Infedeltà patrimoniale: la legittimazione alla proposizione della querela

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 18 dicembre 2018, n. 57077.

La massima estrapolata:

La legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedelta’ patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla societa’ nel suo complesso ma anche – e disgiuntamente – al singolo socio; infatti il singolo socio e’ persona offesa del reato di infedelta’ patrimoniale, e non solo danneggiato dallo stesso, in quanto la condotta dell’amministratore infedele e’ diretta a compromettere le ragioni della societa’, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l’infedele attivita’ dell’amministratore subiscono il depauperamento del loro patrimonio.
E’ quindi del tutto irrilevante che il socio di minoranza, comunque offeso nei propri interessi dalla commissione del reato, possa anche avvalersi dello strumento processuale della nomina del curatore speciale ex articolo 78 c.p.c., per far si’ che sia la societa’, in tal modo rappresentata, ad agire verso l’amministratore ritenuto infedele.

Sentenza 18 dicembre 2018, n. 57020

Data udienza 15 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. SCOTTI U.L.C.G. – rel. Consigliere

Dott. MORELLI Francesca – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/09/2016 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LIGNOLA Ferdinando, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ e chiede lo stralcio dei documenti prodotti con la memoria;
udito il difensore avv. (OMISSIS) del Foro di Rona, per le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che si riporta ai motivi;
udito il difensore avv. (OMISSIS) del Foro di Roma, anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), per l’imputato (OMISSIS), che chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma con sentenza del 15/9/2016 ha confermato la sentenza del Tribunale di Rieti del 30/1/2014, appellata dall’imputato (OMISSIS), che l’aveva ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 2634 c.c., e l’aveva percio’ condannato alla pena di anni uno di reclusione, con i benefici della non menzione e della sospensione condizionale (subordinata alla pubblicazione della sentenza), nonche’ alla pena accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi di persone giuridiche per anni uno e al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede civile.
A (OMISSIS), amministratore unico di (OMISSIS) s.r.l., era stato contestato di aver venduto il 23/4/2009, l’intera azienda a (OMISSIS) s.r.l. al prezzo ritenuto incongruo di Euro 1.654.234,73, notevolmente inferiore al valore stimato dal Comune di Rieti in Euro 4.140.540,00, pur nutrendo interesse conflittuale con quello della societa’ rappresentata, perche’ socio di (OMISSIS) s.p.a., a sua volta socia di maggioranza dell’acquirente (OMISSIS) s.r.l., al fine di procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto.
2. Ha proposto ricorso l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia dell’imputato, svolgendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, rispetto alle ragioni addotte dalla difesa con l’appello, tardivita’ della querela presentata dalle parti offese e inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilita’.
Per il delitto di infedelta’ patrimoniale la legge prescrive la perseguibilita’ a querela della persona offesa: tale poteva essere ritenuta solo la societa’ e non gia’ il socio di minoranza, legittimato a richiedere ex articolo 78 c.c., la nomina di un curatore speciale per le operazioni di competenza.
In ogni caso, anche a voler ritenere legittimati i soci di minoranza, la querela era stata proposta tardivamente, e cioe’ oltre i tre mesi dalla effettiva conoscenza del fatto costituente reato ai sensi dell’articolo 124 c.p..
Nella fattispecie il 15/3/2009 il (OMISSIS) aveva comunicato ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) la sussistenza dell’accordo con (OMISSIS) per la cessione dell’azienda, mostrando loro il contratto preliminare sottoscritto, recante condizioni e prezzo (peraltro conforme a quello da loro caldeggiato per la vendita, senza alcuna garanzia a tal (OMISSIS)).
L’informazione era stata ricevuta dai soci di minoranza prima del 23/3/2009: di conseguenza i 90 giorni per l’esercizio della facolta’ di querela scadevano il 21/6/2009 (domenica) e tuttalpiu’ il successivo giorno non festivo 22/6; di conseguenza, il deposito in data 26/6/2009 era indubbiamente tardivo.
Nulla la Corte territoriale aveva opposto in ordine alla facolta’ di nomina di un curatore speciale, mentre, in punto tardivita’ della querela, era stato assunto che solo all’assemblea del 20/4/2009 fossero stati rivelati gli esatti termini della questione, trascurando il fatto che i soci sapessero dal 15/3/2009 dell’esistenza e del contenuto di un contratto preliminare pienamente vincolante.
Fuorviante e contraddittorio era l’assunto della Corte di appello circa il carattere generico delle informazioni fornite dall’imputato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta difetto assoluto di valida e coerente motivazione rispetto all’evidente insussistenza del fatto ascritto all’imputato, inosservanza della legge penale ed extrapenale, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in relazione alla mancanza evidente del danno; falsa e/o incongruente motivazione rispetto agli effetti della cessione di azienda in ordine al mancato accollo dei debiti da parte del cessionario e a eventuali offerte sul medesimo bene aziendale, motivazione apodittica e inconferente, insussistenza del dolo intenzionale richiesto dalla legge.
2.2.1. Il (OMISSIS) era socio di maggioranza di (OMISSIS) s.r.l., al 70%, e amministratore con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione; egli percio’ poteva vendere l’immobile senza bisogno di convocare alcuna assemblea; all’assemblea ordinaria del 19/5/2008 i soci avevano dato atto delle difficolta’ economiche di (OMISSIS) e dell’esposizione fideiussoria del (OMISSIS), creditore della societa’ per somme rilevantissime, delle trattative non concretizzate con il Comune di Rieti, nonche’ con un operatore del settore, e della scelta obbligata di attivarsi per il reperimento di un acquirente, con mandato all’amministratore di scegliere la proposta piu’ conveniente, anche concludendo accordi preliminari.
Il (OMISSIS) aveva tutto l’interesse di vendere al meglio, quale socio di maggioranza e creditore della societa’.
Che mancasse un pregiudizio per la societa’ era dimostrato anche dal fatto che la proposta del (OMISSIS), caldeggiata dai querelanti, peraltro priva di riferimenti in tema di tempistiche e garanzie che pur offriva un prezzo analogo a quello di (OMISSIS).
2.2.2. Del tutto infondata giuridicamente la valutazione della mancanza di accollo dei debiti da parte della cessionaria, poiche’ il subentro nei rapporti contrattuali in corso scaturiva ex articolo 2558 c.c., secondo giurisprudenza consolidata dalla cessione del complesso aziendale.
2.2.3. Del pari erroneo era il riferimento effettuato all’istituto dell’accollo, laddove, ribattendo al contenuto della consulenza di parte del dott. (OMISSIS), la Corte di appello aveva sostenuto che la proposta del (OMISSIS) liberava la societa’, grazie all’accollo, dall’intera forte esposizione debitoria per Euro 800.000 e non solo da quella relativa ai mutui; tale opinione errava nell’interpretare l’istituto perche’ l’accollo non priva il debitore accollato del debito ma aggiunge semplicemente un ulteriore garante, aspetto esistente anche nell’ordinaria cessione di azienda stipulata dal (OMISSIS).
2.2.4. Non era stata considerata la gravissima crisi aziendale della (OMISSIS) s.r.l. per cui era inevitabile la vendita dell’azienda per evitare il fallimento, sicche’ era conforme all’interesse aziendale la vendita effettuata dal (OMISSIS) al solo offerente e per un prezzo analoga a quello proposto dal (OMISSIS).
2.2.5. Il bene giuridico tutelato dal reato di infedelta’ patrimoniale era il patrimonio sociale; occorreva quindi un danno patrimoniale per la societa’, obiettivamente insussistente a fronte di una vera e propria operazione di risanamento.
2.2.6. Il delitto in questione richiede il dolo specifico della ricerca per se’ o altri di ingiusto profitto o vantaggio e del dolo intenzionale, riferito al danno patrimoniale alla societa’.
Il (OMISSIS) aveva agito invece al fine di salvare la societa’ dal fallimento e non vi era alcuna prova della sua intenzione di arrecare un danno al patrimonio della societa’, come dimostrava anche il fatto che il (OMISSIS) aveva sottoposto la deliberazione all’assemblea, cosa che in considerazione della sua quota del 70% e dei poteri conferitigli dalla legge, dallo statuto e dalla precedente delibera dell’assemblea del 19/5/2008, non aveva alcuna necessita’ di fare.
2.2.7. Non era vero infine che un anno e mezzo prima l’azienda era stata valutata dal Comune di Rieti in una proposta di acquisto per Euro 4.140.540, perche’ in tali termini si poneva solo il contenuto di una proposta proveniente dal (OMISSIS) e diretta al Comune, che non aveva dato ad essa alcun seguito, come risultava dal contenuto del verbale di assemblea ordinaria del 19/5/2008.
La partecipazione del (OMISSIS) alla (OMISSIS) era modestissima ed era stata estinta poco dopo.
L’offerta del Comune di Rieti, assunta ad elemento decisivo per la condanna, riguardava un periodo di tre anni successivo rispetto alla vendita del 2009 ed era in linea con un’operazione finanziaria dell’ente pubblico, che aveva preferito acquistare il bene piuttosto che sostenere una rata annua di mutuo per la locazione.
3. Con memoria depositata il 18/10/2018 il difensore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS), ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, contestandone i motivi, con refusione delle spese.
4. Con memoria di replica depositata il 30/10/2018 il difensore del ricorrente (OMISSIS) ha sostenuto l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione a far data dal 23/10/2016 e, a riprova dell’assenza del dolo intenzionale richiesto dalla norma incriminatrice, ha prodotto copia del ricorso al TAR, tuttora pendente, avverso il silenzio inadempimento serbato dalla Regione Lazio che AVEVA comportato la venduta forzata del bene a un prezzo inferiore a quello che si sarebbe conseguito in caso di accreditamento della struttura, per cui sussistevano tutti i requisiti di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, rispetto alle ragioni addotte dalla difesa con l’appello, e si duole della tardivita’ della querela presentata dalle parti offese e dell’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilita’.
1.1. Poiche’ il delitto di infedelta’ patrimoniale e’ perseguibile a querela, il ricorrente sostiene che la persona offesa titolare della facolta’ di querela poteva essere solo la societa’ e non gia’ il socio di minoranza, legittimato a richiedere ex articolo 78 c.c., la nomina di un curatore speciale per le operazioni di competenza.
1.2. La tesi svolta dal ricorrente e’ manifestamente infondata.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedelta’ patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla societa’ nel suo complesso ma anche – e disgiuntamente – al singolo socio (Sez. 5, n. 39506 del 24/06/2015, PM in proc. Pedrali, Rv. 264919; Sez. 5, n. 22495 del 18/11/2015 – dep. 2016, Marchionni, in motivazione; Sez. 5, n. 35080 del 07/05/2014, Vegnaduzzo, Rv. 260468; Sez. 2, n. 24824 del 25/02/2009, Ferracini e altri, Rv. 244336; Sez. 5, n. 37033 del 16/06/2006, Silletti, Rv. 235282); infatti il singolo socio e’ persona offesa del reato di infedelta’ patrimoniale, e non solo danneggiato dallo stesso, in quanto la condotta dell’amministratore infedele e’ diretta a compromettere le ragioni della societa’, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l’infedele attivita’ dell’amministratore subiscono il depauperamento del loro patrimonio.
E’ quindi del tutto irrilevante che il socio di minoranza, comunque offeso nei propri interessi dalla commissione del reato, possa anche avvalersi dello strumento processuale della nomina del curatore speciale ex articolo 78 c.p.c., per far si’ che sia la societa’, in tal modo rappresentata, ad agire verso l’amministratore ritenuto infedele.
2.3. Il ricorrente sostiene inoltre che in ogni caso la querela era stata proposta tardivamente dai soci di minoranza, e cioe’ oltre i tre mesi dalla effettiva conoscenza del fatto costituente reato ai sensi dell’articolo 124 c.p..
Nella fattispecie il 15/3/2009 il (OMISSIS) sostiene di aver comunicato ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) la sussistenza dell’accordo con (OMISSIS) per la cessione dell’azienda, mostrando loro il contratto preliminare sottoscritto, recante condizioni e prezzo di vendita (peraltro conforme a quello da loro caldeggiato per la cessione, senza alcuna garanzia, a tal (OMISSIS)).
L’informazione era stata ricevuta dai soci di minoranza prima del 23/3/2009: di conseguenza i 90 giorni (in realta’: tre mesi) per l’esercizio della facolta’ di querela scadevano il 21/6/2009 (domenica) e tuttalpiu’ il successivo giorno non festivo 22/6/2009; di conseguenza, il deposito della querela effettuato in data 26/6/2009 sarebbe tardivo.
La Corte territoriale aveva affermato che solo all’assemblea del 20/4/2009 erano stati rivelati ai soci gli esatti termini della questione, trascurando il fatto che i soci sapevano dal 15/3/2009 dell’esistenza e del contenuto di un contratto preliminare pienamente vincolante; appariva invece fuorviante e contraddittorio l’assunto della Corte di appello circa il carattere generico delle informazioni fornite dall’imputato ai propri soci.
2.4. La censura proposta e’ inammissibile per aspecificita’.
Da un lato e innanzitutto, il ricorrente non si confronta, articolando una critica puntuale e specifica, con la concorrente motivazione addotta dalla Corte territoriale alla pagina 5, secondo capoverso, ultimo periodo, laddove i Giudici romani hanno rilevato che la situazione di conflitto di interessi, sempre taciuta dall’imputato, era emersa addirittura solo dopo la presentazione dell’atto di querela, a seguito degli accertamenti di polizia giudiziaria.
D’altro canto, a fronte della precisa affermazione della Corte capitolina, secondo la quale, sino all’assemblea societaria del 20/4/2009, l’imputato non aveva rivelato ai soci di minoranza “gli esatti termini economici della questione”, il ricorrente sostiene che il 15/3/2009 il (OMISSIS) aveva comunicato ai soci la cessione, allegando altresi’ il contratto preliminare, ad efficacia obbligatoria, ma giuridicamente vincolante, sottoscritto il precedente giorno 13/3/2009 e cosi’ fornendo loro una informazione completa e dettagliata.
Tuttavia tale affermazione del ricorrente e’ assolutamente aspecifica e chiama la Corte di legittimita’, del tutto inammissibilmente, a confrontarsi direttamente con i fatti, senza neppure indicare le fonti di prova che in ipotesi sarebbero state mal valutate o travisate, in conclamata violazione dell’onere prescritto dall’articolo 606, comma 1, lettera e), di indicazione specifica dell’atto processuale da cui risulti il vizio denunciato.
Dal ricorso invece non e’ consentito desumere in forza di quali elementi probatori sarebbe possibile desumere che il (OMISSIS) aveva informato compiutamente i suoi soci gia’ il 15/3/2009 e avesse loro trasmesso o consegnato una copia del contratto preliminare.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta difetto assoluto di valida e coerente motivazione rispetto all’evidente insussistenza del fatto ascritto all’imputato, inosservanza della legge penale ed extrapenale, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, in relazione alla mancanza evidente del danno; falsa e/o incongruente motivazione rispetto agli effetti della cessione di azienda in ordine al mancato accollo dei debiti da parte del cessionario e a eventuali offerte sul medesimo bene aziendale, motivazione apodittica e inconferente, insussistenza del dolo intenzionale richiesto dalla legge.
2.1. In primo luogo il ricorrente sottolinea che il (OMISSIS) era socio di maggioranza di (OMISSIS) s.r.l., con una quota del 70%, ed era amministratore con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione; egli pertanto poteva vendere l’immobile senza bisogno di convocare alcuna assemblea; inoltre all’assemblea ordinaria del 19/5/2008 i soci avevano dato atto delle difficolta’ economiche di (OMISSIS) e dell’esposizione fideiussoria del (OMISSIS), creditore della societa’ per somme rilevantissime, delle trattative non concretizzate con il Comune di Rieti, nonche’ con un operatore del settore, e della scelta obbligata di attivarsi per il reperimento di un acquirente, con mandato all’amministratore di scegliere la proposta piu’ conveniente, anche concludendo accordi preliminari.
Il (OMISSIS) aveva inoltre tutto l’interesse di vendere al meglio, quale socio di maggioranza e creditore della societa’.
2.2. Le osservazioni esposte dal ricorrente appaiono non pertinenti e fuori fuoco rispetto alle ragioni dell’addebito mosso al (OMISSIS).
E’ del tutto irrilevante il fatto che la societa’ amministrata e controllata dovesse vendere l’azienda e che tale necessita’ fosse ben nota e condivisa dai soci di minoranza; del pari del tutto irrilevante e’ anche il fatto che (OMISSIS) controllasse la societa’ quale socio di larga maggioranza e avesse ampi poteri di amministrazione anche straordinaria.
Infatti l’accusa che e’ stata mossa al (OMISSIS) non e’ gia’ quella di aver venduto l’azienda ma di averlo fatto a un prezzo incongruo, cagionando un danno alla societa’ amministrata e procurando ingiusto profitto alla societa’ acquirente, in ragione della situazione di conflitto di interessi in cui versava (di socio della societa’ che controllava l’acquirente).
2.3. Il ricorrente sostiene che la mancanza di un reale pregiudizio per la societa’ (OMISSIS) era dimostrata anche dal fatto che la proposta del (OMISSIS), e cioe’ quella caldeggiata dai querelanti, peraltro priva di riferimenti in tema di tempistiche e garanzie, offriva pur sempre un prezzo analogo a quello della proposta di (OMISSIS) accettata dal (OMISSIS).
2.4. Da un lato, anche questa censura chiama inammissibilmente la Corte di Cassazione a confrontarsi con il materiale probatorio, peraltro descritto in modo del tutto indeterminato e generico.
D’altro canto, dalla sentenza impugnata risulta che la proposta formulata dal (OMISSIS) prevedeva un prezzo di Euro 1.650.000,00, effettivamente analogo a quello pagato da (OMISSIS), ma anche l’accollo dei debiti della societa’ (ammontanti a Euro 800.000) e non solo di quelli inerenti ai mutui in corso.
2.5. Al proposito il ricorrente bolla come del tutto infondata giuridicamente la valutazione espressa dalla Corte territoriale allorche’ essa ha conferito rilievo alla mancanza di accollo dei debiti da parte della cessionaria, poiche’ il subentro nei rapporti contrattuali in corso scaturiva, secondo giurisprudenza consolidata, ex articolo 2558 c.c., dalla cessione del complesso aziendale.
L’equivoco in cui incorre il ricorrente e’ di palese evidenza.
L’articolo 2558 c.c., non si riferisce ai debiti dell’azienda ceduta ma ai contratti in corso e sancisce che in difetto di patto contrario, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, impregiudicata la facolta’ del terzo contraente di recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilita’ dell’alienante.
In tema di debiti relativi all’azienda ceduta, l’articolo 2560 c.c., dispone invece che l’alienante non e’ liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito e che nel caso di trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente della azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Tale responsabilita’ solidale ha tuttavia rilevanza solo esterna verso il creditore aziendale ma non vale nel rapporto interno tra cedente e cessionario, sicche’ in difetto di accollo e comunque di specifici accordi fra di loro intercorsi, il cedente deve pur sempre rivalere il cessionario dell’eventuale pagamento effettuato in favore dei creditori.
La giurisprudenza civile di questa Corte in tema di cessione di azienda ha chiarito infatti che il regime fissato dall’articolo 2560 c.c., comma 2, con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta, secondo cui di essi risponde anche l’acquirente dell’azienda allorche’ risultino dai libri contabili obbligatori, si applica ai debiti in se’ soli considerati, e non anche quando, viceversa, questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente articolo 2558 c.c.. Ed infatti, in tal caso, la responsabilita’ si inserisce nell’ambito della piu’ generale sorte del contratto non gia’ del tutto esaurito, anche se in fase contenziosa al tempo della cessione dell’azienda (Sez. 2, Sentenza n. 8539 del 06/04/2018, Rv. 648012 – 02; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8055 del 30/03/2018, Rv. 648286 – 01).
Inoltre, in caso di negozi a prestazioni corrispettive non integralmente eseguiti da entrambe le parti al momento della retrocessione dell’azienda si applica l’articolo 2558 c.c., mentre, ove il terzo contraente abbia gia’ eseguito la propria prestazione, residua un mero debito la cui sorte e’ regolata dall’articolo 2560 c.c., con conseguente solidarieta’ tra cedente e cessionario dell’azienda commerciale, solidarieta’ peraltro sui generis, dal momento che, nei rapporti tra loro, il debito rimane a carico del cedente, senza che questi possa ripetere dal secondo, neppure in parte, quanto versato al terzo creditore (Sez. 1, Sentenza n. 23581 del 09/10/2017, Rv. 646579 – 01).
E’ stato infatti ripetutamente puntualizzato che la previsione, di cui all’articolo 2560 c.c., comma 2, della solidarieta’ dell’acquirente dell’azienda ceduta nella obbligazione relativa al pagamento dei debiti dell’azienda ceduta e’ posta a tutela dei creditori di questa, e non dell’alienante; essa, pertanto, non determina alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale, nel senso che il debitore effettivo rimane pur sempre colui cui e’ imputabile il fatto costitutivo del debito, e cioe’ il cedente, nei cui confronti puo’ rivalersi in via di regresso l’acquirente che abbia pagato, quale coobbligato in solido, un debito pregresso dell’azienda, mentre il cedente che abbia pagato il debito non puo’ rivalersi nei confronti dell’eventuale coobbligato in solido (Sez. 1, Sentenza n. 20153 del 03/10/2011, Rv. 619851 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 23780 del 22/12/2004, Rv. 582418 – 01).
E’ quindi del tutto logica la valutazione della Corte capitolina che ha considerato preferibile la proposta (OMISSIS) perche’ comportava, anche nel rapporto interno, l’accollo di tutti i debiti aziendali e non la mera solidarieta’ sui generis meramente esterna, scaturente ex lege dalla cessione, che lascia in capo al cedente la responsabilita’ per i debiti aziendali.
2.6. Il ricorrente censura come ulteriormente erroneo il riferimento effettuato dalla Corte di appello all’istituto dell’accollo, laddove essa, ribattendo al contenuto della consulenza di parte del dott. (OMISSIS), aveva sostenuto che la proposta del (OMISSIS) liberava la societa’, grazie all’accollo, dall’intera forte esposizione debitoria per Euro 800.000 e non solo da quella relativa ai mutui; tale opinione avrebbe errato nell’interpretare l’istituto perche’ l’accollo non priva il debitore accollato del debito, ma aggiunge semplicemente un ulteriore garante, aspetto esistente anche nell’ordinaria cessione di azienda stipulata dal (OMISSIS).
Le considerazioni esposte dal ricorrente sono imprecise e fuorvianti.
E’ pur vero che l’istituto dell’accollo ex articolo 1273 c.c. e segg., che realizza un particolare forma di successione nel lato passivo del rapporto obbligatorio, scaturisce da un accordo intervenuto fra debitore e terzo accollante con il quale essi assumono che il terzo assuma il debito dell’altro e non ha normalmente effetto liberatorio per il debitore, che consegue solo in caso di adesione del creditore alla condizione espressa in tal senso apposta all’accordo di accollo ovvero in caso di espressa dichiarazione liberatoria.
Pertanto nel normale caso di accollo cosiddetto cumulativo (non liberatorio) l’accollante e il debitore originario rimangono vincolati solidalmente verso il creditore ceduto.
Tuttavia nel rapporto interno la responsabilita’ effettiva per il debito, che disciplina e orienta la possibilita’ di regresso l’uno verso l’altro, resta regolata dalla convenzione di accollo: di conseguenza, se l’accordo di accollo e’ stato inserito in un contratto di compravendita e realizza una modalita’ di pagamento di una parte del corrispettivo (nel senso che il terzo acquirente si e’ obbligato a pagare una certa somma di denaro e a estinguere il debito accollato), e’ evidente che sara’ l’accollante a dover sopportare in ultima analisi l’esborso. Egli non avra’ quindi regresso verso il debitore accollato se paga il debito e, viceversa, il debitore originario, eventualmente costretto a onorare il pagamento in forza della solidarieta’, potra’ agire in regresso verso l’accollante.
Come si e’ visto in precedenza, invece, in caso di solidarieta’ ex articolo 2560 c.c., la responsabilita’ effettiva nel rapporto interno grava sul cedente e non sul cessionario.
2.7. Il ricorrente ribadisce che non sarebbe stata considerata la gravissima crisi aziendale della (OMISSIS) s.r.l. per cui era inevitabile la vendita dell’azienda per evitare il fallimento, sicche’ era conforme all’interesse aziendale la vendita effettuata dal (OMISSIS) al solo offerente e per un prezzo analoga a quello proposto dal (OMISSIS).
La censura ancora una volta non coglie il segno e trascura il concreto contenuto dell’accusa: e’ fuor di questione che (OMISSIS) volesse e dovesse vendere la propria azienda e si discute solamente del prezzo e della scelta dell’acquirente, ritenuti influenzati entrambi in pregiudizio della societa’ e dei soci di minoranza da un interesse personale del (OMISSIS) in conflitto con quello societario.
2.8. Il ricorrente soggiunge che il bene giuridico tutelato dal reato di infedelta’ patrimoniale era il patrimonio sociale; occorreva quindi un danno patrimoniale per la societa’, obiettivamente insussistente a fronte di una vera e propria operazione di risanamento.
La censura non coglie il segno: i Giudici del merito si sono conformati a tale principio e hanno ravvisato il danno patrimoniale per la societa’ nell’incongruo prezzo di cessione concordato dal (OMISSIS) con un’acquirente nel quale era cointeressato.
2.9. Il ricorrente ricorda che il delitto in questione richiede il dolo specifico della ricerca per se’ o altri di ingiusto profitto o vantaggio e del dolo intenzionale, riferito al danno patrimoniale alla societa’; sottolinea quindi che il (OMISSIS) aveva agito invece al fine di salvare la societa’ dal fallimento e non vi era alcuna prova della sua intenzione di arrecare un danno al patrimonio della societa’; cio’ sarebbe dimostrato anche il fatto che il (OMISSIS) aveva sottoposto la deliberazione all’assemblea, cosa che in considerazione della sua quota del 70% e dei poteri conferitigli dalla legge, dallo statuto e dalla precedente delibera dell’assemblea del 19/5/2008, non aveva alcuna necessita’ di fare.
Cosi’ argomentando, il ricorrente dedica attenzione ad aspetti del tutto marginali della vicenda (come la sottoposizione della questione all’assemblea, peraltro da lui controllata) e trascura i profili realmente centrali, ossia il suo conflitto di interessi e l’incongruita’ del corrispettivo, che alimentano rispettivamente il vantaggio conseguito e il pregiudizio provocato.
2.10. Il ricorrente protesta che non era vero che un anno e mezzo prima l’azienda fosse stata valutata dal Comune di Rieti in una proposta di acquisto per Euro 4.140.540, perche’ tale era il contenuto di una proposta proveniente dal (OMISSIS) e diretta al Comune, che non aveva dato ad essa alcun seguito, come risultava dal contenuto del verbale di assemblea ordinaria del 19/5/2008.
La sentenza impugnata, a pagina 6, secondo capoverso, afferma che il Comune di Rieti nel gennaio del 2008 aveva effettuato una stima del complesso aziendale, valutandolo in Euro 4.140.540,00 e indica quali fonti la documentazione acquisita e il consulente tecnico delle parti civili; a pagina 7, primo periodo, la sentenza impugnata formula ulteriore riferimento al valore stimato dal Comune di Rieti, interessato all’acquisto della struttura.
Il ricorrente non dimostra affatto la falsita’ di quanto riferito dalla Corte territoriale e evidenzia solamente il dato, sommamente generico, che all’assemblea del 19/5/2008 tutti i soci avevano riferito che la trattativa con il Comune non si era concretizzata e si erano impegnati ad attivarsi nella ricerca di potenziali acquirenti; cio’ non smentisce affatto la circostanza della precedente stima effettuata dal Comune, la cui veridicita’ e’ perfettamente conciliabile con il dato pacifico della mancata concretizzazione della trattativa di acquisto, che puo’ essere dipesa da una miriade di possibili cause (tempi tecnici, mancata volonta’ politica, indisponibilita’ attuale di fondi, ostacoli burocratici….).
Vale la pena comunque di sottolineare che la Corte romana ha ritenuto incongruo e troppo modesto il prezzo di vendita pattuito dal (OMISSIS) anche sulla base di altri concorrenti e convergenti elementi probatori: la maggior offerta del (OMISSIS), comprensiva dell’accollo dei debiti diversi dal mutuo, la valutazione effettuata dal (OMISSIS), comprensiva di attrezzatture e avviamento a novembre 2007 in oltre 13 milioni di Euro, la successiva vendita del 2012, intercorsa fra Comune di Rieti e (OMISSIS) al prezzo di Euro 2.550.000,00.
2.11. Il ricorrente sostiene che la partecipazione del (OMISSIS) alla (OMISSIS) era modestissima ed era stata estinta poco dopo.
Dalla sentenza impugnata (pag.4, secondo capoverso, pag.6, primo capoverso risulta invece che il (OMISSIS) era uno dei tre soci della (OMISSIS) s.p.a., socio di maggioranza di (OMISSIS) s.r.l., societa’ acquirente, con una partecipazione, tutt’altro che insignificante, nella misura del 35%.
L’estinzione della partecipazione “nel breve volger di poco tempo”, dedotta dal ricorrente e’ completamente generica, priva di riscontri probatori e comunque del tutto ininfluente, perche’ cio’ che assume rilievo e’ l’esistenza del conflitto di interessi in capo al (OMISSIS) al momento della vendita, che scaturiva dalla sua veste, da un lato, di amministratore e socio di maggioranza della societa’ alienante (OMISSIS) s.r.l. e, dall’altro di socio al 35% della societa’ (OMISSIS) s.p.a., socia di maggioranza della societa’ acquirente (OMISSIS) s.r.l.
Tale specifica circostanza era stata sottaciuta ai soci di minoranza di (OMISSIS) s.r.l. (sentenza impugnata, pag.5, secondo capoverso) e del resto appare abbastanza significativo che la partecipazione del (OMISSIS) fosse detenuta in una societa’ fiduciaria, strumento giuridico tipicamente utilizzato da chi non vuole apparire come socio in societa’ di capitali e non rendere pubblico quindi il suo nome, ferma restando la trasparenza nei confronti delle Autorita’.
2.12. Il ricorrente sostiene infine che l’offerta del Comune di Rieti, assunta ad elemento decisivo per la condanna, riguardava un periodo di tre anni successivo rispetto alla vendita del 2009 ed era in linea con un’operazione finanziaria dell’ente pubblico, che aveva preferito acquistare il bene piuttosto che sostenere una rata annua di mutuo per la locazione.
Cosi’ argomentando, in modo indubbiamente molto generico, il ricorrente non tiene conto che tale elemento valutativo era stato inserito dalla Corte romana nella cornice di una piu’ ampia valutazione complessiva, congruente in modo convergente con altri elementi sopra ricordati (autovalutazione del 2007 del (OMISSIS), stima del 2008 del Comune reatino, offerta del 2009 del (OMISSIS)); in ogni modo, tre anni dopo (OMISSIS) ha venduto l’azienda a un prezzo superiore di circa un milione di Euro a quello per cui l’aveva acquistata, mentre le ragioni che hanno indotto il Comune a optare per un acquisto e non per la locazione appaiono del tutto irrilevanti nella prospettiva di indagine, dedicata alla congruita’ del corrispettivo pattuito.
2.13. Il documento depositato dal ricorrente con la memoria del 31/10/2018 (ricorso al T.A.R. avverso il silenzio inadempimento della Regione Lazio in tema di accreditamento della struttura) e’ stato (OMISSIS)to irritualmente come eccepito dal Procuratore generale; d’altra parte, il ricorrente neppure assume che tale documento sia stato anteriormente prodotto nel giudizio di merito.
In ogni caso, il predetto ricorso amministrativo appare peraltro del tutto inconferente ai fini della decisione circa la responsabilita’ dell’imputato per il reato ascrittogli.
3. Il ricorso, proposto sulla base di motivi inammissibili o manifestamente infondati, va quindi ritenuto inammissibile
Il periodo di prescrizione del reato ex articolo 161 c.p., come rilevato con la memoria del ricorrente, si e’ compiuto dopo la sentenza di appello del 15/9/2016, in data 23/10/2016, decorsi sette anni e sei mesi dal 23/4/2009.
Tuttavia l’inammissibilita’ del ricorso priva di rilevanza il decorso del tempo successivo alla pronuncia della sentenza di appello, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266818; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte cost. 13/6/2000 n. 186).
Il ricorrente dovra’ inoltre rimborsare le spese processuali in favore delle parti civili, che ne hanno richiesto la rifusione, seppur genericamente e senza il corredo di nota spese, con la memoria depositata; tali spese possono essere congruamente liquidate ex officio in complessivi Euro 2.100,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende nonche’ alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 oltre accessori di legge.

Avv. Renato D’Isa

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