In tema di rapporto tra favoreggiamento personale e reato presupposto

Corte di Cassazione, penale, Sentenza 7 ottobre 2020, n. 27908.

In tema di rapporto tra favoreggiamento personale e reato presupposto, la clausola di sussidiarietà di cui all’art. 378, comma primo, cod. pen. opera quando uno dei reati costituisce estrinsecazione dell’altro integrando la medesima condotta sia il concorso nel reato presupposto, sia il favoreggiamento, mentre tale incompatibilità non sussiste quando la condotta favoreggiatrice è diversa, sul piano funzionale, temporale e ontologico, da quella del reato presupposto. (Fattispecie in cui è stato riconosciuto il favoreggiamento personale, consistito nell’offrire supporto ad un latitante, commesso a distanza di otto anni dal reato presupposto). (Conf. Sez.1, n. 463 del 04/02/1993, Rv. 196895).

Sentenza 7 ottobre 2020, n. 27908

Data udienza 23 settembre 2020

Tag – parola chiave: Favoreggiamento – Violazione delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale – Intercettazioni – Concorso tra il favoreggiamento ed il reato presupposto – Sussistenza se l’attività favoreggiatrice è diversa da quella integratrice dell’altro reato – Aggravante dell’agevolazione mafiosa – Aiuto ad un capoclan a sottrarsi alle ricerche dell’autorità – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. APRILE Ercole – rel. Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/03/2019 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Molino Pietro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 marzo 2017 la Corte di appello di Bari, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dall’imputato ed in riforma della pronuncia di condanna di primo grado emessa il 20 dicembre 2012 dal Tribunale di Foggia, assolveva (OMISSIS) dal reato di cui agli articoli 110 e 81 cpv. c.p. e articolo 378 c.p., commi 1 e 2 e L. n. 203 del 1991, articolo 7 (in (OMISSIS)), ascrittogli al capo a) della rubrica delle imputazioni, per non aver commesso il fatto; confermava, invece, la condanna dello stesso (OMISSIS) in relazione al reato di cui all’articolo 81 cpv. c.p. e articolo 61 c.p., n. 2, L. n. 203 del 1991, articolo 9, comma 2, (in (OMISSIS)), contestatogli al capo e) di quella rubrica, riconoscendo la sussistenza della circostanza aggravante di cui al citato articolo 7.
Sosteneva la Corte barese come il (OMISSIS) non potesse rispondere del reato di favoreggiamento personale contestatogli come commesso in favore del latitante (OMISSIS), in quanto il primo era imputato per quegli stessi reati, quello dell’omicidio di tal (OMISSIS) e quello di partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso, con riferimento ai quali era stata dichiarata la latitanza del secondo: reato di favoreggiamento per il quale doveva anche essere esclusa la configurabilita’ dell’aggravante della L. n. 203 del 1991, articolo 7, dato che il sodalizio mafioso che si era ipotizzato essere stato agevolato dalla commissione dei due delitti in capo al (OMISSIS), era la stessa organizzazione criminale all’interno della quale il predetto aveva militato e operato.
2. Con sentenza del 29 marzo 2017 altra sezione di questa Corte di cassazione, in parziale accoglimento del ricorso del Procuratore generale limitatamente al delitto del capo a), annullava con rinvio quella pronuncia della Corte di appello; mentre, in parziale accoglimento del ricorso dell’imputato (OMISSIS), cassava quella decisione in relazione al riconoscimento dell’aggravante dell’articolo 7 della L. n. 203 del 1991 con riferimento al reato contestato al capo e).
Il Giudice di legittimita’ rilevava come la motivazione della pronuncia assolutoria fosse carente e illogica, non avendo i giudici di merito chiarito quali fossero state esattamente le vicende giudiziarie che avevano interessato il (OMISSIS) e quale fosse la sua posizione processuale nel momento in cui, nel 2009, si era reso irreperibile ovvero latitante; quali fossero state le attivita’ di favoreggiamento poste in essere dal (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS); e ancora, quali i rapporti funzionali, ontologici e diacronici, ovvero le relazioni ideative ed esecutive tra le attivita’ di favoreggiamento poste in essere dal (OMISSIS) e l’eventuale concorso di questi nella consumazione del reato presupposto, l’omicidio del (OMISSIS), per il quale nel marzo del 2009 il latitante (OMISSIS) era stato condannato in primo grado.
Aggiungeva la Cassazione come il giudice in sede di rinvio avrebbe dovuto integrare la motivazione della sentenza gravata nella parte concernente la condanna dell’imputato per il delitto del capo e), perche’ la sussistenza della piu’ volte menzionata aggravante era stata giustificata in maniera tautologica.
3. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bari, decidendo in sede di rinvio, confermava integralmente la citata pronuncia di condanna del Tribunale di Foggia.
La Corte pugliese evidenziava, in relazione al delitto del capo a), come le carte del processo avessero comprovato che le specifiche attivita’ di favoreggiamento poste in essere, tra il (OMISSIS), dal (OMISSIS) a beneficio del latitante (OMISSIS), non potessero ritenersi “coperte” dalla causa di esclusione o di sussidiarieta’ prevista dall’articolo 378 c.p. (nella parte in cui stabilisce che e’ punita la condotta di chi “dopo che fu commesso un delitto… fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorita’, o a sottrarsi alle ricerche di questa…”), in quanto attivita’ del tutto diverse, sul piano funzionale, temporale e cronologico, da quelle integranti il reato presupposto, l’omicidio in danno del (OMISSIS), consumato nel lontano settembre del 2001, del quale il (OMISSIS) era stato pure imputato, ma dal quale era stato poi mandato assolto con sentenza di secondo grado del settembre del 2011. Il favoreggiamento personale era stato, dunque, consumato da un âEuroËœesterno’ al gruppo criminale capeggiato dal (OMISSIS), nella piena consapevolezza di agevolare la sopravvivenza e, quindi, operativita’ di quella associazione mafiosa.
In relazione al concorrente delitto del capo e), quello di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale alla quale era stato sottoposto, la Corte barese affermava come i dati a disposizione avessero confermato la sussistenza dell’aggravante di cui al citato articolo 7, tenuto conto che il (OMISSIS) si era determinato a disattendere quelle prescrizioni perche’ solo in tale maniera avrebbe potuto aiutare il latitante (OMISSIS), all’epoca al vertice dell’omonimo sodalizio di stampo mafioso.
4. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il (OMISSIS), con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti quattro motivi.
4.1. Violazione di legge, in relazione all’articolo 378 c.p., articoli 192 e 627 c.p.p., e vizio di motivazione, per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’, per avere la Corte di appello, disattendendo gli obblighi cui era tenuta in sede di giudizio di rinvio, ingiustificatamente confermato la prima pronuncia, senza tenere conto che, nel periodo di latitanza del (OMISSIS), il (OMISSIS) era anch’egli imputato per l’omicidio del (OMISSIS), contestato come aggravato dalla L. n. 203 del 1991, articolo 7, per il quale aveva pure riportato condanna con sentenza emessa in primo grado il 5 febbraio 2010, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari; che il (OMISSIS) aveva violato gli obblighi inerenti alla misura di prevenzione cui era soggetto a decorrere dal 29 maggio 2009, dunque ben dopo che il (OMISSIS), a partire dal 9 marzo dello stesso anno, si era dato alla latitanza, a conferma che il primo non aveva avuto alcuna intenzione di fornire un supporto al latitante, essendosi determinato ad allontanarsi da casa temendo di poter essere vittima di una iniziativa omicidiaria da parte degli affiliati al clan rivale dei (OMISSIS); e che i considerati incontro tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) nel periodo di clandestinita’ di quest’ultimo erano stati occasionali e non potevano essere qualificati come indicativi di un aiuto dato dall’imputato per eludere le ricerche del latitante, avendo la Corte travisato il contenuto di alcune conversazioni captate dagli inquirenti e della deposizione resa dalla teste (OMISSIS).
4.2. Violazione di legge, in relazione alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e articolo 627 c.p.p., e vizio di motivazione, per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’, per avere la Corte pugliese, pure disattendendo i principi enunciati nella sentenza rescindente a proposito della causa di sussidiarieta’ dettata dall’articolo 378 c.p., omesso di spiegare perche’ non potesse essere riconosciuta una “continuita’ ideativa e esecutiva” tra l’omicidio del (OMISSIS) (peraltro a suo tempo contestato e riconosciuto come aggravato per il fatto di essere stato commesso per agevolare l’associazione per delinquere mafiosa piu’ volte richiamata) per il quale il (OMISSIS) era stato condannato e si era dato alla latitanza, e le attivita’ di favoreggiamento asseritamente poste in essere dal (OMISSIS) in un contesto di permanente solidarieta’ e duratura condivisione di interessi con il capo di un sodalizio criminale: gruppo delinquenziale del quale il (OMISSIS) aveva proseguito a fare parte, sicche’, per quella clausola di riserva, egli non poteva essere chiamato poi a rispondere del delitto di cui all’articolo 378 c.p.. Cio’ senza trascurare che la Corte periferica non aveva chiarito come potesse integrare l’aggravante dell’articolo 7 una condotta contestata come posta in essere a titolo personale in favore di un singolo componente, sia pur di vertice, di quell’associazione e non anche per agevolare le attivita’ dell’intero gruppo criminale.
4.3. Violazione di legge, in relazione alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e articolo 627 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte di appello omesso di illustrare le ragioni poste a base dell’affermazione di colpevolezza dell’imputato in relazione alla circostanza aggravante del predetto articolo 7, come contestata con riferimento al reato del capo d’imputazione e).
4.4. Violazione di legge, in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente confermato la sentenza di condanna di primo grado, negando all’imputato le attenuanti generiche e una riduzione della pena inflitta, benche’ il (OMISSIS) avesse avuto un comportamento processuale ispirato a collaborazione, non avesse gravi precedenti penali ed avesse tenuto quelle condotte al solo scopo di tutelare la propria incolumita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
2. Il primo motivo del ricorso e’ inammissibile perche’ presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Va premesso che la denunciata violazione dell’articolo 192 c.p.p. non comporta ex se la operativita’ di alcune delle sanzioni processuali previste dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) (cosi’, da ultimo, Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; conf. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Basile, Rv. 258153, per la quale e’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l’erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p. quando e’ fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Il ricorrente solo formalmente ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilita’ delle premesse dell’argomentazione, irrazionalita’ delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; ne’ e’ stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
Il ricorrente si e’ sostanzialmente limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Bari aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante il giudizio e, in specie, al tenore delle conversazioni intercettate ed agli esiti delle ulteriori attivita’ investigative svolte dagli inquirenti. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un “travisamento delle prove”, vale a dire una incompatibilita’ tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, sia stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di “travisamento dei fatti” oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale e’ stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale mentre e’ consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non e’ affatto permesso dedurre il vizio del “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimita’ a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita’, qual e’ quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cosi’, tra le tante, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
Analogo discorso vale per l’interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che e’ questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita’ se – come nella fattispecie e’ accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (in questo senso, tra le tante, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede, infatti, una stringente e completa capacita’ persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicita’, avendo la Corte pugliese analiticamente spiegato quali fossero gli elementi di prova in base ai quali poter affermare la fondatezza dell’ipotesi accusatoria. Ha chiarito che, nel corso del lungo periodo di latitanza del capo mafia, durato un anno e quattro mesi, il (OMISSIS) avesse sistematicamente affiancato il (OMISSIS), accompagnandolo nei suoi spostamenti, come confermato dai dati relativi al traffico telefonico dei loro apparecchi cellulari; aiutandolo ad effettuare una ricarica telefonica; guidando la moto da cross a bordo della quale il latitante era stato trasferito presso una casa di campagna; nonche’ prestandosi alla trasmissione di messaggi alla coniuge del capo clan, dato che il (OMISSIS) si era raccomandato con la donna di “parlare con la brunetta… la moglie del compagno” che stava con lui: circostanza questa confermata sia dagli scambi di messaggi telefonici che nella stessa giornata del (OMISSIS) vi erano stati tra la moglie del (OMISSIS) e la cognata, e tra quest’ultima e la moglie del (OMISSIS), che si erano poi tutte e tre incontrate sul lungomare di Manfredonia (appuntamento durante il quale era stata notata la consegna di una busta da parte della moglie del capo clan alle altre due); sia dalle comunicazioni intercettate tra il (OMISSIS), allorquando il latitante e la coniuge avevano organizzato la consegna di altro oggetto, che sarebbe poi avvenuto in casa della seconda dove si sarebbe presentata proprio la moglie del (OMISSIS).
In tale contesto motivazionale – nel quale si e’ efficacemente spiegato come fosse irrilevante che il (OMISSIS) avesse svolto quell’attivita’ di ausilio a partire da qualche giorno dopo che il (OMISSIS), condannato all’ergastolo dalla Corte di assise di Foggia e percio’ destinatario di un provvedimento applicativo della misura della custodia in carcere, si era dato alla latitanza – le censure difensive si muovo tutte nell’ottica di una lettura alternativa delle emergenze processuali ovvero si presentano generiche.
Tanto vale anche con riferimento alla parte in cui la Corte distrettuale ha inteso valorizzare le dichiarazioni della teste (OMISSIS), avendo il ricorrente omesso di confrontarsi con la motivazione della sentenza gravata nella quale pure riprendendo le perspicue argomentazioni sviluppate nella motivazione della prima sentenza di condanna – si era convincentemente spiegato come si fosse dato credito alla prima narrazione della testimone, credibile perche’ molto piu’ precisa nella descrizione dei dettagli e riscontrata dagli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria, e non anche alla sua maldestra, e percio’ inattendibile, successiva ritrattazione.
3. Il secondo motivo del ricorso e’ infondato.
Con la sentenza rescindente era stato espressamente chiesto al giudice di rinvio di colmare le lacune motivazionali contenute nella precedente pronuncia di secondo grado, chiarendo – ai fini della verifica della operativita’ della clausola di riserva dell’articolo 378 c.p. (“…fuori dei casi di concorso…”) – quale rapporto esistesse tra il reato presupposto, quello dell’omicidio del (OMISSIS), consumato il 2 settembre 2001, per il quale era stato adottato il provvedimento cautelare alla cui esecuzione l’imputato (OMISSIS) si era sottratto, reato del quale il (OMISSIS) pure era stato imputato in altro processo, e le condotte di aiuto che il secondo aveva offerto al primo nell’arco temporale tra il 29 maggio 2009 e il 26 settembre 2010. Nella decisione di annullamento era stato, al riguardo, richiamato il preciso orientamento giurisprudenziale secondo cui l’incompatibilita’ tra il favoreggiamento personale e il reato presupposto va riconosciuta nei soli casi in cui l’un reato sia estrinsecazione dell’altro, concorrendo la medesima condotta a integrare sia un’attivita’ di partecipazione al reato presupposto, sia un’attivita’ favoreggiatrice; mentre tale incompatibilita’ non sussiste, ed e’ percio’ configurabile il concorso tra i due delitti, quando l’attivita’ favoreggiatrice sia diversa, sul piano funzionale, temporale e ontologico, da quella integratrice del reato presupposto (Sez. 1, Sentenza n. 463 del 04/02/1993, Barresi, Rv. 196895).
Di tale principio di diritto la Corte di appello di Bari in sede rescissoria ha fatto buon governo, osservando come non solo tra le due condotte poste a raffronto palesemente diverse sotto l’aspetto ontologico – non vi fosse alcun nesso temporale, essendo stata la condotta di favoreggiamento posta in essere quasi otto anni dopo la commissione del reato presupposto di omicidio; e neppure un collegamento funzionale, in quanto l’aiuto fornito dal (OMISSIS) non era stato affatto finalizzato ad eludere le investigazioni dell’autorita’ sul fatto omicidiario, dunque a contrastare le iniziative inquirenti dalle quali il predetto (gia’ imputato in altro procedimento pendente, per lo stesso reato, dinanzi al giudice minorile) avrebbe potuto astrattamente essere pregiudicato, bensi’ a favorire la latitanza del (OMISSIS), dunque a favorirlo nel sottrarsi alle ricerche finalizzate a dare esecuzione, come si visto, al provvedimento con il quale l’autorita’ competente aveva disposto la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella della custodia in carcere.
Il giudice di rinvio, oltre a rispettare nella forma le regole devolutive dettate dall’articolo 627 c.p.p., comma 3, ha, dunque, salvaguardato il senso e il significato del principio enunciato ai fini dell’applicazione della regola di esclusione fissata dall’articolo 378 c.p., comma 1. Clausola con la quale il legislatore codicistico ha inteso sottolineare la differenza concettuale esistente tra il favoreggiamento e il concorso di persone nel reato, ponendo in luce come non possa essere chiamato a rispondere di una condotta di ausilio in favore di terzi colui che, dopo la commissione del reato presupposto, fornisca un contributo di aiuto che e’ funzionalmente collegabile al contributo che lo stesso aveva offerto proprio in occasione di quel precedente reato. La logica e’, percio’, quella di escludere che possa essere chiamato a rispondere del favoreggiamento personale colui che, aiutando un complice, abbia dato attuazione ad una precedente intesa, perche’ quella promessa di aiuto, se capace di incidere sulla commissione del reato presupposto, e’ essa stessa una forma di concorso; oppure colui che, in assenza di un preventivo accordo, ponga in essere un’attivita’ ausiliatrice che, proprio per il riconosciuto nesso funzionale tra le due iniziative, si traduca indirettamente in un aiuto anche in favore di se stesso. In assenza di tali presupposti, l’attivita’ di aiuto non puo’ che integrare gli estremi del delitto di favoreggiamento personale.
A tali criteri interpretativi la Corte di merito si e’ di certo uniformata, sottolineando, in maniera perspicua, per un verso, come le condotte favoreggiatrici tenute dal (OMISSIS) nulla avessero a che fare con l’omicidio del (OMISSIS), commesso ben otto anni prima. Per altro verso, come l’ipotizzato concorso del (OMISSIS) nella consumazione di quell’omicidio nel 2001 – addebito dal quale, peraltro, lo stesso era stato poi mandato assolto – non potesse essere ritenuto espressione di una sua adesione a quell’associazione per delinquere di stampo mafioso diretta dal (OMISSIS), alla cui sopravvivenza e operativita’ sarebbero state poi riferibili le iniziative ausiliatrici tenute nel 2009 e nel 2010. Con un apparato argomentativo logicamente ineccepibile, significativamente non contestato dall’odierno ricorrente, i giudici di merito hanno chiarito come il concorso nella realizzazione del fine omicidiario era stato contestato ad un soggetto (che gli inquirenti avevano originariamente reputato di poter identificare nel (OMISSIS)) sicuramente non intraneo a quella organizzazione criminale, scelto solamente per le sue capacita’ di guidare la moto.
Ne’ puo’ essere altrimenti valorizzato il fatto che l’odierno ricorrente sia stato imputato del delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., per fatti commessi fino al 2006, essendo stato il prevenuto assolto da quel reato associativo, che, in ogni caso, non era l’illecito presupposto rispetto al contestato favoreggiamento personale.
4. Manifestamente infondati sono il secondo motivo del ricorso, nella parte in cui e’ stata censurata la scelta di ritenere il delitto del capo a) aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, e lo strettamente collegato terzo motivo.
La Corte periferica ha chiarito, con motivazione congrua, che resta esente da qualsivoglia censura di manifesta illogicita’ e di cui l’impugnante si e’ doluto in maniera alquanto indeterminata, come il reato ascrittogli al capo d’imputazione e) – in ordine alla cui responsabilita’ la precedente statuizione era divenuta irrevocabile – dovesse ritenersi aggravato ai sensi del piu’ volte menzionato articolo 7, essendo risultato incontrovertibilmente dimostrato che il (OMISSIS) aveva scelto di allontanarsi dalla sua abitazione e dal comune di residenza, cosi’ violando le prescrizioni impostegli con il provvedimento applicativo della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, allo scopo di aiutare il latitante (OMISSIS), all’epoca posto al vertice della omonima associazione di stampo mafioso operante nella provincia di Foggia, e cosi’ di agevolare la operativita’ dello stesso sodalizio criminale, interessato, proprio in quel periodo, ad alimentare la faida omicidiaria che lo vedeva contrapposto al clan rivale dei (OMISSIS).
Nessuna erronea applicazione della norma che prevede tale circostanza aggravante e’ riconoscibile nella decisione gravata, con la quale – ponendo in risalto come il (OMISSIS) fosse all’epoca l’unico referente apicale in liberta’ di una delle piu’ pericolose e agguerrite consorterie mafiose operanti nella provincia di Foggia, circostanza questa notoria e ben conosciuta anche dall’imputato, del quale era un parente – si e’ fatto buon governo dell’insegnamento nomofilattico dal quale questo Collegio non ha ragione di discostarsi: secondo cui, in tema di favoreggiamento personale, e’ configurabile l’aggravante dell’agevolazione mafiosa nella condotta di chi consapevolmente aiuti a sottrarsi alle ricerche dell’autorita’ un capoclan operante in un ambito territoriale in cui e’ diffusa la sua notorieta’, atteso che la stessa, sotto il profilo oggettivo, si concretizza in un ausilio al sodalizio, la cui operativita’ sarebbe compromessa dall’arresto del vertice associativo, determinando un rafforzamento del suo potere oltre che di quello del soggetto favoreggiato e, sotto quello soggettivo, in quanto consapevolmente prestata in favore del capo riconosciuto, risulta sorretta dall’intenzione di favorire anche l’associazione (cosi’, da ultimo, Sez. 6, n. 32386 del 28/03/2019, Salvato, Rv. 276475).
5. Manifestamente infondate, infine, sono le doglianze contenute nel quarto e ultimo motivo del ricorso, concernenti il diniego delle attenuanti generiche e le scelte in ordine all’entita’ della pena irrogata, in relazione alle quali i giudici di merito hanno evidenziato, con valutazione esente da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede, come il (OMISSIS) non fosse meritevole dell’applicazione dell’articolo 62 bis c.p., in ragione della oggettiva gravita’ della condotta di favoreggiamento posta in essere in favore di un pericoloso criminale condannato all’ergastolo per gravi delitti, dell’assenza di qualsivoglia forma di apprezzabile resipiscenza e dei suoi non lievi precedenti penali.
Del pari adeguata e’ la motivazione con la quale la Corte di appello ha escluso di dover ridurre la pena inflitta dal primo giudice, in considerazione, oltre che dei dati innanzi elencati, dei limiti edittali piu’ elevati previsti dall’articolo 378 c.p., comma 2, della durata delle condotte illecite e del dolo manifestato dal (OMISSIS): cio’ tenuto che e’ affermazione costante di questa Corte che, per giustificare detti dinieghi, e’ sufficiente che il giudice prenda ragionevolmente in considerazione anche uno solo degli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., al quale attribuisca rilevanza decisiva.
6. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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