Integra il reato di peculato la condotta del pubblico agente

Corte di Cassazione, penaleSentenza|29 gennaio 2021| n. 3601.

Integra il reato di peculato la condotta del pubblico agente che ritardi il versamento all’ente del danaro riscosso in ragione della funzione svolta oltre il ragionevole limite di tempo derivante dalla complessità delle operazioni di versamento o dalla necessità di attendere anche a doveri di ufficio di diversa natura. (Fattispecie relativa ad un impiegato dell’ufficio anagrafe di un comune che si era appropriato delle somme consegnategli dai privati a titolo di diritti di segreteria sulle carte di identità rilasciate, restituendole parzialmente solo dopo l’avvio di un procedimento amministrativo a suo carico).

Sentenza|29 gennaio 2021| n. 3601

Data udienza 14 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Peculato – Appropriazione da parte del dipendente comunale delle somme incassate per il rilascio di carte d’identità – Irrilevanza dalla mancata previsione di un termine per il versamento in favore del Comune – Sussistenza di lacune argomentative in relazione a specifici motivi di gravame – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

Dott. BASSI A. – rel. Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04/11/2019 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Alessandra Bassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Locatelli Giuseppe, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano entrambi dichiarati inammissibili;
udito il difensore della parte civile Comune di Tricase, avv. (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata come da conclusioni scritte e nota spese depositate a verbale;
uditi i difensori dei ricorrenti, avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Lecce ha confermato l’appellata decisione dell’8 ottobre 2014, con cui il Tribunale di Lecce ha condannato i ricorrenti alla pena di legge per il delitto di peculato di cui al capo A), mentre ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del solo (OMISSIS) per il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale sub capo B), in quanto estinto per prescrizione.
In particolare, sub capo A), e’ contestato ai ricorrenti il reato di cui all’articolo 81 c.p., comma 2 e articolo 314 c.p., per essersi appropriati, nella loro qualita’ di pubblici ufficiali quali dipendenti del Comune di Tricase addetti al settore affari generali, servizio demografico del medesimo Comune e per il rilascio dei documenti di identita’, della somma di 5,16 Euro incassata per ciascuna carta d’identita’ rilasciata dal 1 gennaio 2006 al 25 settembre 2008.
2. Con atto a firma del difensore di fiducia avv. (OMISSIS), (OMISSIS) chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge in relazione agli articoli 507 e 603 c.p.p. e correlativo vizio di motivazione, per avere i Giudici di primo grado disposto – ai sensi dell’indicata norma di cui al citato articolo 507 – la trascrizione del colloquio tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (nel corso della quale quest’ultimo avrebbe confessato la sua esclusiva responsabilita’ in ordine agli ammanchi), trascrizione divenuta poi impossibile per cause indipendenti dalla volonta’ del ricorrente, ed avere poi illogicamente – negato l’esame del teste (OMISSIS) che quella registrazione aveva piu’ volte ascoltato ed avrebbe potuto riferire in merito (come risulta dalle dichiarazioni raccolte ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.p. ed allegate al ricorso).
2.2. Violazione di legge in relazione all’articolo 314 c.p. con riferimento all’articolo 192 c.p.p. e correlativo vizio di motivazione, per avere il Collegio di merito omesso di dare risposta al rilievo sviluppato nell’atto d’appello con il quale si era evidenziato come, nel corso del giudizio di primo grado, fosse emerso che, presso il Comune di Tricase, sino al 2008, non v’erano regole precise, ne’ termini perentori per la consegna del denaro, sicche’ si era affermata la prassi secondo la quale tutti i dipendenti addetti al rilascio delle carte d’identita’ dovevano consegnare le somme di danaro incassate a richiesta dei superiori o comunque dell’ufficio economato, circostanza di per se’ sufficiente a dimostrare come non vi fosse alcuna volonta’ da parte del ricorrente di appropriarsi delle somme in oggetto. D’altra parte, la difesa sottolinea come l’imputato non avrebbe potuto sottrarsi alla restituzione del denaro, stante la necessaria coincidenza fra il numero delle carte rilasciate e l’incasso dei relativi diritti, e come qualunque altro dipendente comunale avrebbe comunque potuto accedere alla cassaforte ove veniva depositato il denaro e sottrarlo. Evidenzia altresi’ che i Giudici di merito hanno trascurato di considerare: che il prospetto delle entrate rilasciato dall’ufficio economato (comprovante i numerosi versamenti effettuati dal ricorrente presso il medesimo ufficio del Comune) dimostra come non vi sia stata alcuna appropriazione di somme da parte del prevenuto; che l’imputato pretendeva l’espressa indicazione del suo nominativo ogni volta che effettuava un versamento, come riferito dal teste (OMISSIS); che (come rappresentato nella memoria difensiva del 9 ottobre 2017) la richiesta di (OMISSIS) di tracciare i versamenti poteva giustificarsi soltanto con la volonta’ di prendere le distanze dalle situazioni “equivoche” che si erano verificate nel suo ufficio; che manca in atti la prova che il denaro versato dal ricorrente non corrisponda a quanto effettivamente incassato da (OMISSIS) per il rilascio dei documenti, non essendo possibile risalire a chi, tra i vari dipendenti addetti al servizio, soprattutto chi tra (OMISSIS) e (OMISSIS), abbia materialmente rilasciato le carte d’identita’ singole, come riferito dal teste (OMISSIS); che (OMISSIS) ha comunque effettuato un numero superiore di versamenti rispetto al (OMISSIS). Aggiunge il ricorrente come i Giudici della cognizione non abbiano dato risposta in merito alle specifiche circostanze di fatto sottoposte al loro vaglio, segnatamente: a) alla ragione addotta quanto al versamento/rimborso delle somme assieme al (OMISSIS), dovuto al fatto che alcuni dirigenti del Municipio gli avevano prospettato la possibilita’ che, mettendo a disposizione dell’ufficio economato le somme riscosse per il rilascio dei documenti, la vicenda si sarebbe definita senza alcun pregiudizio, avendo per di piu’ (OMISSIS) contribuito alla restituzione del denaro con una quota non corrispondente alla meta’, come sarebbe stato logico nel caso in cui fosse stato corresponsabile, ma soltanto effettuando un prestito di mille Euro al (OMISSIS) al fine di consentirgli di raggiungere l’importo necessario a sanare la posizione debitoria nei confronti del Comune; b) alle numerose assenze dall’ufficio del (OMISSIS); c) alla circostanza che il ricorrente aveva chiesto di essere trasferito ad altro ufficio proprio a causa dei sospetti circa la irregolare gestione delle carte d’identita’ da parte di altri; d) alla ragione per la quale il ricorrente non aveva denunciato (OMISSIS), legata al fatto che egli non aveva mai avuto prova certa della sua responsabilita’; e) al fatto che non e’ ipotizzabile il concorso morale del (OMISSIS) nelle appropriazioni materialmente perpetrate dal (OMISSIS).
2.3. Violazione di legge in relazione all’articolo 314 con riferimento all’articolo 323 c.p. e correlativo vizio di motivazione, per avere il Collegio del gravame omesso di valutare la ravvisabilita’ nel caso di specie del delitto di abuso d’ufficio. Rimarca la difesa che – come evidenziato nelle note difensive depositate all’udienza del 9 ottobre 2017 – non era previsto un termine perentorio per la consegna del denaro riscosso in sede di rilascio dei documenti d’identita’, che chiunque avrebbe potuto accedere alla cassaforte dell’ufficio ove il denaro era depositato e che non v’e’ prova della volonta’ del (OMISSIS) di appropriarsi del denaro posseduto per ragioni d’ufficio, avendo egli collaborato alla restituzione dell’intero importo mancante.
2.4. Violazione di legge in relazione all’articolo 314 c.p., comma 2, e correlativo vizio di motivazione, per avere i decidenti di merito omesso di considerare la ravvisabilita’ nella specie del peculato d’uso.
2.5. Violazione di legge in relazione agli articoli 114 e 314 c.p. e correlativo vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale denegato l’invocata attenuante, delineando un indimostrato ruolo paritario fra i due imputati.
3. Con atto a firma del difensore di fiducia avv. (OMISSIS), (OMISSIS) chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito riassunti ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
3.1. Violazione di legge in relazione all’articolo 603 c.p.p. e correlativo vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello omesso di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con riguardo al sollecitato esame dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), denegato con una motivazione apparente.
3.2. Violazione di legge in relazione all’articolo 314 c.p. con riferimento all’articolo 192 c.p.p. e correlativo vizio di motivazione, per avere il Collegio di merito omesso di dare risposta al rilievo sviluppato nell’atto d’appello con il quale si era evidenziato come, nel corso del giudizio di primo grado, fosse emerso che, presso il Comune di Tricase, sino al 2008, non v’erano regole precise ne’ termini perentori per la consegna del denaro e come fosse prassi che i dipendenti addetti al rilascio delle carte d’identita’ consegnassero le somme di danaro incassate a richiesta dei superiori o comunque dell’ufficio economato, circostanza di per se’ sufficiente a dimostrare l’assenza di qualunque volonta’ da parte dell’imputato di appropriarsi delle somme in oggetto, riverberando nella mancanza dell’elemento psicologico; come l’imputato non potesse comunque sottrarsi dal restituire il denaro incassato a titolo di diritti, dovendo esso coincidere con il numero delle carte rilasciate, e come non sia possibile risalire a chi, tra i vari dipendenti addetti al servizio, abbia materialmente rilasciato le carte d’identita’; come tutti dipendenti comunali potessero accedere alla cassaforte ove veniva depositato il denaro.
3.3. Violazione di legge in relazione all’articolo 314 con riferimento all’articolo 323 c.p. e correlativo vizio di motivazione, per avere il Collegio di merito omesso di considerare la ravvisabilita’ nel caso di specie del delitto di abuso d’ufficio, con considerazioni sovrapponibili a quelle svolte da (OMISSIS) nel motivo sub punto 2.3.
3.4. Violazione di legge in relazione all’articolo 314 c.p., comma 2, e correlativo vizio di motivazione, per avere i decidenti di merito omesso di considerare la ravvisabilita’ nella specie del peculato d’uso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile, mentre e’ fondato il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS).
2. Occorre innanzitutto sgombrare il campo dalle eccezioni di natura processuale dedotte da entrambi i ricorrenti (sunteggiata sub punti 2.1 e 3.1 del ritenuto in fatto), con cui essi hanno denunciato la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli articoli 507 e 603 c.p.p. ( (OMISSIS)) ed all’articolo 603 c.p.p. ( (OMISSIS)).
2.1. Risulta manifestamente infondato il primo profilo di doglianza del (OMISSIS), con cui egli si duole dell’omessa acquisizione della prova orale del teste (OMISSIS), a seguito della sopravvenuta impossibilita’ di disporre la trascrizione della registrazione compiuta dal (OMISSIS) del dialogo da lui avuto con il coimputato (OMISSIS).
Costituisce invero principio di diritto acquisito che non puo’ dare luogo ad un vizio di mancata assunzione di una prova decisiva, ne’ ad una violazione di legge processuale in relazione al disposto dell’articolo 507 c.p.p., la mancata assunzione di una prova che sia stata sollecitata dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria officiosa e che sia stata da questi ritenuta non necessaria ai fini della decisione (ex plurimis, Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 – dep. 2017, Fiaschetti e altro, Rv. 269270 – 01).
Tanto vale a maggior ragione nel caso specie, nel quale la non necessita’ ai fini del decidere della prova orale sollecitata e’ stata inappuntabilmente argomentata dai Giudici di merito sulla scorta della rilevata inaffidabilita’ dell’acquisendo narrato del teste, non neutrale in quanto stretto parente del (OMISSIS) (essendone il figlio) (v. pagina 4 della sentenza impugnata).
In linea con quanto sollecitato dal Procuratore generale all’odierna udienza, le dichiarazioni rese da (OMISSIS) raccolte dalla difesa ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.p. ed allegate al ricorso per cassazione non potranno ovviamente essere inserite nel materiale utilizzabile ai fini del giudizio di rinvio nei confronti del ricorrente (OMISSIS), in quanto non ammesse dai Giudici della cognizione per le ragioni teste’ illustrate.
2.2. Quanto poi alla censura comune ai ricorrenti – con i quali essi hanno censurato l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’audizione dei testi da essi indicati (precisamente (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS)) -, basti ricordare che, alla stregua del chiaro disposto dell’articolo 603 c.p.p., commi 1 e 2, l’assunzione di nuove prove in appello e’ subordinata alla valutazione del giudicante di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, salvo che non si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, nel quale caso il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall’articolo 495 c.p.p., comma 1. Situazione di novita’ delle prove richieste che neanche i ricorrenti hanno evidenziato sussistere nella specie.
Va dunque richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’articolo 603 c.p.p., comma 1, e’ subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria, accertamento rimesso alla valutazione del giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimita’ se correttamente motivato (Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, Rv. 229666).
A cio’ si aggiunge che il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre puo’ anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilita’ dell’imputato (da ultimo, Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018 – dep. 2019, Motta Pelli SrI, Rv. 27511401).
Nessun vizio e’ pertanto ravvisabile nel passaggio argomentativo nel quale i Giudici del gravame hanno, sia pure sinteticamente, rilevato l’inutilita’ ai fini del decidere delle prove orali sollecitate dai ricorrenti (v. pagina 4 della sentenza impugnata).
3. Con il secondo motivo, (OMISSIS) rinnova rilievi gia’ dedotti con il gravame e non si confronta con le esaustive risposte date dai Giudici di merito, avendo riguardo al corredo motivazionale quale risulta dalla lettura congiunta delle sentenze di primo e di secondo grado, in ossequio alla regula iuris ormai acquisita in caso di c.d. doppia conforme (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Omesso confronto con le argomentazioni svolte che si traduce in una causa d’inammissibilita’ del ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
3.1. Ad ogni buon conto, la trama argomentativa intessuta da Giudici della cognizione si appalesa completa e scevra da smagliature di ordine logico-giuridico.
Il Collegio di merito ha premesso di condividere in toto la ricostruzione della vicenda compiuta dal Tribunale, la’ dove ha dato conto di tutte le acquisizioni dibattimentali, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testimoni e delle risultanze dell’archivio informatizzato, attestanti il numero di carte d’identita’ rilasciate nel quinquennio 2004 – 2008 e l’entita’ dei diritti riscossi in relazione ai documenti emessi e non versati (v. pagina 11 della sentenza di primo grado). La Corte di merito – sempre ricalcando la ricostruzione del primo giudice – ha poi rammentato come il procedimento penale sia scaturito dalla contestazione ai due imputati di addebiti in via amministrativa, a seguito della quale – circostanza ritenuta, non irragionevolmente, di fondamentale importanza – (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano determinati a versare all’economato la somma di 9798,61 Euro, corrispondente all’importo non versato per il rilascio delle carte d’identita’ per l’anno 2007 ed a consegnare al Segretario generale dello stesso Comune in data 2 ottobre 2008 una memoria difensiva, con cui essi impostavano la propria difesa in modo unitario (v. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha sottolineato come, a fronte dei consistenti ammanchi registrati presso l’ufficio del Comune di Tricase ove operavano i due imputati, essi si determinavano a restituire parte delle somme non versate (quelle relative all’anno 2007) soltanto dopo l’avvio del procedimento nella sede amministrativa a loro carico, ritenendo tale circostanza comprovante non soltanto la materialita’ del peculato, ma anche l’elemento psicologico del reato (v. pagina 4 della sentenza impugnata).
Quanto poi all’assenza di un termine per la consegna dei diritti riscossi, il Giudice del gravame ha richiamato quanto gia’ acclarato dal Tribunale e cioe’ che la responsabile del servizio (OMISSIS) ha dichiarato di avere impartito una direttiva secondo cui ogni venerdi’ detti diritti dovessero essere versati all’economato, regola che non veniva invece osservata dall’ufficio dei due imputati (v. pagina 11 della sentenza di primo grado e pagina 3 della decisione in verifica).
3.2. Ad ogni buon conto, nel caso di specie, non potrebbe non trovare applicazione l’incontrastato principio di diritto secondo cui il peculato, in quanto reato istantaneo, si consuma nel momento in cui l’agente si appropria del danaro o della cosa mobile della pubblica amministrazione di cui abbia il possesso per ragione del suo ufficio, o dia ad essi una diversa destinazione. Ne consegue che, qualora il pubblico ufficiale abbia l’obbligo di versare nelle casse della P.A. il danaro di volta in volta ricevuto da terzi per ragione del suo ufficio, la mancata previsione di un termine di scadenza, se autorizza a tollerare un eventuale ritardo nell’adempimento dell’obbligo, non puo’ tuttavia giustificare qualsiasi ritardo, ed in particolare anche quello che si protragga oltre quel ragionevole limite di tempo che sia imposto dalla maggiore o minore complessita’ delle operazioni di versamento da compiere, ovvero dalla necessita’, per il pubblico ufficiale, di attendere anche a doveri d’ufficio di diversa natura (Sez. 6, n. 15108 del 20/02/2003, Tramarin, Rv. 224573 – 01). Detto principio e’ stato ribadito in un caso in tutto sovrapponibile a quello di specie – in relazione alla condotta dell’ufficiale di anagrafe che si era appropriato del denaro consegnatogli dai privati a titolo di diritti di segreteria sulle carte di identita’ da lui rilasciate -, la’ dove questa Corte ha affermato che integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che ometta o ritarda di versare cio’ che ha ricevuto per conto della P.A., in quanto tale comportamento costituisce un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la res alla disponibilita’ dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso uti dominus (Sez. 6, n. 53125 del 25/11/2014, Renni, Rv. 261680 – 01).
Ne discende che, quand’anche all’epoca dei fatti non fosse vigente una regola che imponesse ai ricorrenti di versare ogni venerdi’ quanto riscosso a titolo di diritti sulle carte d’identita’ emesse nella settimana – regola di cui ha comunque dato evidenza la dirigente (OMISSIS) -, i dipendenti dell’ufficio anagrafe sarebbero stati comunque tenuti a versare nelle casse del Comune quanto da essi riscosso per conto della P.A. immediatamente o comunque senza un ritardo apprezzabile (e non dopo anni e non – soprattutto – dopo l’apertura del procedimento amministrativo per gli ammanchi).
3.3. Infine, nessun rilievo assume l’omessa risposta circa la prospettazione che altri dipendenti avrebbero potuto munirsi della chiave e sottrarre dalla cassaforte il denaro relativo ai diritti delle carte d’identita’, trattandosi di aspetto gia’ affrontato dal primo giudice (v. pagina 6 della sentenza del Tribunale) contrastato in appello (ed anche nel ricorso dinanzi a questa Corte) con considerazioni di natura meramente congetturale, dunque – ab origine inammissibili.
3.4. Conclusivamente, a fronte della completezza e coerenza dell’iter argomentativo sviluppato dal Giudice del gravame in sentenza, il ricorso del (OMISSIS) si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di merito, non consentita nel giudizio di legittimita’, nel quale sono rilevabili vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilita’ di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
4. All’evidenzia destituito di fondamento e’ anche il terzo motivo, con il quale (OMISSIS) ha censurato l’omesso inquadramento giuridico del fatto nell’ipotesi di cui all’articolo 323 c.p..
4.1. Anche a voler prescindere dalla genericita’ della doglianza, non puo’ non essere ribadito che integra il reato di peculato la condotta distrattiva del denaro o di altri beni che realizzi la sottrazione degli stessi dalla destinazione pubblica e l’utilizzo per il soddisfacimento di interessi privatistici dell’agente, mentre e’ configurabile l’abuso d’ufficio quando si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio che, tuttavia, si concretizzi in un uso indebito del bene che non ne comporti la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’ente cui appartiene. (ex plurimis Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, Bellinazzo, Rv. 273783 – 01).
A fronte della ricostruzione dei fatti compiuta dai Giudici della cognizione, evidente risulta l’assenza dei presupposti dell’abuso d’ufficio: nella specie, non si e’ trattato di una destinazione della pecunia pubblica ad uno scopo diverso da quello istituzionale dante luogo ad un mero uso indebito, ma di una distrazione tradottasi in una e vera e propria appropriazione del denaro con correlativa perdita da parte del Comune, non superata dalla tardiva e comunque solo parziale restituzione delle somme sottratte.
Nessun errore in diritto sul punto e’ dunque ravvisabile nella sentenza impugnata.
5. Oltre a rinnovare una doglianza gia’ coltivata con il gravame, e’ palesemente scorretto in diritto anche l’ulteriore motivo, con il quale (OMISSIS) ha censurato l’omesso inquadramento giuridico del fatto nell’ipotesi del peculato d’uso.
5.1. Sul punto basti rammentare il consolidato insegnamento di questa Corte alla stregua del quale il peculato d’uso e’ configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nell’articolo 314 c.p., comma 1, in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l’uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del “tantundem”, irrilevante ai fini dell’integrazione dell’ipotesi attenuata. (Sez. 6, n. 49474 del 04/12/2015, Stanca, Rv. 26624201).
6. Conclusivamente, il ricorso di (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile.
6.1. Dalla decisione assunta discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
(OMISSIS) deve essere inoltre condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile Comune di Tricase in questa fase, che – avuto riguardo alle tariffe forensi ed all’impegno defensionale profuso – si stima equo liquidare in complessivi Euro 3.510, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.
7. Come anticipato, a conclusioni diverse deve invece pervenirsi con riguardo alla posizione di (OMISSIS).
7.1. Secondo quanto dato conto dai Giudici della cognizione nelle sentenze di primo e di secondo grado, (OMISSIS) lavorava nello stesso ufficio anagrafe con (OMISSIS); veniva sottoposto – come quest’ultimo – al procedimento amministrativo in relazione all’omesso versamento dei diritti di rilascio delle carte d’identita’; rimborsava assieme al coimputato la somma relativa ai diritti non versati nell’anno 2007 (in data 29 settembre 2008) e presentava con il medesimo una memoria difensiva congiunta al Segretario generale del Comune di Tricase a spiegazione dei fatti (in data 2 ottobre 2008); in un secondo tempo (il 22 dicembre 2008), (OMISSIS) depositava alla Procura della Repubblica di Lecce una memoria nella quale addossava l’intera responsabilita’ degli ammanchi al (OMISSIS).
Schematizzando il discorso giustificativo posto a base della condanna, quale risulta dalla lettura congiunta dei provvedimenti di primo e di secondo grado (v. pagine 3 e seguenti del provvedimento in verifica e 11 e seguenti della sentenza di primo grado), i decidenti di merito hanno motivato il ritenuto pieno coinvolgimento nei fatti del (OMISSIS) in considerazione: del fatto che essi lavoravano nello stesso ufficio ove si erano appunto registrati importanti ammanchi, non potendosi ritenere significative a discolpa le assenze del (OMISSIS) dall’ufficio per permessi sindacali e malattia; della circostanza che (OMISSIS) non aveva denunciato (OMISSIS) per le appropriazione delle somme ne’ assunto iniziative per contrastarle; del fatto che (OMISSIS) aveva restituito le somme soltanto dopo l’avvio del provvedimento amministrativo ed aveva adottato – in detto procedimento almeno nella prima fase – una comune linea difensiva con il coimputato; della circostanza che (OMISSIS) aveva prestato la somma di 2.800 Euro al (OMISSIS), aiuto che non avrebbe avuto ragione di dare se fosse stato estraneo alle appropriazioni; dell’omessa dimostrazione l’effettiva causale dell’assegno postdatato di 1.000 Euro con il quale – secondo la difesa del (OMISSIS) – (OMISSIS) gli avrebbe restituito parte della somma di 2.800 Euro prestatagli per il rimborso all’amministrazione.
7.2. Orbene, l’argomentare dei Giudici della cognizione e, in particolare, quello della Corte distrettuale – pur in se’ non manifestamente illogico – non da’ nondimeno risposta alle specifiche deduzioni mosse, con l’atto d’appello e con la memoria difensiva depositata all’udienza del 9 ottobre 2017, su aspetti – almeno prima facie – non irrilevanti ai fini della decisione in punto di penale responsabilita’. In particolare, il Collegio non ha affrontato i rilievi dedotti concernenti: a) la circostanza che il prospetto rilasciato dall’ufficio economato comprovi numerosi versamenti effettuati dal ricorrente (come da documenti allegati al verbale dell’udienza del 9 ottobre 2017); b) il fatto che il prevenuto aveva preteso che il suo nominativo fosse indicato ogni volta che effettuava il suo versamento, come riferito dal teste (OMISSIS), e che tale richiesta non potesse che giustificarsi con la volonta’ di prendere le distanze dalle situazioni “equivoche” verificatesi nell’ufficio, in particolare dalle appropriazioni commesse da altri; c) la mancanza di prova che il denaro che risulta essere stato versato dal ricorrente non corrisponda a quanto incassato effettivamente dal (OMISSIS) per il rilascio delle carte d’identita’ da questi curato; d) le richieste formulate da (OMISSIS) di essere trasferito in altro ufficio (come da documenti allegati al verbale dell’udienza del 9 ottobre 2017); e) la non implausibilita’ della versione difensiva secondo la quale (OMISSIS) aveva inizialmente assunto una posizione unitaria con (OMISSIS) nell’ambito del procedimento amministrativo confidando nel fatto che la situazione si sarebbe risolta in quella sede – come confermato dal prestito rilasciato al coimputato al fine di consentirgli di sanare la posizione debitoria nei confronti del Comune -, prendendo subito le distanze dal correo non appena era stato avviato il procedimento penale a suo carico.
Elementi ed argomenti che, nell’ambito di un giudizio di responsabilita’ poggiato fondamentalmente su elementi di natura indiziaria e logica (che hanno portato il Tribunale a delineare la responsabilita’ del (OMISSIS) in termini di mero concorso morale nelle appropriazioni commesse dal (OMISSIS)), avrebbero potuto almeno in linea astratta – condurre ad un esito diverso (anche ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2) e che i Giudici dell’impugnazione erano pertanto tenuti a vagliare e, se del caso, a respingere e/o svalutare, lasciandone traccia nella motivazione del provvedimento.
7.3. L’evidenziata lacuna argomentativa su temi difensivi non irrilevanti si traduce in un vizio riconducibile al disposto dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera c) ed e), ed impone, pertanto, l’annullamento con rinvio del provvedimento.
Nel giudizio di rinvio, la Corte d’appello dovra’ dare risposta alle deduzioni mosse dalla difesa del (OMISSIS) nonche’ verificare quali condotte risultino medio tempore essersi estinte per prescrizione, tenendo conto dei numerosi periodi di sospensione del corso della prescrizione nei due gradi di giudizio di merito (puntualmente ricostruiti nelle pagine 4 e 5 della sentenza impugnata).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna inoltre (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile Comune di Tricase in questa fase, che si liquidano in complessivi Euro 3.510, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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