In tema di reato continuato

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 26 giugno 2020, n. 19366.

Massima estrapolata:

In tema di reato continuato, il giudizio circa la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche, anche se fondato solo su elementi di natura soggettiva, può essere riferito ai singoli episodi criminosi e non necessariamente esteso in via automatica ed in modo indistinto a tutti i reati uniti dal vincolo della continuazione. (Fattispecie relativa alla applicazione delle circostanze attenuanti generiche, da parte del giudice di rinvio, al solo reato più grave, in ragione dell’intensità del dolo dei reati satellite, in cui la Corte ha precisato che, dovendo limitarsi il controllo di legittimità alla sola tenuta argomentativa della motivazione, non è consentito sovrapporre una presunzione assoluta alla decisione di merito).

Sentenza 26 giugno 2020, n. 19366

Data udienza 8 giugno 2020

Tag – parola chiave: Omicidio – Determinazione della pena – Attenuanti generiche – Attenuante della provocazione – Continuazione – Divieto di reformatio in peius – Applicazione alla pena complessiva ed ai singoli elementi – Reato continuato – Rilevanza dei reati satellite e relative circostanze nella determinazione della pena – Autonomia

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/0L/2019 della Corte di Assise di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Elisabetta Morosini;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cesqui Elisabetta, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dei difensori delle parti civili, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), che hanno chiesto il rigetto del ricorso e la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute come da note che hanno depositato;
lette le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio, ha parzialmente riformato in punto di circostanze e di trattamento sanzionatorio la sentenza del 9 aprile 2015 con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato alla pena di anni diciotto di reclusione (OMISSIS) per l’uccisione di (OMISSIS), contro cui esplodeva almeno due colpi di pistola calibro 38 special che colpivano la vittima al capo e all’emitorace sinistro (capo A), nonche’ per la detenzione e porto illeciti (“continuati” fino al giorno dell’omicidio, 16 giugno 2014) di una pistola calibro 38 special, con relativo caricatore e munizionamento, acquistati al mercato clandestino nel precedente mese di maggio (capo B).
1.1. Il Giudice di primo grado aveva determinato la pena di anni diciotto di reclusione, muovendo dalla pena base di anni ventiquattro di reclusione per il reato piu’ grave di cui al capo A), aumentata ad anni ventisette per la continuazione con i reati di cui al capo B), poi ridotta per la scelta del rito.
1.2. Con sentenza del 7 ottobre 2016 la prima Corte di Assise di appello, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, aveva ridotto la pena ad anni sedici di reclusione, partendo da una pena base di anni ventiquattro di reclusione, diminuita ad anni ventuno ex articolo 62-bis c.p., aumentata ad anni ventiquattro di reclusione per la continuazione, infine ridotta per il rito.
1.3. La prima sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 51154 del 12 ottobre 2017, depositata nel 2018, in accoglimento del secondo motivo di ricorso proposto dall’imputato, ha annullato con rinvio la pronuncia di appello limitatamente al diniego della circostanza attenuante della provocazione. La medesima Corte ha ritenuto assorbito, “e non precluso”, il terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente aveva denunciato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena base nel massimo edittale; al diniego delle attenuanti generiche nella massima estensione; all’aumento per la continuazione rimasto immutato nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche.
1.4. Con la sentenza qui impugnata il giudice di rinvio, oltre alle gia’ concesse circostanze di cui all’articolo 62-bis c.p., ha riconosciuto in favore dell’imputato l’attenuante della provocazione e ha ridotto la pena ad anni quattordici di reclusione, muovendo da una pena base di anni ventitre’ per il capo A), ridotta ad anni venti per l’attenuante della provocazione e poi ad anni diciotto di reclusione per le attenuanti generiche, quindi aumentando la pena ad anni ventuno di reclusione per la continuazione con i reati di cui al capo B) e infine operando la riduzione per la scelta del rito.
2. Propone ricorso l’imputato, tramite il difensore, articolando due motivi.
2.1. Con il primo denuncia violazione dell’articolo 597 c.p.p., comma 3 e articolo 627 c.p.p., comma 3, in relazione all’entita’ della riduzione di pena applicata per le circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente deduce che nella prima sentenza di appello la riduzione di pena per le attenuanti generiche era stata computata in anni tre di reclusione mentre il giudice di rinvio aveva applicato, al medesimo titolo, solo una diminuzione pari ad anni due, incorrendo nella violazione del divieto di reformatio in peius che attiene non solo all’entita’ complessiva della pena, ma anche ai singoli elementi che concorrono alla sua determinazione.
Sostiene, citando un precedente delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C, Rv. 258652), che il divieto di reformatio in peius opera anche nel giudizio di rinvio e con riferimento alla decisione del giudice di appello se il ricorso per cassazione e’ stato proposto dall’imputato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione anche in relazione alla determinazione della pena base, alla mancata applicazione della massima riduzione di pena per le circostanze attenuanti (provocazione e generiche), all’eccessivo aumento per la continuazione.
2.2.1. Per giustificare il trattamento sanzionatorio la Corte di assise di appello ha evidenziato che (OMISSIS) aveva deciso di armarsi e portare con se’ la pistola, anziche’ denunciare le vessazioni subite ad opera della vittima, cosicche’ la condotta e la personalita’ dell’imputato non potevano essere valutate in termini esclusivamente positivi.
Tale argomento, sostiene il ricorrente, e’ inidoneo a sorreggere l’applicazione di una pena in misura prossima al massimo edittale e contrasta con le altre parti della motivazione della sentenza.
In particolare, da un lato si afferma che la misura della pena base deve collocarsi in prossimita’ del massimo perche’ (OMISSIS) avrebbe potuto allontanarsi piuttosto che colpire la vittima, mentre, in altra parte della sentenza, si da’ atto che, la notte del fatto, (OMISSIS) e la sua compagna avevano piu’ volte tentato di evitare l’incontro con il (OMISSIS) e che (OMISSIS) era stato costretto ad arrestare la marcia del suo veicolo perche’ (OMISSIS) gli si era parato davanti. Ancora, l’affermazione secondo la quale (OMISSIS), pur giovane e incensurato, avendo deciso di armarsi, aveva manifestato una significativa propensione a delinquere contrasta con le ragioni poste a base del riconoscimento della provocazione.
L’azione delittuosa non era derivata da una inclinazione a delinquere del (OMISSIS), sicche’ erano ingiustificate sia l’applicazione di una pena base tanto elevata sia l’applicazione di una diminuzione per le attenuanti generiche in misura ridotta rispetto a quella massima consentita.
Inoltre la Corte, facendo riferimento al porto abusivo dell’arma per giustificare la pena base per il reato di omicidio, duplicava il disvalore del delitto relativo all’arma, che veniva considerato sia per l’aumento per la continuazione, sia per la quantificazione della pena per il reato di omicidio.
2.2.2. La Corte di Assise di appello, in sede di rinvio, ha ridotto la pena per il delitto di omicidio, dunque conseguentemente avrebbe dovuto ridurre l’aumento di pena per la continuazione. L’aumento era pari ad una frazione della pena per il reato piu’ grave. Essendo questa stata diminuita, doveva essere ridotto in misura proporzionale anche l’aumento di pena per la continuazione.
La Corte di Assise di appello, invece, aveva mantenuto fermo in tre anni di reclusione l’aumento per la continuazione ed esso era pari ad una frazione della pena base maggiore rispetto a quella applicata con la sentenza oggetto di precedente annullamento.
2.2.3. Ancora, la Corte di Assise di appello avrebbe dovuto applicare le circostanze attenuanti generiche anche al reato di porto abusivo di arma e ridurre l’aumento di pena per la continuazione.
3. Nessuna delle parti ha avanzato richiesta di discussione orale, dunque il presente processo segue il cd. “rito scritto” ai sensi del Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, comma 12-ter, convertito con L. n. 27 del 2020.
4. Il Procuratore generale ha trasmesso, tramite posta elettronica certificata, la propria requisitoria scritta con la quale ha concluso articolatamente chiedendo il rigetto del ricorso.
5. Il difensore dell’imputato ha trasmesso, tramite posta elettronica certificata, una memoria di replica, con la quale insiste nell’accoglimento del ricorso, confutando gli argomenti addotti dal Procuratore generale. In particolare segnala l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’ sul tema del divieto di reformatio in peius; evidenzia che le pronunce della Corte di cassazione citate dalla parte pubblica concernono casi differenti da quello qui in esame; precisa che, come stabilito dalle Sezioni Unite nella sentenza Morales William, il limite stabilito dal divieto di reformatio in peius si riferisce non solo alla pena complessiva, ma anche ai singoli elementi che la compongono, sicche’ la diminuzione operata per le circostanze attenuanti generiche (anni tre di reclusione) non puo’ essere ridotta ad anni due (come invece ha fatto il giudice di rinvio).
6. I difensori delle parti civili hanno trasmesso, a loro volta, tramite posta elettronica certificata, conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione, in loro favore, delle spese processuali come da nota che hanno allegato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Per un corretto inquadramento della fattispecie concreta si rende utile ripercorrere, in modo schematico, gli esiti dei vari gradi di giudizio sul trattamento sanzionatorio.
2.1. Il giudice per l’udienza preliminare, escludendo qualsiasi circostanza attenuante, ha applicato la pena di anni diciotto di reclusione cosi’ determinata:
– pena base per il reato piu’ grave di omicidio volontario (capo A): anni ventiquattro di reclusione;
– aumentata (di anni tre) ad anni ventisette di reclusione per tutti gli episodi di detenzione e porto illeciti di arma comune da sparo commessi dal (OMISSIS) contestati al capo B);
– come sopra ridotta per il rito.
2.2. La Corte di Assise di appello, nella prima sentenza, poi annullata in parte qua, ha riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche ed ha rideterminato la pena in anni sedici di reclusione, cosi’ calcolata:
– pena base per il reato di omicidio: anni ventiquattro di reclusione (immutata rispetto al grado precedente);
– diminuita (di tre anni) ad anni ventuno di reclusione ex articolo 62-bis c.p.;
– aumentata (di anni tre) ad anni ventiquattro di reclusione per la continuazione;
– come sopra ridotta per la scelta del rito.
2.3. La prima sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 51154 del 12 ottobre 2017, depositata nel 2018, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, ha annullato la pronuncia di appello ravvisando un vizio di motivazione in punto di diniego della circostanza attenuante della provocazione.
2.4. Il giudice di rinvio ha riconosciuto la circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 2, ha ridotto inoltre l’entita’ della pena base, giungendo alla applicazione della pena finale di anni quattordici di reclusione, cosi’ determinata:
– anni ventitre’ di reclusione (pena diminuita rispetto ai ventiquattro anni inflitti dal giudice di primo grado);
– ridotta (di anni tre) ad anni venti di reclusione per l’attenuante della provocazione;
– ulteriormente ridotta (di anni due e non piu’ di anni tre come nel primo giudizio di appello) ad anni diciotto di reclusione per le circostanze attenuanti generiche;
– aumentata (di tre anni – immutata) ad anni ventuno di reclusione per la continuazione;
– come sopra diminuita per il rito.
3. Il primo motivo e’ infondato.
Secondo il ricorrente il giudice di rinvio avrebbe violato il divieto di reformatio in peius applicando, per le circostanze attenuanti generiche, una diminuzione di anni due di reclusione invece che di anni tre, come aveva fatto la Corte di Assise di appello nella prima sentenza.
Va premesso che si concorda sul principio, richiamato dal ricorrente, secondo cui: “il divieto di “reformatio in peius” opera anche nel giudizio di rinvio e con riferimento alla decisione del giudice di appello quando impugnante sia il solo imputato” (Sez. U n. 10750 del 11/04/2006, Maddaloni, Rv. 233729; Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258652).
Tuttavia la violazione non e’ ravvisabile nella specie.
3.1. Sul tema del divieto di reformatio in peius si agita da decenni un dibattito mai sopito: “il caleidoscopio attraverso il quale si snodano le varie prospettive ermeneutiche secondo le quali si e’ mossa la giurisprudenza di legittimita’, genera una gamma multiforme di approdi, che neppure i diversi interventi delle Sezioni Unite sono valsi a ricondurre ad effettiva unita’, malgrado la sostanziale assenza di contrasti espressamente dichiarati” (cosi’ Sezioni Unite n. 16208 del 27/03/2014, C., in motivazione).
3.2. Per rinvenire i capisaldi della elaborazione giurisprudenziale occorre muovere dalle pronunce delle Sezioni Unite.
3.2.1. La sentenza Morales William (Sez. U n. 40910 del 27/09/2005, Rv. 232066) – ponendosi espressamente in linea con le sentenze Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, Cellerini, Rv. 196894 e Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, Pellizzoni, Rv. 201034 – ha ribadito che il divieto di reformatio in peius si riferisce non solo alla pena complessiva, ma anche ai singoli elementi che la compongono.
La decisione ricostruisce il sistema come segue:
– l’appello del Pubblico Ministero attribuisce al giudice “ad quem” gli ampi poteri decisori delineati nell’articolo 597 c.p.p., comma 2;
– a norma dell’articolo 597, comma 3, invece, ove il gravame sia proposto solo dall’imputato, opera il divieto di reformatio in peius. In tal caso, infatti, il giudice non puo’ irrogare una pena piu’ grave per specie o quantita’, ne’ applicare una misura di sicurezza nuova o piu’ grave, prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre puo’, in ossequio al tradizionale canone iura novit curia, dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e piu’ grave, purche’ non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado;
– l’articolo 597, comma 4 non solo conferma il divieto di reformatio in peius, ma ne rafforza l’efficacia sotto il profilo del contenuto, stabilendo che se viene accolto l’appello dell’imputato, relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere “corrispondentemente” diminuita.
La medesima sentenza osserva che il divieto di “reformatio in peius” investe anche i singoli elementi che compongono la pena complessiva e riguarda non solo il risultato finale di essa, ma tutti gli elementi del calcolo: “la disposizione contenuta nell’articolo 597, comma 4 individua, come elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione, con conseguente obbligo di diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione”.
Nel caso esaminato dalle Sezioni Unite era accaduto che la Corte di merito, investita dell’impugnazione del solo imputato, aveva escluso la circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80 e, pur infliggendogli una pena inferiore a quella irrogata dal Tribunale, nel calcolo di essa aveva elevato l’entita’ della pena base. In tale modo di procedere, alla luce del principio espresso, le Sezioni Unite hanno ravvisato una violazione sia del principio del divieto della reformatio in peius, sancito dall’articolo 597 c.p.p., commi 3 e 4, sia di quello del devolutum, di cui al comma 1 della stessa norma di legge.
3.2.2. La sentenza Papola (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660) ha affermato che il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, puo’, senza incorrere nel divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purche’ questo sia accompagnato da adeguata motivazione.
La decisione in esame evidenzia che, con l’articolo 597 c.p.p., “il legislatore da un lato ha inteso, in via generale, limitare la cognizione del giudice di appello ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti (comma 1); dall’altro ha imposto, in caso di impugnazione proposta dal solo imputato, il divieto di reformatio in peius (commi 3-4); da altro lato, ancora, ha introdotto alcune eccezioni al ristretto ambito di cognizione del giudice di appello quale previsto in via generale (comma 5)”.
La pronuncia, pur riferendosi all’ipotesi del bilanciamento, offre una argomentata riflessione su profili che assumono rilievo (come si vedra’) anche nel caso di specie:
– “l’obbligo di corrispondente diminuzione della pena di cui all’articolo 597 c.p.p., comma 4 e’ limitato all’accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o reati concorrenti, ossia solo – come e’ lecito desumere dalla stretta correlazione tra la locuzione finale (“la pena complessiva irrogata e’ corrispondentemente diminuita”) ed il precedente riferimento ai motivi accolti (“se e’ accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione”) – ad ipotesi interessate da un metodo di calcolo comportante mere operazioni di aggiunta od eliminazione di entita’ autonome di pena rispetto alla pena-base”;
– “la innegabile autonomia e discrezionalita’ del giudizio di comparazione non sempre conduce ad attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato (sicche’ una “alterazione” dei termini in comparazione non comporta necessariamente una “alterazione” altresi’ del giudizio precedentemente espresso)”;
– “una logica rigidamente ed esclusivamente matematica, comportante l’automatica riduzione della pena inflitta in primo grado, porterebbe a snaturare il giudizio di appello ed il potere di valutazione della gravita’ del fatto attribuito al relativo giudice”.
3.2.3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 16208 del 27/03/2014, C., ha affermato che non viola il divieto di reformatio in peius previsto dall’articolo 597 c.p.p. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene quando la regiudicanda satellite diventa quella piu’ grave o quando cambia la qualificazione giuridica), apporta per uno dei fatti unificati dall’identita’ del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Rv. 258653).
La pronuncia non si pone in contrasto con le Sezioni Unite Morales William, tuttavia ne chiarisce i presupposti di operativita’ e i conseguenti limiti, evidenziando, tra l’altro, che la regola dettata dalla sentenza Morales William presuppone l’identita’ dei parametri di raffronto che non sempre sussiste.
Identita’ che, nel caso di cumulo giuridico per il reato continuato, deve riguardare sia la individuazione dei termini che compongono il cumulo sia la determinazione di un certo ordine della sequenza.
“Se muta uno dei termini (vale a dire, una o piu’ delle regiudicande cumulate o il relativo “bagaglio” circostanziale) oppure l’ordine di quella sequenza (la regiudicanda-satellite diviene la piu’ grave o muta la qualificazione giuridica di quella piu’ grave), sara’ lo stesso meccanismo di unificazione a subire una “novazione” di carattere strutturale, non permettendo piu’ di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente giudizio, giacche’, ove cosi’ fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza priva di qualsiasi logica giustificazione” (Sez. U n. 16208 del 27/03/2014, C., in motivazione).
“In tali casi, pertanto, l’unico elemento di confronto non puo’ che essere rappresentato dalla pena finale, dal momento che e’ solo questa che “non deve essere superata” dal giudice del gravame: esattamente come non potrebbe comunque essere superata una pena determinata dal primo giudice in mitius, anche se contra legem” (Sez. U n. 16208 del 27/03/2014, C., in motivazione).
“Una implicita conferma di quanto sin qui si e’ osservato la si puo’ desumere anche dalla stessa particolare previsione dettata – come elemento “rafforzativo” del divieto di reformatio in peius – dall’articolo 597 c.p.p., comma 4. Stabilendosi, infatti, il principio in virtu’ del quale se e’ accolto l’appello dell’imputato in relazione a circostanze o reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena “complessivamente irrogata” e’ “corrispondentemente diminuita”, il legislatore ha preso in considerazione, come termine di riferimento e vincolo per il nuovo giudice, soltanto la pena complessiva e non certo i singoli segmenti – o passaggi di giudizio – che hanno concorso a determinare quella pena; in tal modo finendo per accreditare la logica che il nuovo giudizio sul punto, conta solo, agli effetti che qui interessano, nel suo approdo conclusivo” (Sez. U n. 16208 del 27/03/2014, C., in motivazione).
3.3. La questione sottoposta allo scrutinio di questo collegio non trova diretta soluzione nelle decisioni menzionate: i parametri di raffronto non sono identici (nel giudizio di rinvio la pena-base e’ stata ridotta ed e’ stata applicata una diminuzione per una ulteriore circostanza attenuante), dunque non si ricade nel principio della sentenza Morales William; non viene in rilievo un giudizio di bilanciamento, ergo non opera la massima dettata dalla sentenza Papola; non entra in gioco un mutamento della struttura del reato continuato, sicche’ il caso non trova immediato rispecchiamento nella sentenza n. 16208 del 2014.
Ciononostante i percorsi argomentativi delle citate decisioni consentono di delineare il quadro al cui interno deve collocarsi la presente decisione.
In particolare puo’ sin d’ora osservarsi:
– che il ricorso alla mera operazione matematica di sottrazione di un determinato quantum di pena, lasciando inalterati gli altri fattori, presuppone l’invarianza non solo dei residui segmenti in rilievo, ma anche della relativa sequenza e delle eventuali relazioni reciproche;
– che tale automatismo non e’ piu’ percorribile nel caso di modifica di un segmento o della sequenza o dei rapporti reciproci, poiche’ la discrezionalita’ del giudice nell’adeguamento della pena al caso concreto rifugge da meccanismi rigidi, dovendo piuttosto consentirsi la migliore rimodulazione della pena nei suoi segmenti interni, fermi comunque: il rispetto delle preclusioni; l’obbligo di diminuire la pena complessiva irrogata nel caso di accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti; l’onere di motivazione.
In sintesi il dictum della Morales William opera solo nella ipotesi in cui il giudice dell’appello o del rinvio sia chiamato a giudicare della stessa sequenza di reati posti nella medesima relazione, giacche’ in tal caso rinviene adeguata giustificazione la preclusione a non rivedere in termini peggiorativi non soltanto l’esito finale del meccanismo normativo di quantificazione del cumulo, ma anche i singoli parametri di commisurazione di ciascun segmento che compone quel cumulo.
Di contro, quando i parametri di raffronto si modificano, il principio delle Sezioni Unite Morales William non e’ piu’ applicabile. Cio’ accade non solo nell’ipotesi di mutamento della struttura del reato continuato (cfr. Sez. U, n. 16208 del 2014, cit.; da ultimo negli stessi termini Sez. Sez. 1, n. 26645 del 10/04/2019, Jerevija Nikoll, Rv. 276196), ma anche, ad esempio, nell’ipotesi di diversa qualificazione giuridica del fatto in termini piu’ favorevoli all’imputato (cfr. Sez. 5, n. 41188 del 10/07/2014, Zavanese, Rv. 261034; Sez. 2, n. 33563 del 14/07/2016, Canzonieri, Rv. 267858; Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018, dep. 2019, Meloni, Rv. 274390).
3.4. Nella fattispecie in rassegna i segmenti e i termini del calcolo della pena per il reato (piu’ grave) di omicidio hanno subito, in sede di rinvio, le seguenti modifiche rispetto al giudizio di appello: riduzione della pena base da ventiquattro a ventitre’ anni di reclusione; riconoscimento dell’attenuante della provocazione e conseguente riduzione di pena; ulteriore riduzione per le circostanze attenuanti generiche operata, ovviamente, non sulla pena base (come avvenuto all’esito del grado di appello), ma, ai sensi dell’articolo 63 c.p., comma 2, sulla quantita’ di pena risultante dalla diminuzione precedente.
Va sottolineato che il giudice di secondo grado, con la sentenza poi annullata, aveva concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche avuto riguardo a: “la giovane eta’, l’incensuratezza, la confessione resa sin dai primi momenti, i pregressi rapporti con la vittima, le minacce nel tempo ricevute da parte di essa” (pag. 20 sentenza del 7 ottobre 2016).
Alcuni degli elementi valorizzati ex articolo 62-bis c.p. (i pregressi rapporti con la vittima e le minacce ricevute) sono assurti, all’esito del giudizio di rinvio, al rango di autonoma circostanza attenuante (quella della provocazione) capace di incidere, ex se, sulla pena ma, al contempo, idonea ad alleggerire “il peso”, la consistenza, la valenza delle circostanze attenuanti generiche, spogliate dei corrispondenti indici.
Cio’ consente di affermare che anche nel caso di concorso di circostanze omogenee – come in quello di circostanze eterogenee, deciso dalla sentenza Papola – possono configurarsi relazioni e sovrapposizioni, sicche’ deve essere riconosciuto al giudice (di appello o di rinvio) il potere di rivalutare il fatto e il corredo circostanziale alla luce delle reciproche, eventuali, interferenze che si riverberano sulla rispettiva incidenza.
Pertanto detto giudice puo’ rimodulare, senza “logica matematica”, la diminuzione “interna” del quantum di pena riferibile anche a circostanze omogenee, ove arricchitesi di nuovi apporti, soprattutto allorche’ le stesse, come nel caso in rassegna, presentino in concreto tratti comuni suscettibili di parziali sovrapposizioni (evento non infrequente nel caso in cui, come nella specie, vengano in gioco le circostanze attenuanti generiche), procedendo quindi a una sorta di ribilanciamento del rispettivo peso.
Sul punto vanno recepite le considerazioni svolte dalla sentenza Sez. 5, Sentenza n. 41188 del 10/07/2014, Zavanese: “sotto l’aspetto della pena da applicare al reo (senza infrangere il principio devolutivo), occorre avere riguardo, oltre che al numero e alla natura degli elementi fattuali e giuridici che concorrono alla determinazione della pena, anche ai loro rapporti reciproci, giacche’ l’incidenza di ogni elemento varia a seconda della relazione in cui viene a trovarsi con tutti gli altri. Invero, “la pena” non e’ il risultato di una sommatoria di “elementi” neutri (cosicche’, venuto meno uno di essi, l’equilibrio puo’ essere ristabilito con una semplice operazione matematica), ma (e’ il risultato) della combinazione delle diverse componenti sanzionatorie (pena base, pena per i reati satellite, aumenti o diminuzioni di pena per circostanze aggravanti e attenuanti).
Di conseguenza, per giudicare di reformatio in peius occorre, in primo luogo, tener conto degli elementi che concorrono alla determinazione della pena, ma anche del rapporto in cui – per effetto dell’accoglimento del gravame – vengono a trovarsi tra loro, sicche’ solo allorche’ non muti la relazione tra gli stessi il giudice dell’appello e’ obbligato – per non incorrere nella violazione dell’articolo 597 c.p.p. – a sussumere ogni elemento nella misura determinata dal primo giudice, ovvero a conservare il rapporto proporzionale tra gli elementi della pena (ove sia venuto meno, per effetto dell’impugnativa, uno di essi), mentre, in caso contrario, il giudice d’appello rimane libero di valutare le varie componenti secondo il suo prudente apprezzamento, purche’, ovviamente, la pena complessivamente inflitta con la sentenza gravata non sia superiore a quella inflitta nei gradi precedenti”.
3.5. Per le ragioni esposte non convince, nella sua automaticita’ e assolutezza, il principio declinato da Sez. 3, n. 49163 del 04/05/2018, Khan Arif, Rv. 275025 secondo cui: “viola il divieto della “reformatio in peius” il giudice di appello che, a seguito di impugnazione del solo imputato, concedendo un’ulteriore attenuante diminuisca complessivamente la pena inflitta, operando, pero’, una minore riduzione per l’attenuante gia’ riconosciuta in primo grado”.
Nel caso deciso con detta sentenza, la Corte di appello aveva riconosciuto l’attenuante della collaborazione, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, ma, pur diminuendo la pena complessiva, aveva operato una riduzione in misura piu’ lieve, rispetto al primo grado, per le gia’ concesse circostanze attenuanti generiche.
La motivazione non offre maggiori lumi perche’ si esaurisce nel richiamo di un precedente (Sez. 1, n. 45236 del 22/10/2013, Stralaj, Rv. 257775), senza curarsi di verificare l’esercizio in concreto del potere di determinazione della pena da parte del giudice di appello in un’ottica, non meramente matematica, si’ da avere riguardo non solo al numero e alla natura degli elementi fattuali e giuridici che concorrono nel calcolo della pena, ma anche ai loro rapporti reciproci.
Mentre il precedente richiamato dalla sentenza Khan Arif (Sez. 1, n. 45236 del 22/10/2013, Stralaj, Rv. 257775) risale ad epoca anteriore rispetto all’intervento delle Sezioni Unite n. 16208 del 2014, che costringono a una generale rimeditazione del divieto di reformatio in peius.
La motivazione della sentenza Stralaj si riduce alla menzione delle Sezioni Unite William Morales: “Il ricorso e’ fondato per quanto di ragione. Pur riducendo la pena base e riconoscendo una attenuante prima non prevista (la provocazione), non di meno il giudice di appello ha errato riducendo la pena risultante (anni 18 di reclusione) non di un terzo per le attenuanti generiche come in primo grado, ma in misura inferiore (il principio e’ affermato in via generale, al di la’ delle specifiche applicazioni, in Cass., Sez. Un., sent. n. 40910 del 27/9/05, rv. 232066: “Nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entita’ complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione”)”.
Questa opzione ermeneutica, concernente una fattispecie analoga a quella oggetto del presente procedimento, non puo’ essere condivisa proprio a causa dell’automatismo che priva il giudice (di appello o di rinvio) del potere di rivalutare il rapporto tra circostanze e l’eventuale variazione di incidenza ponderale sulla determinazione della pena.
3.6. Neppure e’ utile porsi, come fa la sentenza Stralaj (e come paiono suggerire anche altre pronunce), nella prospettiva di verificare una ipotetica proporzionalita’ tra le decisioni di primo e secondo grado (o di rinvio).
Un simile approccio non trova un aggancio normativo “e men che mai un simile corollario puo’ reputarsi derivante dal divieto che viene qui in discorso” (Sezioni Unite n. 16208 del 2014, in motivazione).
3.6.1 Se l’appello comporta un nuovo giudizio su qualche punto che si riflette sulla determinazione della pena – allo stesso modo di come il nuovo giudizio di comparazione tra circostanze, al lume delle Sezioni Unite Papola (n. 33752 del 18/04/2013) non soffre condizionamenti in ragione di quello condotto in primo grado anche in ipotesi di eliminazione di una aggravante o di riconoscimento di una attenuante – anche il nuovo giudizio sulla entita’ delle diminuzioni per le circostanze attenuanti (di cui una non riconosciuta in precedenza) non e’ vincolato, ne’ nel valore assoluto ne’ in quello relativo (o proporzionale), dalle determinazioni assunte al riguardo dal giudice precedente.
Invero “il legislatore ha preso in considerazione, come termine di riferimento e vincolo per il nuovo giudice, soltanto la pena complessiva e non certo i singoli segmenti – o passaggi di giudizio – che hanno concorso a determinare quella pena; in tal modo finendo per accreditare la logica che il nuovo giudizio sul punto, conta solo, agli effetti che qui interessano, nel suo approdo conclusivo” (Sezioni Unite n. 16208 del 2014, in motivazione).
3.6.2 Questa considerazione e’ rispondente a un principio generale di cui si trova eco nelle decisioni delle Sezioni Unite che si sono occupate del caso in cui interviene la dichiarazione d’illegittimita’ costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio.
In tali ipotesi il criterio oggettivo di tipo matematico-proporzionale e’ stato bandito (cfr. Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon).
Osservano le Sezioni Unite che: “La necessaria “individualizzazione del trattamento sanzionatorio” dovrebbe portare ad escludere ogni automatismo, atteso che, diversamente, vi sarebbe un concreto rischio di applicazione di una pena sganciata dall’accertamento del fatto”.
Le Sezioni Unite bocciano la tesi, coltivata in alcune decisioni delle sezioni semplici, per cui la rideterminazione della pena (in quel caso da parte del giudice dell’esecuzione) “possa avvenire in base al criterio matematico-proporzionale, realizzando una sorta di automatismo nell’individuazione della sanzione”.
“Il giudice dovra’ invece procedere alla rideterminazione della pena utilizzando i criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalita’ che tengano conto della nuova perimetrazione edittale” (Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, in motivazione).
3.7. Alla stregua dei principi enunciati, il giudice del rinvio si e’ mantenuto entro i confini delle attribuzioni che gli competono, dal momento che:
– in parziale accoglimento del gravame ha ridotto la pena base da ventiquattro a ventitre’ anni di reclusione;
– su tale parametro di commisurazione, piu’ blando di quello precedentemente assunto dal giudice del merito, ha riconosciuto, in ossequio al dictum della sentenza rescindente, la circostanza attenuante della provocazione e ha applicato la diminuzione di pena ritenuta congrua, cosi’ da pervenire ad anni venti di reclusione;
– in stretta correlazione con il novum rappresentato dalla sensibile riduzione della base di calcolo dovuta sia alla riduzione della pena base sia alla applicazione della diminuente della provocazione, ha applicato una ulteriore riduzione per le circostanze attenuanti generiche valutandole in termini di minore incidenza (in termini sia assoluti sia relativi) dei residui indici una volta venuti meno quelli “transitati” nella nuova circostanza attenuante riconosciuta (i pregressi rapporti con la vittima, le minacce nel tempo ricevute da parte di essa), giungendo, per il reato di omicidio volontario, alla pena di anni diciotto di reclusione (prima della riduzione per il rito).
Tenuto conto che per il titolo di omicidio volontario (reato piu’ grave) il giudice di primo grado aveva applicato la pena di ventiquattro anni e la prima Corte di Assise di appello quella di ventuno anni (prima della riduzione per il rito), deve escludersi qualsiasi violazione del principio di divieto di reformatio in peius.
Agli effetti in rassegna conta solo “l’approdo conclusivo”: il principio devolutivo e’ stato rispettato; la pena complessiva irrogata e’ stata diminuita a seguito dell’accoglimento dell’impugnazione proposta dall’imputato in punto di attenuante della provocazione; il giudice di rinvio ha fornito specifica motivazione della misura delle diminuzioni apportate (cfr. pagg. 14 e 15: “si ritiene congruo fissare una pena base in anni 23 di reclusione, contemplando la deliberazione omicidiaria in una situazione in cui lo stesso agente riconosceva la possibilita’ alternativa dell’allontanamento; si applica l’attenuante della provocazione riducendo la pena ad anni 20, dovendo tenersi conto della dichiarata scelta dall’agente di reagire immediatamente di fronte all’antagonista disarmato e pur potendo allontanarsi come poi ha fatto, ulteriormente ridotta ad anni 18 per l’applicazione delle attenuanti generiche, giustificate dalla confessione tempestiva e da un comportamento processuale leale, ma non concedibili nella massima estensione, avuto riguardo alla preordinata disponibilita’ – gia’ da un mese -dell’arma con colpo in canna, finalizzata propriamente alla reazione ad un’eventuale offesa che gli avrebbe arrecato il (OMISSIS)”).
4. Il secondo motivo e’ in parte infondato e in parte inammissibile.
4.1. Anzitutto il ricorrente opina che la Corte di appello quando, con la prima sentenza, ha riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche, avrebbe dovuto ridurre non solo la pena base stabilita per il reato piu’ grave (capo A), ma anche la porzione di pena applicata quale aumento per la continuazione per i reati satellite (capo B), che invece e’ rimasta invariata in anni tre di reclusione. Errore replicato, aggravandolo, dal giudice di rinvio, il quale ha ridotto ulteriormente la misura della pena cosi’ che la frazione di detta pena imputata a titolo di aumento per la continuazione – e’ risultata addirittura maggiore rispetto a quella applicata con la sentenza oggetto di precedente annullamento.
L’argomento e’ fallace.
4.1.1. In limine va osservato che problematiche di questo genere non si porrebbero se soltanto i giudici di merito dessero applicazione al disposto dell’articolo 533 c.p.p., comma 2, – ora espressamente richiamato anche dall’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 2, – a mente del quale quando la condanna riguarda piu’ reati, il giudice, con una prima operazione, stabilisce la pena da irrogarsi in concreto per ciascuno di essi e solo in un secondo momento determina la pena da applicarsi in osservanza delle norme sulla continuazione (cfr. ampiamente su questo tema Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar).
4.1.2. L’istituto della continuazione e’ una realta’ normativa che puo’ ricevere una lettura unitaria (o unificante) ovvero atomistica a seconda delle prospettive che si intendono perseguire (Sez. U, n. 16208 del 2014, C., cit., in motivazione).
“Da un punto di vista strutturale il reato continuato rappresenta una particolare figura di concorso materiale dei reati, unificati dalla identita’ del disegno criminoso e assoggettati al cumulo giuridico delle pene, secondo il meccanismo sanzionatorio previsto per il concorso formale: vale a dire, la pena prevista per la violazione piu’ grave, aumentata fino al triplo” (Sez. U, n. 16208 del 2014, C., cit., in motivazione).
“La unificazione delle pene e’, dunque, un tratto caratteristico della continuazione: prescelto il reato piu’ grave, quelli satellite perdono la loro individualita’ sanzionatoria, divenendo semplici componenti di un aumento di pena, al punto da riacquistare la loro “identita’” solo agli effetti della determinazione del limite agli aumenti, che non deve comunque superare quello del cumulo materiale, a norma dell’articolo 81 c.p., comma 3″ (Sez. U, n. 16208 del 2014, C., cit., in motivazione).
La “visione multifocale” del reato continuato (ora unitaria, ora pluralistica) da’ ragione della necessita’ della individuazione delle singole pene per i reati-satellite ex articolo 533 c.p.p., comma 2, ed e’ essenziale ai fini della “misura” degli aumenti da apportare alla pena-base.
Invero “la perdita della autonomia sanzionatoria dei reati-satellite nell’ambito del reato continuato non comporta affatto la irrilevanza della valutazione della gravita’ dei predetti reati, in se’ considerati, per l’ottima ragione che il momento sanzionatorio segue quello valutativo e dunque lo presuppone e ovviamente – si distingue da esso” (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar; Sez. U. n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, in motivazione).
“La riprova della fondatezza di tale assunto la giurisprudenza di questa Corte la fornisce con riferimento al tema dell’incidenza delle circostanze in relazione al reato continuato. Invero, se e’ indubbio che il giudizio di bilanciamento ai sensi dell’articolo 69 c.p. deve effettuarsi solo con riguardo alle circostanze inerenti al reato piu’ grave (cfr. Sez. 6, n. 10266 del 25/06/1991, Capozza, Rv. 188266; Sez. 5, n. 4609 del 07/03/1996, Soggia, Rv. 204840), nondimeno, le circostanze inerenti al reato-satellite, se pure rimangono – come si e’ appena detto – prive di efficacia nella determinazione della pena-base, devono esser tenute presenti, sia per identificare il reato – in astratto – piu’ grave (appunto: per la determinazione della predetta pena-base), sia per determinare l’aumento che, in relazione a ciascun “reato minore”, deve essere apportato alla pena-base. Ed e’ anzi stato chiarito (Sez. 1, n. 33758 del 10/08/2001, Cardamone, Rv. 219893; Sez. 3, n. 1810 del 02/12/2010, R., Rv. 249279) che cio’ deve avvenire anche nel caso in cui si tratti di circostanza incompatibile con la violazione piu’ grave” (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, cit.).
4.1.3. Le considerazioni sviluppate dalle Sezioni Unite Sebbar dimostrano, per quanto qui interessa, che le circostanze attenuanti possono concernere uno o solo alcuni dei reati posti in continuazione.
Cio’ vale anche per le circostanze attenuanti generiche.
E’ pacifico in giurisprudenza che, ritenuta la continuazione tra piu’ reati, il giudice puo’ riconoscere le attenuanti generiche solo per alcuni di essi, con la conseguenza che dette circostanze possono essere concesse, ad esempio:
– in sede di impugnazione per uno solo dei reati satellite, in tale ipotesi comportano una conseguente riduzione del solo aumento di pena disposto ex articolo 81 cpv c.p. per detto reato (Sez. 2, n. 6012 del 30/01/2018, Broja, Rv. 272365);
– solo per il reato piu’ grave, nel qual caso non si estendono a quelli satellite (Sez. 2, n. 54573 del 13/12/2016, Cameruccio, Rv. 268888).
4.1.4. Nella specie, con sentenza del 7 ottobre 2016, la Corte di Assise di appello di Napoli (cfr. pag. 20):
– ha confermato la pena base per il reato piu’ grave di omicidio in quella di anni ventiquattro di reclusione;
– ha applicato su detta pena la diminuzione di anni tre di reclusione per le attenuanti generiche (motivate come si e’ visto da “la giovane eta’, l’incensuratezza, la confessione resa sin dai primi momenti, i pregressi rapporti con la vittima, le minacce nel tempo ricevute da parte di essa”) in misura inferiore a quella massima consentita in considerazione de: “la violenza della reazione avuta dall’imputato verso la vittima”; “la confessione intervenuta a distanza di diverse ore dall’omicidio quando la p.g. aveva gia’ ricostruito l’episodio e individuato l’imputato”;
– ha confermato l’aumento di pena inflitto in primo grado per i reati satellite (anni due per il porto e anni uno per la detenzione della pistola calibro 38).
E’ evidente che il giudice di secondo grado ha inteso riconoscere le circostanze attenuanti generiche soltanto per il reato piu’ grave di omicidio (capo A) e non anche per quelli satellite di cui al capo B).
Decisione confermata dal giudice di rinvio.
A fronte di una scelta tanto chiara, la Corte di cassazione non puo’ arrogarsi il potere di “forzare” la decisione del giudice di merito, estendendo automaticamente le attenuanti generiche a tutti i reati uniti in continuazione, mentre, ovviamente, rimane intestato al giudice di legittimita’ il controllo sulla motivazione.
Per tale ragione si dissente da quanto stabilito in una recente pronuncia (Sez. 2, n. 10995 del 13/02/2018, Perez Prado, Rv. 272375) in forza della quale “ritenuta la continuazione tra piu’ reati, il giudice puo’ riconoscere le attenuanti generiche secondo i parametri “oggettivi” o “soggettivi” previsti dall’articolo 133 c.p., sicche’ se la concessione richiama elementi di fatto di natura oggettiva l’applicazione sara’ riferita allo specifico fatto reato senza estensione del beneficio a tutti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, mentre se gli elementi circostanziali siano riferibili all’imputato, sulla base di elementi di fatto di natura soggettiva, l’applicazione deve essere riferita indistintamente a tutti i reati uniti dal vincolo della continuazione”.
Ritiene il collegio che l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della pena non ammetta automatismi, essendo possibile che anche gli indici soggettivi di cui all’articolo 133 c.p. vengano ritenuti rilevanti, in concreto, soltanto per alcuno dei reati in continuazione e non per gli altri.
Non sembra consentito sovrapporre una presunzione assoluta alla decisione del giudice di merito in un campo di sua specifica competenza.
Piuttosto la Corte di cassazione, quale giudice della motivazione, puo’ essere chiamata a verificare, attraverso uno specifico motivo di ricorso, la tenuta argomentativa della giustificazione posta a base della decisione assunta.
“Il trattamento sanzionatorio astrattamente previsto dalle diverse norme incriminatrici incide “mediatamente” sulla pena complessivamente applicabile in caso di reato continuato, proponendosi quale non eliminabile parametro di un esercizio di ragionevolezza sanzionatoria da parte del giudicante, e – dunque – di uno specifico onere motivazionale” (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, cit.).
Nella fattispecie in esame il giudice di rinvio ha riferito le circostanze attenuanti generiche solo al reato principale, apportando una diminuzione di pena in misura inferiore al massimo consentito sulla scorta di precise ragioni che espone, mentre ha ritenuto di non diminuire il trattamento sanzionatorio per i reati satellite, quindi di non riconoscere per essi le circostanze attenuanti generiche sul rilievo che: “l’aumento per la continuazione appare corretto e congruo ove si consideri intensita’ del dolo per le due fattispecie contestate, il porto prolungato e finalizzato all’uso dell’arma propriamente contro la vittima” (pag. 15).
L’onere motivazionale risulta assolto: l’intensita’ del dolo – che connota i reati satellite e non quello principale – e’ elemento ritenuto ostativo alla concessione delle attenuanti generiche; d’altra parte il ricorrente non censura la sentenza sotto questo specifico profilo, limitandosi ad invocare l’automatica applicazione delle attenuanti anche per i reati satellite di cui si e’ detto sopra.
4.1.5. La evidenziata autonomia dei reati posti in continuazione comporta che, nonostante la diminuzione della pena-base, l’aumento per i reati satellite possa anche rimanere invariato ove il giudice lo ritenga adeguato alla gravita’ degli stessi, offrendone congrua motivazione, come e’ avvenuto nella specie (cfr. punto 4.1.4).
4.2. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile laddove denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla entita’ eccessiva della pena base per il piu’ grave reato di omicidio ed alla applicazione in misura ridotta della diminuzione di pena per l’attenuante della provocazione e per le circostanze attenuanti generiche.
4.2.1. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196).
4.2.2. Nel caso in rassegna la sentenza impugnata si fa carico di individuare anzitutto i parametri generali di riferimento, preoccupandosi di ponderare in maniera adeguata i singoli elementi e di chiarire la effettiva portata di quelli negativi e di quelli, in tesi, positivi (pag. 14); quindi spiega, in maniera analitica, le ragioni di ogni singolo segmento di calcolo (cfr. pagg. 14 e 15).
Il giudice di rinvio ha ritenuto di dover fissare la pena base per il delitto di omicidio nella misura di anni ventitre’ di reclusione e di non applicare le riduzioni di pena per le attenuanti generiche nella massima estensione possibile in considerazione della particolare intensita’ del dolo, sulla base delle seguenti considerazioni: “(…) a fronte degli atteggiamenti aggressivi ricorrenti del (OMISSIS), il (OMISSIS) non ha inteso mai denunziare i fatti, ma ha preferito acquistare una pistola da uno zingaro.
Dunque il (OMISSIS) ha deliberatamente deciso di armarsi e di portare stabilmente con se’ la pistola col colpo in canna da utilizzare a sua difesa.
La circostanza non e’ di poco momento e scardina la valutazione positiva della condotta e della personalita’ del prevenuto, incensurato.
Anche la giovane eta’ del (OMISSIS) e la condizione di difendere la sua donna e il figlio che doveva nascere avrebbe dovuto indurre l’imputato ad una scelta consapevole nella legalita’, dovendo ritenersi che se un soggetto giovane e incensurato decide di reagire armandosi non puo’ non dedursi una propensione a delinquere.
Tanto vale a spiegare l’intensita’ del dolo in relazione alla determinazione della pena secondo i criteri direttivi di cui all’articolo 133 nonche’ l’applicazione delle generiche non nella massima estensione”.
4.2.3. Ne’ tale ragionamento risulta illogico o contraddittorio perche’ in contrasto con l’attenuante della provocazione. Nel caso di specie e’ stata ritenuta sussistente una provocazione cd. per accumulo, in cui i fatti ingiusti della vittima del delitto di omicidio sono stati ripetuti e sono stati commessi in un lungo arco di tempo durante il quale lo stato di ira del (OMISSIS) si e’ anch’esso protratto nel tempo ed e’ andato via via crescendo sino ad esplodere in occasione dell’episodio delittuoso.
Perfino la circostanza aggravante della premeditazione e’ compatibile con quella attenuante della provocazione, nella forma c.d. “per accumulo”, in cui lo “stato d’ira”, presupposto dell’attenuante, assume una caratteristica di “alterazione prolungata” non incompatibile, in presenza di un fattore scatenante, con una carica volontaristica di intensita’ tale da determinare il riconoscimento della premeditazione (Sez. 1, n. 35512 del 30/05/2019 Sia Nicholas, Rv. 276614).
4.2.4. La Corte di Assise di appello ha pure spiegato le ragioni per le quali non ha applicato nella misura massima consentita la riduzione di pena per l’attenuante della provocazione.
(OMISSIS) ha scelto di colpire il (OMISSIS) con piu’ colpi di pistola sebbene egli avesse piena contezza che il suo antagonista non fosse armato e non fosse in grado di arrecargli offesa; inoltre il (OMISSIS), pur non potendo proseguire la marcia a bordo della sua automobile, in quanto il (OMISSIS) gli si era parato davanti, avrebbe potuto allontanarsi in retromarcia ed evitare lo scontro.
Anche in relazione all’attenuante della provocazione, quindi, assume valore la particolare intensita’ del dolo nel momento in cui il (OMISSIS) ha deciso di uccidere (OMISSIS), esplodendo piu’ colpi di pistola.
Non sono ravvisabili, dunque, violazioni di legge o vizi motivazionali in punto di diminuzione della pena per la predetta attenuante.
4.2.5. Infine non ricorre una duplice valutazione negativa dei delitti in materia di armi, atteso che il principio del ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilita’ di utilizzare piu’ volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad istituti giuridici diversi (Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Giallombardo, Rv. 274783).
Nel caso in esame, i reati in materia di armi ben possono essere utilizzati, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 2, per delineare la personalita’ dell’imputato e per graduare la pena per il delitto di omicidio.
5. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Nulla compete alle parti civili per le spese sostenute nel presente giudizio di legittimita’, poiche’ l’impugnazione concerne esclusivamente il punto relativo alla determinazione della pena sul quale le parti civili non possono interloquire.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese di parte civile.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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