In tema di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|14 aprile 2021| n. 14008.

In tema di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ove ricorra la circostanza aggravante di cui all’art. 12, comma 3-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per essere stati commessi plurimi fatti di quelli previsti dalla ipotesi aggravata di cui al precedente comma 3, il divieto di bilanciamento con le circostanze attenuanti si estende anche a quest’ultima aggravante, in ragione del preciso ordine di applicazione delle circostanze dettato dal successivo comma 3-quater.

Sentenza|14 aprile 2021| n. 14008

Data udienza 8 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: EMIGRAZIONE ED IMMIGRAZIONE – STRANIERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/12/2019 della Corte di assise di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Michele Romano;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte di cassazione – Sez. 1, n. 38612 del 2019 – della sentenza della Corte di assise di appello di Brescia del 12 gennaio 2018, ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Brescia del 28 marzo 2017, come gia’ modificata dalla sentenza della Corte di assise di appello di Brescia sopra indicata.
1.1. Il Giudice per l’udienza preliminare, all’esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il concorso nel reato continuato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 1, con le aggravanti di cui al comma 3, lettera a) e d), comma 3-bis e comma 3-ter, lettera c), per avere in piu’ occasioni, descritte ai sottocapi G2) e G4), effettuato il trasporto di extracomunitari nel territorio dello Stato e di aver loro procurato illegalmente l’ingresso nel territorio italiano o di altri Stati di cui essi non erano cittadini e di cui non avevano titolo di residenza permanente e lo ha condannato, ritenuta la continuazione tra i reati ed applicate le circostanze attenuanti generiche e la diminuzione di pena per la scelta del rito, alla pena di anni tre, mesi otto di reclusione ed Euro 90.000,00 di multa cosi’ determinata, considerato pure il divieto di bilanciamento tra circostanze di cui all’articolo 12, comma 3-quater: pena per il piu’ grave reato di cui al sottocapo G4) di anni otto di reclusione ed Euro 175.000,00 di multa, considerata la doppia aggravante, ridotta per le attenuanti generiche ad anni cinque, mesi quattro di reclusione ed Euro 120.000,00 di multa, aumentata per la continuazione ad anni cinque e mesi sei di reclusione ed Euro 135.000,00 e poi ridotta per la scelta del rito.
1.2. La Corte di assise di appello di Brescia ha ritenuto eccessiva la pena inflitta a (OMISSIS) e l’ha ridotta ad anni tre, mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 86.000,00 di multa cosi’ determinata: pena base per il delitto di cui al capo G4) pari ad anni cinque ed Euro 105.000,00 di multa, aumentata ai sensi del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-bis ad anni cinque e mesi tre di reclusione ed Euro 115.000,00 di multa, ulteriormente aumentata ai sensi del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-ter ad anni sette di reclusione ed Euro 175.000,00 di multa, poi ridotta per le circostanze attenuanti generiche ad anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 116.000,00 di multa, aumentata per la continuazione ad anni quattro, mesi dieci di reclusione ed Euro 129.000,00 di multa e poi ulteriormente ridotta per la scelta del rito.
1.3. Questa Corte di cassazione, con la sentenza n. 38612 del 16 maggio 2019, ha accolto il motivo di ricorso di (OMISSIS) che aveva dedotto che erroneamente la Corte di assise di appello aveva applicato nei suoi confronti l’aggravante di cui all’articolo 12, comma 3-bis, in relazione al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera a), in quanto, avendo il giudice di secondo grado accolto il motivo di appello, dedotto dal coimputato (OMISSIS), volto ad escludere la sussistenza dell’ipotesi di cui alla citata lettera a), non essendo stato dimostrato l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di cinque persone, l’aggravante, avendo natura oggettiva, doveva essere esclusa nei confronti di tutti i coimputati, incluso lo stesso (OMISSIS), per via dell’effetto estensivo di cui all’articolo 587 c.p.p., comma 1.
Ha, quindi, escluso le aggravanti di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lettera a), e comma 3-bis e ha rinviato per la determinazione della pena alla Corte di assise di appello di Milano.
1.4. La Corte di assise di appello di Milano, decidendo quale giudice di rinvio, ha rideterminato la pena in anni tre, mese uno e giorni dieci di reclusione ed Euro 52.000,00 di multa cosi’ determinata: pena base per il delitto di cui al capo G4) pari ad anni cinque di reclusione ed Euro 60.000,00 di multa, aumentata ai sensi del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-ter ad anni sei e mesi nove di reclusione ed Euro 100.000,00 di multa, poi ridotta per le circostanze attenuanti generiche ad anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 66.000,00 di multa, aumentata per la continuazione ad anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 78.000,00 di multa e poi ulteriormente ridotta per la scelta del rito.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, e contestualmente chiede di sollevare questione di legittimita’ costituzionale del citato articolo 12, comma 3-ter, per contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost..
2.1.1. Evidenzia il ricorrente che per effetto della precedente sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte di cassazione residua solo una delle ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, oltre all’aggravante di cui al comma 3-ter. Fermo il divieto di bilanciamento delle attenuanti con l’aggravante di cui al comma 3-ter, l’aggravante di cui al comma 3, lettera d), del citato articolo 12 poteva essere ritenuta anche subvalente rispetto alle attenuanti generiche e conseguentemente avrebbe dovuto escludersi anche il relativo aumento di pena.
La pena doveva, quindi, in caso di prevalenza o equivalenza delle attenuanti generiche su detta aggravante, essere determinata partendo dalla pena base per l’articolo 12, comma 1, essere aumentata per effetto dell’aggravante di cui al comma 3-ter e poi eventualmente diminuita per effetto delle attenuanti generiche se prevalenti.
Diversamente ragionando, la Corte di cassazione ben avrebbe potuto determinare direttamente la pena elidendo l’aumento di pena per le aggravanti che erano state escluse; il rinvio trovava giustificazione nella necessita’ di operare il giudizio di bilanciamento, non consentito in sede di legittimita’.
2.1.2. Quanto all’aggravante di cui al comma 3-ter, che e’ stata applicata perche’ il reato e’ stato commesso a scopo di profitto, il ricorrente evidenzia che essa determina un considerevole aggravamento del trattamento sanzionatorio, comportando un aumento di pena da un terzo alla meta’ ed escludendo il giudizio di bilanciamento con le attenuanti diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 c.p., il che appare irragionevole, atteso che solo lo scopo di lucro puo’ indurre un soggetto a commettere il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, esponendosi alle gravi pene per esso previste.
In particolare, e’ ingiustificato equiparare k) scopo di lucro alla finalita’, pure prevista dal citato comma 3-ter, di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale o lavorativo oppure di favorire l’ingresso di minori da destinare ad attivita’ illecite al fine di favorirne lo sfruttamento. Tale equiparazione e’ insensata anche nell’ottica della finalita’ rieducativa della pena.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza di motivazione in ordine all’entita’ della riduzione di pena in conseguenza dell’esclusione dell’aggravante di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-bis.
Sulla base del calcolo del trattamento sanzionatorio operato dal giudice di secondo grado, l’aggravante di cui al comma 3-bis aveva comportato un aumento della pena base pari, quanto alla pena detentiva, a mesi tre di reclusione.
L’esclusione dell’aggravante disposto dalla Corte di cassazione, sostiene il ricorrente, avrebbe dovuto comportare una pari riduzione di pena. La pena fissata dalla Corte di assise di appello di Milano era, invece, inferiore rispetto a quella indicata nella sentenza di appello di soli mesi uno e giorni dieci di reclusione, senza che in ordine a tale differenza sia stata fornita alcuna motivazione, se non un generico richiamo ai criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed alle prospettive di rieducazione della pena.
In particolare, neppure viene motivato il sensibile aumento di pena operato per l’aggravante di cui al Decreto Legislativo citato, articolo 12, comma 3-ter.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 40982 del 21 giugno 2018, Mizanur, Rv. 273937, oltre a sancire il principio di diritto secondo il quale le fattispecie previste nel Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo, hanno affermato: “L’applicazione dell’articolo 69 c.p. comportera’, come gia’ premesso, una piu’ ampia discrezionalita’ per il giudice del merito nella quantificazione della pena.
In caso di riconoscimento di attenuanti, l’aggravante del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3, se ricorrera’ soltanto una delle cinque ipotesi in essa contemplata, potra’ essere ritenuta prevalente, equivalente o subvalente rispetto alle attenuanti: nel primo caso, la pena sara’ calcolata sulla base di quanto indicato nella norma, nel secondo sulla base di quanto stabilito dal comma 1, mentre nel terzo la pena edittale prevista dal comma 1 potra’ essere ulteriormente ridotta. Nel caso in cui ricorrano due o piu’ ipotesi previste dal comma 3 e sussista, quindi, l’aggravante di cui al comma 3-bis, il giudice non potra’ procedere a bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 c.p. in forza del divieto del comma 3-quater: pertanto, determinera’ la pena base alla luce dei limiti edittali indicati dal comma 3 (reclusione da cinque a quindici anni e multa di 15.000 Euro per ogni straniero), la aumentera’ fino ad un terzo in ragione dell’aggravante di cui al comma 3-bis e sulla pena cosi’ determinata operera’ le riduzioni per le attenuanti riconosciute (tra cui quella prevista dal Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-quinquies soggetta anch’essa al divieto di bilanciamento). In sostanza, la ricorrenza dell’aggravante di cui al comma 3-bis sottrae al bilanciamento tra le circostanze anche quella del comma 3: benche’ per il divieto di bilanciamento dettato dal comma 3-quater siano menzionate soltanto “le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter”, e non quella di cui al comma 3, la norma stabilisce un preciso ordine per l’applicazione delle circostanze: “le diminuzioni di pena si operano sulla quantita’ di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti”. Se si ritenesse che, in presenza delle aggravanti di cui ai commi 3 e 3-bis, il giudice possa prima operare il bilanciamento tra l’aggravante di cui al comma 3 ed eventuali attenuanti e dopo operare l’aumento previsto dall’aggravante di cui al comma 3-bis, questo ordine dettato dal legislatore verrebbe sempre disapplicato: un’interpretazione abrogatrice della previsione normativa, come tale inammissibile. Il divieto di bilanciamento (con le eccezioni gia’ menzionate) vige anche nel caso ricorra l’aggravante di cui al comma 3-ter; essa puo’ trovare applicazione sia con riferimento ai fatti di cui al comma 1 che con riferimento ai fatti di cui al comma 3. Nel primo caso, il giudice determinera’ la pena base aumentando da un terzo alla meta’ la pena detentiva prevista dal comma 1 e applicando la multa di Euro 25.000 per ogni persona; su questa pena base calcolera’ le diminuzioni per le eventuali attenuanti. Se, invece, l’aggravante concerne i fatti di cui al comma 3, il giudice aumentera’ da un terzo alla meta’ la pena detentiva prevista dal comma 3 e applichera’ la multa di Euro 25.000 per ogni persona, calcolando, poi, sulla pena ottenuta, le diminuzioni per le eventuali attenuanti; non potra’, invece, per le ragioni gia’ esposte, effettuare il bilanciamento tra l’aggravante di cui al comma 3 ed eventuali attenuanti. La lettera del comma 3-ter comporta una deroga al principio generale stabilito dall’articolo 63 c.p., comma 4, in base al quale, se ricorrono piu’ circostanze aggravanti ad effetto speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza piu’ grave ma il giudice puo’ aumentarla: sia quella del comma 3 che quella del comma 3-ter sono aggravanti ad effetto speciale, ma, in conseguenza della previsione contenuta nella seconda, si applicano entrambi gli aumenti da esse previste (sulla tematica, in relazione alla concorrenza tra le aggravanti di cui all’articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6, Sez. U, n. 38518 del 27/11/2014, dep. 2015, Ventrici, Rv. 264674). In caso di ricorrenza delle aggravanti di cui ai commi 3, 3-bis e 3-ter, fermo restando il divieto di bilanciamento, il giudice, in forza del comma 3-ter, aumentera’ da un terzo alla meta’ la pena detentiva edittale prevista dal comma 3 e applichera’ la multa di Euro 25.000 per ogni persona; sulla pena cosi’ ottenuta applichera’ l’aumento di cui al comma 3-bis e, infine, operera’ le diminuzioni in forza delle eventuali attenuanti. Trova applicazione il principio generale dell’articolo 63 c.p., comma 3, in forza del quale l’aumento di pena per le circostanze aggravanti ordinarie (come quella del comma 3-bis) viene operato per ultimo sulla pena determinata in forza delle circostanze aggravanti ad effetto speciale”.
Sulla base del chiaro tenore della sentenza sopra citata, laddove, come nel caso di specie, sia applicabile l’aggravante di cui al comma 3-ter, il divieto di bilanciamento opera non solo rispetto a tale aggravante, ma pure in relazione a quella di cui al comma 3, qualora, come nel caso che ci occupa, ricorra solo una delle ipotesi previste da detta disposizione.
La Corte di assise di appello di Milano ha quindi fatto corretta applicazione di detto principio, applicando dapprima gli aumenti per le aggravanti e poi la diminuzione per le attenuanti.
2. Anche il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
2.1. Manifestamente infondata e’ la eccezione di illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 3-ter, in quanto l’esclusione del bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti si fonda sul legittimo esercizio della discrezionalita’ del legislatore, che ha ritenuto di sanzionare maggiormente quelle ipotesi in cui il delitto venga attuato allo scopo di trarre profitto dalle condizioni in cui versano i soggetti extracomunitari immigrati clandestinamente.
2.2. Manifestamente infondata e’ anche la doglianza relativa alla mancanza di motivazione in ordine all’ammontare della diminuzione di pena conseguente alla esclus4-ie dell’aggravante di cui al Decreto Legislativo citato, articolo 12, comma 3-bis.
Basti osservare che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la riduzione di pena, rispetto al trattamento sanzionatorio fissato nella sentenza di secondo grado oggetto del precedente annullamento, e’ esattamente pari all’aumento di pena applicato con la sentenza della Corte di assise di appello di Brescia per effetto dell’applicazione dell’aggravante poi esclusa dalla Corte di cassazione.
Infatti, e’ ben vero che la pena base di cui al citato articolo 12, comma 3 e’ stata aumentata, per detta aggravante, di tre mesi di pena detentiva, ma il quantum di aumento cosi’ determinato aveva poi subito due riduzioni di un terzo, la prima per effetto delle circostanze attenuanti generiche (che hanno determinato la riduzione di detto aumento a mesi due di reclusione) e la seconda per effetto della diminuzione di pena connessa alla scelta del rito (con conseguente ulteriore riduzione di detto aumento a mese uno e giorni dieci).
Essendosi la Corte di assise di appello limitata ad elidere le conseguenze dell’applicazione dell’aggravante che e’ stata esclusa dalla precedente sentenza di Cassazione, senza incidere sulle altre componenti del calcolo sulla base del quale la Corte di assise di appello di Brescia ha determinato il trattamento sanzionatorio, e non avendo il (OMISSIS) proposto alcun motivo di ricorso avverso dette diverse componenti, il motivo di ricorso e’ assolutamente infondato, non avendo il giudice del rinvio un particolare obbligo di motivazione.
In ogni caso, essendo la pena stata fissata in misura estremamente contenuta, tenuto conto delle misura in cui e’ stata fissata la pena base, pari al minimo edittale, e sono stati fissati in misura minima l’aumento per l’aggravante di cui al comma 3-ter e nella massima estensione la diminuzione per le attenuanti generiche, la Corte di assise di appello ben poteva limitarsi, come ha fatto, ad un generico richiamo ai criteri di cui all’articolo 133 c.p..
3. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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