Inerzia prolungata del Presidente del Collegio Sindacale può costituire compartecipazione dolosa

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 19 marzo 2019, n. 12186.

La massima estrapolata:

A fronte di rilevanti violazioni degli Amministratori l’inerzia prolungata del Presidente del Collegio Sindacale può costituire compartecipazione dolosa nel delitto di bancarotta fraudolenta impropria degli stessi Amministratori. In presenza di segnali di allarme, infatti, l’organo deputato al controllo della gestione societaria ha sempre l’obbligo di attivare i necessari controlli chiedendo spiegazioni all’organo amministrativo e se del caso, investendo della questione l’assemblea dei soci.

Sentenza 19 marzo 2019, n. 12186

Data udienza 18 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/11/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DE MASELLIS MARIELLA;
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio, limitatamente al motivo nuovo. In subordine per il rigetto.
I difensori presenti chiedono l’accoglimento del ricorso, in subordine per la riquantificazione della pena.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 29 novembre 2017, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del 17 ottobre 2013, con la quale il Tribunale della stessa citta’ ha dichiarato (OMISSIS), presidente del collegio sindacale della (OMISSIS) Spa, dichiarata fallita il 14 ottobre 2010, colpevole, in concorso con gli amministratori della detta compagine e con altri membri del collegio sindacale, del delitto di cui agli articoli 110 c.p., 223, comma 1, in relazione all’articolo 216, commi 1 e 3, articolo 223, comma 2, n. 2 e articolo 219 L.F..
I fatti di cui l’imputato e’ stato ritenuto responsabile sono i seguenti:
– la distrazione – tra il 2004 e il 2010 – delle somme pari al 64% del ricarico sul canone di locazione degli immobili, ubicati in (OMISSIS), locati alla (OMISSIS) (holding della famiglia Passera e socia della (OMISSIS)) dalla (OMISSIS), pagate dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) a titolo di canone di sublocazione degli stessi immobili (capo A, A1, 5);
– la distrazione – tra il 2005 e il 2010 – delle somme pari al 80% del ricarico sul canone di locazione degli immobili, ubicati in (OMISSIS), locati alla (OMISSIS) dalla Fondazione (OMISSIS), pagate dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) a titolo di canone di sublocazione degli stessi immobili (capo A, A1, 6);
– la distrazione, nel corso del 2010, in favore del socio ed amministratore della (OMISSIS) Spa, (OMISSIS), della somma di Euro 1.290.000,00 e della somma di Euro 485.000,00, corrispondente all’entita’ del prelievo dalle casse della (OMISSIS) effettuato in data 10 agosto 2010 (capo A, A2, 8);
– la distrazione, nel corso del 2009, in favore del socio ed amministratore della (OMISSIS) Spa, (OMISSIS), della somma di Euro 122.300,22, corrispondente all’entita’ del prelievo dalle casse della (OMISSIS), effettuato in data 13 novembre 2009, e del credito vantato dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) Spa, ceduto a (OMISSIS) a titolo di compensazione con crediti vantati da questi nei confronti della (OMISSIS) per pregressi finanziamenti (capo A, A2, 9);
– la distrazione, tra il 2005 e il 2006, della somma di Euro 1.250.000,00 oltre IVA, corrispondente al prezzo versato dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) per l’acquisto di nove beni (cd. “strutture industriali”), costituenti parti integranti del piu’ ampio complesso immobiliare (“ex fonderia”), gia’ acquistato dalla societa’, poi fallita, dalla (OMISSIS), in data 1 agosto 2003, al prezzo di Euro 3.437.000,00 (capo A, A2, 10);
– il pagamento preferenziale, nel corso del 2009 e del 2010, dei crediti vantati da (OMISSIS) e da (OMISSIS), soci della (OMISSIS) Spa, in ragione di pregressi finanziamenti operati in favore di questa; segnatamente:
– mediante bonifici a favore di (OMISSIS) per un valore di oltre Euro 180.000,00 (24 agosto e 16 settembre 20010) (capo A, A3, 11);
– mediante la cessione di un credito del valore di Euro 460.000,00, vantato dalla (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), a favore della (OMISSIS) (17 settembre 2009) (capo A, A3,12);
– il cagionamento del fallimento della (OMISSIS) Spa per effetto di operazioni dolose, consistite nella sistematica omissione, a partire dal 2008, del versamento delle ritenute operate sui redditi da lavoro dipendente ed autonomo, cosi’ dando luogo ad un debito nei confronti dell’Erario pari ad oltre Euro 3.000.000,00.
Per effetto della statuizione di colpevolezza, l’imputato – con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti – e’ stato condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, con l’applicazione delle pene accessorie di cui all’articolo 216, comma 4, L.F..
2. Avverso l’anzidetta pronuncia, i difensori dell’imputato hanno proposto ricorso per cassazione, affidato alle regioni di censura di seguito indicate:
2.1. vizio argomentativo, da motivazione apparente e illogica e da travisamento della prova, in riferimento al capo A, A1, 6, sul rilievo che la responsabilita’ per la distrazione delle somme corrisposte dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS), a titolo di canone di sublocazione degli immobili di (OMISSIS), sarebbe stata affermata travisando il senso delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) e del consulente tecnico della difesa (OMISSIS), i quali avevano giudicato l’ammontare del canone congruo rispetto ai prezzi di mercato, e illegittimamente sindacando le scelte negoziali della (OMISSIS), libera di trarre il massimo profitto dalle transazioni economiche intrattenute con un autonomo e distinto centro di interessi;
2.2. vizio argomentativo, da motivazione apparente e illogica e da travisamento della prova, in riferimento al capo A, A1, 7, sul rilievo che la responsabilita’ per la distrazione delle somme corrisposte dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) a titolo di canone di sublocazione degli immobili di Milano sarebbe stata affermata senza valutare la congruita’ del canone di sublocazione rispetto ai prezzi di mercato, travisando il senso della scrittura privata del 2 gennaio 2007 che aveva specificato quali fossero i servizi aggiuntivi cui si riferiva il maggiore ammontare del canone di locazione ed incorrendo in aporie logiche quanto alla emissione delle fatture emesse dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) dal 2005 al 2009;
2.3. vizio argomentativo, da motivazione mancante, illogica e da travisamento della prova, in riferimento ai capi A, A2, 8 e 9, sul rilievo che giammai le operazioni di prelievo dei soci ed amministratori (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbero potuto allarmare il presidente del collegio sindacale imponendogli condotte di incisivo intervento volte al ripristino della corretta gestione della societa’, posto che tutte le precedenti operazioni di prelievo da parte dei componenti della famiglia (OMISSIS) – salvo quella attribuita a (OMISSIS), del 10 agosto 2010, dell’ammontare di Euro 485.000,00 – erano state sempre puntualmente ed abbondantemente ripianate con costanti rifinanziamenti, generando, pertanto, una situazione di legittimo affidamento nell’imputato, suscettibile di incidere sul piano dell’elemento soggettivo (il dolo) richiesto per il venire in essere della responsabilita’ del sindaco di societa’ a titolo di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale; nondimeno, la valenza distrattiva della cessione del credito vantato dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) in favore del socio ed amministratore (OMISSIS), a compensazione del credito da finanziamenti da questi vantato nei confronti della (OMISSIS), era stata affermata senza alcuna argomentata disamina in punto di realizzabilita’ del credito stesso, posto che, agli occhi del sindaco, per ritenere vantaggiosa l’operazione di cessione del credito menzionato non era necessario che questo fosse assolutamente irrecuperabile, ma che fosse semplicemente incerto nella sua recuperabilita’;
2.4. il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 178, 179, 521 e 522 c.p.p., in riferimento al capo A, A2, 10, eccependosi la nullita’ delle sentenze merito, per essere stato l’imputato condannato per un fatto diverso rispetto a quello contestatogli; segnatamente, a fronte dell’addebito per il quale la distrazione delle risorse della (OMISSIS) sarebbe consistita nell’acquisto di un bene – il complesso immobiliare “ex fonderia” (OMISSIS) – estraneo all’oggetto sociale della societa’ acquirente, la responsabilita’ era stata riconosciuta per un fatto diverso: scilicet, il versamento del prezzo di nove beni d’impiantistica -, che, in ragione della loro incorporazione con l’immobile rispetto al quale erano strumentali, erano gia’ stati acquistati dalla (OMISSIS) con il negozio avente ad oggetto l’intero complesso della “ex fonderia”;
2.5. il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 934 c.c., e il vizio di motivazione, sempre in riferimento al capo A, A2, 10, sul rilievo dell’errata interpretazione della disciplina dell’istituto dell’accessione, non potendosi considerare i nove beni oggetto dell’acquisto successivo da parte della (OMISSIS) ne’ “beni mobili incorporati al suolo”, ne’ beni immobili costruiti sul suolo stesso;
2.6. il vizio argomentativo, da motivazione carente ed illogica, e da travisamento della prova, in riferimento ai capi A, A3, 11 e 12, sul rilievo che, quanto ai bonifici effettuati a ridosso del fallimento nei confronti della socia (OMISSIS), i giudici di merito avevano ignorato i documenti attestanti i reiterati rilievi formulati dall’organo di controllo circa l’inopportunita’ dei rimborsi effettuati, nel corso del 2010, nei confronti della detta socia e, comunque, non avevano dato conto dell’efficacia impeditiva di un piu’ tempestivo e incisivo del collegio sindacale sulla condotta depauperativa degli amministratori; quando alla cessione del credito, vantato dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), a favore della (OMISSIS), il dato della mancanza di prova della capienza della (OMISSIS) essendo smentito sia dalle dichiarazioni dell’imputato, che dalle dichiarazioni del curatore;
2.7. il vizio argomentativo, da illogicita’ della motivazione e da travisamento della prova, in riferimento al capo A, A4, 13, avendo la Corte territoriale fondato la responsabilita’ dell’imputato da omesso controllo sulla sistematica inadempienza degli obblighi di versamento delle ritenute fiscali sulle retribuzioni dei dipendenti e dei collaboratori sulla valutazione che nessun ragionevole affidamento avrebbero potuto riporre i componenti del collegio sindacale sull’esistenza di crediti fiscali suscettibili di compensare l’entita’ dei debiti verso l’Erario in ragione del loro ammontare posto che quei crediti erano il frutto di una rappresentazione fallace in bilancio: e cio’ perche’ il reato di mendacio bilancistico fosse stato escluso; nondimeno era stato ignorato il contenuto dei reiterati rilievi formulati dall’organo nei confronti dell’organo di gestione della (OMISSIS) in ordine all’inadempimento del debito erariale, cui, peraltro, non si era fatto fronte per mancanza di liquidita’ dovuta ai mancati rimborsi dei servizi prestati dalla (OMISSIS) da parte della Regione Lombardia;
2.8. il vizio argomentativo da mancato rispetto del canone dell”oltre ragionevole dubbio’ in relazione alla sostanziale preterizione da parte del Collegio di appello delle ricostruzioni alternative dei fatti di causa prospettate dall’imputato.
3. Con memoria depositata in data 1 febbraio 2019, i difensori del ricorrente, articolando un motivo nuovo, hanno chiesto l’annullamento della sentenza impugnata anche in ragione della intervenuta declaratoria di illegittimita’ costituzionale della norma di cui all’articolo 216, u.c., L.F.., quanto alle applicate pene accessorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato per le sole ragioni di seguito indicate.
1. Tutti i rilievi censori articolati in ricorso esigono un preliminare inquadramento del problema della responsabilita’ dei componenti del collegio sindacale di una societa’ di capitali per i fatti di distrazione di beni sociali commessi dagli amministratori.
1.1. Al riguardo occorre riferirsi all’indiscusso magistero di questo giudice di vertice secondo cui i componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta commesso dall’amministratore della societa’ anche per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dagli articoli 2403 c.c. e ss., che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale (Sez. 5, n. 18985 del 14/01/2016, A T e altri, Rv. 267009; Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis e altri, Rv. 266646; Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006 – dep. 08/05/2007, Martone, Rv. 236630). Ne viene che la ridetta responsabilita’ e’ ravvisabile a titolo di concorso omissivo secondo il disposto di cui all’articolo 40 c.p., comma 2, cioe’ sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che, inerisce alla loro funzione, sub specie dell’equivalenza giuridica, sul piano della causalita’, tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo.
1.2. All’uopo giova rammentare che e’ tutt’ora vigente la regula iuris secondo cui il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle societa’ per azioni ex articolo 2403 c.c. non e’ circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende a tutta l’attivita’ sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e ricomprende, pertanto, anche l’obbligo di segnalare tutte le situazioni che mettano a repentaglio la prosecuzione dell’attivita’ di impresa e l’assicurazione della garanzia dei creditori in relazione alle obbligazioni contratte con l’ente (Sez. 1 civ., n. 2772 del 24/03/1999, Rv. 524490). Compiti, quelli passati in rassegna, per il cui adempimento il collegio sindacale e’ titolare di una serie di poteri che lo pongono senz’altro in condizione di assolvere compiutamente ed efficacemente all’incarico: puo’, infatti, procedere, in ogni momento, ad “atti di ispezione e controllo”, chiedere informazioni agli amministratori su ogni aspetto dell’attivita’ sociale o su determinati affari (articolo 2403-bis c.c.), convocare l’assemblea societaria quando ravvisi fatti censurabili di rilevante gravita’ (articolo 2406 c.c.) e, all’occorrenza, denunziare al Tribunale le gravi irregolarita’ commesse dall’amministratore, per consentire all’Autorita’ giudiziaria di intraprendere le iniziative di sua competenza (articolo 2409 c.c., comma 7) (Sez. 5, n. 44107 del 11/05/2018, M, Rv. 274014). Peraltro, il controllo cui i sindaci sono chiamati, e che devono esercitare con la professionalita’ e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico ai sensi dell’articolo 2407 c.c., non si risolve in una mera verifica contabile limitata alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende anche il riscontro tra la realta’ effettiva e la sua rappresentazione contabile (Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis e altri, Rv. 266646; Sez. 5, n. 8327 del 22/04/1998, Bagnasco e altri, Rv. 211368).
1.3. Cosi’ delineato il quadro delle funzioni dell’organo nell’ambito di una societa’ di capitali, va, pero’, chiarito che la responsabilita’, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, del presidente e dei componenti dello stesso, non puo’ fondarsi sulla sola posizione di garanzia, siccome ricavabile dall’insieme delle norme civilistiche richiamate, e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di controllo, ma postula, secondo l’insegnamento impartito da questa cattedra nomofilattica, l’esistenza di puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, dimostrativi di un’omissione dei poteri di controllo e di vigilanza esorbitante dalla dimensione meramente colposa ed espressiva, piuttosto, di una volontaria partecipazione alle condotte distrattive degli amministratori, pur nella forma del dolo eventuale, vale a dire per la consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione di illiceita’ da parte degli amministratori (Sez. 5, n. 26399 del 05/03/2014, Zandano, Rv. 260215; Sez. 5, n. 15360 del 05/02/2010, Tacconi e altri, Rv. 246956). In proposito non e’ fuor di luogo rilevare che, secondo la linea ermeneutica unanimemente seguita dalla giurisprudenza civile di legittimita’, per la configurabilita’ della responsabilita’ dei sindaci ex articolo 2407 c.c., comma 2, “per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformita’ degli obblighi della loro carica”, non e’ richiesta l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tali doveri, ma e’ sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimita’ e regolarita’, cosi’ da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarita’ di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell’articolo 2409 c.c. (Sez. 1 civ., n. 16314 del 03/07/2017, Rv. 644767; Sez. 1 civ., n. 13517 del 13/06/2014, Rv. 631305), in quanto puo’ ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.
Donde, si e’ condivisibilmente affermato che la responsabilita’ penale del sindaco puo’ riconoscersi ove egli abbia dato un contributo giuridicamente rilevante – sotto l’aspetto causale – alla verificazione dell’evento ed abbia avuto la coscienza e la volonta’ di quel contributo, anche solo a livello di dolo eventuale; con il che intendendosi significare che non basta imputare al sindaco – e provare – comportamenti di negligenza o imperizia anche gravi, come puo’ essere il disinteresse verso le vicende societarie (fonte indiscutibile di responsabilita’ civile), ma occorre la prova – che puo’ essere data, come di regola, anche in via indiziaria – del fatto che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente, la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell’amministratore. Tanto non implica la dimostrazione di un preventivo accordo del sindaco con chi amministra la societa’ in relazione alle operazioni distrattive, potendo l’inerzia tenuta essere espressione di omissione collusiva.
2. Tale essendo la cornice di principi entro la quale deve svolgersi il presente scrutinio di legittimita’, deve darsi atto che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei richiamati criteri direttivi, indicando puntuali elementi sintomatici sia del mancato adempimento, da parte del ricorrente nella sua qualita’ di presidente del collegio sindacale della fallita (OMISSIS) Spa – a far data dal 25 gennaio 1999 e fino alla data del fallimento -, dei poteri-doveri di vigilanza e di intervento, nei termini prescritti dalla legge, e della rilevanza eziologica della segnalata inerzia rispetto alla realizzazione delle condotte distrattive degli amministratori, sia della consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione degli illeciti contestati.
3. Va soggiunto, peraltro, che tutte le doglianze articolate dalla difesa dell’imputato si appalesano scarsamente perspicue sotto il profilo della consapevolezza dei limiti connessi all’impugnazione in sede di legittimita’, poiche’, pur denunciando formalmente vizi argomentativi, finiscono per sottoporre alla Corte di Cassazione questioni che hanno a che fare non con il controllo sullo sviluppo logico dell’apparato giustificativo posto a corredo del provvedimento impugnato, in se’ e per se’ considerato (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260), ma con una non consentita diretta verifica dell’interpretazione dei dati probatori. Non e’ fuor di luogo, allora, rammentare che non possono essere proposte con il ricorso per cassazione censure che si risolvono in una mera rilettura delle risultanze probatorie poste a sostegno della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, dovendo le stesse, piuttosto, esprimere la denuncia di vizi di logicita’ o di contraddittorieta’ rispetto a specifici atti del processo, decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito (Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita; Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508). A cio’ deve aggiungersi che neppure l’emersione di una criticita’ su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata puo’ comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, allorche’ le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M e altri, Rv. 271227), posto che da’ luogo a vizio della motivazione non qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma solo quello che sia idoneo a disarticolare uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione, quale risultante dall’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico; Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, P.M. in proc. Maniscalco ed altri, Rv. 212053).
Ne viene che anche l’invocato principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, introdotto nell’articolo 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non puo’ essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita’ di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita’ sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacche’ la Corte e’ chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519; in termini: Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso e altri, Rv. 270108). Donde, gia’ in applicazione di tale massima di orientamento, va disattesa la valenza impugnatoria dell’ottavo motivo di ricorso.
4. Passando all’esame delle singole doglianze, ne va sancita l’infondatezza, che, in riferimento a talune, rasenta l’inammissibilita’.
4.1. I motivi – il primo ed il secondo – che si riferiscono alla valenza distrattiva del pagamento della macroscopica percentuale di ricarico (nella misura del 64% e del 80%) pagata dalla (OMISSIS), per molti anni, alla (OMISSIS), quale holding del gruppo familiare (OMISSIS) e socia della (OMISSIS), a titolo di contratto di sublocazione di immobili, ubicati in (OMISSIS) ed in (OMISSIS), di proprieta’ della (OMISSIS) e della Fondazione (OMISSIS), locati dalla societa’ capogruppo, sono tutti protesi, pur dietro la denuncia del vizio di motivazione o di travisamento della prova, a suggerire una lettura alternativa degli elementi di prova, condotta, peraltro, con una tecnica di inaccettabile parcellizzazione della ricostruzione del fatto, della valutazione delle prove e del tessuto motivazionale. Nondimeno, il dedotto travisamento delle fonti di prova dichiarativa e documentale trascura di considerare che il vizio in parola, in caso di cosiddetta “doppia conforme” puo’ essere denunciato con il ricorso per cassazione solo nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L e altro, Rv. 272018; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine e altro, Rv. 256837).
Ne viene che, poiche’ il giudice censurato ha evidenziato come tali esorbitanti canoni di locazione non trovassero alcuna razionale e specifica giustificazione economica, tanto piu’ che, nel caso degli immobili di Milano, gli stessi erano stati corrisposti anche dopo che la (OMISSIS) aveva trasferito la propria sede altrove, i riferimenti compiuti in ricorso alla pura e semplice congruita’ dei prezzi di mercato – siccome desumibile dalle valutazioni del consulente (OMISSIS) – e al generico corrispettivo dei servizi di riscaldamento e di telefonia, ritraibile dalla scrittura privata del 2 gennaio 2007, si appalesano privi di quella manifesta evidenza del significato probatorio delle fonti evocate suscettibile di disarticolare l’impianto motivazionale.
Devesi, piuttosto, sottolineare come l’esorbitanza dell’ammontare dei canoni di sublocazione pagati dalla controllata alla controllante e la loro durata, integrando, secondo le comuni massime di esperienza, “segnali di allarme” per l’organo deputato al controllo sulla gestione societaria, avrebbero dovuto sollecitare il presidente del collegio sindacale ad attivare i necessari controlli, chiedendo spiegazioni all’organo amministrativo della societa’ (articolo 2403-bis c.c.) ed investendo, se del caso, della questione l’assemblea dei soci (articolo 2406 cod. civ.) ed eventualmente il Tribunale (articolo 2409 c.c., comma 7). Donde la serbata prolungata inerzia dell’imputato vale a ragionevolmente fondarne la responsabilita’ per i fatti di bancarotta di cui ai capi A, A1, 6 e 7.
4.2. Il motivo di ricorso – il terzo – che censura la motivazione resa in punto di responsabilita’ del (OMISSIS) per avere concorso nei fatti di distrazione realizzati dagli amministratori della societa’ fallita, (OMISSIS) e (OMISSIS), con l’autoliquidarsi il rimborso di somme versate alla (OMISSIS) a titolo di finanziamento, descritti nei capi A, A2, 8 e 9, e’ infondato e, a tratti, generico.
Giova premettere che per condivisa affermazione di questa Corte, e’ configurabile il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione a carico dell’amministratore di una societa’ per azioni che procede al rimborso di finanziamenti erogati dai soci in violazione della regola, applicabile nel caso di specie, della postergazione, di cui all’articolo 2467 c.c., o di versamenti effettuati in conto capitale, in quanto le somme versate devono essere destinate al perseguimento dell’oggetto sociale e possono essere restituite solo quando tutti gli altri creditori sono stati soddisfatti (Sez. 5, n. 50188 del 10/05/2017, Mascellani, Rv. 271775): donde, qualora il socio creditore si identifichi con lo stesso amministratore della societa’ – come nel caso di specie -, la condotta di quest’ultimo, volta alla restituzione, in periodo di dissesto, di finanziamenti in precedenza concessi, integra il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale (Sez. 5, n. 34505 del 06/06/2014, Marchesi, Rv. 264277).
Sul tema e’ stato efficacemente chiarito (Sez. 5, n. 50188 del 10/05/2017, Mascellani, Rv. 271775, in motivazione) che la giurisprudenza civile di legittimita’ ha riconosciuto che la ratio del principio di postergazione del rimborso del finanziamento dei soci posto dall’articolo 2467 c.c. per le societa’ a responsabilita’ limitata – consistente nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in societa’ “chiuse”, determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, ponendo i capitali a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento, anziche’ in quella del conferimento – e’ compatibile anche con altre forme societarie, come desumibile dall’articolo 2497-quinquies c.c., che ne estende l’applicabilita’ ai finanziamenti effettuati in favore di qualsiasi societa’ da parte di chi vi eserciti attivita’ di direzione e coordinamento, e, quindi, anche alle societa’ per azioni, soprattutto ove queste siano caratterizzate da un assetto dei rapporti sociali rappresentato da una compagine familiare o, comunque, ristretta, come nel caso al vaglio (Sez. 1 civ., n. 14056 del 07/07/2015, Rv. 635830).
In tali termini impostata la questione, osserva il Collegio che la disciplina della postergazione, la cui ratio e’ stata sopra delineata, non individua un diverso grado del credito restitutorio, ma rende inesigibile la pretesa alla restituzione, proprio perche’ il legislatore espressamente intende che le somme erogate devono essere vincolate al perseguimento dell’oggetto sociale e non possono essere restituite se non quando, ormai soddisfatti tutti i creditori, viene meno la stessa esigenza di garanzia delle loro ragioni. Sicche’, alla stregua della evidenziata violazione della legge civile, della consistenza dei prelievi effettuati dai soci amministratori, della grave situazione di illiquidita’ della (OMISSIS) Spa nel momento in cui i rimborsi furono effettuati, il rilievo difensivo circa l’assenza di dolo del presidente del collegio sindacale in ragione dell’affidamento riposto nel costante rifinanziamento della societa’ da parte dei soci e’ null’altro che un’asserzione, posto che, invece, ai sensi della disciplina civilistica delle funzioni dell’organo di controllo e vigilanza sulle societa’ – che egli da presidente dell’indicato collegio non avrebbe potuto e dovuto ignorare -, riscontrata, siccome previsto dall’articolo 2403 c.c., comma 1, la ridetta inosservanza degli articoli 2467 e 2497-quinquies c.c., avrebbe dovuto non limitarsi ad interloquire con gli amministratori o confidare nel loro operato, ma investire di tale illegittime estroflessioni del patrimonio sociale – poste in essere, tra l’altro, in un periodo di pericoloso deficit di liquidita’, l’assemblea dei soci, ai sensi dell’articolo 2406 c.c., venendo in rilievo “fatti censurabili di rilevante gravita’” sui quali vi era urgenza di provvedere (comma 2), ovvero il Tribunale ai sensi dell’articolo 2409 c.c., comma 7.
Avuto riguardo a tale ordito di principi, con i quali la difesa del ricorrente non si e’ confrontata, la deduzione relativa alla sola incertezza ovvero alla assoluta irrecuperabilita’ del credito vantato dalla (OMISSIS) Spa nei confronti della (OMISSIS), ceduto al socio amministratore (OMISSIS) in compensazione del credito da finanziamenti vantato da quest’ultimo nei confronti della (OMISSIS) Spa, perde di qualsivoglia valenza impugnatoria, tenuto conto che, a parte i profili di merito che essa involge, il rimborso del finanziamento dei soci con qualsiasi mezzo non era, comunque, consentito in virtu’ del richiamato principio di postergazione di cui all’articolo 2467 c.c..
Per quanto detto – in ragione dell’importanza delle violazioni poste in essere dagli amministratori, dell’entita’ delle somme rimborsate, della prossimita’ dei rimborsi al fallimento – l’inerzia serbata dal presidente del collegio sindacale e’ univocamente espressiva della compartecipazione dolosa – quantomeno a titolo di dolo eventuale nel delitto di bancarotta fraudolenta impropria degli amministratori.
4.3. Le censure di violazione di legge – sviluppate con il quarto e il quinto motivo di ricorso – che attingono la motivazione resa dalla Corte territoriale quanto al capo A, A2,10 sono infondate e, in parte, generiche.
4.3.1. Il rilievo che attiene all’inosservanza del principio di correlazione tra l’imputazione e la sentenza – in ragione del fatto che, contestata all’imputato la distrazione delle risorse della (OMISSIS) per effetto dell’acquisto di un bene (il complesso immobiliare “ex fonderia” (OMISSIS)) estraneo all’oggetto sociale della fallita, la responsabilita’ era stata riconosciuta per il versamento del prezzo di nove beni d’impiantistica, che, per l’incorporazione con l’immobile rispetto al quale erano strumentali, erano gia’ stati acquistati dalla (OMISSIS) con il negozio avente ad oggetto l’intero complesso della “ex fonderia” – confligge con il magistero di questa Corte secondo il quale, nel caso in cui nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza. Infatti, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (articoli 516 e 522 c.p.p.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalita’ alle quali sono dirette, cosicche’ non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto da quelle che incidano sull’imputazione in maniera tanto consistente da pregiudicare la possibilita’ di difesa dell’imputato. In tale prospettiva, quindi, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, si’ da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio per i diritti della difesa.
Ne consegue che, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto, non va esaurita nel mero pedissequo confronto puramente letterale fra imputazione e decisione perche’, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e’ del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia trovato nella condizione concreta di difendersi in ordine al fatto ritenuto in sentenza (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617; Sez. 5, n. 33077 del 11/06/2003, Esposito, Rv. 226532; Sez. 2, n. 5329 del 15/03/2000, dep. 05/05/2000, Imbimbo, Rv.215903).
Al lume di tale insegnamento ed avuto riguardo sia alla sostanza del fatto in contestazione – l’acquisto di cespiti dalla (OMISSIS) in misura piu’ contenuta rispetto all’originaria imputazione -, sia alle articolate allegazioni difensive versate nell’interesse del (OMISSIS) in tutti i gradi di giudizio, va respinta, dunque, la prospettazione circa il vulnus patito dall’imputato nell’esercizio del diritto di difesa.
4.3.2. Quanto al secondo profilo, va rimarcato come, nel contesto fattuale, pacificamente accertato dai giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, siano state giustamente apprezzate le circostanze attestanti che i nove beni oggetto dell’acquisto avvenuto tra il 2005 e il 2006 dalla (OMISSIS) – dalla quale era stato acquistato nel 2003 l’intero complesso immobiliare denominato “ex fonderia” – erano costituiti tra l’altro da una cabina elettrica, dall’impianto della rete idrica, dall’impianto ad aria compressa e dall’impianto della rete del metano; di modo che si e’ valorizzato il dato, di comune esperienza e riportato in dibattimento anche dal teste (OMISSIS) (pag. 11 sentenza impugnata: “senza quei beni la struttura era solamente un terreno inservibile”), secondo il quale doveva riconoscersi un nesso di strumentalita’ funzionale tra il bene immobile ceduto nel 2003 e i nove beni d’impiantistica ceduti nel 2005-2006.
Ne viene che il giudice censurato, nel riportare la massima di orientamento elaborata dalla giurisprudenza civile secondo la quale: “La compravendita di un terreno su cui insistano delle costruzioni comporta, a titolo negoziale e non in base al principio della accessione, il trasferimento anche dei relativi immobili, ancorche’ non espressamente menzionati nell’atto, salvo che il venditore, contestualmente alla cessione, riservi a se’ stesso o ad altri la proprieta’ del fabbricato costituendo formalmente sul terreno alienato un diritto di proprieta’ superficiaria ai sensi dell’articolo 952 c.c. (Sez. 2, n. 9769 del 12/05/2016, Rv. 639886)” ha inteso rendere applicazione di un principio generale della prassi negoziale ritraibile della norma di cui all’articolo 817 c.c., comma 1, a tenore della quale: “Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa” e dalla norma di cui all’articolo 1477 c.c., comma 2, secondo cui, nel contratto di vendita: “Salvo diversa volonta’ delle parti, la cosa deve essere consegnata insieme con gli accessori, le pertinenze e i frutti dal giorno della vendita”. Si tratta, infatti, di criterio direttivo, piu’ volte enunciato dall’ermeneusi di questa Corte, che attiene non all’istituto dell’accessione, di cui agli articoli 934 c.c. e segg., e neppure a quello della superficie, di cui agli articoli 952 e segg., ma alla disciplina del contratto di compravendita immobiliare in relazione alla realizzazione della funzione economico sociale di esso (Sez. 2 civ., n. 1515 del 26/01/2006, Rv. 587107), con la conseguenza che: “La destinazione in modo durevole di una cosa a servizio od ornamento di un’altra non necessita di alcuna forma solenne, neppure nel caso di immobili, mentre l’automatica estensione alla cosa pertinenziale degli atti e dei rapporti che hanno per oggetto la cosa principale, puo’ esser esclusa soltanto mediante la manifestazione espressa di una volonta’ contraria, negoziale, non desumibile aliunde”. (Sez. 2 civ, n. 6230 del 15/05/2000, Rv. 536513; in termini Sez. 2, n. 26946 del 15/12/2006, Rv. 594124; Sez. 2, n. 634 del 17/01/2003, Rv. 559829; Sez. 2 civ., n. 3574 del 12/04/1999, Rv. 525229; Sez. 2 civ, n. 6873 del 23/07/1994, Rv. 487484). Donde, anche nel caso al vaglio, costituendo gli impianti beni posti ad oggettivo e durevole servizio del complesso immobiliare, questi si sarebbero potuti intendere esclusi dall’originario trasferimento della cosa principale, cui erano pertinenziali, soltanto ove fosse stata inserita, nel relativo contratto, una specifica ed esplicita clausola espressiva della volonta’ negoziale della loro non inclusione nella vendita dell’intero: clausola non, invece, esistente ad insindacabile giudizio del giudice di merito.
Sussiste, pertanto, anche in riferimento al capo in disamina, la responsabilita’ del presidente del collegio sindacale, scaturente dall’inosservanza del dovere di vigilanza, imposto dall’articolo 2407 c.c., comma 2, non avendo egli reagito in alcun modo di fronte ad un atto di dubbia legittimita’ e regolarita’, cosi’ da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea l’irregolarita’ di gestione riscontrata o denunziando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell’articolo 2409 c.c..
4. I rilievi censori – sintetizzati nel terzo motivo di ricorso – che contestano la ritenuta responsabilita’ del (OMISSIS) a titolo di concorso nella bancarotta preferenziale posta in essere dagli amministratori della fallita mediante il pagamento – tra il 2009 e il 2010 – dei debiti della (OMISSIS) nei confronti dei soci (OMISSIS) e (OMISSIS) sono, invece, inammissibili vuoi per genericita’, vuoi per difetto di decisivita’ degli elementi probatori asseritamente travisati dalla Corte territoriale.
Infatti, a fronte dell’enunciato motivazionale secondo il quale la passivita’ dell’organo di controllo e di vigilanza della (OMISSIS) dinanzi alle “evidenti anomalie” gestionali dell’organo amministrativo della stessa era “pluriennale”, cosi’ da ritenersi concausale, nel “senso del rafforzamento del proposito criminoso, anche rispetto alle attivita’ delittuose degli amministratori svolte in prossimita’ del fallimento”, che segna lo snodo fondamentale da cui si irradiano, sul piano logico, tutte le altre deduzioni sviluppate dal giudice censurato sulla questione oggetto di specifica devoluzione, la difesa del ricorrente si limita ad una lettura parcellizzata ed atomistica degli elementi di prova – tra questi le riportate segnalazioni e i rilievi effettuati dal collegio sindacale rispetto all’operato degli amministratori – senza per nulla contrastare l’unico dato suscettibile di sgretolare la tesi accusatoria fatta propria dai giudici di merito: segnatamente che, al cospetto di atti certamente idonei ad alterare la par condicio creditorum posti in essere in una fase in cui era assai prevedibile il fallimento, se non altro per la grave crisi di liquidita’ attraversata dalla (OMISSIS) per effetto dei mancati rimborsi da parte della Regione Lombardia dei servizi espletati dall’impresa, ben altri e ben piu’ incisivi avrebbero dovuto essere gli interventi che il collegio sindacale avrebbe dovuto porre in essere secondo quanto previsto dagli articoli 2403 e ss. c.c.. A cio’ deve solo aggiungersi che le censure articolate con riferimento alla cessione alla (OMISSIS) del credito vantato dalla (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) – quanto al dato della capienza o meno di quest’ultima – sono interamente versate in fatto e, comunque, denunciano il travisamento di prove dichiarative, senza tener conto della necessita’ della loro decisivita’, nell’accezione della loro manifesta valenza disarticolante rispetto al costrutto motivazionale. In tal senso e’ d’uopo rammentare il principio secondo il quale:” In tema di ricorso per cassazione, ai fini della configurabilita’ del vizio di travisamento della prova dichiarativa e’ necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformita’ tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima” (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 – dep. 20/02/2018, Grancini, Rv. 272406).
5. Il settimo motivo di ricorso, nel contrastare l’asseritamente illogica motivazione resa dalla Corte territoriale quanto al concorso del presidente del collegio sindacale nel cagionamento del fallimento per effetto di operazioni dolose – perche’ fondata sul rilievo di una ostensione edulcorata della situazione economica e patrimoniale della societa’, invero esclusa dal Tribunale che aveva assolto gli imputati dal reato di mendacio bilancistico -, non si confronta affatto, ancora una volta, con la principale proposizione significante del discorso giustificativo sviluppato dal giudice censurato: vale a dire quella a tenore della quale, in una situazione gia’ di crisi, nella quale – come ammesso dallo stesso ricorrente e come emergente dagli stessi interventi del collegio sindacale – la (OMISSIS) da anni si dibatteva (per effetto dei mancati rimborsi da parte della Regione Lombardia), in cui l’organo amministrativo della societa’ (che pure in quello stesso frangente temporale pagava, ad esempio, esorbitanti contratti di locazione alla (OMISSIS) in relazione ad immobili neppure utilizzati, ovvero che restituiva a soci-amministratori e soci consistenti finanziamenti) ometteva, sistematicamente, di versare le ritenute sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti ed autonomi, cosi’ accumulando un debito nei confronti dell’Erario di circa Euro 3.000.000,00 (suscettibile di riverberarsi sul gia’ preconizzato collasso finanziario della societa’), il collegio sindacale si limitava ad “evidenziare tali omissioni, accontentandosi di prendere atto delle rassicurazioni degli amministratori, senza preoccuparsi di indicare ai medesimi strade obbligate per seguire il tempestivo ripianamento del debito”.
E’, dunque, quello appena richiamato il cuore dell’addebito di responsabilita’ mosso al presidente del collegio sindacale e convalidato dai giudici di merito: che al cospetto di abusi di gestione o, comunque, di atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa, quali quelli di sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie dalle quali sarebbe scaturito il prevedibile aumento dell’esposizione debitoria nei confronti dell’Erario (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Mattia e altri, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492), il collegio sindacale, rappresentato dal suo presidente, si era, a sua volta sistematicamente, astenuto dal compiere gli atti di incisivo intervento, ed eventualmente di denuncia, previsti dallo statuto regolamentare codicistico dell’organo di vigilanza e controllo delle societa’; in tal modo offrendo un contributo specifico, eziologicamente rilevante e connotato, quanto meno dal dolo eventuale, alla realizzazione del delitto di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2, L.F..
Ne viene l’infondatezza anche di questo motivo.
6. Rileva, tuttavia, il Collegio che al ricorrente sono state applicate di diritto le pene accessorie di cui all’articolo 216, comma 4, L.F., rilevando le stesse alla stregua degli effetti penali della condanna, siccome previsto dall’articolo 20 c.p..
6.1. La declaratoria di illegittimita’ costituzionale, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, della norma di cui all’articolo 216, comma 4, L.F., nella parte in cui prevede pene accessorie (l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ di esercitare uffici direttivi nelle imprese) di durata fissa decennale, anziche’ di durata fino a dieci anni, per coloro che siano condannati per bancarotta fraudolenta, impone a questo Giudice di legittimita’ di esaminare il profilo del trattamento sanzionatorio, in relazione alle indicate pene accessorie, posto che, ai sensi dell’articolo 136 Cost., comma 1 e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, articolo 30, comma 3 il testo della norma, risultante dalla dichiarazione di illegittimita’ costituzionale, si applica con efficacia ex tunc anche nei processi in corso.
6.2. E’ d’uopo precisare che il giudice delle leggi ha riconosciuto essere incompatibili con i principi di proporzionalita’ e di necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio, di cui all’articolo 27 Cost., comma 3, le pene accessorie temporanee di durata fissa, come quelle previste dalla norma dichiarata illegittima; e cio’ perche’, potendo i fatti di bancarotta fraudolenta manifestarsi in forme di gravita’ assai differenziate, la previsione di una durata omogenea delle pene accessorie sarebbe tale da determinare risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso in relazione ai fatti di bancarotta meno gravi. Donde la Consulta ha opinato che, in caso di bancarotta fraudolenta, debba essere il giudice penale a determinare discrezionalmente la durata delle pene accessorie, eventualmente anche in misura superiore alla durata della pena principale, in ragione della differente funzione da queste espletata – essendo finalizzate a impedire al condannato di continuare le attivita’ che gli hanno fornito l’occasione per commettere i reati di bancarotta – fino al tetto massimo di dieci anni, tenendo conto della concreta gravita’ del fatto commesso dall’imputato.
6.3. Va, inoltre, osservato che l’infondatezza del ricorso e la mancata articolazione da parte dell’impugnante di specifiche censure in punto di pene accessorie non impediscono l’esame anche officioso della questione, afferendo la stessa al tema del trattamento sanzionatorio divenuto illegale, stimandosi dover trovare applicazione il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207, secondo cui: “Nel giudizio di cassazione l’illegalita’ della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalita’ di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio e’ rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilita’ del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo”: principio, che, secondo il diritto vivente, vale anche per il caso in cui la pena concretamente inflitta, pur se compresa entro la forbice prevista dalla formulazione dei nuovi limiti edittali, sia stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali in vigore al momento del fatto, ma dichiarati successivamente incostituzionali.
Ne’ puo’ dubitarsi della applicabilita’ di tali indicazioni direttive alle pene accessorie, posto che non puo’ non rammentarsi l’ammonimento formulato dal Supremo Consesso di questa Corte, con la sentenza n. 6240 del 27/11/2014 – dep.12/02/2015, B, Rv. 262328, suonante nel senso che:” Non e’ consentita dall’ordinamento l’esecuzione di una pena (sia essa principale o accessoria) non conforme, in tutto o in parte, ai parametri legali. Il principio di legalita’ della pena si applica, invero, anche con riferimento alle pene accessorie”.
6.4. Le stesse Sezioni Unite, tuttavia, nel pronunciamento da ultimo indicato, ebbero anche a formulare il principio di diritto secondo il quale: “Sono riconducibili al novero delle pene accessorie la cui durata non e’ espressamente determinata dalla legge penale quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, con la conseguenza che la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’articolo 37 c.p., a quella della pena principale inflitta” (Sez.U., n. 6240 del 27/11/2014 – dep. 12/02/2015, B, Rv. 262328).
Ne viene che, avuto riguardo a tale arresto del diritto vivente, del quale il giudice comune non puo’ non tener conto, l’opzione avallata dal giudice delle leggi, secondo la quale l’ancorare la durata concreta delle pene accessorie a quella della pena detentiva concretamente inflitta “finirebbe per sostituire l’originario automatismo legale con un diverso automatismo”, deve essere intesa come un monito, estremamente autorevole e significativo, ad avere presenti i profili di problematicita’, sul piano di un’interpretazione conforme a Costituzione, che potrebbero scaturire dalla scelta di sostituire un meccanismo di determinazione fissa delle pene accessorie ex articolo 216, comma 4, L.F., con un altro operante in maniera analoga.
6.5. L’illegalita’ sopravvenuta della previsione della durata fissa delle pene accessorie rende, comunque, necessario l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio, al fine di consentire alla Corte di appello di quantificare la durata della pena accessoria; quantificazione che non puo’ essere operata da questa Corte, implicando considerazioni commisurative in fatto inibite al Giudice di legittimita’.
Quanto al criterio cui il giudice del rinvio dovra’ attenersi nella rideterminazione della durata della pena accessoria non piu’ fissa (dieci anni), ma indicata solo nel massimo (“fino a dieci anni”), va affermato, alla luce dei principi in precedenza richiamati, che la regola dettata dall’articolo 37 c.p. puo’ costituire uno dei criteri per la determinazione delle pene accessorie della bancarotta – avuto riguardo alla particolarita’ del caso concreto -, ma non l’unico, in ossequio ai principi di proporzionalita’ e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio nei quali si estrinseca la ratio decidendi della sentenza n. 222/2018 della Corte Costituzionale.
7. S’impone, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alle pene accessorie, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie di cui all’articolo 216, u.c., L.F, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.

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