Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10492.
La massima estrapolata:
L’incompatibilità del giudice delegato che ha pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo, a far parte del collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione, non determina una nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto tale incompatibilità, salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c., ponendosi tale interpretazione in coerenza con il principio del “giusto processo” espresso dall’art. 111, comma 2, della Costituzione che trova nell’art. 6, par. 1, della Convenzione Edu il suo fondamento.
Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10492
Data udienza 4 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9705/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 05/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2018 dal cons. Dott. VELLA PAOLA.
FATTI DI CAUSA
1. Con il decreto impugnato, reso in sede di rinvio, il Tribunale di Ancona, tenuto conto dei principi fissati da questa Corte con ordinanza n. 21925 del 21/10/2011, ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., proposta dal dottore commercialista (OMISSIS) contro il diniego di ammissione del credito di Euro 747.389,68 insinuato con il privilegio ex articolo 2751-bis c.c., n. 2), per le prestazioni professionali rese in favore della (OMISSIS) s.r.l. durante la procedura di concordato preventivo – segnatamente: i) memorie Decreto Legge n. 564 del 1994, ex articolo 2-quater e L. n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7, avverso p.v.c. della G.d.F.; ii) predisposizione di proposta di transazione fiscale L. Fall., ex articolo 182-ter; iii) impugnazione di una serie di avvisi di accertamento, del valore complessivo di circa 22 milioni di Euro, dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali di Campania, Basilicata ed Emila-Romagna; iv) impugnazione di iscrizione ipotecaria; v) resistenza in giudizio contro il ricorso dell’Agenzia delle entrate per l’adozione di misure cautelari Decreto Legislativo n. 472 del 1997, ex articolo 22, – ritenendo che il conferimento dei relativi incarichi integrasse atti di straordinaria amministrazione, inopponibili alla massa in quanto pacificamente privi della preventiva autorizzazione del tribunale L. Fall., ex articolo 167, necessaria trattandosi di rapporti contrattuali sorti durante la procedura di concordato preventivo.
2. Avverso detto decreto la Dott.ssa (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, successivamente corredato da memoria difensiva, cui la curatela intimata ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo si sostiene la nullita’ del decreto impugnato per violazione della L. Fall., articolo 99, comma 10, e dell’articolo 111 Cost. – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – per aver il giudice delegato al fallimento (OMISSIS) s.r.l., Dott. (OMISSIS) (subentrato nel luglio 2013 alla Dott.ssa (OMISSIS), a sua volta subentrata all’originaria giudice delegato Dott.ssa (OMISSIS)) fatto parte, in qualita’ di relatore, del collegio che ha pronunciato il decreto impugnato, contravvenendo al divieto posto dall’articolo 99 cit., da riferire non gia’ alla persona fisica ma, impersonalmente, all’ufficio del giudice delegato, e diretto ad assicurare il principio di imparzialita’ del giudice, desumibile anche dall’articolo 6.1 della Convenzione EDU.
3.1. La censura presenta profili di inammissibilita’ e infondatezza.
3.2. Occorre innanzitutto prendere le mosse dal consolidato orientamento di questa Corte – puntualmente richiamato nella sentenza della Sez. 1, 04/12/2015 n. 24718, resa in fattispecie analoga – per cui “l’incompatibilita’ del giudice non comporta nullita’ della sentenza ove alla violazione del dovere di astensione del medesimo non abbia fatto seguito l’istanza di ricusazione della parte interessata” (ex multis Cass. 18253/2015, 15253/2015, 7245/2014, 16861/2013, 12115/2013, 10900/2010, 23930/2009, 13433/2007), a meno che si verta nelle ipotesi di interesse proprio e diretto del giudice nella causa (nemo iudex in causa propria), che pone il giudice nella posizione sostanziale di parte (Cass. 23930/2009, 528/2002), ovvero di incompatibilita’ derivante dalla specifica previsione di una diversa composizione del collegio giudicante, come nel caso di cassazione con rinvio, o anche di accoglimento della richiesta di autorizzazione all’astensione o dell’istanza di ricusazione (Cass. Sez. U, 5087/2008).
3.3. Al riguardo si e’ evidenziato che “il giudice incardinato presso il tribunale (giudice naturale) ha per cio’ solo piena potestas iudicandi, evidentemente anche nei giudizi di opposizione al passivo, e ancorche’ svolga parallelamente funzioni di giudice delegato ai fallimenti”, sicche’ – anche nel sistema fallimentare riformato, dove la verifica del passivo costituisce il primo grado del giudizio contenzioso e l’opposizione ha natura d’impugnazione – il giudice delegato che abbia conosciuto la causa nel primo grado di giudizio non deve considerarsi completamente privo di potestas iudicandi, nemmeno in forza del divieto specificamente introdotto con la L. Fall., articolo 99, comma 10, il quale “costituisce una particolare applicazione dell’articolo 51 c.p.c., n. 4, con la conseguenza che la parte aveva l’onere della ricusazione, e non puo’ dedurre la nullita’ ex articolo 158 c.p.c.” (Cass. 24718/2015 cit.).
3.4. Tali principi sono stati successivamente confermati da numerose pronunce di questa Corte, la quale ha piu’ volte statuito che “l’incompatibilita’ del giudice delegato, che ha pronunciato il decreto di esecutivita’ dello stato passivo, a far parte del collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione, non determina una nullita’ deducibile in sede di impugnazione, in quanto tale incompatibilita’, salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, puo’ dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all’articolo 52 c.p.c.” (Sez. 1, 09/11/2016 n. 22835; Sez. 6-1, 27/07/2017 n. 18681; Sez. 1, 19/10/2017 n. 24685; Sez. 1, 28/02/2018 n. 4772; Sez. 1, 18/06/2018 n. 16054), diversamente non disponendo di “mezzi processuali per far valere il difetto di capacita’ del giudice, sicche’, in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi non puo’ essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullita’ della sentenza” (Sez. 1, 28/02/2018 n. 4772; conf. Cass. 26223/2014); d’altro canto, il rigetto dell’istanza di ricusazione non e’ impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, ma puo’ risolversi in una nullita’ da far valere con i mezzi di gravame (Cass. Sez. 6-1 09/02/2016 n. 2562).
3.5. Nel caso in esame, la ricorrente non ha mai allegato di aver proposto istanza di ricusazione – nemmeno nella memoria di replica al controricorso, nel quale era stata espressamente eccepita la “mancata proposizione dell’istanza di ricusazione ex articolo 52 c.p.c.” limitandosi a sostenere di aver eccepito in udienza l’incompatibilita’ del giudice relatore, riferendo che “il Presidente del Tribunale, investito della questione da parte del Collegio, con Decreto 19 giugno 2013 disponeva il non luogo a provvedere atteso che il Giudice Delegato membro del Collegio non era la medesima persona fisica che aveva emesso il decreto di rigetto del credito allo stato passivo (i.e. Dott.ssa (OMISSIS))” e che “allo stesso modo decideva il Collegio con riferimento alla partecipazione al Collegio del subentrato Giudice delegato Dott. (OMISSIS)”. Cio’ rende inammissibile la censura di nullita’ del decreto, anche perche’ “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo, sicche’ e’ necessario, ai fini del rispetto del principio di specificita’ e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto”, i passaggi procedurali rilevanti ai fini della decisione (ex plurimis, Cass. 18681/2017, 11738/2016, 19410/2015).
3.6. Fermi restando i superiori (e decisivi) rilievi, non appare condivisibile la tesi del ricorrente volta ad attribuire un piu’ spiccato carattere “innovativo” al divieto per “il giudice delegato al fallimento” di “far parte del collegio” investito dell’opposizione allo stato passivo, introdotto con il Decreto Legislativo n. 5 del 2006 nella L. Fall., articolo 99, comma 10 (in sostituzione dell’originaria previsione dell’articolo 99, comma 1, per cui “il giudice delegato provvede all’istruzione delle varie cause di opposizione e quindi fissa l’udienza per la discussione davanti al collegio”), nel senso di una piu’ netta separazione oggettiva tra le funzioni affidate al giudice delegato e quelle spettanti al tribunale fallimentare (arg. ex Cass. 24159/2017). In realta’, nell’impianto generale della riforma fallimentare del 2006, quel divieto rappresenta semplicemente una trasposizione in sede di accertamento del passivo della regola generale posta dalla L. Fall., articolo 25, comma 2, seconda parte, per cui “il giudice delegato… non puo’ far parte del collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti” – rispetto alla quale sussiste un rapporto di genere a specie, con la conseguenza che in entrambi i casi l’incompatibilita’ resta esclusa – senza ridondare nella radicale nullita’ del procedimento e del decreto che lo conclude – qualora il giudice che fa parte del collegio sia (come nel caso di specie) persona fisica diversa dal giudice che ha adottato la decisione impugnata; in tal caso, infatti, viene meno la ragione sostanziale fondante il divieto (ossia l’inquinamento del principio di imparzialita’ per la partecipazione di un organo monocratico all’organo collegiale competente a decidere sull’impugnazione di un proprio provvedimento) e si riespandono le esigenze organizzative degli uffici, parimenti funzionali al principio del giusto processo, attraverso un bilanciamento atto ad assicurare che le decisioni del tribunale fallimentare siano connotate non solo dalla doverosa imparzialita’, ma anche da una particolare competenza dell’organo giudicante.
3.7. A ben vedere, la reale portata innovativa della riforma fallimentare del 2006 in tema di terzieta’ e imparzialita’ del giudice delegato si apprezza tenendo conto del pregresso orientamento della Corte costituzionale, che aveva affermato l’insussistenza dell’obbligo di astensione del giudice delegato al fallimento chiamato a comporre il collegio in sede di reclamo avverso i provvedimenti decisori da lui stesso emessi (C. Cost. sent. n. 363 del 1998) e la legittimita’ delle norme che prevedevano in materia di opposizione allo stato passivo che il giudice delegato fosse il giudice istruttore della causa di opposizione (C. Cost. sent. n. 158 del 1970 e n. 94 del 1975; ord. n. 204 del 1998, n. 167 del 2001 e n. 75 del 2002). D’altro canto, dopo la riforma dell’articolo 111 Cost., comma 2, ad opera della L. Cost. n. 2 del 1999, il principio di imparzialita’ del giudice e’ diventato un elemento essenziale del cd. “giusto processo”, che trova eco nell’articolo 6, par. 1 della Convenzione EDU, in base al quale ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente e imparziale.
3.8. Sennonche’, anche nella prospettiva del diritto dell’unione non si riscontra la lamentata violazione dell’articolo 6 cit., alla luce del consolidato orientamento della Corte di Strasburgo (cfr. Corte EDU 09/07/2013, Di Giovanni c. Italia e 11/07/2013, Morice c. Francia) per cui il principio di imparzialita’ va apprezzato in base a un criterio soggettivo, relativo alla manifestazione di convinzioni o pregiudizi personali, ed un criterio oggettivo, relativo all’esistenza di garanzie sufficienti per escludere ogni legittimo dubbio nei cittadini (garanzie escluse ad es. da Corte EDU 28/04/2009, Savino c. Italia, con riguardo alla Sezione giurisdizionale della Camera dei Deputati, poiche’ interamente composta da membri dell’Ufficio di Presidenza). Ebbene nel caso di specie – ove e’ fuori discussione l’imparzialita’ soggettiva – puo’ escludersi anche un difetto di imparzialita’ oggettiva proprio poiche’ la stessa riforma fallimentare, grazie alla ridefinizione del ruolo del giudice delegato nell’accertamento del passivo in termini di terzieta’ rispetto a curatore e creditori (laddove il previgente L. Fall., articolo 95, comma 1, prevedeva che il giudice delegato predisponesse lo stato passivo del fallimento “con l’assistenza del curatore”), consente di confidare sulla sua capacita’ di contribuire in modo equidistante, iuxta alligata et probata, alla decisione collegiale sull’impugnazione di un provvedimento altrui.
4. Con il secondo mezzo – rubricato “Violazione dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per difetto di uniformazione del giudice di rinvio alla decisione della Corte di Cassazione” – si assume che il tribunale non si sarebbe uniformato all’invito della Corte “di valutare se l’attivita’ della (OMISSIS) – senza considerarne il costo, e senza rapporto di proporzionalita’ fra la spesa e le condizioni della (OMISSIS) (…) fosse utile alla conservazione del patrimonio dell’impresa e se, preso atto della legittimita’ della rinuncia ai compensi, questa non si ponesse in conflitto con “l’utile gestione del concordato”, cioe’ non facesse emergere inutili oneri in relazione agli accertamenti tributari”, incentrando nuovamente “la motivazione sulla particolare onerosita’ del compenso”.
4.1. La censura e’ infondata.
4.2. Invero, a fronte del rilievo, contenuto nell’ordinanza di cassazione con rinvio, della mancanza di “qualunque valutazione circa l’utilita’ dell’intervento professionale a costo zero, ai fini della riuscita del concordato, e un suo raffronto con il rischio di appesantimento del debito che la mancata riuscita del medesimo avrebbe comportato”, il tribunale in sede di rinvio ha adeguatamente rinnovato il percorso motivazionale a sostegno della (ribadita) natura di atto di straordinaria amministrazione, osservando analiticamente: i) che il passivo concordatario ammontava a circa 16 milioni di Euro, di cui circa 10 milioni in privilegio e 6 in chirografo, da falcidiare per la meta’, oltre le spese prededucibili; ii) che l’attivo concordatario era stato stimato in soli 11 milioni di Euro; iii) che la liquidazione dell’attivo era alquanto incerta, derivando per larga parte dalla cessione del plesso aziendale, resa estremamente difficile dalla sopravvenuta notifica di avvisi di accertamento per svariati milioni di Euro, stante la solidarieta’ passiva dell’acquirente dell’azienda per i debiti tributari oggetto di accertamento nell’esercizio in corso al momento della vendita e nei due esercizi precedenti (Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 14); iv) che le pretese tributarie, comprese quelle sopravvenute, ammontavano complessivamente a circa 26 milioni di Euro, di cui solo 4 milioni offerti dal debitore concordatario nella proposta di transazione fiscale, non accettata dall’amministrazione finanziaria); v) che, a fronte di tale ingente carico tributario, anche una consistente riduzione delle pretese in sede di impugnazione degli avvisi di accertamento de quibus non sarebbe stata sufficiente a realizzare il piano concordatario; vi) che quindi le prestazioni professionali in questione risultavano “ininfluenti per la soluzione della crisi di impresa e per la conservazione del patrimonio sociale, posto che le risorse disponibili rendevano i tributi accertati e le sanzioni accessorie sicuramente ed in ogni caso incapienti”; vii) che con riferimento ai parametri a), b) e c) indicati nel principio di diritto richiamato (mutatis mutandis) dalla Corte (Cass. 23796/2006, in tema di amministrazione controllata) i mandati professionali conferiti all’opponente non erano pertinenti “allo scopo di conservare e/o risanare l’impresa” (a), ne’ proporzionati “in termini di rapporto di adeguatezza funzionale (o non eccedenza) alle necessita’ risanatorie dell’azienda, con giudizio da formulare ex ante” (b) – posto che per annullare o ridurre una pretesa tributaria comunque incapiente, stante il grado 18 e 19 dei crediti per imposte dirette e Iva, era sorto un credito di circa 750 mila Euro munito di privilegio generale di 2 grado – si’ da non potersi escludere il loro conferimento “per esigenze personali e dilatorie dell’impresa” (c); viii) che non mutava tali conclusioni la rinuncia dell’opponente al compenso, condizionata all’omologazione del concordato preventivo, sia perche’ si trattava in realta’ di una rinuncia parziale (limitata alle fasi introduttive dei giudizi) – dunque non “a costo zero” nemmeno in caso di omologa sia perche’ essa integrava comunque un atto potenzialmente idoneo ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, tanto piu’ essendo intervenuta appena due giorni prima dell’udienza fissata per l’omologa, sulla base del parere negativo dei commissari giudiziali.
5. Con il terzo motivo si deduce la “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” – per avere il tribunale fondato la valutazione di incapienza dei crediti tributari su elementi non acquisiti in giudizio, posto che il curatore non aveva “mai prodotto documentazione inerente la composizione dei privilegi nel concordato preventivo, ne’ quella nello stato passivo del Fallimento” – in uno al “vizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere il giudice di rinvio… omesso l’esame di un fatto decisivo controverso fra le parti, da ritenersi provato per difetto di specifica contestazione”, ossia che “il fallimento avesse conferito incarichi ad un avvocato cassazionista per impugnare/resistere in cassazione nei contenziosi tributari”, circostanza che costituiva riprova della utilita’ dell’operato dell’opponente, dal momento che la L. Fall., articolo 167 imporrebbe di tener conto, “per l’attribuzione di straordinarieta’ o meno dell’atto compiuto dall’imprenditore… non solo l’utilita’ ai fini concordatari, ma anche l’utilita’ in caso di successivo fallimento”.
5.1. Entrambe le censure vanno disattese.
5.2. Il tribunale invero, dopo aver premesso che in sede di rinvio “non possono essere sollevate eccezioni processuali, anche rilevabili d’ufficio, gia’ sollevate nel primo grado di giudizio ma su cui la Corte non si e’ pronunciata, ne’… nuove eccezioni in rito” e che “i presupposti di fatto dalla Suprema Corte considerati come accertati non possono essere piu’ rimessi in discussione”, non manca di indicare puntualmente i numerosi documenti sui quali si fonda la motivazione, ivi compresi il verbale di adunanza dei creditori nel concordato preventivo, la documentazione relativa alle posizioni privilegiate e alla transazione fiscale (doc. 3 e 4 prodotte dalla curatela fallimentare) e le deduzioni scritte prodotte dalla (OMISSIS) s.r.l. all’udienza fissata per l’omologa del concordato preventivo (doc. 2 prodotto dall’opponente), dando altresi’ atto di aver deciso sulla base del “complesso degli atti e dei documenti di causa”.
5.3. Quanto al preteso fatto decisivo che il tribunale avrebbe omesso di considerare, a pag. 6 del decreto impugnato risulta il contrario, poiche’ di esso il tribunale tiene conto, aggiungendo pero’ come sia “radicalmente diverso il contesto fattuale che avrebbe dovuto valutare il Giudice delegato alla procedura di concordato da quello che ha valutato il Giudice delegato alla procedura di fallimento”, posto che “la prosecuzione dell’attivita’ di patrocinio da parte della (OMISSIS) e’ stata gratuita (questa ha rinunciato al compenso per le attivita’ prestate in periodo successivo alla dichiarazione di fallimento)”; di qui l’inconsistenza della censura sollevata, fermo restando il difetto di decisivita’ del fatto in contestazione nel piu’ ampio contesto motivazionale espresso dal tribunale.
6. Il quarto mezzo lamenta la “Falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 14 e violazione della L. Fall., articolo 105, comma 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, essendo la solidarieta’ per i debiti tributari applicabile solo alle vendite negoziali, e non anche alle vendite poste in essere in sede di fallimento e concordato preventivo, stante l’operativita’ del meccanismo purgativo della vendita forzata.
6.1. La censura e’ inammissibile per difetto di decisivita’, poiche’ l’aspetto contestato rappresenta solo una – e nemmeno la piu’ rilevante – delle plurime argomentazioni addotte dal tribunale a sostegno della ritenuta straordinarieta’ dell’atto in discussione.
7. Il quinto motivo prospetta la “Violazione della L. Fall., articolo 167, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” poiche’, ai fini dell’individuazione degli atti di straordinaria amministrazione L. Fall., ex articolo 167, il tribunale avrebbe dovuto valutare l’idoneita’ dell’atto a conservare il patrimonio dell’imprenditore in funzione non gia’ del buon esito della domanda concordataria, bensi’ dell’interesse “di tutti i creditori, chirografari o privilegiati che siano, a non vedere pregiudicata la possibilita’ di migliore soddisfazione”.
7.1. La censura e’ infondata, in quanto, proprio nell’ottica di salvaguardare l’interesse dei creditori concorsuali (invero consustanziale al buon esito del concordato), il tribunale ha ritenuto – con una valutazione di merito incensurabile come tale in sede di legittimita’ – che attivare un contenzioso tributario per crediti ulteriori rispetto a quelli di gia’ sicura incapienza rispetto al piano concordatario non avrebbe avuto altro effetto che destinare parte dell’insufficiente attivo concordatario all’odierno creditore opponente, in luogo ed in danno di creditori gia’ esistenti di grado pari o inferiore, senza alcuna concreta utilita’ per la massa dei creditori in generale, stante il basso rango dei crediti tributari in contestazione.
7.2. Al riguardo va altresi’ rimarcato che – per quanto si legge a pag. 3 e s. dell’ordinanza di rinvio – i crediti oggetto di causa (ivi inclusa, deve intendersi, la predisposizione della proposta di transazione fiscale) risultano sorti “in corso di procedura”, con la conseguenza, divisata dalla Corte, che “l’intervento del giudice in caso di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e’ finalizzato a rendere opponibili gli stessi ai creditori non solo nell’ambito del concordato ma anche nel successivo eventuale fallimento”, dal momento che “la ratio di tale intervento e’ quella di far si’ che, degli atti potenzialmente lesivi dell’integrita’ del patrimonio del debitore, siano posti in essere con efficacia nei confronti dei creditori solo quelli non dannosi per i medesimi, posto che la situazione di crisi e il rischio di un’evoluzione infausta della stessa impongono cautele particolari a tutela della loro garanzia; cio’ comporta che anche in presenza della rinuncia (al compenso) il giudice debba comunque pronunciarsi con l’autorizzazione”. In siffatto contesto di fatto e di diritto appare dunque del tutto ingiustificata la pretesa del debitore concordatario – e del professionista da lui incaricato – di non richiedere l’autorizzazione per il compimento di atti che, per la rappresentata incidenza sul patrimonio del debitore nella sua destinazione al soddisfacimento dei creditori concorsuali, risultano sicuramente eccedenti l’ordinaria amministrazione.
8. Con il sesto mezzo si deduce un ulteriore “Vizio di motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per erroneo apprezzamento di fatto delle risultanze processuali e del comportamento delle parti, e per errata valutazione dell’ordinanza di rimessione”, in quanto il tribunale avrebbe dato per vera una circostanza che tale non era, ossia che “gli incarichi alla Dott.ssa (OMISSIS) erano stati conferiti dopo il decreto di rigetto dell’omologa del concordato, in pendenza del reclamo avverso tale decreto, a fronte delle difese dell’opponente volte a far valere l’inoperativita’ della L. Fall., articolo 167 una volta emesso il decreto di rigetto dell’omologa del concordato preventivo”.
8.1. La censura e’ palesemente inammissibile, sia perche’ il relativo tenore sarebbe pressoche’ incomprensibile senza le controdeduzioni svolte a pag. 24 e s. del controricorso (ove si precisa che la circostanza attiene, in realta’, alla posizione di un altro dei tre professionisti versanti nelle medesime condizioni, segnatamente il Dott. (OMISSIS), essendo menzionata nell’ordinanza di rinvio n. 21926/2011 che lo riguarda), sia perche’ l’affermazione censurata costituisce verosimilmente un refuso del giudice a quo, che nella stessa pag. 12 del decreto impugnato afferma anche che la rinuncia al compenso era intervenuta due giorni prima dell’udienza fissata per l’omologazione; in ogni caso, si tratta di circostanza irrilevante nell’economia complessiva della decisione.
9. Il settimo motivo contesta la “Violazione dei parametri stabiliti dalla L. 13 luglio 1942, n. 794, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere il Tribunale liquidato a carico della parte soccombente i diritti di procuratore per il giudizio di Cassazione”.
9.1. Si tratta dell’unico motivo meritevole di accoglimento, poiche’ in effetti “il Decreto Ministeriale n. di approvazione della tariffa forense, avendo natura di fonte regolamentare cosi’ come desumibile dalla L. 7 novembre 1957, n. 1051, di attribuzione della competenza al Consiglio Nazionale Forense, deve essere interpretato alla luce dei parametri e all’interno dei limiti stabiliti dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, che escludono il riconoscimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di cassazione, compreso il regolamento di competenza, nonostante l’istanza possa essere proposta anche da un avvocato non iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti” (Cass. Sez. 3, 27/10/2011 n. 22485; conf. Cass. 15061/2011, 29577/2008, 19370/2008, 549/1995).
10. In conclusione, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dei motivi di ricorso ad eccezione dell’ultimo, in accoglimento del quale il decreto impugnato va cassato limitatamente alla condanna dell’opponente – che va esclusa – al rimborso di Euro 1.680,00 a titolo di diritti di procuratore relativi al giudizio di cassazione.
11. La prevalente soccombenza della ricorrente giustifica la sua condanna alle spese processuali del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Rigetta i primi sei motivi, accoglie il settimo nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, esclude la condanna della Dott.ssa (OMISSIS) alla rifusione di Euro 1.680,00 per diritti di procuratore relativi al pregresso giudizio di cassazione.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.
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