Cassazione 12

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 15 aprile 2016, n. 7587

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Brescia ha accolto l’impugnazione proposta da (…) scarl (ora (omissis) scarl) avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo che, in accoglimento della domanda proposta da F.E. , amministratore delegato in carica della società, aveva condannato quest’ultima al risarcimento dei danni in suo favore.
1.1. La Corte territoriale, in particolare, ha respinto tutte le domande proposte dall’Amministratore Delegato (o A.D.), il cui incarico oneroso era stato rinnovato anche per il triennio 1998-2000, ma al quale le deleghe (comprensive del potere di rappresentanza e di firma sociale) erano state revocate in data 11 aprile 2000, sulla base di dissonanze intervenute tra il medesimo e la restante parte del Consiglio di Amministrazione della società.
1.2. Mentre per il Tribunale di Bergamo, al F. sarebbe spettata, a titolo risarcitorio, una somma di danaro (corrispondente al pregiudizio sofferto e in misura pari gli emolumenti non percepiti per l’anticipata interruzione del rapporto), ad avviso della Corte territoriale tale diritto sarebbe insussistente così in questo come nei casi similari, poiché la delega sarebbe sempre revocabile, ad nutum, da parte del C.d.A., ai sensi dell’art. 2381 c.c., senza che il delegato possa invocare il principio, dettato per tutti gli amministratori, ai sensi dell’art. 2383 c.c., per il quale la revoca da parte dell’assemblea, senza giusta causa, dà diritto al risarcimento del danno.
1.3. Secondo la Corte territoriale, infatti, la libertà di revoca delle deleghe all’A.D. (diversamente da quella dell’assemblea verso gli amministratori) sarebbe connessa al dovere di vigilanza cui sono tenuti gli amministratori ed essa si connetterebbe non già ad un rapporto di mandato ma ad una ipotesi tipica di autorizzazione all’esercizio singolare dei poteri amministrativi, che spetterebbero naturaliter all’intero collegio, e che potrebbero cessare in ogni tempo, per vicende di vario genere.
2. Avverso tale decisione gli eredi del defunto sig. F. (Claudio e Ombretta F. ) hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico, complesso ed articolato mezzo, contro cui resiste la società (omissis) scarl, con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso principale violazione e falsa applicazione degli artt. 2381 e 2383 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) i ricorrenti eredi dell’ex A.D. premettono che l’orientamento espresso dalla Corte territoriale non sarebbe condivisibile perché smentito sia dalle unanimi decisioni di merito (Tribunale Milano 14 febbraio 2004, 16 ottobre 2006 e 12 maggio 2010 n. 6137) sia dalla più autorevole dottrina.
1.1. Secondo i ricorrenti, in estrema sintesi, il giudice distrettuale avrebbe affermato un principio di diritto non corretto, sulla premessa della libertà di revoca delle deleghe da parte del Consiglio, in quanto non avrebbe spiegato le ragioni per le quali una tale revoca dovrebbe esonerare la società dal pagamento del compenso già pattuito, fino alla naturale scadenza del mandato.
1.2. Ove tale risarcibilità fosse ammessa, come dovrebbe, il giudice del rinvio non potrebbe non rilevare la mancanza di una giusta causa di revoca delle deleghe all’amministratore, odierno ricorrente (nelle persone dei suoi eredi).
2. La Corte territoriale ha accolto l’appello della società sulla base della considerazione che il potere fiduciario che unisce, e deve unire, il Consiglio di amministrazione al singolo amministratore, a cui sono conferiti i poteri delegati, sarebbe tale da giustificare anche quello di revocare “in qualsiasi momento” (nel che si può individuare un regime parallelo a quello della revoca assembleare) senza che (e qui sta la differenza) ne scaturiscano pretese al risarcimento, se ciò sia avvenuto senza giusta causa.
3. Va premesso, in modo da evitare equivoci, che la vicenda storica di cui la Corte è chiamata ad occuparsi è anteriore al 2003 e, quindi, alla riforma del diritto societario; anche se occorre riconoscere che – in assenza di un espresso nuovo dato normativo posteriore, introdotto nel sistema dalla riforma delle società di capitali – la giurisprudenza di merito e la dottrina si presentino da tempo, al riguardo, divisi: non già sul problema dei rapporti tra il Consiglio di amministrazione e i delegati (non apparendo dubbio che il primo possa revocare i secondi, dato il carattere sopraordinato del Consiglio) ma sulle conseguenze delle revoca, in mancanza di una giusta causa, ed in particolare sul diritto dell’amministratore delegato a far valere il suo ipotizzato diritto al risarcimento del danno.
4. A tale riguardo, il ragionamento del giudice distrettuale (che ritenendo non legittima la richiesta risarcitoria ha conseguentemente omesso ogni valutazione del fatto relativo alla sussistenza, in concreto, della giusta causa di revoca delle deleghe), non appare condivisibile.
4.1. E ciò non solo perché, anteriormente alla riforma societaria, in casi siffatti, la dottrina prevalente riteneva sussistente il diritto a risarcimento del danno da parte dell’amministratore delegato a cui fosse stata tolta la delega.
4.2. Infatti, contrariamente a quanto opina la Corte distrettuale (che, peraltro, sembra non distinguere tra la disciplina applicabile ratione temporis e quella successiva alla riforma societaria e sembra argomentare in una dimensione atemporale) l’unica disposizione positiva che viene in considerazione è proprio l’art. 2383, 3 co., c.c., il quale – nel testo rimasto immutato, sia prima che dopo la riforma stabilisce il principio della risarcibilità dell’amministratore che abbia subito la revoca da parte dell’assemblea, senza che questa sia stata data con “giusta causa”.
4.3. In sostanza, questa disposizione detta una norma che afferma un rilevante principio, quello dell’esistenza non già di un potere illimitato dell’assemblea, ma di una facoltà discrezionale e controllata, che è limitata, ovviamente, non già in vista del conseguimento degli interessi e degli obiettivi societari ma solo in considerazione de rispetto della posizione sociale ed economica dell’amministratore di società. Ossia in ragione della dignità e del sacrificio economico imposto alle persone che rivestono la carica amministrativa e che, in ragione dell’atto di revoca, vedono sacrificata, in una misura più o meno ampia, la propria posizione.
4.4. Partendo da tale regola, si comprenderà che non ha valore il ragionamento svolto in alcune decisioni di merito, volte a sottolineare (come pure fa la sentenza impugnata in questa sede) le diversità, innegabilmente esistenti, tra la vicenda della revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea (2383 c.c.) rispetto a quella della revoca delle deleghe, affidate ai propri delegati, dal consiglio di amministrazione (2381 c.c.). Tanto più quando tali deleghe comportino un’attività amministrativa a termine, impegnativa e remunerata, suscettibile di valutazioni e considerazioni professionali in un ambito riconducibile al mercato dei manager.
4.5. Sotto tali profili, pertanto, vi è – tra i due casi quella identità di ratio che, in difetto di una disciplina positiva, giustifica il ricorso analogico alla disposizione richiamata, con il ricorso alla previsione astratta (l’art. 2383, 3 co. c.c.) della risarcibilità del danno, anche in caso di revoca della delega (non solo della qualità di amministratore) in difetto di “giusta casua” (la cui sussistenza deve, ovviamente, essere valutata in concreto dal giudice di merito).
5. In conclusione il ricorso deve essere accolto in applicazione del principio di diritto secondo cui:
In tema di società di capitali, la revoca della delega all’amministratore delegato, decisa dal consiglio di amministrazione, deve essere assistita da “giusta causa”, anche in applicazione analogica dell’art. 2383, terzo comma, cod. civ., sussistendo, in caso contrario, il diritto del revocato al risarcimento dei danni eventualmente patiti.
5.1. Di conseguenza, la sentenza deve essere cassata in relazione al ricorso accolto e la causa rinviata, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Brescia che, in diversa composizione, farà applicazione del principio enunciato e regolerà le spese anche di questa fase del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.

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