specie quindi -considerato che quanto rappresentato dai ricorrenti alla persona offesa veniva percepito in modo da non potersi escludere aprioristicamente la serieta’ e fondatezza della minaccia- la condotta posta in essere dagli imputati deve essere qualificata come tentata estorsione.
Come correttamente evidenziato dai giudici di merito, infatti, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno posto in essere una condotta idonea a coartare la volonta’ della persona offesa.
Il pericolo dagli stessi prospettato nel corso degli incontri e dei contatti con il (OMISSIS), anche in virtu’ delle condotte in precedenza subite e nonostante queste non fossero state poste in essere dai ricorrenti, non era astratto ed ipotetico ma, piuttosto, appariva come serio e concreto e come tale era descritto dai ricorrenti e cosi’ questi facevano in modo che la persona offesa lo percepisse.
(OMISSIS) si era accreditato come intermediario, “responsabile” della soluzione del problema (cfr. pag. 14 sentenza impugnata) e la lettura della conversazione intercorsa il 18 giungo 2016 dei giudici di merito in tal senso e’ insindacabile in sede di legittimita’.
Sotto questo profilo, la circostanza che il Caviglia sia stato assolto e che sia stata ritenuta la totale estraneita’ dei due ricorrenti all’associazione “cosa nostra” nulla muta quanto alla qualificazione giuridica da attribuire ai fatti poiche’ sono stati loro stessi, con la condotta complessivamente tenuta, ad “accreditarsi” in tal modo.
1.2. Nei medesimi motivi le difese rilevano il vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico dei ricorrenti, che sarebbero intervenuti nell’esclusivo interesse della persona offesa.
La doglianza, attraverso la quale si sollecita una diversa e non consentita lettura degli elementi acquisiti nel corso delle indagini, e’ manifestamente infondata.
La questione, infatti, e’ stata attentamente valutata dalla Corte territoriale che ha sul punto risposto ai rilievi ed alle osservazioni della difesa con motivazione corretta, logica ed adeguata.
Le considerazioni e gli argomenti esposti nel provvedimento impugnato, d’altro canto, fondati sul tenore ed il contenuto delle conversazioni intercettate nelle quali si fa riferimento esplicito alla “messa a posto”, alle “famiglie a digiuno e che hanno fame”, alla situazione nella quale la persona offesa si stava trovando, ai “brutti” discorsi che si sarebbero potuti creare (cfr. pagine 15 e 16) – sono coerenti con gli elementi emersi ed ogni ulteriore critica della difesa sul punto risulta inconferente.
Quanto alla specifica posizione di (OMISSIS), infine, la Corte ha correttamente specificato che questo e’ stato il soggetto che ha in qualche modo attivato il tutto ed era presente alla conversazione finale, alla quale ha partecipato cercando di convincere con tono incisivi)la persona offesa a pagare la “messa a posto”, ponendo cosi’ in essere un comportamento incompatibile con il ruolo di mero intermediario.
Anche in relazione allo stesso, pertanto, la motivazione della Corte territoriale, che fa appunto riferimento al diretto intervento ai fatti ed in specifico alla conversazione del 18 giugno 2016, diversamente da quanto indicato nel ricorso, e’ coerente e logica e, quindi, insindacabile in sede di legittimita’.
2. La doglianza oggetto del secondo motivo di entrambi i ricorsi e relativa alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7e’ infondata.
Diversamente da quanto indicato nelle impugnazioni i giudici di merito, e gia’ nella sostanza il giudice delle indagini preliminari, hanno evidenziato come si dovesse fare riferimento anche alle specifiche modalita’ della condotta posta in essere sia da (OMISSIS) che da (OMISSIS).
A prescindere dall’effettivo inserimento o dalla contiguita’ dei ricorrenti con l’associazione, quindi, quello che rileva, sono sia il tenore del contesto complessivo nel quale si inserisce il loro operato che le forme ed i modi dagli stessi utilizzati per tentare di coartare la volonta’ del (OMISSIS).
Sotto tale profilo, la motivazione del provvedimento impugnato, anche rinviando alle attivita’ di indagine effettuate ed al tenore ed al contenuto delle conversazioni intercettate, evidenzia la sussistenza delle modalita’ riferibili all’aggravante contestata.
Come specificato, infatti, i (OMISSIS), fin dall’inizio ed in diverse occasioni, collegando il loro intervento in un ambito caratterizzato da atti di chiara ispirazione mafiosa ed accreditandosi quali soggetti in grado di garantire un pagamento di tale matrice, hanno posto in essere una condotta che “si e’ manifestata proprio con le forme di prevaricazioni tipiche del potere mafioso nei confronti delle attivita’ commerciali…. La necessita’ di “mettersi a posto” prima di procedere all’apertura di una nuova attivita’, prospettata da (OMISSIS), e la finalita’ di contribuire al mantenimento delle famiglie, palesata da (OMISSIS), risultano condotte tipiche dell’associazione mafiosa ed, in particolare, della famiglia territorialmente competente, che si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta’ che ne deriva…” (pag. 18 sentenza impugnata).
3. Nel terzo motivo di ricorso dell’avv. (OMISSIS) nell’interesse di (OMISSIS), infine, si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1.
La difesa rileva che la motivazione della Corte, a fronte di specifici motivi, sul punto, nei quali si chiedeva di operare una corretta rilettura di quanto emerso, sarebbe carente.
Le dichiarazioni rese da alcuni testi, la madre e la moglie del ricorrente (OMISSIS), infatti, imporrebbero di escludere che la minaccia sia stata formulata alla persona offesa dai due ricorrenti simultaneamente.
La doglianza e’ infondata.
La motivazione della Corte territoriale, nella quale si fa riferimento alla conversazione intercorsa il giorno 18 giugno 2016, e’ sul punto corretta espressione dei principi indicati dalla giurisprudenza di legittimita’, anche citata nel ricorso, e la conclusione e’ coerente (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv. 252518; Sez. 6, n. 50064 del 16/09/2015, Barba, Rv. 265657 e, da ultimo per l’estorsione commessa nell’interesse di un’associazione di tipo mafioso Sez. 2, n. 6272 del 19/01/2017, Corigliano, Rv. 269295).
Dall’intercettazione risulta la simultanea presenza di entrambi gli imputati e la comune condotta tesa a convincere il (OMISSIS) a versare la somma richiesta. Nel corso di tale incontro, peraltro, come indicato nella sentenza, (OMISSIS) ha fornito un concreto supporto all’azione del padre, cosi’ rafforzandola.
A fronte di tale evidenziata condotta concreta, l’argomento indicato dalla difesa, cioe’ che da alcune dichiarazioni ed intercettazioni emergerebbe che (OMISSIS) non fosse d’accordo con il padre, e’ privo di rilievo e l’omessa specifica motivazione sul punto non costituisce vizio di motivazione valutabile in sede di legittimita’ (cosi’ Sez. 1, n. 6128 del 7/11/2013, dep. 2014, Mancuso, Rv 259170; Sez. 5, n. 7588 del 06/05/1999, Duri, Rv 213630).

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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