In tema di rimedi nei confronti di soggetti detenuti o internati

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|25 marzo 2021| n. 11602.

In tema di rimedi nei confronti di soggetti detenuti o internati, previsti dall’art. 35-ter ord. pen, non costituisce trattamento inumano o degradante, rilevante ai sensi dell’art. 3 della CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, la mancata fruizione, da parte di un detenuto in regime detentivo differenziato, di due ore effettive d’aria per tutto l’arco della detenzione (nella specie, si trattava della fruizione di un’ora all’aria aperta e di un’ora di socialità), atteso che non ogni lesione astrattamente tutelabile con l’azione inibitoria di cui all’art. 35-bis ord. pen., può costituire la base giuridica per il riconoscimento dello speciale rimedio compensativo, ma solo quelle che sono idonee a provocare all’interessato uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione.

Sentenza|25 marzo 2021| n. 11602

Data udienza 27 gennaio 2021

Integrale
Tag – parola chiave: ISTITUTI DI PREVENZIONE E PENA – ISTITUTI DI PREVENZIONE E PENA (IN GENERE)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. SANDRINI Enrico Giusep – Consigliere

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere

Dott. GUERRA M. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 18/06/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Guerra Mariaemanuela;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Manuali Valentina, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 18/06/2020, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto nell’interesse di (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Viterbo con cui era stata respinta l’istanza ex articolo 35-ter O.P. volta ad ottenere, quale rimedio risarcitorio, la riduzione di un giorno ogni dieci di carcerazione sofferta in condizioni detentive inumani e degradanti, in violazione dell’articolo 3 della CEDU.
In particolare, il (OMISSIS), detenuto sottoposto al regime previsto dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 41-bis (Ord. pen.), lamentava la violazione del diritto alla salute a causa della mancata fruizione di due ore d’aria per tutto l’arco della detenzione espiata in regime differenziato presso la Casa Circondariale di Viterbo dal 2010 sino alla data della proposizione del reclamo, avendo beneficiato, infatti, solamente di una sola ora d’aria all’aperto e di un’ora di socialita’; a sostegno di tale richiesta produceva il referto degli esami ematochimici in data 15/02/2019 da cui risultava carenza di vitamina D.
Il Tribunale di sorveglianza motivava il rigetto evidenziando come il Magistrato di sorveglianza avesse correttamente mostrato l’assenza di prova alcuna del rapporto di causalita’ tra il tempo di esposizione al sole consentito al detenuto e la riduzione del livello di vitamina D nel sangue. Osservava che il (OMISSIS) ogni giorno ha facolta’ di scegliere se trascorrere due ore all’aria aperta o una all’aria aperta e una nella sala di socialita’, secondo quanto previsto dalla circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dei 2/10/2017.
Inoltre, sottolineava come la riduzione del livello di vitamina D accertata nel febbraio 2019 fosse stata estemporanea e superata con il ritorno a concentrazioni superiori al minimo in seguito alla somministrazione di terapia sostitutiva.
In definitiva, pertanto, non era emersa alcuna evidenza clinica che la riduzione menzionata abbia provocato un pregiudizio, anche temporaneo, alla salute del ristretto non essendo stata accertata alcuna carenza di ossificazione.
2. Avverso il predetto provvedimento propone ricorso per cassazione nell’interesse del (OMISSIS) il difensore di fiducia, avv. (OMISSIS) del foro di Roma, deducendo, con unico motivo, violazione ed erronea applicazione dell’articolo 35-ter Ord.pen., in relazione all’articolo 32 Cost e articolo 3 CEDU, nonche’ mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e).
2.1. In primo luogo, il ricorso contesta come l’affermazione del Tribunale di sorveglianza, secondo cui non vi sarebbe stata prova del nesso tra la carenza di vitamina D e la scarsa esposizione al sole del detenuto, non trova conferma in quelle che sono le evidenze scientifiche sulla vitamina D, essendo questa sintetizzata dal nostro organismo attraverso l’assorbimento dei raggi del sole operato dalla pelle; di conseguenza, una grave carenza della stessa e’ prova certa della riduzione di esposizione al soie.
2.2. In secondo luogo, deduce come la circostanza che l’accertata carenza di Vit. D – che i Giudici definivano “estemporanea” – sarebbe stata immediatamente superata mediante terapia sostitutiva, non eliminava di certo la violazione al diritto alla salute che era stata perpetrata dalla Amministrazione Penitenziaria nei confronti del (OMISSIS) sin dal 2010: il riconoscimento di una violazione dell’articolo 3 della CEDU, invero, non richiede che il pregiudizio sia attuale, bensi’ che si sia protratto per lungo tempo e che abbia raggiunto un certo livello di gravita’, anche se al momento della decisione del reclamo tale pregiudizio sia stato eliminato.
2.3. In terzo luogo, censura come l’interpretazione accolta dal Tribunale di sorveglianza sia superata dalla giurisprudenza di legittimita’ che, sin dal 2018, ha affermato che: “la permanenza all’aperto” non possa essere confusa con la fruizione della cd. socialita’, attesa la differente funzione dei due istituti, diretti, il primo, alla tutela della salute e ad assicurare il benessere psicofisico e, il secondo, a garantire il soddisfacimento delle esigenze e degli interessi culturali, relazionali e di trattamento.
Dunque, i due istituti non possono essere sovrapposti e l’ora di socialita’ non potrebbe essere considerata come una modalita’ di fruizione delle ore di permanenza all’aperto” (Cass. Pen., Sez. 1, n. 44609 del 27/06/2018). Infine, richiamava (allegandola al ricorso) una decisione adottata dal Tribunale di sorveglianza di Perugia, n. 154/2020, ignorata dal giudice di Roma al quale era stata prodotta in sede di reclamo, che aveva osservato “fino alla pronuncia della Suprema Corte, intervenuta in data 27.06.2018, puo’ riconoscersi all’Amministrazione Penitenziaria il beneficio del dubbio in quanto al fatto che l’interpretazione necessitata dal combinato disposto dell’articolo 41 bis, comma 2, lettera f) e articolo 10 L.P. fosse quella in ultimo declinata dal giudice di legittimita’. Successivamente alla sentenza n. 44609/2018 di buona fede non e’ dato ulteriormente discutere, e l’Amministrazione presta il fianco alla eventuale soccombenza nei procedimenti ex articolo 35 ter L.P. ove non fosse assicurata la fruizione dei passeggi – aria aperta – per due effettive ore al giorno, impregiudicata la socialita’ per la terza ora ormai prevista come un dato acquisito in forza della circolare DAP del 2 ottobre 2017”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo e’ infondato e, pertanto, il ricorso e’ da rigettare.
Va premesso che tutti profili addotti dal ricorso si prestano ad una trattazione unitaria, poiche’ sono sostanzialmente incentrati sulla questione della configurabilita’ di trattamento contrario all’articolo 3 CEDU nell’ipotesi di mancata fruizione da parte del detenuto in regime di 41-bis Ord. pen. di due ore effettive all’aria aperta.
1.1. In proposito, giova premettere che il comma 2-quater, lettera f), dell’articolo 41-bis, Ord. pen., cosi’ come introdotto dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, prescrive che i detenuti soggetti ai regime differenziato siano sottoposti a delle limitazioni della “permanenza all’aperto” non previste per gli altri ristretti; permanenza che non puo’ svolgersi in gruppi superiori a quattro persone e che deve avere una durata non superiore a due ore al giorno.
Rimane ferma, in ogni caso, la possibilita’ che il limite delle due ore sia modificato in senso piu’ favorevole dal regolamento interno di ogni istituto penitenziario, secondo quanto stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, articolo 36, comma 2, lettera e), (Reg. esec. Ord. pen.).
In merito a tale disciplina, Questa Corte ha affermato i seguenti condivisibili principi di diritto che questo Collegio intende ribadire.
In primo luogo, si e’ precisato che la “permanenza all’aperto” non puo’ consistere in una mera permanenza al di fuori della cella (nella specie nelle sale di biblioteca, palestra ecc.), dovendo essa svolgersi, secondo la previsione dell’articolo 16 Reg. esec. Ord. pen., all’aria aperta. (Sez. 1, Sentenza n. 44609 del 27/06/2018, C., Rv. 274026). In particolare, detta nozione non puo’ essere confusa con la fruizione della cd. socialita’, prevista dalla L. n. 354 del 1975, articoli 5 e 12, attesa la differente funzione dei due istituti, diretti, il primo, alla tutela della salute e ad assicurare il benessere psicofisico e, il secondo, a garantire il soddisfacimento delle esigenze e degli interessi culturali, relazionali e di trattamento. Da sempre, infatti, la c.d. socialita’, indica il tempo da trascorrere in compagnia all’infuori delle attivita’ di lavoro o di studio: la socialita’, quindi, viene fatta nelle stanze detentive, all’ora dei pasti (riunendosi in piccoli gruppi), oppure nelle apposite “salette”.
Dunque, si tratta di due situazioni non sovrapponibili e l’ora di socialita’ non puo’ essere considerata come una modalita’ di fruizione delle ore di permanenza all’aperto. Cio’ anche sulla base del dato letterale, che rimanda all’aria aperta e non certo alla presenza fuori dalla camera di detenzione, oltre che dall’argomento sistematico costituito dal fatto che l’articolo 10 Ord. pen., che costituisce la norma di riferimento, definisce la permanenza all’aperto come permanenza all’aria aperta, come chiarito anche dall’articolo 16 del Reg. esec. Ord. pen., che a tale disposizione da’ attuazione, prevedendo, al comma 2, che in quei frangenti vengano utilizzati “spazi all’aperto”, se possibile non interclusi tra fabbricati, ma in luoghi maggiormente esposti all’aria e alla luce, venendo la permanenza assicurata per periodi adeguati, anche attraverso le valutazioni dei servizi sanitario e psicologico.
Di conseguenza, le disposizioni contenute nella circolare del D.A.P. del 2/10/2017 e nei regolamenti di istituto, che prevedono una sostanziale equiparazione tra la permanenza all’aperto e la cd. socialita’, stabilendo un limite massimo unico di due ore giornaliere, sono da ritenere illegittime in quanto costituiscono erronea applicazione del dettato normativo, come sopra interpretato (tra le altre, Sez. 1, n. 17580 del 28/02/2019, Nizza, RV 275333; Sez. 1, n. 44609 del 27/6/2018, C., Rv. 274026; Sez. 1, n. 40760 dell’8/6/2018, Schiavone).
Tale situazione, peraltro, deve anche confrontarsi con la novella apportata al Decreto Legislativo 2 ottobre 2018, n. 123, articolo 10 (Riforma dell’ordinamento penitenziario, in attuazione della delega di cui alla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettera a), d), i), l), m), o), r), t) e u)), a cui rimanda l’articolo 41-bis, comma 4-quater, lett f) Ord. pen., che ha aumentato le ore di permanenza all’aperto per i detenuti a regime “ordinario”, portandole da due a quattro, ed anche nei casi eccezionali (con specifica decisione del direttore dell’istituto che viene comunicata al magistrato di sorveglianza), garantisce almeno 2 ore d’aria (diversamente da quanto previsto in precedenza, che legittimava per ragioni eccezionali la riduzione sino ad un’ora).
L’articolo 41-bis, pertanto, rinvia ad un limite quantitativo che attualmente non puo’ scendere sotto le due ore, conformemente alla previsione contenuta nell’articolo 14-ter, comma 4, Ord. pen., che rappresenta uno dei piu’ significativi riferimenti normativi ai quali avere riguardo nel definire le regole del trattamento oggetto di sospensione anche nel regime differenziato ai sensi dell’articolo 41-bis Ord. pen. Infatti, l’articolo 14-quater, comma 4, Ord. pen., nell’indicare gli ambiti della vita carceraria che non possono essere incisi dal regime di sorveglianza particolare, fa espresso riferimento, mutuando l’espressione utilizzata dall’articolo 10 Ord. pen., alla “permanenza all’aperto per almeno due ore al giorno”, con cio’ chiarendo che il limite minimo, e’ costituito da due ore all’aria aperta.
2. Tutto cio’ premesso, rimane da valutare se tale violazione integri un trattamento contrario all’articolo 3 CEDU, tale giustificare il riconoscimento del rimedio risarcitorio speciale di cui all’articolo 35-ter Ord. pen., secondo la richiesta del ricorrente.
3. Deve premettersi, infatti, che, grazie ai provvedimenti legislativi degli anni 2013 e 2014, l’attuale disciplina a tutela dei diritti dei soggetti ristretti, e’ stata rafforzata concretizzandosi in due azioni, autonome e complementari, disciplinate, rispettivamente, agli articoli 35-bis e 35-ter Ord. Pen., che consentono al detenuto di essere, ad un tempo, sottratto in modo tempestivo ad una condizione detentiva contraria al senso di umanita’ – per effetto di un intervento di tipo preventivo-inibitorio, con possibilita’ di esecuzione coattiva, in base all’articolo 35-bis – e, dall’altro, di conseguire un ristoro per la violazione gia’ subita, grazie alla tutela risarcitorio-compensativa di cui all’articolo 35-ter.
L’essenziale caratteristica di quest’ultima disposizione e’ di aver innovativamente introdotto rimedi di tipo compensativo/risarcitorio, con estensione dei poteri di verifica e di intervento del magistrato di sorveglianza, allo scopo di rafforzare gli strumenti tesi alla riaffermazione della legalita’ della detenzione; si tratta, in sostanza, di misure che rappresentano un quid pluris rispetto al previgente sistema di tutele, essenzialmente incentrato sul potere del magistrato di sorveglianza di inibire la prosecuzione dell’attivita’ contra legem, in ottemperanza al monito derivante dalla Corte EDU di introdurre ricorsi tali “che le violazioni dei diritti tratti dalla Convenzione possano essere riparate in maniera realmente effettiva” (Corte EDU, 8/01/2013, Torreggiani ed altri c. Italia, §98).
Ebbene, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, una situazione non conforme all’articolo 3 CEDU, che legittima il ricorso ai rimedi di cui all’articolo 35-ter Ord. pen, deve concretizzarsi in un “fatto” che denoti un livello di gravita’ tale da poterlo recuperare ad una afflittivita’ assolutamente non giustificata e che risulta non tollerabile nel comune sentire e in una condizione “civile” di vita del detenuto. (cosi’, in motivazione, SU, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Commisso; tra le altre, Sez. 1, n. 20985 del 23/06/2020, Biondino, Rv. 279220; Sez. 1, n. 14258 del 23/01/2020, Inserra, Rv. 278898;).
Va, quindi, ribadito che non ogni lesione astrattamente tutelabile con l’azione inibitoria, di cui all’articolo 35-bis Ord. pen., puo’ costituire la base giuridica per il riconoscimento dello speciale rimedio compensativo di cui all’articolo 35-ter Ord. pen.: perche’ ricorrano le condizioni di applicabilita’ de4 questi ultimi rimedi le modalita’ di esecuzione della restrizione in carcere devono provocare all’interessato uno sconforto e un’afflizione di intensita’ tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione. Cio’, coerentemente con il criterio della cd. “soglia minima di gravita’”, costantemente utilizzato dalla Corte EDU per selezionare le condotte messe al bando dall’articolo 3 CEDU (Corte EDU, 8/02/2006, Alver c. Estonia, § 49; Valaainas v. Lithuania, 24/07/2001, § 101; Tellissi c. Italia, 5/03/2013, § 47.). Ed invero, come costantemente rimarcato dalla Corte Europea, il carattere assoluto della proibizione sancita dalla norma convenzionale – che appartiene al cd. “nocciolo duro” della Convenzione – impone all’interprete di ritenerne sussistente la violazione solo a fronte delle forme piu’ gravi di mistreatments, onde evitare una “banalizzazione” della stessa (Corte EDU, 22/04/2010, Sevastyanov c. Russia; Corte EDU, 25/03/2010, Mutlag c. Germania).
Per rientrare nel raggio d’azione dell’articolo 3 CEDU, pertanto, la valutazione della soglia anzidetta e’ per sua essenza relativa, in quanto dipende dall’insieme delle circostanze della fattispecie e, in particolare, dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e psichici, oltre che, a volte, dal sesso, dall’eta’, dallo stato di salute delle vittime (tra le tante, Corte EDU, GC, 22/05/2012, Idalov c. Russia, § 91; Corte EDU, GC, 11/07/2006 Jalloh c. Germania, § 67; Corte EDU, Kalachnikov c. Russia, 15/20/ 2002, § 95; Corte EDU, 10/07/2001, Price c. Regno Unito, § 24; Corte EDU, Selmouni c. Francia 28/07/1999; Corte EDU, Tekin c. Turchia 9/06/1998; Corte EDU, GC, 18/01/1978, Irlanda c. Regno Unito, § 162).
Quanto premesso fa intendere come l’apprezzamento di un determinato comportamento e della sua portata lesivo-afflittiva, verso i diritti del detenuto e verso i divieti di trattamenti inumani e degradanti, si apprezzi attraverso una valutazione concreta della complessiva condizione di detenzione.
Ebbene, nel caso in esame il ricorso, accanto alla censura legata alla mancata fruizione di due ore effettive all’aria aperta, non segnala altre circostanze trattamentali che abbiano trasformato ipso facto la detenzione in una condizione di degrado o inumana da equiparare ad una delle categorie di cui all’articolo 3 CEDU.
Quanto alla riduzione della concentrazione di vitamina D, e’ da rilevare che in seguito all’esito degli accertamenti ematochimici del 15 febbraio 2019, l’Amministrazione e’ intervenuta tempestivamente con adeguata terapia sostitutiva che ha riportati in breve tempo i valori entro i limiti (v. referti del 26 aprile 2019, 14 giugno 2019, 23 gennaio 2020), ne’ viene documentata alcuna specifica situazione di compromissione dello stato di salute del ricorrente derivante dalla mancata fruizione di adeguate ore di permanenza all’aperto (Sez. 1, n. 20985 del 23/06/2020, Biondino, che ha, puntualizzato: “Compete, infatti, al detenuto allegare la natura e tipologia del trattamento inumano e degradante che ritiene di avere subito”).
Correttamente, pertanto, il provvedimento impugnato ha rilevato come non emergesse alcuna evidenza clinica di lesione alla salute sofferta dal reclamante, ne’ e’ stato dedotto che dalla limitazione subita sia derivata una sofferenza fisica o psichica intollerabile, con umiliazione e sofferenza aggiuntiva per il detenuto, integrante i presupposti di applicabilita’ dell’articolo 35-ter Ord. pen..
3 Dal rigetto del ricorso deriva, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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