Abuso edilizio non soltanto il suo diretto autore ma anche l’acquirente

Consiglio di Stato, Sentenza|28 maggio 2021| n. 4134.

Abuso edilizio non soltanto il suo diretto autore ma anche l’acquirente.

Risponde di un abuso edilizio non soltanto il suo diretto autore ma anche chi si rende acquirente dell’immobile che ne è affetto, derivandone la proprietà, anche per passaggi successivi, dall’originario autore del detto abuso.

Sentenza|28 maggio 2021| n. 4134. Abuso edilizio non soltanto il suo diretto autore ma anche l’acquirente

Data udienza 27 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Opere in difformità dalla concessione edilizia – Sanzioni – Art. 132 comma 9, L.R. Toscana n. 1/2005 – Proprietario non responsabile dell’abuso edilizio – Ripristino della legalità violata – Corretto assetto edilizio del territorio – Dolo o dalla colpa del destinatario

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7540 del 2011, proposto da Be. Va., Cl. Ma., rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Va., con domicilio eletto presso lo studio Go. Go. in Roma, Via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Bi., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ba. in Roma, Via (…);
nei confronti
Im. Ca. s.r.l., Al. Ro., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 419/2011, resa tra le parti, in tema di rimozione di opere abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 27 aprile 2021 il Cons. Italo Volpe;
Nessuno essendo presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe le persone fisiche ivi pure indicate hanno impugnato la sentenza del Tar per la Toscana n. 419/2011, pubblicata il 2.3.2011, che – con l’onere delle spese – ha respinto il loro originario ricorso volto all’annullamento, con ogni altro atto connesso, dell’ordinanza dirigenziale del Comune di (omissis) (di seguito “Comune”) n. 8 del 30.6.2010 recante “Applicazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 132 comma 9 della LRT 01/2005 per illeciti realizzati nel fabbricato “A” in difformità dalla concessione edilizia n. 52 del 14 luglio 2004″.
1.1. In fatto, la sentenza ha riepilogato che:
– i ricorrenti erano proprietari nel territorio del Comune, per acquisto fattone il 12.12.2007, di un appartamento – costituito da porzione del piano terra – ubicato nel fabbricato A di un complesso immobiliare composto da tre edifici, costruito da una società immobiliare in virtù della concessione edilizia n. 52 ottenuta il 14.7.2004;
– il Comune con l’atto censurato aveva respinto l’istanza di sanatoria edilizia presentata dalla società e il 25.3.2009, effettuato un sopralluogo, aveva all’esito ordinato con l’atto censurato la rimozione delle opere che avevano comportato la trasformazione del garage in una civile abitazione.

 

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1.2. In diritto la sentenza ha motivato la decisione affermando, qui in sintesi, che:
– non era condivisibile l’assunto della non imputabilità dell’abuso edilizio ai ricorrenti, per avere essi acquistato in buona fede l’immobile, con la conseguenza che la censurata ordinanza sarebbe stata in contrastato con l’art. 131 della l.r. n. 1/2005. Ciò perché “L’ordine di demolizione può legittimamente essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso edilizio, in quanto costituisce misura volta a ripristinare la legalità violata, ovvero ad assicurare il corretto assetto edilizio del territorio, indipendentemente dal dolo o dalla colpa del destinatario”;
– erano infondati:
— il secondo motivo di ricorso (basato su profili di contraddittorietà della motivazione e di eccesso di potere per errata valutazione, in quanto vi sarebbe stata difformità tra l’atto impugnato e il diniego di sanatoria in esso richiamato, in quanto nel primo si contestava la modifica di destinazione d’uso mentre nel secondo si rilevava l’assenza della cucina) giacchè, per tabulas, “l’istanza di sanatoria edilizia faceva riferimento ad una rappresentazione dello stato di fatto dalla quale risultava la trasformazione del garage in due vani di sgombero, in un soggiorno, in un vano camera ed in un locale bagno; invece dal sopralluogo è emerso che i due locali indicati come di sgombero erano, rispettivamente, un vano camera ed un vano cucina. (…) l’accertamento compiuto dal Comune evidenzia una situazione di fatto non sanata e gravemente difforme dal progetto approvato in sede di rilascio della concessione edilizia, cosicchè appare giustificato l’ordine di eliminare l’abuso edilizio realizzato.”;
— la terza censura (di mancata considerazione della dichiarazione di parte circa l’assoluta estraneità all’attività edilizia sanzionata, per essere avvenuto l’acquisito in buona fede) perché il Comune “nella premessa dell’impugnata ordinanza, puntualizza le ragioni in base alle quali ha ritenuto di attivare il procedimento repressivo anche nei confronti degli attuali proprietari, dando così risposta alle precisazioni formulate dai ricorrenti”;
— la quarta censura (secondo la quale il Comune non aveva specificato le valutazioni tecniche dimostranti che il ripristino sarebbe stato possibile senza compromettere le strutture dell’edificio ed inoltre non v’era un resede antistante l’apertura idoneo a rendere possibile l’accesso di autoveicoli, in quanto il progetto approvato prevedeva l’accesso al garage dal resede posto sul lato nord est dell’immobile, il cui spazio era stato assegnato all’unità immobiliare del primo piano e dunque non apparteneva ai ricorrenti) giacchè “La trasformazione da garage ad abitazione, realizzata erigendo pareti divisorie interne, non presenta caratteristiche tali da rendere impossibile il ripristino dello stato dei luoghi, o da danneggiare le parti dell’edificio conformi al titolo edilizio” e “La presenza del garage risponde del resto al preciso interesse pubblico, valorizzato nella concessione edilizia, di far fronte alle prevedibili esigenze di parcheggio, interesse perseguibile con la contestata misura ripristinatoria, giacchè l’unità immobiliare dei ricorrenti ha come pertinenza un resede esclusivo sul lato est ed uno sul lato ovest”, oltre al fatto che “il resede ad est è provvisto di accesso carrabile e presenta una zona di manovra sufficiente ad assicurare l’accesso al garage”.

 

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2. L’appello, in fatto, riepiloga tra l’altro che:
– l’appartamento era stato acquistato il 12.12.2007 da un precedente proprietario, che a propria volta l’aveva comprato dal costruttore;
– i ricorrenti avevano chiesto il 17.5.2008 e il 5.7.2008 l’iscrizione anagrafica ai fini della residenza nell’appartamento. Iscrizione accettata dal Comune il 12.6.2008 e l’8.7.2008, tenuto conto della piena idoneità all’uso abitativo dell’immobile;
– contro il diniego di sanatoria la società costruttrice era ricorsa in sede giurisdizionale e la causa pendeva;
– nel diniego di sanatoria si leggeva, con riferimento all’appartamento per cui è causa, che “l’unità immobiliare residenziale identificata con la lettera F del Fabbricato A risulta sprovvista di locale cucina in contrasto con le norme di cui all’art. 79.1 del regolamento edilizio (il locale soggiorno è di superficie insufficiente secondo quanto previsto dallo stesso articolo per ricavare la cottura nell’ambito dello stesso) (…)”. Non v’era dunque alcun riferimento alla totale difformità dell’immobile rispetto alla concessione edilizia originaria, come invece si leggeva nella censurata ordinanza (ove si leggeva “PIANO TERRA trasformazione di locale garage in unità abitativa indipendente attraverso la formazione di pareti divisorie interne, dotazione di servizi e modifiche prospettiche”). In quest’ultima, piuttosto, si disponeva la riduzione in pristino, rispetto allo ‘stato concessionatò (mai però realizzato), ivi compresa l’eliminazione di tutti gli allacciamenti ai servizi fognari e alla rete del gas metano;
– alla luce di ciò “il dubbio che si possa effettivamente procedere al ripristino dell’immobile. Circostanza questa che consente (…) di individuare uno degli elementi sintomatici dell’eccesso di potere: l’inadeguatezza dell’istruttoria”;
– peraltro, a dimostrazione di una profonda confusione, in una relazione depositata a seguito di ordinanza istruttoria del Tar, posta a base delle argomentazioni della sentenza impugnata, si leggeva che “nel locale era stato realizzato un vano ad uso cucina difforme rispetto alla richiesta di sanatoria”.

 

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2.1. In diritto l’appello si affida alle seguenti censure:
a) errata valutazione dei fatti di causa e contraddittorietà della motivazione, con altresì la riproposizione delle seguenti censure di primo grado:
a.1) violazione di legge con specifico riguardo per l’art. 131 della l.r. Toscana n. 1/2005 – conseguente contraddittorietà della motivazione e violazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990 ed eccesso di potere per errato esercizio della discrezionalità ;
a.2) violazione di legge con riferimento all’art. 3 della l.n. 241/1990 per inadeguatezza e contraddittorietà della motivazione e inesistenza dei presupposti – conseguente eccesso di potere per errata valutazione delle circostanze di fatto e di diritto;
a.3) violazione di legge con riferimento agli artt. 9 e 10 della l.n. 241/1990 con riferimento alla mancata valutazione delle dichiarazioni degli interessati;
a.4) eccesso di potere per errato esercizio della discrezionalità amministrativa e tecnica con riferimento alle valutazioni che hanno condotto l’Amministrazione ad imporre il ripristino dell’immobile – violazione di legge con riferimento alla l.r. Toscana n. 1 /2005 art. 134, per errata e falsa applicazione della norma che prevede la valutazione della sostituzione del ripristino con la sanzione;
b) violazione di legge con specifico riguardo per l’art. 131 della l.r. Toscana n. 1/2005 – conseguente contraddittorietà della motivazione e violazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990 ed eccesso di potere per errato esercizio della discrezionalità ;
c) violazione di legge con riferimento alla l.n. 241/1990 per inadeguatezza e contraddittorietà della motivazione e inesistenza dei presupposti – conseguente eccesso di potere per errata valutazione delle circostanze di fatto e di diritto;
d) violazione di legge con riferimento agli artt. 9 e 10 della l.n. 241/1990 con riferimento alla mancata valutazione delle dichiarazioni degli interessati;
e) eccesso di potere per errato esercizio della discrezionalità amministrativa e tecnica con riferimento alle valutazioni che hanno condotto l’Amministrazione ad imporre il ripristino dell’immobile – violazione di legge con riferimento alla l.r. Toscana n. 1/2005, art. 134, per errata e falsa applicazione della norma che prevede la valutazione della sostituzione del ripristino con la sanzione.
3. Costituitosi, con memoria del 24.9.2020 il Comune riepilogava così, qui in sintesi, la sua prospettazione dei fatti:
– l’intervento autorizzato con la concessione edilizia n. 52/2004 prevedeva la realizzazione di tre edifici (A, B, C) per un totale di 15 unita` abitative e complessivi mc 2.940,61;
– il 29.7.2005 la società costruttrice comunicava la fine dei lavori, nonché la certificazione di abitabilità, peraltro rimasta mancante della prescritta documentazione nonostante solleciti, rimasti inevasi;
– i successivi accertamenti dell’Ufficio tecnico comunale e dalla Polizia Municipale rilevavano una totale difformità del realizzato rispetto allo stato concessionato. In particolare, era stata realizzata una maggiore volumetria di mc 915,64 (per complessivi mc 3.856,25) e l’aumento delle unita` immobiliari da 15 a 16;
– l’unità abitativa completamente aggiunta era proprio quella ora di proprietà degli appellanti;
– tutti i proprietari degli edifici erano stati sanzionati. Gli appellanti, in particolare, erano stati sanzionati con la riduzione in pristino mediante la rimozione delle opere difformi dallo stato concessionato che hanno comportato la trasformazione dell’originaria unita` garage in civile abitazione, ivi compresa l’eliminazione di tutti gli allacciamenti ai servizi fognari e alla rete del gas metano;
– il diniego del permesso di costruire in sanatoria, chiesto dalla società costruttrice, era stato disposto con provvedimento n. 6 del 30.6.2008, era stato impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, poi trasposto in sede giurisdizionale ma qui dichiarato perento con decreto decisorio n. 720/2014, pubblicato il 28.10.2014;
– con 27 sentenze rese nel 2017 il Tar della Toscana aveva accolto parzialmente una serie di ricorsi proposti dai soggetti raggiunti dalle varie ordinanze dirigenziali (affermando innovativamente che il proprietario incolpevole, anche se tenuto a collaborare per la rimozione materiale dell’abuso, non poteva essere legittimo destinatario di sanzioni pecuniarie sostitutive) ma respinto i ricorsi nella parte in cui si censurava l’applicazione delle sanzioni di tipo ripristinatorio, ritenendole cosi` legittime. Le sentenze non erano state impugnate, passando in giudicato.
3.1. Il Comune ha quindi replicato partitamente alle deduzioni in diritto della parte appellante.
4. Replicava parte appellante con memoria del 23.10.2020, riportandosi agli argomenti già illustrati.

 

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5. La causa veniva quindi chiamata all’udienza di discussione del 27.10.2020.
6. All’esito, con ordinanza della Sezione n. 6696/2020, pubblicata il 31.10.2020, è stato ritenuto “necessario, ai fini del decidere, acquisire dal Comune (…) documentati chiarimenti, resi anche a seguito di ulteriore sopralluogo sull’immobile in questione, circa le effettive possibilità di ripristino alla originaria destinazione d’uso “garage”, anche tramite la verifica delle concrete possibilità materiali di consentire l’accesso carraio del “garage” dal lato indicato in progetto o da altri lati (come indicato nella relazione depositata in primo grado a seguito di ordinanza istruttoria), specificando, in tal ultimo caso, se ciò sia conforme al provvedimento con cui è stato ordinato il ripristino o necessiti di ulteriori titoli abilitativi; se, allo stato, sussistano i requisiti di abitabilità /agibilità della unità immobiliare, o questi possano comunque essere assicurati anche tramite ulteriori modifiche rispetto a quanto realizzato; la situazione procedimentale relativa alla dichiarazione di abitabilità del 29 luglio 2005, il cui procedimento risulta sospeso in base alle note del Comune del 13 novembre 2006 e del 19 dicembre 2006″.
7. Il Comune ha adempiuto depositando la propria relazione.
8. Con memoria sottoscritta il 28.2.2021 parte appellante, deducendo in ordine a quanto relazionato dal Comune, ha osservato che il proprio tecnico di fiducia aveva già “conferma[to] quanto originariamente asserito e cioè che e` impossibile ripristinare lo stato concessionato dell’immobile in quanto tutte le osservazioni del Comune vanno nella direzione della realizzazione ex post non ripristinativa ma realizzativa di uno stato diverso da quello originariamente concessionato. (…) e` sufficiente prendere in considerazione la circostanza che l’area che nella concessione doveva essere destinata ad ingresso del vano garage e` stata data in proprietà dallo stesso costruttore ad un’altra unita` immobiliare e per tale ragione non e` possibile aprire un vano di ingresso su una proprietà di terzi.”.
9. Con memoria del 25.3.2021 il Comune ha a propria volta dedotto che:
– “i chiarimenti e le planimetrie prodotte ribadiscono che i tamponamenti esterni ed i divisori interni dell’immobile in questione non sono portanti e quindi sono demolibili senza pregiudicare la statica dell’immobile”;
– “come risulta dalla documentazione prodotta, l’accesso all’immobile che e` stato realizzato e` posto anch’esso sul lato est dell’edificio ed e` semplicemente spostato di pochi metri sulla stessa via (…) rispetto all’ubicazione di progetto. (…) pare proprio di poter affermare che a proposito dell’accesso non si pone neppure una questione di ripristino ma semplicemente di utilizzare (meglio, continuare ad utilizzare) quanto già realizzato – ed autorizzato dal Comune – proprio come accesso carrabile alla proprietà degli odierni ricorrenti (…)”.
10. Con note di udienza sottoscritte il 12.4.2021 parte appellante ha in particolare osservato che la ripristinabilità dell’immobile, sostenuta dal Comune con la relazione depositata, in realtà “e` oggettivamente irrealizzabile e quindi pone una questione di giuridica impercorribilità . Situazione peraltro realizzata dal costruttore nella assoluta inconsapevolezza dei ricorrenti acquirenti non diretti dal costruttore ma da precedenti proprietari”.
11. La causa quindi, chiamata all’udienza di discussione del 27.4.2021, è stata ivi trattenuta in decisione.

 

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12. L’appello è infondato e deve essere conseguentemente respinto.
12.1 Vale in primo luogo osservare che parte ricorrente non risulta aver posto in dubbio, e conseguentemente contestato, la circostanza dedotta dal Comune secondo la quale nel fabbricato in discorso le unità immobiliari adibite ad abitazione erano – rispetto a quelle disegnate nelle tavole progettuali – una in più del previsto e che l’unità immobiliare aggiuntiva era proprio la sua.
Né la medesima parte risulta avere sostanzialmente contestato l’ulteriore deduzione del Comune secondo la quale – stando alle tavole progettuali, in relazione alle quali s’era originariamente formato il permesso di costruire – in luogo dell’unità immobiliare aggiuntiva vi sarebbe dovuto essere piuttosto un locale garage, dotato di apertura per il passaggio di veicoli da e per la pubblica via.
La medesima parte infine (che, in pratica, pare mostrare di essersi avveduta solo in occasione del censurato provvedimento dell’esistente distonia tra lo stato di fatto della porzione immobiliare in discorso e quella che, invece, essa doveva essere alla luce delle tavole progettuali assentite dal Comune al tempo del permesso di costruire rilasciato) né deduce alcunchè né fornisce anche solo un inizio di prova in ordine a proprie verifiche (effettuate personalmente ovvero per il tramite dell’ufficiale rogante di sua fiducia, al tempo dell’atto di compravendita) in ordine all’effettiva coerenza tra la consistenza fattuale di detta porzione immobiliare e quella che sarebbe dovuta invece essere sulla base del progetto di costruzione.
12.2. In particolare quest’ultima constatazione depriva di persuasività il principale plesso censorio di parte appellante che, invece, insiste ripetutamente nell’affermazione della propria assoluta buona fede (in ordine alla ritenuta conformità tra l’unità immobiliare acquistata ed i suoi titolo edilizio e parametri urbanistico-edilizi di riferimento), da ritenersi avvalorata – secondo la tesi propugnata – dal fatto di non essere stata essa parte l’autrice dell’abuso, commesso invece dal costruttore, né di avere essa parte acquistato direttamente dal costruttore.
Fattori questi (ossia il non essere autore dell’abuso e il non aver acquistato direttamente da detto autore) che – sempre secondo la tesi propugnata – trasformerebbero addirittura in un caso di responsabilità oggettiva (non contemplata dalle disposizioni sanzionatorie edilizie vigenti) quella che graverebbe di fatto sulla parte appellante ove prevalesse la tesi sottostante all’impugnato provvedimento comunale.
12.2.1. In verità, fermo il consolidato orientamento secondo il quale risponde di un abuso edilizio non soltanto il suo diretto autore ma anche chi si rende acquirente dell’immobile che ne è affetto, derivandone la proprietà, anche per passaggi successivi, dall’originario autore del detto abuso, nella fattispecie l’estremizzazione concettuale che tenta la parte appellante (e che, giacchè tale, non può essere condivisa) consiste nel provare a teorizzare che l’ignoranza dell’esistenza di un abuso fa premio ed assolve rispetto ad una qualunque tipologia di abuso, anche piuttosto evidente e marcato (come lo è quello in discorso, dove un’unità immobiliare destinata ad abitazione, mai progettata, ha sostituito la diversamente progettata esistenza di un locale garage).
In effetti, nel caso in esame non è possibile parlare di buona fede dell’acquirente per il semplice fatto che lo stesso neanche ha tentato di affermare o provare di aver preventivamente fatto tutto quanto era nella sue possibilità (ovvero in quelle del suo notaio rogante) per sincerarsi che il bene immobile oggetto di compravendita fosse realmente conforme (non tanto a quanto a propria volta acquistato precedentemente dal suo dante causa ma) al bene immobile progettato ed assentito (così come progettato) dal Comune.
Né attenua un tale rilievo il fatto che il bene immobile risultasse dotato di certificazione di abitabilità, noto essendo che un conto è la conformità di un immobile ai parametri che vanno rispettati, anche a fini sanitari, per poterlo abitare e che altro e diverso conto è invece la conformità dello stesso immobile ai parametri urbanistico-edilizi vigenti. E, proprio per questo, la sussistenza della prima delle dette conformità non può mai creare sufficiente affidamento in ordine alla ricorrenza anche della seconda di tali conformità –
12.2.2. Ulteriore estremizzazione concettuale non suscettibile di positiva valutazione è poi quella, pure tentata dalla parte appellante, secondo la quale nella fattispecie un vero e proprio abuso neppure esisterebbe per il fatto che in loco un garage non era mai venuto alla luce, giacchè fin dai tempi dell’edificazione al suo posto era stata invece realizzata un’unità immobiliare destinabile a civile abitazione.

 

Abuso edilizio non soltanto il suo diretto autore ma anche l’acquirente

In verità, il tertium comparationis da dover prendere in considerazione, al fine di valutarne la legittimità o meno dal punto di vista urbanistico-edilizio, non è solo quello costituito dalla fisica consistenza dell’unità immobiliare in un periodo anteriore ad una sua eventuale immutazione morfologica e di destinazione ma anche, e soprattutto, quello che si evince dalle tavole di progetto sulla cui base è stato rilasciato l’originario permesso di costruire.
12.3. Messi a fuoco questi aspetti d’ordine preliminare, risulta allora sequenziale la constatazione progressiva dell’infondatezza delle censure di parte appellante.
In particolare:
– non sono fondate le prime due, proprio per i motivi sopra detti, tutte incentrate essendo esse sulla pretesa buona fede assolutoria in cui sarebbe versata la parte acquirente e, ora, destinataria del provvedimento comunale in questione, nonché sul fatto che detta parte non era stata l’autrice materiale dell’abuso;
– non sono fondate la terza e la quarta volte (con le parole della parte appellante) a “dimostrare invece che, qualora il Giudice ritenga applicabile ai ricorrenti la contestazione contenuta nell’Ordinanza, l’atto e` comunque affetto da vizi tali da determinarne l’annullamento perchè basato su elementi di giudizio e valutazione errati o travisati. Vizi che non sono stati individuati dal Giudice amministrativo regionale a causa di una errata interpretazione dei fatti di causa sottoposti alla sua attenzione (…)”. In verità, ad una lettura attenta del provvedimento in contestazione, emerge chiaro il motivo della reazione del Comune, costituita dall’accertata vistosa difformità tra la consistenza materiale e la destinazione dell’unità immobiliare della parte appellante e quelle che sarebbero dovute essere, invece, secondo progettazione. Non è del resto un caso che la stessa parte appellante dispieghi poi argomenti per provare a sostenere l’irrealizzabilità del ripristino urbanistico (secondo progettazione) degli ambienti in questione;
– non è fondata neanche la residua censura, incentrata sul fatto che ad avviso di parte appellante non sarebbe possibile il ripristino del locale garage.
13.1. L’ultimo argomento toccato merita alcune specifiche considerazioni.
Come detto, non è in primo luogo condivisibile la tesi secondo la quale un abuso non ricorrerebbe nella specie in quanto il locale garage, originariamente progettato ed assentito col permesso di costruire, mai era venuto ad esistenza (giacchè fin dall’origine, e ad opera del costruttore, al suo posto era stata invece edificata un’unità immobiliare destinata a civile abitazione). L’argomento di parte appellante è tanto suggestivo quanto estremo (e dunque non condivisibile), giacchè peraltro, ove mai esso fosse vero, mai sarebbe allora possibile assumere l’abusività di corpo di fabbrica le volte in cui esso fosse fin dall’inizio eretto in modo totalmente difforme da quanto progettato ed assentito dal competente ente locale.
Dato ciò, una volta accertato l’abuso, discende allora naturale il fatto che l’ente locale persegua la riduzione in pristino, costituente la soluzione riparatoria primaria e rispetto alla quale quella dell’irrogazione di una mera sanzione patrimoniale amministrativa funge da succedaneo le volte in cui la detta soluzione fosse materialmente impossibile ovvero possibile ma a grave rischio di conseguenze severe della statica dell’immobile ove il ripristino andrebbe effettuato.
Nel caso in esame, per quanto emerge dagli atti del fascicolo processuale, detta impossibilità non ricorre né ricorre un rischio per la statica dell’edificio. Invero, le pareti interne all’unità immobiliare in questione non sono portanti (e, dunque, sono rimuovibili), come non è portante la parete in cui andrebbe creata l’apertura occorrente per ricostituire la porta di accesso da e per il locale garage (una volta ripristinato).
Parte appellante risulta cosciente di ciò, al punto che essa deduce allora la ricorrenza di una ‘impossibilità giuridicà, ossia una teorica impossibilità a ricostituire le fattezze del locale garage (quanto a detta porta di accesso) esattamente quali quelle originariamente progettate.
Al riguardo, se anche è vero che, per l’attuale esistenza di una proprietà aliena lì dove, ai tempi della progettazione, vi sarebbe dovuto essere il passaggio carraio, quest’ultimo non può essere ricostituito in quella stessa posizione, è altrettanto vero – per quanto emerso in corso di giudizio – che detto passaggio può invece essere validamente aperto su una diversa parete dello stesso locale. Ed è pur vero che questa minima diversità tra ciò che sarà realizzato, rispetto a quanto progettato, non definirsi come una ‘impossibilità giuridicà al raggiungimento del risultato.
14. Ricorrono infine giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere, Estensore
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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