In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 6 marzo 2019, n. 6527.

La massima estrapolata:

In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili, in caso di contestazione da parte dell’espropriato, la stima deve essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno, ma l’interessato può dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative. (Fattispecie relativa ad un terreno ablato per la costruzione di un palazzetto dello sport, le cui particelle ricadevano tutte in “zone F-uso pubblico” ai sensi delle n.t.a. del P.R.G.).

Ordinanza 6 marzo 2019, n. 6527

Data udienza 22 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 11663/2014 proposto da:
Comune di Altamura, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) e rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), in forza di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) e rappresentate e difese dagli avvocati (OMISSIS), in forza di procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale,
– controricorrenti incidentali –
e contro
Comune di Altamura, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) e rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), in forza di procura speciale a margine del ricorso;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 121/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 10/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 26/10/1989 (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari pro indiviso di un terreno in (OMISSIS), hanno evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari il Comune di Altamura per sentirlo condannare in loro favore al risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione di urgenza di un’area di 29.591 m.q., per la costruzione di un Palazzetto dello Sport, giusta decreto del 30/10/1981, iniziata il 26/10/1981 e divenuta illegittima cinque anni dopo, il 26/10/1986, senza che fosse stato emesso il decreto di esproprio, ne’ pagata la relativa indennita’.
Si e’ costituito il Comune di Altamura, eccependo il difetto di legittimazione attiva della controparte e chiedendo il rigetto della domanda nel merito, facendo altresi’ valere ulteriori decreti di occupazione di urgenza.
In seguito al decesso dell’attore originario (OMISSIS) sono intervenute in giudizio le sue eredi ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)).
Esperita consulenza tecnica d’ufficio, il Comune ha eccepito la prescrizione del diritto azionato, eccezion fatta per il suolo boschivo.
Con sentenza (sul punto qualificata come parziale e definitiva) del 20/1/2004 il Tribunale di Bari, in relazione alla quota di m.q. 12.565 di suolo edificatorio occupato dal Comune, ha accolto la domanda di risarcimento del danno da occupazione abusiva, condannando l’Ente convenuto a pagare alle parti attrici la complessiva somma di L. 1.315.115.000, pari ad Euro 679.200,22, oltre rivalutazione e interessi legali dall’1/1/1999 al saldo; il Tribunale ha accolto altresi’ la domanda di attribuzione dell’indennita’ di occupazione legittima, condannando il Comune a pagare in favore delle parti attrici la complessiva somma di Lire 314.697.000, pari ad Euro 162.527,44, con gli interessi legali dalle decorrenze articolatamente indicate in motivazione, sino al saldo; il Tribunale ha infine condannato il Comune alla rifusione delle spese processuali relative alla domanda cosi’ definita.
Con separata ordinanza il Tribunale ha dato impulso all’ulteriore istruzione, quanto al capo di domanda non definito, relativo alla quota di terreno di m.q. 17.814, costituita da boschetto ed aree adiacenti, ritenuto destinato a suolo agricolo e verde pubblico, disponendo all’uopo consulenza tecnica d’ufficio.
2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello in via principale gli attori, incluse le eredi di (OMISSIS), e in via incidentale il Comune di Altamura.
La Corte di appello di Bari ha disposto consulenza tecnica d’ufficio e ha invitato le parti a prender posizione in ordine al quadro normativo mutato per effetto della sentenza n. 181 del 2011 della Corte Costituzionale.
Quindi, con sentenza del 10/2/2014 la Corte di appello di Bari, in parziale accoglimento sia dell’appello principale, sia dell’appello incidentale, dato atto del versamento medio tempore da parte del Comune di Altamura della somma di Euro 1.185.375,45, ha dichiarato il Comune di Altamura tenuto a risarcire il danno patito dagli appellanti, secondo le rispettive quote, determinato in Euro 594.318,75 alla data del 26/7/1997, oltre rivalutazione monetaria e interessi, nonche’ a depositare presso la Cassa Depositi e Prestiti la somma di Euro 391.566,85, oltre interessi, da distribuire fra gli appellanti secondo le rispettive quote.
Tanto premesso, la Corte di appello ha condannato il Comune a pagare l’eventuale differenza fra le somme dovute, come sopra determinate e quanto accreditato a favore degli attori, ha compensato le spese del giudizio di appello e ha posto l’onere della consulenza tecnica d’ufficio a carico del Comune.
In primo luogo, la Corte Territoriale ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse violato l’articolo 279 c.c., comma 2, n. 5, secondo il quale il Giudice pronuncia sentenza quando, valendosi della facolta’ di cui all’articolo 103, comma 2 e articolo 104, comma 2, decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite e con distinti provvedimenti dispone la separazione delle altre cause e l’ulteriore istruzione riguardo alle medesime.
La Corte di appello ha ricordato che la legge consente di decidere solo sull’an debeatur, rimettendo al prosieguo la determinazione del quantum, se si tratta di una sola domanda, oppure, se si tratta di piu’ domande, di separare le cause, ma non permette la parcellizzazione della decisione nell’ambito di un’unica domanda nel senso di scindere il quantum, determinandone una parte nella sentenza e rimettendo il resto al prosieguo; tanto premesso, la Corte di appello ha circoscritto l’esame dell’appello principale alle sole questioni affrontate e decise nella sentenza impugnata.
In via preliminare, la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione preliminare di prescrizione sollevata dal Comune, dovendosi avere riguardo, ai fini del dies a quo, all’entrata in vigore della L. n. 458 del 1988; inoltre, quanto al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 42 bis ha ritenuto inammissibile l’istanza dagli appellanti principali volontari di porre al Comune di Altamura di procedere entro un termine fissato alla scelta fra la stipulazione dell’atto di cessione dei suoli dell’atto di acquisizione di beni del patrimonio, sotto condizione della liquidazione del risarcimento del danno e dell’indennita’ di occupazione legittima; cio’ in considerazione della riserva della procedura alla completa autonomia della Pubblica Amministrazione; altrettanto inammissibile, perche’ generica, e’ stata ritenuta a richiesta del Comune di concessione di ulteriore termine a tal fine.
Ulteriormente in via preliminare, la Corte di appello ha ritenuto infondata la tesi del Comune circa la natura confessoria delle denunce di successione e delle dichiarazioni fiscali presentate dagli appellanti circa il valore della porzione di suolo di metri quadrati 12.565; la Corte ha tuttavia precisato che la superficie in questione era stata erroneamente indicata dal Tribunale e ammontava effettivamente a metri quadrati 13.200,07.
Quanto al merito, la Corte di appello e’ partita dal rilievo che le particelle occupate erano inserite in varie zone del Piano Regolatore Generale, classificate tutte come Zone “F”, ossia Zone di uso pubblico, ai sensi degli articoli 24, 27 e 30 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, tutte considerate non edificabili.
Stabilita la vocazione non edificatoria dell’intero suolo, la Corte territoriale ha ritenuto di dover determinare il valore venale ai sensi della L. n. 2359 nel 1865, articolo 39 per la porzione di suolo effettivamente corrispondente a metri quadrati 13.208,07;
tenuto conto degli elementi di cognizione sottoposti e acquisiti agli atti, ha cosi’ espresso la valutazione di Euro 45 al metro quadro quale controvalore del bene non piu’ utilizzabile, determinata alla data del 26/7/1997.
Quanto all’indennita’ di occupazione legittima, per la quale il Giudice di primo grado era evidentemente incompetente, la Corte si e’ ritenuta competente ad esaminarla quale giudice effettivamente competente, seppur adito solo in sede di impugnazione; ha proceduto quindi al relativo conteggio dell’indennita’ da occupazione legittima, con riferimento agli interessi legali sul valore venale del terreno trasformato dalla P.A., come sopra valutato, separatamente conteggiato con riferimento al periodo di occupazione.
3. Avverso la sentenza del 10/2/2014, notificata il 12/3/2014, ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Altamura con atto notificato in data 9/5/2014, svolgendo due motivi.
Con atto notificato il 16/6/2014 hanno proposto controricorso e ricorso incidentale (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), svolgendo tre motivi.
Con atto notificato il 16/7/2014 il Comune di Altamura ha resistito con controricorso al proposto ricorso incidentale.
Con memorie del 7/1/2019 ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1, le parti contrapposte hanno ulteriormente illustrato le rispettive difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte ritiene prioritario dal punto di vista logico l’esame del ricorso incidentale, e in particolare dei due primi motivi, che attengono alla qualificazione giuridica del terreno di cui si tratta, rispetto ai temi implicati dal ricorso principale, che involgono la determinazione della misura dell’indennita’ e del risarcimento per occupazione illegittima.
2. I primi due motivi di ricorso incidentale sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
2.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti incidentali denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 2359 del 1865, articolo 39 e della Legge Regionale Puglia 22 febbraio 2005, n. 3, articolo 19, comma 2.
Le ricorrenti osservano che l’area occupata dal Comune non poteva essere considerata non edificabile, benche’ fosse acquisito e incontestato il fatto che la disciplina urbanistica prevedeva su di esse la realizzazione di attrezzature pubbliche a servizio delle zone residenziali a livello di quartiere.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti incidentali denunciano ulteriore profilo di violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 2359 del 1865, articolo 39.
Le ricorrenti incidentali puntualizzano che non era mai stato affermato che le attrezzature di interesse pubblico previste dal P.R.G. (al pari di quelle concretamente realizzate) sui terreni di loro proprieta’ fossero riservate alla mano pubblica, ben potendo essere realizzate e gestite dai privati in regime di libero mercato.
Conseguentemente i terreni in questione avevano natura edificabile, giacche’ l’edificabilita’ non si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte le forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e ben puo’ adattarsi anche ai suoli classificati dagli strumenti urbanistici come Zone F, purche’ non destinati concretamente ad un utilizzo meramente pubblicistico, come non risultava fosse nella presente fattispecie.
2.3. La sentenza impugnata, fondandosi sui dati acquisiti dal secondo Consulente tecnico, ing. (OMISSIS), ha ritenuto che l’intero terreno occupato dal Comune non fosse edificabile perche’ tutte le varie particelle erano inserite in zone “F” del P.R.G. e quindi classificabili come “Zone di uso pubblico” ex articoli 24, 27, 30 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. (ossia: “Parco Urbano F5-Viabilita’ di P.R.G.”, “Verde di quartiere F2 – Parco Urbano F5-Viabilita’ di P.R.G.”, ” Verde di quartiere S2B – Parco Urbano F5-Viabilita’ di P.R.G.”).
In particolare nella Zona F2 – Verde di quartiere e’ consentita la costruzione di attrezzature per il gioco, costruzioni provvisorie per chioschi da adibire a bar ristoro e ricovero, impianti sportivi per allenamento (articolo 24 N. T.A.); nella Zona Parco Urbano F5 possono essere ubicate attrezzature per il gioco e lo svago, come chioschi, bar, giochi bimbi, attrezzature sportive e di allenamento (articolo 27 N. T.A.); analoghe le destinazioni consentite nelle altre zone sopra citate.
2.4. Le censure esposte non sono fondate nei termini ampi e generali in cui sono proposte, ad eccezione di quanto precisato nel successivo § 2.16., nei cui ristretti limiti appaiono invece accoglibili.
La sentenza delle Sezioni Unite, 23/04/2001, n. 173 ha affermato che ai fini indennitari e della previa qualificazione dei suoli espropriati alla stregua delle correlative “possibilita’ legali” di edificazione al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione, ai sensi della L. n. 359 del 1992, articolo 5 bis, comma 3, le prescrizioni ed i vincoli stabiliti dagli strumenti urbanistici di secondo livello – influenti di regola su tale qualificazione, per il contenuto conformativo della proprieta’ che ad essi deriva dalla funzione di definire, per zone, in via astratta e generale, le possibilita’ edificatorie connesse al diritto dominicale – possono, in via eccezionale, avere viceversa anche portata e contenuto direttamente ablatori (che ne esclude l’incidenza sulla liquidazione dell’indennita’) ove si tratti di vincoli particolari, incidenti su beni determinati in funzione di localizzazione dell’opera pubblica, implicante di per se’ la necessaria traslazione di quei beni all’ente pubblico.
Numerose pronunce successive hanno ripreso la distinzione citata, affermando ripetutamente che la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi cui possono essere assoggettati i suoli, non dipende dal fatto che siano imposti mediante una determinata categoria di strumenti urbanistici, piuttosto che di un’altra, ma deve essere operata in relazione alla finalita’ perseguita in concreto dell’atto di pianificazione; ove mediante lo stesso si provveda ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, si’ da incidere su di una generalita’ di beni, nei confronti di una pluralita’ indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo; invece il vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, pertanto, prescindersi nella qualificazione dell’area, e cio’ in quanto la realizzazione dell’opera e’ consentita soltanto su suoli cui lo strumento urbanistico ha impresso la correlativa specifica destinazione, cosicche’, ove l’area su cui l’opera sia stata in tal modo localizzata abbia destinazione diversa o agricola, se ne impone sempre la preventiva modifica (Sez. 1, 18/06/2018, n. 16084 Sez. I, 20/02/2018, n. 4100; Sez. 1, 13/10/2017, n. 24150; Sez. 1, 09/10/2017, n. 23572; Sez. 1, 12/12/2016, n. 25401).
2.5. La giurisprudenza di questa Corte, d’altro canto, accoglie il principio che il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi; tale carattere ricorre ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, si’ da incidere su di una generalita’ di beni, nei confronti di una pluralita’ indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo piu’ spaziale, con un’opera pubblica. Al contrario, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non gia’ di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non puo’ coesistere con la proprieta’ privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione.
2.6. Pertanto un’area va ritenuta edificabile solo quando e’ in tal modo classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici; le possibilita’ legali di edificazione tuttavia vanno escluse tutte le volte in cui, in base allo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilita’ ecc.), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprieta’, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia.
Il vincolo di natura pubblicistica appare ostativo alla possibilita’ di ritenere legalmente edificabili i terreni interessati, come piu’ volte affermato da questa Corte (Sez.1, 24/6/2016, n. 13172; Sez.1, 15/6/2015, n. 12318; Sez.1, 26/6/2013, n. 16157).
2.7. La natura edificatoria non puo’ essere fatta derivare dal fatto che gli interventi previsti in sede di pianificazione territoriale avrebbero potuto esser realizzati anche da privati; in tal modo la privatizzabilita’ dell’intervento finirebbe per diventare l’unico requisito necessario e sufficiente a conferire il carattere di edificabilita’ al terreno che resta, invece, oggettivamente inserito in una zona non edificatoria, rientrante nell’ambito di quelle che il Decreto Ministeriale n. 2 aprile 1968, articolo 2, include, appunto, fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale” (Sez.1, 21/6/2016, n. 12818).
Questa Corte ha di recente ribadito (Sez.1, 24/2/2016, n. 3620) l’esigenza di verificare la natura edificatoria o meno di un terreno prescindendo dalle “confusioni concettuali ingenerate dalla non sempre corretta interpretazione delle pronunce del Giudice delle leggi in merito alla distinzione fra vincoli conformativi ed espropriativi, che attiene, nella prospettiva delle suddette pronunce, al tema della loro temporaneita’ e dell’indennizzo in caso di reiterazione”.
2.13. Nell’ipotesi in cui venga proposta domanda di determinazione della giusta indennita’ spettante ai proprietari in presenza della situazione della perdita in radice del diritto dominicale sul bene in conseguenza della sua formale e sostanziale ablazione, nonche’ del trasferimento di ogni pretesa (L. n. 2359 del 1865, articolo 52 e articolo 25 T.U.) sull’indennita’ di espropriazione sostitutiva, quale garantita dall’articolo 42 Cost., comma 3 e L. n. 2359 del 1865, articolo 52, non puo’ essere consentita la trasposizione della dicotomia “vincoli conformativi/vincoli espropriativi”, pur corrispondente a quella enunciata dalla Corte Costituzionale, neppure in via analogica, poiche’ mancano entrambi i presupposti richiesti dall’articolo 12 preleggi, della assenza di norme specifiche sulla fattispecie concreta e della presenza di elementi di identita’ tra di essa e quella legislativamente regolata (Sez. 1, Sent. n. 2656 del 11/02/2015; Sez. 3, Sent. n. 8278 del 09/04/2014; Sez. L, Sent. n. 9852 del 06/07/2002).
In tale ipotesi, infatti, sussiste una normativa specifica dettata proprio e soltanto per la determinazione del valore venale del bene nelle espropriazioni per p.u., nonche’ per la determinazione dell’indennita’ di espropriazione per le aree edificabili e non edificabili, introdotta dalla L. n. 359 del 1992, articolo 5 bis, ed oggi recepita dagli articoli 32 e 37 Testo Unico cit. (di valenza ricognitiva e specificativa).
2.14. La determinazione dell’indennita’, pertanto, deve avvenire sulla base dell’accertamento non gia’ della contrapposizione vincoli conformativi/espropriativi, ma della ricorrenza (o per converso della mancanza) delle possibilita’ legali di edificazione al momento del decreto di espropriazione (L. n. 359, articolo 5 bis, comma 3 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 32, comma 1 e articolo 37, comma 3): accertamento risolto in modo inequivoco e dirimente dal menzionato articolo 37, comma 4, per il quale, premessa la ininfluenza dei vincoli espropriativi, “non sussistono le possibilita’ legali di edificazione quando l’area e’ sottoposta ad un vincolo di inedificabilita’ assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano regolatore generale,…ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata” (Sez. 1 n. 3620/2016, cit.).
2.15. In siffatta prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la legale edificabilita’ quanto alle aree destinate a edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, anche sotto il profilo della realizzabilita’ degli interventi a iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacche’ l’edilizia scolastica e’ riconducibile a un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio e istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parita’ assicurata all’insegnamento privato (Sez.1, 08/03/2018, n. 5557; Sez. 1, 13/03/2017, n. 6388; Sez.1, 17/05/2016, n. 10085).
Parimenti e’ stata esclusa della natura edificatoria di un suolo che, nel relativo piano regolatore, ricada in zona destinata a servizi ospedalieri-parcheggio (Sez. 1, 24/06/2016, n. 13172); la prerogativa dell’edificabilita’ non puo’ essere riconosciuta riguardo alla destinazione urbanistica di terreni a servizi di pubblica utilita’, preclusiva ai privati di forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, che, anche se previste, sono concepite al solo fine di assicurare la fruizione pubblica degli spazi; in tal caso, infatti, l’eventuale redditivita’ che il bene puo’ assicurare al proprietario richiede comunque una specifica previsione di appositi strumenti convenzionali con cui al privato si conceda o si appalti l’attuazione del servizio di pubblica utilita’, dal quale egli possa ricavare un reddito (Sez. 1, 23/06/2010, n. 15213, resa con riferimento alla creazione di un polo sanitario nel quale la variante al piano regolatore, nel prevedere la realizzazione della struttura ospedaliera, aveva previsto anche la possibilita’ di costruire strutture residenziali per anziani, disabili, personale medico e uffici).
Analoga conclusione e’ stata attinta per la zona concretamente vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico, quale quello concretamente sussistente nella presente fattispecie (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilita’) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprieta’, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Sez. 1, 10/05/2017, n. 11445; Sez. 1, 07/03/2017, n. 5686, Sez. 1, 21/06/2016, n. 12818); ovvero, piu’ in generale, quanto alla destinazione pubblica dell’insediamento, che rende irrilevanti o assorbe le modalita’ della sua realizzazione, quand’anche gli interventi siano effettuati da privati e la gestione sia assicurata da enti o imprese private (Sez. 1, 19/10/2016, n. 21185).
2.16. Tuttavia, nella fattispecie appare concretamente prospettabile la tesi dell’utilizzazione cosiddetta “intermedia” dei terreni, che non e’ stata concretamente valutata dal Giudice del merito.
Secondo questa tesi, in tema di determinazione dell’indennita’ di espropriazione di terreni non edificabili, in caso di contestazione da parte dell’espropriato, la stima deve essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno, ma l’interessato puo’ dimostrare che il fondo e’ suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorieta’, e che, quindi, possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilita’ di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attivita’ sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti…..) sempre che tali possibilita’ siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Sez. 1, Ord. n. 19295 del 19/07/2018, Rv. 649681 – 01; Sez. 1, Ord. n. 25314 del 25/10/2017, Rv. 646577 – 01; Sez. 1, Sent. n. 24150 del 13/10/2017, Rv. 646195 – 01).
Tali possibilita’ si ripercuotono sul valore venale del bene e nel rispetto della disciplina legale e della sentenza n. 181 del 2011 della Corte Costituzionale debbono essere tenute presenti dal Giudice ai fini della valutazione.
In questi soli termini e in ragione della mancata esplorazione da parte della Corte territoriale delle predette possibilita’ di utilizzazioni intermedie, comunque almeno implicitamente comportate dalle deduzioni in fatto svolte dalle ricorrenti incidentali, ancorche’ senza l’espressa invocazione del nomen juris, i due motivi di ricorso in esame meritano accoglimento.
3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti incidentali denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 2909 c.c.
3.1. Il Tribunale di Bari nella sentenza di primo grado aveva affermato che il residuo suolo, di estensione m.q. 17.624, per i parcheggi in via (OMISSIS), e il boschetto, classificati in zona F2, Verde di quartiere, andavano classificati come terreni agricoli e che per essi le indennita’ andavano calcolate secondo la L. n. 865 del 1971.
Tali statuizioni, in ordine alla non edificabilita’ dei terreni impugnata erano suscettibili di passare in giudicato interno, quali antecedenti logici della successiva decisione; pertanto correttamente le appellanti, al fine di evitare una preclusione processuale, avevano proposto impugnazione sul punto e erroneamente la sentenza di appello aveva ritenuto inammissibile la censura perche’ esorbitante dal perimetro del decisum della sentenza.
3.2. La censura e’ infondata, come osserva correttamente il Comune e come prendono atto le stesse ricorrenti incidentali alla pagina 6, § 4, della memoria 7/1/2019.
La Corte di appello di Bari non ha ritenuto inammissibile l’appello avverso la statuizione della sentenza di primo grado che aveva qualificato come non edificatoria la natura della porzione di terreno di metri quadrati 17.814, per cui era stata disposta separazione della causa e rimessione in istruttoria, ma aveva limitato tale valutazione alle istanze delle appellanti rivolte a richiedere il risarcimento anche per quella frazione.
A pagina 8, terzo capoverso, la Corte territoriale afferma che quella porzione di suolo di m.q. 17.814 non era contemplata dalla sentenza impugnata se non in ordine all’attribuzione di natura non edificatoria; i motivi del gravame sono stati ritenuti inammissibili in quanto tendenti a ottenere una pronuncia condannatoria anche per quella estensione di terreno, perche’ esorbitanti dal perimetro del decisum della sentenza impugnata (pag.8, penultimo capoverso).
A pagina 16, terzo capoverso, la Corte ha delimitato il proprio intervento chiarendo che essa doveva stabilire le destinazioni dell’intero suolo occupato e la misura del risarcimento del danno e dell’indennita’ di occupazione della sola parte in relazione alla quale il Tribunale si era pronunciato in termini condannatori (m.q. 12.565 ed in realta’ effettivamente m.q. 13.208,07).
L’intero suolo di m.q. 29.000 circa e’ stato ritenuto non edificabile (pag.19, primo capoverso).
La doglianza delle ricorrenti in incidentali e’ quindi priva di oggetto, perche’ la Corte territoriale non ha affatto dichiarato inammissibile l’appello contro la statuizione della natura non edificatoria del residuo terreno per cui proseguiva l’istruttoria.
4. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 2359 del 1865, articolo 39 nonche’ omesso esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio, sottoposto alla discussione delle parti, quanto alla natura non edificabile dell’area in questione.
4.1. Le controricorrenti hanno eccepito preliminarmente l’inammissibilita’ di entrambi i motivi di ricorso per l’insussistenza del vizio di omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., n. 5, nella nozione delineata dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053 del 7/4/2014.
4.2. Al presente procedimento, in cui la sentenza di appello e’ stata pubblicata il 10/10/2014, si applica il testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultante dalle modifiche apportate sul previgente testo introdotto dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 2, dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv., con modif., in L. 7 agosto 2012, n. 134, che consente l’impugnazione solo piu’ “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”; tale disposizione infatti, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 3 si applica “alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (e quindi dal 25/9/2012).
Il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione; secondo la nuova formula, e’ denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).
Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
4.2. Secondo il ricorrente, la Corte di appello, pur partendo dall’esatta affermazione di principio che l’intero suolo non fosse edificabile, e’ incorsa nel fondamentale errore di prendere in considerazione, per la valutazione del valore venale del bene occupato, valori desunti da aree edificabili.
Infatti, nella sua seconda relazione, a differenza della prima, il consulente tecnico d’ufficio, arch. (OMISSIS), era pervenuto alla conclusione che il terreno espropriato fosse di natura edificabile e aveva pertanto valutato il suolo in base a tre atti di compravendita riguardanti suoli edificatori; dal certificato di destinazione urbanistica allegato alla relazione del consulente ing. (OMISSIS), nominato in appello, emergeva invece la destinazione non edificatoria delle aree.
Era pertanto del tutto illogica, a fronte dell’accoglimento da parte della Corte territoriale dell’assunto del Comune circa la natura non edificabile dei terreni, l’applicazione dei valori indicati dal primo C.t.u. sul diverso presupposto della natura edificabile, e ritratti da due atti di compravendita rogati al Notaio (OMISSIS) nel 1992 e nel 1995, effettata senza considerare il contenuto dei due allegati certificati di destinazione urbanistica, che dimostravano la natura edificabile dei terreni venduti con tali rogiti, collocati in zona C1 di espansione.
4.3. Il motivo prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e coglie il segno.
La Corte di appello, pur procedendo a una valutazione complessiva, ha basato espressamente il proprio giudizio valutativo anche sulla consulenza tecnica dell’arch. (OMISSIS) e sugli atti ai quali costui si era a sua volta riferito, di cui ha dato conto (pag.21, primo capoverso, pag.22, quarto capoverso), cosi’ come ha dato conto di vari elementi forniti, di varia fonte, dal Comune di Altamura, seppur insufficienti di per se’ a fondare la sua valutazione.
I due atti pubblici di compravendita rogati dal Notaio (OMISSIS) nel 1992 e nel 1995, considerati dal primo C.t.u. arch. (OMISSIS) (sul diverso presupposto della natura edificabile dei terreni), sono stati inclusi nel materiale cognitivo rilevante, benche’ dalla consulenza tecnica dell’ing. (OMISSIS), esperita in secondo grado, emergesse che i due atti erano corredati dai due allegati certificati di destinazione urbanistica che dimostravano la natura edificabile dei terreni venduti con tali rogiti, collocati in zona C1 di espansione.
A pagina 23, infatti, la Corte con valutazione espressa “in un quadro siffatto”, e quindi influenzata anche dall’antecedente valutazione del C.t.u. (OMISSIS), ha indicato in Euro 45,00 al metro quadro alla data del 26/7/1997 il valore del terreno occupato.
La sentenza deve quindi essere cassata anche in relazione al primo motivo di ricorso principale.
5. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo che aveva formato oggetto di discussione circa il valore venale dei fondi occupati e in particolare una serie di incongruenze derivanti dalla mancata considerazione di elementi probatori segnalati dal Comune.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva incomprensibilmente ignorato il valore venale attribuito dagli originari attori nella dichiarazione del 23/10/1986 di successione al signor (OMISSIS) (che indicava un valore presunto dell’indennita’ di esproprio in Lire 18 milioni e cioe’ Lire 589 al m.q.) e indicava un valore al metro quadro dei terreni non oggetto di occupazione da parte del comune, del tutto analoghi a quelli occupati in Lire 380 mila al metro quadro.
Inoltre il consulente tecnico di parte attrice, nella sua relazione del 6/7/1992 (confermata anche con la seconda relazione del 15/7/1993) aveva indicato il valore venale dei fondi occupati in Lire 35.000 al m.q. per un importo complessivo di Lire 852.810.000; era quindi del tutto illogico ritenere un valore venale dei terreni in misura all’incirca tripla di quanto stimato dallo stesso consulente di parte degli attori.
Era poi stata prodotta la sentenza della Corte di appello di Bari n. 852/2005, resa in causa fra il Comune di Altamura e (OMISSIS), in cui fondi espropriati e dotati dello stesso indice di edificabilita’ erano stati valutati a Lire 12.000 al mq, con valutazione riferita al 1998.
5.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento delle censure svolte con il primo motivo.
6. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di appello di Bari, in di diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE
accoglie i primi due motivi del ricorso incidentale, respinto il terzo, e il primo del ricorso principale, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.

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