Indebita utilizzazione di carta di credito

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|2 novembre 2021| n. 39276.

Il delitto di indebita utilizzazione di carta di credito assorbe quello di cui all’art. 494 cod. pen. nel caso in cui la sostituzione sia attuata con la stessa condotta materiale integrante il primo reato, poiché l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 493-ter cod. pen. lede, oltre al patrimonio, anche la pubblica fede, mentre l’art. 494 cod. pen. contiene una clausola di riserva destinata ad operare anche al di là del principio di specialità.

Sentenza|2 novembre 2021| n. 39276. Indebita utilizzazione di carta di credito

Data udienza 22 settembre 2021

Integrale

Tag – parola: Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico ex art. 493 cp – Furto – Sostituzione di persona – Indagini dattiloscopiche – Piena efficacia probatoria – Indebito utilizzo di mezzo di pagamento – Possibile assorbimento nel reato di cui all’art.494 cp

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/05/2020 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LIGNOLA FERDINANDO che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi;
udito il difensore di (OMISSIS), Avvocato (OMISSIS) il quale ha concluso riportandosi ai motivi.

Indebita utilizzazione di carta di credito

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Messina, con sentenza in data 25 Maggio 2020, pronunziando nei giudizi riuniti aventi ad oggetto gli appelli proposti dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), in parziale riforma della sentenza del G.I.P. del Tribunale di Messina in data 22/10/2018 n. 381/2019, confermava l’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato (OMISSIS) in ordine ai reati di cui ai capi a) (articolo 110 c.p., articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, comma 3 quinquies) e c) (articolo 110 c.p., articolo 61 c.p., n. 2, e articolo 648 c.p.) della relativa rubrica, rideterminando il trattamento sanzionatorio; in parziale riforma della sentenza del G.I.P. del Tribunale di Messina in data 22/10/2018 n. 382/2019, confermava l’affermazione della penale responsabilita’ degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), esclusa l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 5 contestata, in ordine ai reati rispettivamente ascritti di cui ai capi a) (articolo 624 c.p., articolo 61 c.p., n. 7), b) (articolo 493 ter c.p.), c) (articolo 81 c.p., articolo 61 c.p., n. 7, articolo 493 ter c.p.), d) (articolo 493 ter c.p.), (articoli 99 e 110 c.p., articolo 61 c.p., n. 7, articolo 493 ter c.p.), f) (articolo 61 c.p., nn. 2)-5) e 10), articoli 99, 110 e 494 c.p.), g) (articolo 493 ter c.p.), h) (articolo 493 ter c.p.) ed i) (articolo 61 nn. 2) e 10), articoli 99, 110 e 494 c.p.) della relativa rubrica, rideterminando il trattamento sanzionatorio.
2. Contro detta sentenza propongono ricorsi per cassazione entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.

 

Indebita utilizzazione di carta di credito

2.1. (OMISSIS) formula due motivi:
a. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonche’ mancanza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione in punto di affermazione della penale responsabilita’ per il reato di rapina.
Lamenta che la corte territoriale non aveva adeguatamente valutato la censura relativa alla non decisivita’ dell’accertamento dattiloscopico posto a fondamento della sua condanna, specie in ragione dei richiamati studi scientifici del Dott. (OMISSIS) il quale aveva posto in dubbio la valenza dimostrativa della c.d. identita’ dattiloscopica.
Rileva, ancora, che illogica e contraddittoria nonche’ meramente apodittica era la motivazione nella parte in cui la corte di merito aveva ritenuto configurabile l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 quinquies sul presupposto che non vi erano ragioni per ritenere che l’imputato non avesse avuto contezza dell’eta’ ultrassessantacinquenne della vittima (OMISSIS) in ragione del fatto che quest’ ultimo era prossimo ai settant’anni;
b. violazione di legge vizio di motivazione relativamente alla mancata concessione delle chieste attenuanti generiche.
Osserva che la corte territoriale non aveva considerato ai detti fini gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. ed, in particolare, il fatto che la condotta dell’imputato, soggetto incensurato, appariva connotata da intrinseci profili di occasionalita’.
2.2. (OMISSIS) deduce tre motivi:
a. mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato per il reato contestato al capo f).
Lamenta che la corte territoriale si era limitata a recepire acriticamente la ricostruzione della sentenza di primo grado e non aveva preso in esame le specifiche censure formulate, senza considerare che, nel caso in esame, fra il reato di cui all’articolo 493 ter c.p. relativo all’utilizzo abusivo della carta di credito presso l’ufficio di Contesse allorquando il ricorrente si era spacciato per il titolare della carta ed il reato di cui all’articolo 494 c.p. sussisteva un concorso apparente di norme sicche’ la condotta di sostituzione di persona rispetto al reato di indebito utilizzo si poneva quale ante factum non punibile;
b. vizio di motivazione relativamente alla mancata concessione delle chieste attenuanti generiche. Osserva che la corte territoriale in proposito aveva adottato una motivazione apparente e di stile;
c. vizio in motivazione in punto di dosimetria della pena a suo dire eccessiva.

 

Indebita utilizzazione di carta di credito

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
1.1. Il primo motivo e’ generico, reiterativo di profili gia’ dedotti in appello e disattesi dalla corte di merito con adeguata motivazione e, comunque, manifestamente infondato.
I giudici di merito hanno correttamente richiamato ed applicato la giurisprudenza di legittimita’ che ritiene sufficiente a provare la responsabilita’ di un imputato le impronte digitali sui luoghi teatro della contestata rapina.
La difesa lamenta che il giudice dell’appello avrebbe omesso di valutare la significativita’ sul piano indiziario di una sola impronta digitale rinvenuta sul luogo dalla rapina in assenza di una adeguata e complessiva ricostruzione in relazione al contesto di luogo e di tempo in cui la traccia sarebbe stata lasciata ed, ancora, avrebbe omesso di considerare che nella specie era certo uno “scivolamento del palmo della mano” del rapinatore che aveva lasciato l’impronta sulla vetrata situazione che non poteva non avere determinato una alterazione dei lineamenti delle impronte emesse, elemento questo da porre in correlazione con gli studi scientifici che avevano messo in dubbio la valenza dimostrativa della c.d. identita’ dattiloscopica.
Rileva la Corte che le argomentazioni dei giudici di appello – che hanno disatteso le medesime censure oggi reiterate – sono congrue ed in linea con la pacifica giurisprudenza della Cassazione, cui in questa sede occorre dare seguito, secondo cui il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilita’ e puo’ costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma anche nel caso in cui esse siano relative all’impronta di un solo dito, purche’ evidenzino almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione (n. 16356 del 2008, Rv. 239781. Massime precedenti Conformi: N. 24341 del 2005 Rv. 232213; n. 4254 del 1989 Rv. 180856; N. 11129 del 1981 Rv. 151332; Rv. 160590;Rv. 171038).
Va aggiunto che la verifica dattiloscopica e’ dotata di piena efficacia probatoria senza bisogno di elementi sussidiari di conferma (purche’ sia individuata la sussistenza di almeno 16 punti caratteristici uguali) in quanto essa fornisce la certezza che la persona con riguardo alla quale e’ stata effettuata si sia trovata sul luogo in cui e’ stato commesso il reato; pertanto, legittimamente, in mancanza di giustificazioni su tale presenza, viene utilizzata dal giudice ai fini del giudizio di colpevolezza vedi anche Sez. 2, Sent. n. 44561 del 07/10/2014 Ud. (dep. 27/10/2014)Rv. 260861;Sez. 5, Sent. n. 487 34 del 13/10/2014 Ud. (dep. 24/11/2014)Rv. 261296;Sez. 5, Sent. n. 54493 del 28/09/2018 Ud. (dep. 05/12/2018) Rv. 274167 – 01.
Occorre ribadire che e’ costante l’orientamento di questa Corte di legittimita’ che attribuisce grave valenza indiziaria al rinvenimento di una o piu’ delle dette impronte digitali sul luogo di consumazione del reato non abitualmente frequentato dall’imputato, elemento cui viene aggiunto quello della assenza di qualsiasi spiegazione al riguardo che valga a colorire diversamente il gia’ eloquente elemento costituito dalla impronta.
Tutte le censure formulate finiscono, quindi, per costituire il tentativo di una rilettura degli elementi probatori gia’ adeguatamente valutati e vagliati dai giudici di merito pervenuti a conclusioni di segno conforme.

 

Indebita utilizzazione di carta di credito

1.1.1. L’ulteriore censura formulata con il primo motivo e’ anch’ esso manifestamente infondata: va premesso che la corte di appello ha ritenuto configurabile la sussistenza l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 quinquies con ragionamento in fatto non censurabile in questa sede, non potendosi non considerare che con l’odierno ricorso l’imputato finisce per allegare profili in fatto non previamente dedotti con l’atto di appello con il quale si era limitato a negare la presenza fisica del soggetto ultrasessantacinquenne titolare del distributore di benzina (OMISSIS).
1.2. Il secondo motivo e’ generico, aspecifico e comunque manifestamente infondato.
E’ appena il caso di ricordare che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche’ la stessa motivazione, purche’ congrua e non contraddittoria, non puo’ essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. 28535/2014, rv. 259899; Cass. 34364/2010, rv. 248244; Cass. 42688/2008, rv 242419).
Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo.
Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo’ essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione. E’ pertanto sufficiente il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perche’ in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalita’ (Cass. 3896/2016, rv. 265826; Cass. 3609/2011, rv. 249163; Cass. 41365/2010, rv. 248737);
Nel caso in esame i giudici di merito hanno rilevato la gravita’ dei fatti, l’intensita’ del dolo e la elevata capacita’ criminale manifestata dall’imputato, motivazione che non si presta ad alcuna censura.
2. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile.
2.1. Il primo motivo e’ manifestamente infondato.

 

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Il ricorrente lamenta che la corte di appello, nel confermare l’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato per i reati di sostituzione di persona di cui all’articolo 494 c.p. e di indebito utilizzo di carte di credito ex articolo 493 ter c.p., aveva erroneamente disatteso le censure formulate con l’atto di appello con le quali era stato evidenziato che la condotta di sostituzione di persona di cui al capo f) rispetto al reato di indebito utilizzo si poneva quale ante factum non punibile.
Le censure formulate non colgono in alcun modo nel segno.
Va premesso che, nel caso in esame secondo quanto si evince chiaramente dal capo di imputazione, risultano contestate all’imputato due distinte condotte materiali: quella di cui al capo f) consistita nel comportamento del (OMISSIS) il quale si e’ presentato alla cassiera esibendo la carta di identita’ e la carta di credito della persona offesa (OMISSIS), chiedendo di poter effettuare un prelievo e quella di cui al capo f) consistita nell’indebito utilizzo della carta collegata al conto del (OMISSIS).
Osserva la Corte che l’articolo 494 c.p.p. – laddove recita: “se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica” – pone una clausola di riserva destinata ad operare al di la’ del principio di specialita’: ne deriva che, qualora la stessa azione abbia al contempo realizzato oltre alla sostituzione di persona un ulteriore delitto che a sua volta offenda il bene dell’affidamento della collettivita’, si verifica assorbimento della prima violazione nella seconda, dovendosi ritenere possibile solo il concorso materiale tra reati che si realizza nel caso in cui la sostituzione sia stata posta in essere con una ulteriore e diversa condotta rispetto a quella che ha integrato l’altra fattispecie criminosa (per analoghe affermazioni in tema di sostituzione di persona e falsita’ documentale vedi Cass. 21/11/80 n. 12246 RV. 145730; Cass. 27/4/98 n. 0 4981 RV. 210600).
Deve, invero, rilevarsi che l’ipotesi delittuosa dell’indebito utilizzo del mezzo di pagamento di cui all’articolo 493 ter c.p. lede, oltre al patrimonio, anche la pubblica fede e, pertanto, puo’ costituire ipotesi assorbente ai sensi della citata clausola.
Orbene, nel caso in esame, la sostituzione risulta, tuttavia, essere stata contestata ed accertata non gia’ quale implicitamente posta in essere con l’utilizzo indebito della carta ma risulta operata con ulteriore comportamento, quale la presentazione di carta di identita’ o l’attribuzione a s stesso di determinate generalita’ false, sicche’ sussiste un concorso materiale di reati.
2.2. Il secondo motivo e’ datizt ritenere manifestamente infondato in quanto la motivazione sul punto (v. f. 9) si appalesa congrua in fatto ed in linea con i principi giurisprudenziali richiamati al §. 1.2.
2.3. Le censure relative al trattamento sanzionatorio sono anch’ esse manifestamente infondate.
– in ordine alla graduazione della pena va ribadito che tale potere rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142). Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro).
Nella specie la corte territoriale ha stabilito la pena in modo adeguato e cio’ ha fatto nell’esercizio dei poteri che le competevano con ragionamento insuscettibile di censure in questa sede, con conseguente manifesta infondatezza del terzo motivo del ricorso.
3. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d’inammissibilita’ consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche’ al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro tremila ciascuno.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

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