In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 20 maggio 2020, n. 15542.

Massima estrapolata:

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata, sussiste continuità normativa tra la disciplina di cui all’art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356, abrogato dall’art. 7, lett. l), d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, e quella di cui all’art. 240-bis cod. pen. che, pertanto, trova applicazione anche in relazione alle condotte anteriori all’entrata in vigore del citato d.lgs.

Sentenza 20 maggio 2020, n. 15542

Data udienza 12 novembre 2019

Tag – parola chiave: Confisca – Dlgs 21/2018 – Confisca cosiddetta “allargata” ex articolo 12 sexies del Dl 306/1992 – Permanenza – Fumus del reato – spia – Accertata sproporzione tra reddito dichiarato e valore economico del bene sottoposto a misura cautelare – Sproporzione – Prova – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. SARACENO Rosa Ann – rel. Consigliere

Dott. CASA Filippo – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 03/04/2019 del TRIB. LIBERTA’ di POTENZA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROSA ANNA SARACENO;
sentite le conclusioni del PG Dr. ELISABETTA CENICCOLA che conclude per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 3 aprile 2019 il Tribunale di Potenza, sezione per il riesame, ha confermato il decreto del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale del 12 marzo 2019, con il quale era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca della somma di Euro 25.800, rinvenuta presso l’abitazione di (OMISSIS), indagato dei reati di cui agli articoli 81 cpv., 319, 476 e 110 c.p. e Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, commi 3, 3-bis e 5, perche’, nella qualita’ di sovrintendente capo della Polizia di Stato in servizio presso l’Ufficio immigrazione della Questura di Potenza, riceveva danaro contante per compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio, rilasciando permessi di soggiorno in violazione delle disposizioni del Testo Unico Immigrazione.
1.1. A fondamento della decisione, il Tribunale ha innanzitutto ripercorso gli elementi acquisiti nel corso delle investigazioni, evidenziando in particolare che:
– l’indagato aveva rilasciato un permesso di soggiorno a tale (OMISSIS), attestando falsamente che lo straniero era privo di precedenti penali e che si trattava di richiesta di “primo soggiorno”;
– la richiesta era corredata da documentazione attestante una residenza poi risultata falsa, fornita al richiedente da una cittadina marocchina che, proprio nei giorni del rilascio del permesso, aveva avuto contatti telefonici con l’indagato;
– la successiva attivita’ captativa aveva consentito di appurare che la donna svolgeva attivita’ di intermediazione per il rilascio di permessi di soggiorno in favore di suoi concittadini, provando a contattare, senza riuscirci, lo (OMISSIS);
– era stata, poi, constatata l’assenza di 41 pratiche cartacee relative a permessi di soggiorno rilasciati dall’indagato tra settembre e novembre 2018, pratiche non protocollate e per le quali non era stato effettuato il previsto fotosegnalamento dei richiedenti/beneficiari all’atto della ricezione;
– numerosi dei 41 beneficiari risultavano formalmente residenti allo stesso indirizzo, coincidente con quello di un cittadino tunisino, il quale aveva avuto 66 contatti telefonici con l’indagato, come emerso dall’esame dei tabulati telefonici dell’utenza in uso allo (OMISSIS).
1.2. Il Tribunale ha, dunque, confermato la sussistenza del fumus del reato di cui all’articolo 319 c.p., desunto dal rilascio da parte dell’indagato di permessi di soggiorno in violazione del Testo Unico Immigrazione, attraverso la falsa attestazione dell’assenza di precedenti penali in capo ad alcuni richiedenti, l’omessa protocollazione di alcune pratiche e l’omesso fotosegnalamento dei beneficiari, e apparendo ragionevole ritenere che le suddette condotte non fossero state realizzate per puro scopo di cortesia, in favore di soggetti con i quali non sussistevano rapporti di parentela, di amicizia o di mera frequentazione, ma previa ricezione di illeciti compensi.
1.3. Il Tribunale ha, poi, ritenuto infondate le censure mosse all’apparato argomentativo del provvedimento impugnato, asseritamente immotivato quanto alla sussistenza dei presupposti legittimanti il sequestro ex articolo 321 c.p.p., comma 1, osservando che si versava nell’ipotesi di sequestro funzionale alla confisca e che la somma oggetto di provvisoria ablazione costituiva il profitto del reato di corruzione propria; come pure ha ritenuto insufficienti le valutazioni contenute nella relazione tecnica di parte e inidonee “a scalfire il dato della sproporzione (…) di cui all’articolo 240-bis c.p.”.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato a mezzo dei suoi difensori, che ne hanno chiesto l’annullamento per:
– violazione di legge (in relazione all’articolo 321 c.p.p., comma 3-bis e articolo 125 c.p.p.) e carenza o mera apparenza della motivazione. La prima censura sollevata dalla difesa concerneva la non corretta applicazione dell’istituto del sequestro di urgenza previsto dall’articolo 321, comma 3-bis, e, quindi, la legittimita’ del successivo decreto di sequestro. Il dato testuale della disposizione normativa facoltizza il pubblico ministero, nei casi di urgenza, a disporre il sequestro che ritiene opportuno, ma lo vincola a chiedere non solo la convalida dello stesso ma anche “l’emissione del decreto di sequestro previsto dal comma 1”. In altri termini l’unico sequestro che il G.i.p. puo’ emettere e’ quello impeditivo, legittimo solo quando venga dimostrato sia il vincolo di pertinenzialita’ sia che la libera disponibilita’ del bene possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato; dimostrazioni di tal fatta non erano state fornite dal provvedimento del G.i.p., mentre l’apparato argomentativo esibito dalla decisione impugnata sul punto era da ritenersi del tutto apparente, privo dei minimi requisiti di coerenza e completezza, ma soprattutto silente sui temi sollevati dalla difesa;
– violazione di legge (in relazione agli articoli 240 e 240-bis c.p.) e contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento alla tipologia e ai presupposti legittimanti la misura.
Non era dato comprendere, infatti, se il vincolo di indisponibilita’ fosse stato disposto sul profitto di reato, come espressamente affermato dal Tribunale, ovvero se si trattasse di sequestro funzionale alla c.d. confisca allargata, come sembrava alludere il riferimento alla sproporzione tra la somma rinvenuta e le capacita’ reddituali del ricorrente e del suo nucleo familiare. Il Tribunale del riesame (e ancora prima il G.i.p.) si era limitato ad evocare sia l’una che l’altra tipologia di sequestro, prescindendo da un’analisi puntuale e specifica dei presupposti della misura che si sarebbe dovuta adottare e di quella in concreto adottata;
– violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla sussistenza del fumus degli ipotizzati reati: i giudici del merito avevano semplicemente omesso di verificare la sussistenza del fumus del reato di cui all’articolo 12, comma 3, Testo Unico Immigrazione, mentre era di fatto apparente la motivazione esibita quanto all’ipotizzato delitto di corruzione, giacche’ nel caso di specie il riferimento ad accordi corruttivi era meramente congetturale e priva di base fattuale era l’affermazione che il ricorrente avesse conseguito illeciti compensi; nemmeno era stata quantificata la somma complessiva -in ipotesi locupletata- confiscabile come profitto del reato, ne’ era stata individuata la data di commissione degli illeciti con conseguenti problematiche di irretroattivita’ dell’applicazione dell’articolo 240-bis c.p., pure richiamato, per le condotte anteriori al marzo 2018;
– assenza di motivazione e connessa violazione di legge sulle condizioni legittimanti la confisca allargata, costituite dalla sproporzione della somma rinvenuta rispetto al reddito o alle attivita’ economiche e alla mancata giustificazione della sua lecita provenienza: il provvedimento impugnato si era limitato, da un lato, a prestare acritica adesione al congetturale ragionamento condotto prima dal P.M. e poi dal G.i.p., ossia che l’indagato non avrebbe commesso i fatti oggetto di addebito per pura cortesia nei confronti di persone con cui non condivideva nessun legame e nessuna relazione, donde l’origine delittuosa della somma rinvenuta nella sua disponibilita’, dall’altro a liquidare con affermazioni assertive le contrarie allegazioni difensive circa l’origine lecita della somma sequestrata, frutto di risparmi accumulati nel tempo, del tutto compatibili con la capacita’ reddituale dell’indagato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il riscorso appare fondato.
2. Va, innanzitutto, disattesa l’interpretazione del disposto dell’articolo 321-bis c.p.p. prospettata dal ricorrente. La norma consente al pubblico ministero, quando non sia possibile per la situazione di urgenza attendere il provvedimento del giudice, di disporre con decreto motivato il sequestro preventivo, vuoi impeditivo vuoi ai fini di confisca, provvedendo nel termine di legge a chiedere la convalida e ad avanzare domanda cautelare. E’, dunque, il pubblico ministero ad indicare le specifiche finalita’ perseguite con la misura cautelare invocata ed e’ la domanda cautelare a segnare l’ambito della verifica fattuale devoluta al giudice e degli aspetti sui quali l’interessato avra’ modo di interloquire. Cio’ che la norma prevede e’ che il decreto di sequestro preventivo, disposto in via d’urgenza, per il suo carattere provvisorio, e’ destinato ad un’automatica caducazione a seguito della mancata convalida ovvero, in caso di controllo positivo, ad essere sostituito per effetto del decreto di sequestro giudiziale, che il giudice emette dopo l’ordinanza di convalida e che costituisce il titolo legittimante il vincolo reale sul bene sequestrato, ma e’ il pubblico ministero, titolare esclusivo del potere di iniziativa, ad individuare la tipologia, l’oggetto materiale della misura richiesta e il reato investigato per il quale accordarla.
3. Tanto posto, il provvedimento impugnato e’ per il resto obiettivamente confuso.
3.1 Tralasciando le doglianze che attengono al fumus del delitto di corruzione (per il quale la misura risulta accordata) -doglianze che finiscono per refluire nell’alveo di un non consentito sindacato della motivazione e del merito del provvedimento, come tale non riconducibile al vizio di violazione di legge, non essendo sul punto la motivazione dell’ordinanza impugnata ne’ mancante, ne’ meramente apparente, ma sufficientemente compiuta e comunque esente da vizi manifesti sul piano logico-, il Tribunale ha affermato che il sequestro preventivo andava confermato, avendo ad oggetto somme di denaro destinate ad essere confiscate perche’ profitto del delitto in contestazione.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che, ai fini dell’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la nozione di profitto del reato coincide con il complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti; la misura cautelare puo’ pertanto essere disposta nei limiti in cui risulti accertato il nesso di pertinenzialita’ rispetto al reato e previa individuazione della concreta entita’ del profitto conseguito, mentre il provvedimento impugnato ha giustificato l’ablazione dell’intera somma rinvenuta nella disponibilita’ dell’indagato con l’affermazione assertiva di un rapporto di derivazione della stessa dal reato contestato, neppure mostrando di aver considerato le censure relative al difetto dei presupposti giustificativi del sequestro disposto: in primo luogo l’indimostrata sussistenza di un rapporto di pertinenzialita’ tra il numerarlo sottoposto a vincolo e il reato del quale esso costituirebbe profitto illecito, in secondo luogo l’omessa indicazione di risultanze investigative certe, idonee alla precisa determinazione e all’accertamento in concreto del profitto del reato realmente lucrato.
3.2 Ne’ maggiore spazio e’ riservato alla giustificazione del sequestro finalizzato alla confisca ex Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies (oggi articolo 240-bis c.p.), solo genericamente evocato.
3.2.1 Va premessa l’infondatezza della questione sollevata dalla difesa con riferimento all’asserita inapplicabilita’ dell’articolo 240-bis c.p. alle condotte anteriori al marzo 2018. L’abrogazione, disposta dal Decreto Legislativo n. 21 del 2018, articolo 7, lettera l), del Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-sexies, commi 1, 2-ter, 4-bis, 4-quinquies, 4-sexies, 4-septies, 4-octies e 4-novies, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, non ha comportato la sopravvenuta eliminazione di detto referente normativo. Il legislatore ha introdotto il principio “di riserva di codice” nella materia penale (articolo 3-bis c.p.), secondo l’indicazione contenuta nella Legge Delega 23 giugno 2017, n. 103 (articolo 1, comma 85, lettera q), volta all’abrogazione delle disposizioni di legge speciali disseminate nei testi normativi gia’ esistenti e alla riconduzione delle relative previsioni ad articoli esistenti o di nuova introduzione, inseriti nell’impianto codicistico. Nel caso in esame le medesime disposizioni contemplate dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-sexies (del quale restano in vigore i soli commi 4-ter e 4-quater) si rinvengono, senza alcuna modifica delle stesse sotto il profilo contenutistico, nell’articolo 240-bis c.p., mentre i richiami all’articolo 12-sexies, ove specificamente riguardanti il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, si intendono riferiti all’articolo 85-bis del medesimo decreto e, ove specificamente riguardanti il Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articolo 295, si intendono riferiti all’articolo 301, comma 5-bis, del medesimo decreto, disposizioni che rinviano al nuovo articolo 240 bis c.p..
Pertanto resta escluso che da tale operazione di razionalizzazione e riorganizzazione dei testi legislativi, contenenti la disciplina penale, possa discendere la pretesa conseguenza della sopravvenuta espunzione dall’ordinamento della disciplina della speciale confisca prevista dall’articolo 12-sexies per le condotte anteriori all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 21 del 2018 (6 aprile 2018), poiche’ la stessa, secondo un fenomeno di continuita’ normativa, e’ tuttora vigente ed efficace sotto la rubrica del menzionato articolo 240-bis c.p..
3.2.2 Tanto precisato e ribadito che, secondo la costante lezione interpretativa di questa Corte, i presupposti per l’adozione della misura cautelare reale funzionale all’adozione della confisca c.d. allargata, che prescinde dal requisito della pertinenzialita’ del bene rispetto al reato per cui si e’ proceduto, sono da individuarsi nella sussistenza del fumus del c.d. reato-spia e nell’esistenza di una sproporzione, oggetto di rigoroso accertamento, tra il reddito dichiarato dall’indagato o i proventi della sua attivita’ economica e il valore economico del bene da confiscare, il provvedimento impugnato si connota per la sua estrema genericita’, limitandosi a citare una massima estrapolata dalle sentenze di questa Corte, ma non esaminando in alcun modo il profilo della sproporzione.
Manca, dunque, per un verso la ricostruzione della consistenza economica e patrimoniale dell’indagato, anche nella sua dinamica cronologica, per altro verso le allegazioni difensive, circa la legittima accumulazione di risparmi compatibili con la capacita’ reddituale lecita dello (OMISSIS), sono state liquidate sbrigativamente, con argomenti non pertinenti (dunque con motivazione meramente apparente), quali la mancanza di una ragionevole spiegazione del perche’ i risparmi fossero custoditi in casa anziche’ presso un istituto di credito e l’assenza di riscontri in merito alla sussistenza di eventuali necessita’ della pronta disponibilita’ di una somma in contanti di cosi’ ingente consistenza.
4. Per le ragioni esposte il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Potenza, che procedera’ a nuovo esame attenendosi ai superiori rilievi, precisando la tipologia della misura reale richiesta dall’accusa e concretamente adottata, colmando le lacune ed emendando gli errori evidenziati, e dando in ogni caso risposta alle deduzioni difensive pertinenti.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Potenza, competente ex articolo 322 c.p.p..
Si da’ atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere relatore Dr. Saraceno Rosa Anna, e’ sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento alla firma dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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