Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|31 maggio 2021| n. 15141.

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

Ai fini della sussistenza dell’incapacità di intendere e di volere, costituente – ai sensi dell’art. 428 cod. civ. – causa di annullamento del negozio non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la loro menomazione, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, secondo un giudizio che è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato

Ordinanza|31 maggio 2021| n. 15141. Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio

Data udienza 18 febbraio 2021

Integrale
Tag/parola chiave: CONTRATTO – ANNULLABILITA’

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 29601-2016 proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato, presso il suo studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4146/2016 della CORTE d’APPELLO di ROMA, pubblicata il 30/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 12.11.1997, i germani (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio (OMISSIS) perche’ venisse dichiarata la nullita’ o l’annullabilita’ dell’atto di permuta, a rogito Notaio (OMISSIS) del 15.1.1996, stipulato tra (OMISSIS) (padre premorto dei ricorrenti) e (OMISSIS) (sorella del de cuius), avente per oggetto la cessione e il trasferimento da parte di (OMISSIS) a favore di (OMISSIS) delle quote di partecipazione di tre societa’, a fronte del trasferimento in suo favore di un complesso immobiliare sito in (OMISSIS); che la nullita’ o annullabilita’ dell’atto di permuta era richiesta a causa dell’incapacita’ di intendere e di volere del defunto padre e stante il gravissimo pregiudizio derivante ai fini successori; che in data (OMISSIS) decedeva (OMISSIS), a cui succedeva come erede testamentario il fratello (OMISSIS), ma poiche’ la sua morte era avvenuta prima della scadenza del termine per la costituzione in giudizio, il G.I. dichiarava l’interruzione del giudizio; che il processo era riassunto nei confronti di (OMISSIS), che si costituiva all’udienza del 6.5.1999.
Con sentenza n. 10081/2005 del 5.5.2005, il Tribunale di Roma respingeva la domanda di annullamento dell’atto di permuta, condannando gli attori al pagamento delle spese di lite. In particolare, il Giudice di primo grado riteneva che la capacita’ di intendere e di volere di (OMISSIS) (pur affetto da un adenocarcinoma polmonare sinistro con metastasi ossee multiple e al globo oculare destro) non era venuta meno al momento dell’atto, poiche’ la malattia non aveva inciso sulla sfera psichico-intellettiva, impedendogli la corretta valutazione del contenuto e degli effetti del negozio.
Proponevano appello (OMISSIS) e (OMISSIS), rilevando la sussistenza di tutti i presupposti dell’articolo 428 c.c. (incapacita’ naturale di (OMISSIS) e malafede di (OMISSIS)).
Si costituiva in giudizio (OMISSIS) che, preliminarmente, eccepiva l’inammissibile modifica delle domande rassegnate in primo grado, in cui gli appellanti avevano chiesto la declaratoria di nullita’ dell’atto di permuta del 15.1.1996 per incapacita’ naturale di (OMISSIS), mentre nell’atto di appello avevano invocato l’invalidita’ dell’atto, introducendo per la prima volta un’asserita malafede di (OMISSIS); nel merito, contestava i motivi di appello.

 

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

Si costituiva (OMISSIS), proponendo appello incidentale e richiamando i motivi degli appellanti.
Con ordinanza del 5.7.2013, la causa era riportata sul ruolo istruttorio e il Collegio, in accoglimento dell’istanza proposta dagli appellanti, disponeva una C.Testo Unico medica al fine di verificare la capacita’ di intendere e di volere di (OMISSIS) alla data del 15.1.1996 e una C.Testo Unico contabile, volta alla stima del valore delle quote oggetto della permuta.
Con sentenza n. 4116/2016, depositata in data 30.6.2016, la Corte d’Appello di Roma respingeva l’appello principale e l’appello incidentale, confermando la sentenza impugnata e condannando gli appellanti principali, (OMISSIS) e (OMISSIS) e l’appellante incidentale, (OMISSIS), in solido, alle spese del grado di appello, ponendo a carico dei medesimi, in solido, le spese delle CTU. In particolare, la Corte di merito riteneva che il quadro probatorio costituito dalle deposizioni testimoniali e dalla CTU, che conduceva ad escludere l’incapacita’ naturale di (OMISSIS), anche con riferimento alla specificita’ e particolare complessita’ dell’atto concluso di cui (OMISSIS), per le sue qualita’ personali di imprenditore coinvolto in numerose attivita’, era pienamente consapevole.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste (OMISSIS) con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

 

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Quanto alla inammissibilita’ dei motivi di ricorso denunciata dal controricorrente (OMISSIS), i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) rilevano come questa Corte abbia affermato come sia ammissibile un unico motivo che cumuli le censure di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, quando (come nella specie) il motivo abbia evidenziato le doglianze relative alla interpretazione o alla applicazione delle norme appropriate ed ai profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass., sez. un., n. 9100 del 2015, secondo cui, tra l’altro, in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per se’, ragione d’inammissibilita’ dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati: confr. Cass. n. 26874 del 2018; Cass. n. 8915 del 2018; Cass. n. 7009 del 2017).
Questa Corte ha, comunque, chiarito che l’articolazione in un singolo motivo di piu’ profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilita’ quando non sia possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 26790 del 2018). Ed ha sottolineato come sia inammissible la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorieta’ della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, cosi’ attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimita’ il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).

 

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

1.1. – In considerazione del fatto che la configurabilita’, o meno, della inammissibilita’ del singolo motivo di illegittimita’ del ricorso verra’ esaminata da questo Collegio avuto riguardo alla sussistenza di ciascun elemento asseritamente costitutivo del singolo motivo, la doglianza (al pari delle altre genericamente prospettate dal controricorrente) sara’ oggetto di autonoma valutazione.
2. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 428 c.c. e degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c. anche in relazione agli articoli 115, 116 e 345 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3); contraddittoria e parziale insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5)”, ponendo in evidenza che le condizioni di salute non consentivano a (OMISSIS) di apprezzare l’effettiva portata dell’atto che andava compiendo e di determinarsi in maniera ragionevolmente conforme alla tutela dei propri interessi economici. Si richiama la giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale, in materia di incapacita’ naturale, non e’ necessaria la prova che il soggetto, nel momento del compimento dell’atto, versasse in uno stato patologico tale da far venire meno le facolta’ psichiche, essendo sufficiente accertare che tali facolta’ fossero perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e il formarsi di una volonta’ cosciente (Cass. n. 12831 del 2009). Osservano i ricorrenti che i Giudici di merito non avrebbero considerato tutti gli elementi forniti a sostegno dell’incapacita’ naturale dell’ (OMISSIS) al momento della permuta, dato che le sue condizioni di salute lo rendevano una parte contraente debole e non in grado di autodeterminarsi. Inoltre, il pregiudizio economico arrecato al patrimonio del dante causa e dei suoi eredi, data la sua enorme rilevanza, avrebbe dovuto essere meglio valorizzato dalla Corte territoriale, atteso che, oltre ad apparire rivelatore della malafede, era significativo della mancata comprensione della complessa operazione di permuta (laddove (OMISSIS), nel periodo della malattia del fratello, provvedeva alla sua assistenza con propri consulenti medici, non potendo cosi’ ignorare che il fratello fosse affetto da una malattia devastante nella sfera intellettiva e volitiva; che la medesima, in qualita’ di amministratrice della (OMISSIS) s.r.l. e di acquirente delle quote sociali del fratello, non poteva ignorare il valore globale dell’azienda, atteso che, dopo la permuta, si sarebbe giovata del premio di maggioranza; che l’atto di permuta in questione era stato stipulato all’insaputa dei figli di (OMISSIS); che si era affrettata alla stipula dell’atto, consapevole che da li’ a poco il fratello sarebbe deceduto). Infine, la Corte di merito errava nel ritenere i documenti 1) e 2), riguardanti rispettivamente l’atto di cessione di quota sociale della (OMISSIS) s.r.l. alla sorella (OMISSIS) il 29.5.1995 e all’atto di permuta di quote societarie effettuato con i fratelli, (OMISSIS) e (OMISSIS) il 20.6.1995, non gia’ allegati alla comparsa di primo grado, ma irritualmente depositati solo in secondo grado.
2.1. – Il motivo e’ inammissibile.

 

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

2.2. – La Corte di merito, a fondamento della decisione, poneva le risultanze probatorie raccolte nei due gradi di giudizio.
Si sottolinea che, in base all’articolo 428 c.c., la prova dell’incapacita’ di intendere e di volere al momento dell’atto costituisce requisito necessario e prioritario rispetto al requisito del grave pregiudizio posto, in via secondaria, come indizio rivelatore della malafede dell’altro contraente.
E’ principio consolidato che “ai fini della sussistenza dell’incapacita’ di intendere e di volere, costituente (ex articolo 428 c.c.) causa di annullamento del negozio, non occorre la totale privazione delle facolta’ intellettive e volitive, essendo sufficiente la loro menomazione, tale comunque da impedire la formazione di una volonta’ cosciente, secondo un giudizio che e’ riservato al giudice del merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’, se adeguatamente motivato” (Cass. n. 12532 del 2011). Pertanto “la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l’atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facolta’ psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volonta’ cosciente, e puo’ essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilita’, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimita’, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto” (Cass. n. 13659 del 2017).
2.3. – Risulta, pertanto, la incontrovertibile coerenza (anche in ragione del duplice accertamento richiesto dall’articolo 428 c.c.) della impostazione data dai Giudici di merito, nel concentrare in primis l’attivita’ istruttoria riguardo alle condizioni di salute dell’ (OMISSIS) in quanto, ove accertata la capacita’ di intendere e di volere in capo al medesimo, nessun’altra indagine avrebbe dovuto essere espletata.
Correttamente, dunque, la sentenza impugnata osservava che, ai fini dell’annullabilita’ ex articolo 428 c.c., potesse essere sufficiente la semplice menomazione cognitiva del soggetto incapace, ma di cio’ dovesse essere fornita la prova rigorosa e precisa, il cui apprezzamento e’ riservato al Giudice di merito ed e’ incensurabile (Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n 4677 del 2009): prova non fornita dagli appellanti.
2.4. – La Corte d’Appello fondava la sua decisione sulle risultanze della CTU medico-legale, elaborata con l’ausilio di uno specialista neurologo. Il CTU aveva proceduto ad un esame attento e puntuale della documentazione clinica, da cui emergeva che le condizioni di salute di (OMISSIS), nonostante le cure per la patologia oncologica diagnosticata, erano peggiorate solo tra la fine di (OMISSIS) (e quindi, dopo la stipula dell’atto di permuta in data 15.1.1996). Pochi giorni dopo la conclusione del suddetto atto, un esame Angio-TAC-cranio evidenziava l’assenza di lesioni occupanti spazio nel tessuto cerebrale e mai, durante i ricoveri per le terapie cui si era sottoposto il paziente, era stata richiesta o effettuata una consulenza neurologica e/o psichiatrica.
Si era quindi in presenza di sicure risultanze documentali, che la Corte territoriale aveva fatto sue, giungendo alla conclusione dell’insussistenza di una condizione mentale tale da aver comportato un transitorio perturbamento psicologico idoneo a compromettere la capacita’ di intendere e di volere. Il CTU precisava che la ipossemia di grado elevato non fosse elemento in se’ tale da comportare grave turbamento psichico. Si specificava, dunque, che il paziente non fosse affetto da un’insufficienza respiratoria cronica, ma solo da un deficit ventilatorio ostruttivo-restrittivo cronico, non idoneo a incidere negativamente sulla capacita’ di attenzione e sulla capacita’ deduttiva.
2.5. – Quanto alla motivazione “contraddittoria parziale e insufficiente” circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, ne va rilevata la inapplicabilita’ ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

 

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

Costituisce principio consolidato che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
A seguito della riforma del 2012 e’ scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, rimanendo il controllo circa la esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e la coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorieta’ e dell’illogicita’ manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.
3. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e loro erronea e/o omessa interpretazione dei fatti di causa ed erronea e mancata valutazione delle prove documentali e orali proposte (articolo 360 c.p.c., n. 3); difetto di logicita’ e, comunque, violazione o falsa applicazione degli articoli 191-196 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3); omesso esame di fatti decisivi (articolo 360 c.p.c., n. 5)”. Secondo i ricorrenti la Corte d’Appello avrebbe proceduto a un’acritica ricezione delle conclusioni del CTU medico-legale, basate, tra l’altro, su quanto scritto dall’ausiliario del CTU, specialista in neurologia, il quale non aveva ricevuto l’incarico e non aveva prestato giuramento. Il Giudice avrebbe ignorato le circostanziate deposizioni dei testi di parte appellante.
3.1. – Il motivo e’ inammissibile.
3.2. – Va rilevato che nel ricorso per cassazione, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice condivida il merito, e’ necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche (formali e sostanziali) alla consulenza stessa gia’ dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisivita’ e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolve (come e’ dato rilevare nella specie) nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimita’ (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). Sicche’ le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimita’ risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicita’ nonche’ la valutazione della decisivita’ della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013).
Nella specie, pero’, come detto, i ricorrenti non hanno specificato nel ricorso almeno detti punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisivita’ e di rilevanza, offrendo viceversa – nel contesto di un magmatico richiamo ai fatti di causa, tra cui anche quelli relativi ai molteplici accertamenti peritali susseguitisi nelle fasi del giudizio di merito – solo detta mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, che si risolve nella prospettazione di un sindacato di merito (a tesi contrapposte) inammissibile in sede di legittimita’ (Cass. n. 24948 del 2018).
3.3. – Anche dalla prova testimoniale emergeva la capacita’ dell’ (OMISSIS) di condurre una normale vita di relazione, di andare a pranzo fuori, guidare l’auto, lavorare e viaggiare sino a un paio di mesi prima del decesso.
Inoltre, la tesi dei ricorrenti secondo cui la sproporzione dei valori economici di un contratto sarebbe indice di incapacita’ di intendere e di volere se congiunta a una malattia non nEurologica, non puo’ trovare accoglimento, in quanto le apparenti certezze prospettate dalla controparte sono prive di supporto probatorio, se non addirittura smentite dalle risultanze istruttorie. Tale tesi collide con i principii che si rinvengono nel quadro normativo di riferimento (azione di rescissione per lesione ex articolo 1448 c.c., che prescinde dalla valutazione delle facolta’ intellettive e volitive del contraente). Si ribadisce che, per l’azione di annullamento di un contratto per incapacita’ di uno dei contraenti, il legislatore ha contemplato la sproporzione come elemento secondario da prendere in considerazione solo ove sia stata accertata l’incapacita’ e al solo fine di valutare l’eventuale malafede dell’altro contraente.
4. – Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione degli articoli 1421, 1425, 1441 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3); omessa pronuncia e omesso esame su un fatto decisivo (articolo 360 c.p.c., n. 5)” poiche’ la Corte distrettuale si limitava a valutare la questione relativa all’incapacita’ naturale, mentre essi avevano lamentato la sussistenza dei vizi del consenso in capo a (OMISSIS), richiamando l’articolo 1421 c.c. Ribadivano inoltre che il pregiudizio economico arrecato al patrimonio di (OMISSIS) e dei suoi eredi dovesse essere meglio valorizzato dalla Corte territoriale, in quanto, oltre ad apparire rivelatore della malafede, era anche significativo della mancata comprensione della complessa ed onerosa operazione di permuta da parte di (OMISSIS), rispetto alla il pregiudizio economico aveva natura di autonoma condizione di rilevanza dell’incapacita’.

 

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

La Corte d’Appello avrebbe, dunque, dovuto guardare con sospetto la validita’ della permuta e sarebbe dovuta intervenire in un assetto di interessi in cui le determinazioni delle parti si rivelavano prese in posizione di disparita’ sostanziale.
4.1. – Il motivo e’ inammissibile.
4.2. – I ricorrenti fanno riferimento a pretesi vizi del consenso in capo a (OMISSIS), di cui non esiste alcuna traccia nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Il Tribunale e la Corte d’Appello precisavano che il giudizio avesse ad oggetto solo la domanda di annullamento dell’atto di permuta per presunta incapacita’ di intendere e di volere ai sensi dell’articolo 428 c.c., per cui le argomentazioni proposte a sostegno di tale motivo (gia’ ritenute inammissibili dalla Corte di merito in quanto costituenti mutamento di domanda) non sono pertinenti e comunque sono inammissibili in quanto insanabilmente carenti di specificita’.
4.3. – Va, inoltre, ribadita la novita’ dell’ambito applicativo del vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017) (v. sub 2.5.).
5. – Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono la “Illegittimita’ della condanna alle spese di lite di primo e secondo grado – vizio della motivazione e sua insufficienza; omessa pronuncia sulla riforma della condanna alle spese di primo grado; violazione dell’articolo 112 c.p.c. e/o violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. in relazione anche all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, la’ dove, nonostante i ricorrenti avessero chiesto alla Corte d’Appello la riforma della sentenza di primo grado con la condanna di (OMISSIS) alle spese di lite dei due gradi di giudizio, la Corte di merito, non solo ha omesso la pronuncia sulla suddetta richiesta di riforma, ma con motivazione illegittima, e in violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., ha disposto una pesante condanna alle spese di secondo grado senza considerare che l’appello avverso la sentenza del Tribunale era doveroso, vista la sua palese deficienza e che concorrevano giusti motivi per compensare le spese sia per la controvertibilita’ delle questioni trattate, sia avuto riguardo alle risultanze peritali medico-legali (favorevoli all’appellato) che quelle estimativo-contabili (favorevoli agli appellanti), sia tenuto conto della parziale soccombenza dell’appellato su alcune eccezioni e richieste lui avanzate.
5.1. – Il motivo e’ inammissibile.
5.2. – In materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente e’ rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimita’, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 13229 del 2011).
Peraltro, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso (Cass. n. 1703 del 2013). Ne’ il criterio della soccombenza si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio, la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (Cass. n. 6369 del 2013; Cass. n. 18503 del 2014).
6. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

Incapacità di intendere e di volere e annullamento del negozio.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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