Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|13 luglio 2021| n. 26571.

Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative.

In materia d’inquinamento atmosferico, la sola violazione delle semplici prescrizioni autorizzative, che evidentemente presuppongono il possesso dell’autorizzazione, comporta unicamente l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (ai sensi del comma 2 bis dell’art. 279 D.Lvo n. 152 del 2006), senza quindi che si configuri il reato di esercizio abusivo. Fattispecie: danno prodotto agli abitanti della zona limitrofa dalla rilevante dispersione di polveri e della protrazione nel tempo della condotta, di carattere non occasionale.

Sentenza|13 luglio 2021| n. 26571. Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative

Data udienza 25 marzo 2021

Integrale

Tag – parola: Inosservanza delle prescrizioni imposte con l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera ex art. 279, comma 2, D.Lgs. 152/2006 – Intervenuta depenalizzazione – Fatto non più previsto dalla legge come reato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/05/2019 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BERNAZZANI PAOLO;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TOCCI STEFANO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 6.5.2019, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della medesima citta’ in data 7.12.2016, concedeva agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario, confermando nel resto la condanna degli stessi alla pena di mesi tre di arresto ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali, inflitta dal giudice di primo grado in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 279, comma 2.
2. Avverso tale decisione, i predetti imputati propongono ricorso per la cassazione della citata sentenza, affidato a tre motivi.
2.1.Con il primo motivo, i ricorrenti deducono i vizi di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 157 c.p., attesa l’intervenuta prescrizione del reato, e articolo 279, comma 2, T.U.A. in relazione alla natura istantanea e non permanente della fattispecie contestata.
Rilevano, in particolare, i ricorrenti, che le violazioni riconducibili al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 279, comma 2, – cosi’ qualificata l’imputazione dal giudice di prime cure, con valutazione confermata sul punto dalla Corte d’appello – per cui vi e’ stata condanna della (OMISSIS), quale legale rapp.te della “(OMISSIS) s.r.l.” e gestore Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ex articolo 5, comma 1, lettera r bis) e del (OMISSIS) quale direttore dei lavori, consistevano nell’omessa installazione di tramogge, nastri trasportatori carenati e barriera frangivento lungo il perimetro dello stabilimento, in violazione delle prescrizioni imposte con determinazione della Regione Puglia n. 180 del 20.12.1999.
In tale prospettiva, la difesa dei ricorrenti deduce che il termine di prescrizione del reato andrebbe fatto decorrere dal gennaio 2014 (data indicata nell’imputazione), non trattandosi, nonostante quanto indicato nello stesso capo di imputazione, di reato permanente, in quanto, muovendo dalla allegata qualificazione della fattispecie quale reato di evento, essa sarebbe riconducibile nell’alveo dei reati c.d. a consumazione istantanea, onde il momento consumativo coinciderebbe “non nell’eventuale cessazione dell’attivita’ pericolosa posta in essere dai prevenuti”, ma “nella stessa verificazione dell’evento, che coincide con la sola violazione delle prescrizioni e che li’ termina”.
In tale prospettiva, la difesa dei ricorrenti richiama il dictum di Sez. 3, n. 16042 del 12.4.2019, Rv. 275396 in cui si definisce la contravvenzione di cui all’articolo 279 citato quale reato istantaneo (peraltro, con riferimento alla diversa ipotesi della violazione dei valori limite di emissione stabiliti dall’Allegato I alla parte quinta del medesimo decreto legislativo; la decisione, in particolare, afferma che tale ipotesi “ha natura di reato istantaneo, potendosi tuttavia configurare anche come reato a consumazione prolungata o condotta frazionata, caratterizzato dalla ripetizione di singole condotte lesive dell’interesse protetto dalla norma che determinano il superamento dei limiti soglia nel tempo, sebbene con soluzione di continuita’, cosi’ differenziandosi dal reato necessariamente o eventualmente permanente, rispetto al quale la fattispecie tipica esige o ammette una protrazione nel tempo senza soluzione di continuita’”).
A chiusura dell’esposizione del motivo, infine, la difesa dei ricorrenti fa riferimento al contenuto degli atti e degli accertamenti della Regione Puglia, con particolare riferimento all’un atto di diffida regionale n. 1/2015, allegando che in essi si da’ atto dell’adempimento delle prescrizioni da parte degli imputati al fine di eliminare ogni irregolarita’ nella cava: il punto specifico risulta ripreso e meglio articolato nel secondo motivo, sviluppato nei termini che seguono.

 

Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative

2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, nonche’ inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in riferimento all’articolo 24 Cost., nonche’ all’articolo 521 c.p.p. e, sul piano sostanziale, al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 279, comma 2.
Si censura, in particolare, l’affermazione della Corte d’appello in ordine all’insussistenza di violazione del principio di corrispondenza fra fatto contestato (Decreto Legislativo cit., articolo 279, comma 1) e fatto ritenuto in sentenza, attesa, secondo la sentenza impugnata, la compiuta descrizione nel capo d’imputazione del fatto per cui vi e’ stata condanna e la conseguente piena e compiuta esplicazione del diritto di difesa.
Ribatte la difesa dei ricorrenti che l’accertamento di prescrizioni in ipotesi violate (prescrizioni imposte con determinazione della Regione Puglia n. 180/99) sarebbe, in realta’, il frutto di una errata interpretazione da parte dei giudicanti della citata determinazione regionale, nella quale bensi’ “sono stati indicati sistemi atti a prevenire l’inquinamento da polvere, quali ad esempio l’installazione di tramogge, nastri trasportatori carenati e barriera frangivento lungo il perimetro dello stabilimento (potendo qui astrattamente rientrare la condotta omissiva dei prevenuti)”; e tuttavia, la “vera prescrizione” contenuta nella determinazione regionale sarebbe consistita “soltanto nell’individuazione del limite di polveri inquinanti che la societa’ era tenuta a rispettare”.
D’altro canto, il richiamo all’obbligo di rispettare le linee guida C.R.I.A.P. (Comitato regionale sull’inquinamento atmosferico) costituiva un “rimando ad indicazioni settoriali non oggettivamente conoscibili” e non certo, come ritenuto dalla sentenza impugnata, un richiamo chiaro e non generico, oltre che vincolante.
Si aggiunge, sotto altro e convergente profilo, che dall’atto di diffida n. 1/2015 del 31.3.2015 e dal successivo verbale di sopralluogo n. 2/2015, avente ad oggetto la verifica dell’adempimento della precedente diffida, si poteva evincere che la (OMISSIS) s.r.l. aveva ottemperato a quanto prescritto, eliminando in particolare le violazioni oggetto della presente imputazione, con conseguente impossibilita’ di sostenere la permanenza del reato oltre tale data.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione della legge penale per inosservanza dell’articolo 162-bis c.p. e articolo 131-bis c.p. attesa la particolare tenuita’ dell’offesa, alla luce delle modalita’ della condotta e non potendosi valutare, in assenza di prove e di accertamenti tecnici in tal senso, la produzione di un danno eziologicamente ricollegabile alla condotta degli imputati mediante la diffusione di polveri nell’ambiente.

 

Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, deve rilevarsi che la fattispecie di inosservanza di prescrizioni regionali di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 279, comma 2, risulta essere stata depenalizzata.
Invero, per effetto delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 15 novembre 2017, n. 183, articolo 1, comma 1, lettera o), n. 2 e n. 3), il testo vigente dell’articolo 279, comma 2 e 2-bis, e’ il seguente:
“(…) 2. Chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 e’ punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 10.000 Euro. Se i valori limite violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione.
2-bis. Chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola le prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, dagli allegati I, II, III o V alla Parte Quinta, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorita’ competente e’ soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 Euro a 10.000 Euro, alla cui irrogazione provvede l’autorita’ competente. Se le prescrizioni violate sono contenute nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione”.
A norma del Decreto Legislativo n. 183 del 2017, articolo 5 “Le disposizioni del presente decreto entrano in vigore il 19 dicembre 2017”.
La giurisprudenza di questa Corte, sul punto, ha gia’ avuto modo di riconoscere che “la sola violazione delle semplici prescrizioni autorizzative, che evidentemente presuppongono il possesso dell’autorizzazione, comporta unicamente l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006), articolo 279, comma 2 bis, senza quindi che si configuri il reato di esercizio abusivo” (cfr., in motivazione, Sez. 7, ord. 08/02/2019, n. 16669, n. m.).
Poiche’ non e’ dubbio che la condotta ascritta agli imputati, cosi’ come delineata dalle concordi decisioni della Corte territoriale e del giudice di prime cure (il quale riqualificava ai sensi del comma 2 dell’articolo 279 citato l’originaria imputazione, nel contempo assolvendo gli imputati dall’ipotesi, pure contestata, di cui al comma 1 della medesima norma per insussistenza del fatto), sia consistita nella violazione delle prescrizioni dettate dalla determinazione della Regione Puglia n. 180 del 20.12.1999, con particolare riferimento alla mancata installazione di tramogge, nastri trasportatori carenati e barriera frangivento lungo il perimetro dello stabilimento di cui all’imputazione, ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato.
2. Alla luce di quanto sopra, i motivi di ricorso possono considerarsi assorbiti; tuttavia, anche per completezza argomentativa, appare opportuno formulare comunque i seguenti rilievi.

 

Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative

2.1. In particolare, con riferimento al primo motivo, pur rilevata l’erronea qualificazione giuridica della fattispecie quale reato di evento a consumazione istantanea, prospettata dai ricorrenti – trattandosi di illecito formale di mera condotta consistente nella violazione delle prescrizioni impartite dall’autorita’ amministrativa regionale, in cui la condotta inosservante, protraendosi nel tempo, instaura una situazione non solo antigiuridica ma nella quale permane l’interesse al rispetto delle prescrizioni impartite, cosi’ configurando un reato permanente -, va osservato che il momento di cessazione della permanenza deve, nella specie, come correttamente evidenziato dai ricorrenti, essere collocato alla data (22.06.2015) in cui la Regione Puglia, tramite il funzionario uff. di p.g. geom. (OMISSIS), risulta aver esplicitamente e formalmente accertato l’ottemperanza da parte della societa’ (OMISSIS) s.r.l. alle prescrizioni contenute nella precedente diffida n. 1/2015, fra cui risultano le violazioni oggetto di imputazione.
Di qui, anche la maturazione del termine di prescrizione massimo previsto in relazione alla fattispecie contestata.
2.2. In tale ottica, deve farsi applicazione del principio secondo cui il verificarsi della prescrizione, se maturata successivamente alla depenalizzazione del fatto, resta subvalente rispetto al proscioglimento con la formula “perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato”, con il correlativo spostamento dell’accento sulla eventuale configurabilita’ dell’ordine di trasmissione degli atti all’autorita’ amministrativa, ove previsto.
Proprio sotto tale aspetto, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 25457/2012, chiarita la natura transitoria della L. n. 689 del 1981, articoli 40 e 41, hanno affermato il principio secondo il quale l’autorita’ giudiziaria che pronunzi sentenza assolutoria perche’ il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato non ha l’obbligo di rimettere gli atti all’autorita’ amministrativa competente a sanzionare l’illecito amministrativo allorquando la normativa depenalizzatrice – come nella specie – non contenga norme transitorie analoghe a quelle di cui alla L. n. 689 del 1981, articoli 40 e 41, la cui operativita’ e’ limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione (Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012 – dep. 28/06/2012, Campagne Rudie, Rv. 252694).
3. Quanto alle restanti doglianze contenute nel secondo motivo, ulteriori rispetto al profilo concernente l’adempimento delle prescrizioni regionali con conseguente cessazione della permanenza del reato (profilo, come visto, che si sovrappone a quello gia’ evidenziato nel primo motivo) le stesse risultano inammissibili in quanto, in primo luogo, la violazione della Costituzione non puo’ essere dedotta come violazione di legge: come gia’ ritenuto da questa Corte, “e’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione di norme della Costituzione o della CEDU, poiche’ la loro inosservanza non e’ prevista tra i casi di ricorso dall’articolo 606 c.p.p. e puo’ soltanto costituire fondamento di una questione di legittimita’ costituzionale”. (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, Rv. 279059-01).
In secondo luogo, il motivo e’ intrinsecamente contraddittorio, laddove ammette pur sempre che nella determinazione regionale in esame “bensi’ sono stati indicati sistemi atti a prevenire l’inquinamento da polvere, quali ad esempio l’installazione di tramogge, nastri trasportatori carenati e barriera frangivento lungo il perimetro dello stabilimento (potendo qui astrattamente rientrare la condotta omissiva dei prevenuti)”, trasmodando, altresi’, in una richiesta di rivalutazione del merito allorche’ propone una lettura del provvedimento alternativa a quella data dalla Corte territoriale, affermando che la “vera prescrizione” consisteva “soltanto nell’individuazione del limite di polveri inquinanti che la societa’ era tenuta a rispettare”; e assumendo in modo puramente apodittico ed assertivo, a fronte delle precise argomentazioni della sentenza di appello (p. 3 della motivazione), che il richiamo all’obbligo di rispettare le linee guida C.R.I.A.P. costituirebbe un “rimando ad indicazioni settoriali non oggettivamente conoscibili”.

 

Inquinamento atmosferico e le prescrizioni autorizzative

4. Parimenti, anche il terzo motivo risulta, in se’, inammissibile: quanto alla richiesta di oblazione ex articolo 162-bis c.p., essa era stata respinta dal giudice di primo grado ai sensi del comma 3 della norma citata, permanendo conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili; la sentenza di appello non ha respinto esplicitamente la richiesta, della cui formulazione da’ atto in narrativa, ma se ne deve ravvisare il rigetto implicito laddove la decisione ha escluso la possibilita’ di infiggere la sola pena pecuniaria alla luce del danno prodotto agli abitanti della zona limitrofa dalla rilevante dispersione di polveri e della protrazione nel tempo della condotta, di carattere non occasionale.
Analogamente, il complessivo tessuto motivazionale della sentenza, in relazione alla richiesta di applicazione dell’articolo 131-bis c.p., richiamando la “gravita’ della condotta e dell’offesa arrecata in particolare proprio con la diffusione delle polveri” per un lungo periodo di tempo ed in modo non occasionale, consente di desumere il rigetto implicito della richiesta, che risulta conforme ai presupposti di legge e non censurabile sul piano dell’apprezzamento di merito.
5. Si impone, conclusivamente, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche’ il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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