In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 6 ottobre 2020, n. 21432.

La massima estrapolata:

In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, l’art. 13, comma secondo, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nel prevedere la possibilità del trasferimento d’ufficio di un magistrato ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni, non contempla l’applicazione di una sanzione a titolo definitivo ma l’applicazione di una misura cautelare di natura provvisoria e destinata ad operare fino alla definizione del giudizio di merito, sicché tale norma non pone nessuna necessaria correlazione tra la misura in questione e la sanzione disciplinare di cui l’incolpato risulti astrattamente passibile, non configurando la prima una sorta di espiazione anticipata della seconda. Ne consegue quindi che non integra alcun illegittimo demansionamento del magistrato incolpato la decisione adottata in sede cautelare dal giudice disciplinare, allorché esso, pur optando per la misura del trasferimento ad altra sede con conservazione delle precedenti funzioni, abbia privato temporaneamente l’incolpato, presso il nuovo ufficio, dell’esercizio delle funzioni direttive e semidirettive precedentemente svolte.

Sentenza 6 ottobre 2020, n. 21432

Data udienza 22 settembre 2020

Tag/parola chiave: Disciplinare magistrati – Trasferimento cautelare temporaneo – Automatico demansionamento – Esclusione – Mancato svolgimento delle funzioni direttive o semidirettive

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f.

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez.

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 1000/2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistente –
e contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimato –
avverso l’ordinanza n. 128/2019 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 22/11/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2020 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati (OMISSIS) ed (OMISSIS) per l’Avvocatura Generale dello Stato.

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Nel luglio-agosto 2019 il Dott. (OMISSIS), Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari, veniva raggiunto da azione disciplinare da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e del Ministro della Giustizia. Cio’ a seguito dell’emergere a suo carico, in correlazione con l’indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro denominata “(OMISSIS)” (articolo 416 bis c.p.), di taluni fatti di rilevanza anche penale intercorsi tra il 2016 ed il 2018, e dedotti nel proc. n. 4195/18 rg. radicato ex articolo 11 c.p.p., presso la Procura della Repubblica di Salerno (con emissione, in relazione agli addebiti sub c), di avviso di conclusione delle indagini ex articolo 415 bis c.p.p.).
Venivano al Dott. (OMISSIS) contestati cinque capi di addebito, come riportati nell’ordinanza CSM impugnata (i capi d) ed e) sono stati aggiuntivamente contestati su richiesta del Ministro della Giustizia).
1.2 Con l’ordinanza n. 128 del 4-22 novembre 2019 la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura disponeva in via d’urgenza, Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13, comma 2, la misura cautelare e provvisoria del trasferimento d’ufficio del dottor (OMISSIS) presso il Tribunale di Potenza (sede di cui l’incolpato prendeva possesso nel febbraio scorso), con funzioni di giudice civile.
Riteneva la Sezione Disciplinare che per taluni capi di incolpazione – concernenti il rilascio alla (OMISSIS) srl delle giustificazioni per le infrazioni al C.d.S. (capo b), l’affidamento alla medesima del servizio di intercettazione presso la Procura della Repubblica di Castrovillari (capo c1), le utilita’ asseritamente corruttive date dall’uso di un’utenza telefonica e dalla installazione di un sistema di videosorveglianza presso l’abitazione (capo d) – non sussistessero allo stato sufficienti indizi di responsabilita’, trattandosi di contestazioni necessitanti di opportuni ed ulteriori approfondimenti istruttori nella fase di merito.
Per i restanti capi di incolpazione – concernenti l’affidamento a terzi, con abuso della qualita’, di atti processuali e dati giudiziari sensibili (capo a), il reato di falso materiale ed ideologico nella predisposizione di annotazione di PG concordata con il M.llo dei Carabinieri (OMISSIS), nonche’ la consequenziale condotta gravemente scorretta di interferenza tenuta nei confronti dei magistrati della DDA di Catanzaro titolari della indagine “(OMISSIS)” (capi c2 ed e) – la Sezione Disciplinare ha invece ravvisato i requisiti cautelari tanto del fumus quanto del periculum.
Segnatamente, i capi di incolpazione posti a base della misura cautelare sono i seguenti:
al illecito disciplinare di cui al Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, articolo 2, comma 1, lettera g) ed u), perche’, in violazione del dovere di riserbo e correttezza di cui all’articolo 1 del medesimo D.Lgs., consegnando in copia, per fini esclusivamente privati (operare una archiviazione digitale di atti di procedimenti penali di suo personale interesse) i seguenti procedimenti (nn….), abusando cosi’ della qualita’ di magistrato, in quanto ne aveva in tale veste la materiale indebita disponibilita’, poneva in essere con l’ausilio di (OMISSIS), titolare de facto di una impresa che svolgeva servizi di intercettazione telefonica anche per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari, un trattamento illecito di dati giudiziari personali potenzialmente idoneo a pregiudicare il diritto alla privacy in grave violazione del Decreto Legislativo n. 51 del 2018, articolo 5 e del precedente codice per la protezione dei dati personali n. 196/03, cosi’ ponendo in essere altresi’ una divulgazione, a soggetti non legittimati, ed in violazione del dovere di riservatezza, di dati giudiziari “sensibili”, anche relativi a procedimenti definiti, idonei a ledere indebitamente diritti altrui. (…)
c 2) illecito disciplinare di cui al Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, articolo 4, comma 1, lettera d), perche’, in violazione del dovere di imparzialita’ e correttezza e riserbo di cui all’articolo 1 del medesimo D.Lgs., quale Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari, si rendeva responsabile dei seguenti illeciti costituenti reato, oggetto del procedimento penale n. 4195/18 RG.N. R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, competente ai sensi dell’articolo 11 c.p.p.: (OMISSIS) – (OMISSIS) – (OMISSIS) (…): – delitto previsto e punito dagli articoli 110-81 c.p., articolo 476 c.p., comma 1 e articolo 479 c.p., poiche’, dopo l’avvenuto arresto di (OMISSIS) in data 9.1.2018 da parte della DDA di Catanzaro nell’ambito della operazione denominata “(OMISSIS)”, (OMISSIS), Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Castrovillari, e (OMISSIS), comandante della Stazione Carabinieri Forestali di Cava di Melis, concorrendo nel reato, concordavano la redazione di una annotazione nella quale fossero descritte le attivita’ informative che quest’ultimo aveva acquisito mesi prima nel corso di interlocuzioni con (OMISSIS) documento risultato materialmente falso recando la data del 31.12.2017, laddove (OMISSIS) in quel giorno non risultava in servizio e, sulla base di accertamenti eseguiti sul computer di quest’ultimo, il file risultava generato il 15.1.2018 e modificato l’ultima volta il 19.2.2018; e, al contempo, attestandosi falsamente come da (OMISSIS) compiute le seguenti attivita’: – incontro in data 20.10.2017 presso la Stazione di Cava di Melis con (OMISSIS) e (OMISSIS), laddove in quella data l’ufficiale di pg era risultato permanere per l’intera giornata nell’area urbana di (OMISSIS) e, intorno allo ore 20,00, nel comune di (OMISSIS); – informazione telefonica ricevuta il 3.11.2017 da (OMISSIS) circa un controllo eseguito da carabinieri in localita’ (OMISSIS), laddove la telefonata risultava essere stata fatta da (OMISSIS); in particolare, il Procuratore della Repubblica di Castrovillari, (OMISSIS), suggeriva a (OMISSIS) la redazione dell’atto e la sua retrodatazione e, a seguito della consegna avvenuta da parte dell’ufficiale di polizia giudiziaria nelle mani della segretaria, in servizio presso la Procura della Repubblica di Castrovillari, signora (OMISSIS) in epoca successiva e prossima al 19.2.2018, non essendo stato apposto sul documento alcun timbro di avvenuta ricezione, ne approvava il contenuto dopo l’avvenuta lettura, provvedendo al suo inserimento all’interno del fascicolo n. 4889/2017/21, di cui era contitolare, con provvedimento di “visto agli atti di ufficio” che recava la data del 28.6.2018.
In (OMISSIS) in epoca ricompresa fra il (OMISSIS).
e) illecito disciplinare di cui al Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, articolo 1 e articolo 2, comma 1, lettera d), perche’, in violazione dei doveri di correttezza, imparzialita’ ed equilibrio di cui all’articolo 1 del citato decreto, nella qualita’ di Procuratore della Repubblica di Castrovillari, poneva in essere condotte gravemente scorrette nei confronti (…) dei magistrati della DDA di Catanzaro titolari dei procedimenti n. 3382/2013 RGNR (cd. (OMISSIS)) e n. 4916/2017 RGNR. Segnatamente, dopo l’arresto di (OMISSIS) in data 9.1.2018, concorrendo con (OMISSIS), concordava la redazione di una annotazione di servizio descrittiva delle attivita’ informative che lo stesso (OMISSIS) aveva acquisito mesi prima nel corso di interlocuzioni con (OMISSIS) – materialmente ed ideologicamente falsa. In particolare tale atto risultava materialmente falso, in quanto recante la data del 31.12.2017, giorno in cui il (OMISSIS) non risultava in servizio ed in quanto, sulla base di accertamenti eseguiti sul computer di quest’ultimo, il relativo file risultava generato il 15.1.2018 e modificato l’ultima volta il 19.2.2018; nonche’ ideologicamente falso, in quanto in esso si attestavano falsamente come da (OMISSIS) compiute le seguenti attivita’: – incontro in data 20.10.2017 presso la Stazione di Cava di Melis con (OMISSIS) e (OMISSIS), laddove in quella data l’ufficiale di P.G. era risultato permanere per l’intera giornata nell’area urbana di (OMISSIS) e, intorno alle ore 20.00, nel comune di Rende; – informazione telefonica ricevuta il 3.11.2017 da (OMISSIS) circa un controllo eseguito dai carabinieri in localita’ (OMISSIS), laddove la telefonata risultava essere stata fatta da (OMISSIS); ed inoltre, a seguito della consegna avvenuta da parte dell’ufficiale di polizia giudiziaria nelle mani della segretaria, in epoca successiva e prossima al 19.2.2018, non essendo stato apposto sul documento alcun timbro di avvenuta ricezione, ne approvava il contenuto dopo l’avvenuta lettura, provvedendo al suo inserimento all’interno del fascicolo n. 4889/2017/21, con provvedimento di “visto agli atti di ufficio ” che recava la data del 28.6.2018. Con tale condotta il Dott. (OMISSIS) poneva in essere una grave scorrettezza nei confronti sia della collega assegnataria del procedimento n. 4889/2017/21, nel quale l’atto falso veniva inserito su sua iniziativa esclusiva, sia nei confronti dei magistrati della DDA di Catanzaro – titolari dei procedimenti sopra indicati – che stavano svolgendo indagini a carico di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., indagini che potevano essere inficiate dal contenuto del predetto atto falso.
(…).
1.3 Con ricorso Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 24, il Dott. (OMISSIS) chiede la cassazione dell’ordinanza cautelare in questione, formulando a tal fine quattro articolati motivi.
E’ stata depositata memoria da parte del Ministro e del Ministero della Giustizia, con la quale si chiede il rigetto del ricorso in relazione agli illeciti disciplinari di contestazione ministeriale.
Il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
2. Nel corso della discussione odierna il ricorrente ha preliminarmente eccepito la decadenza ovvero la sopravvenuta inefficacia della misura cautelare in questione, attesa la mancata decisione da parte delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso, secondo quanto prescritto dal Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 24, comma 2, come sostituito dalla L. 269 del 2006, articolo 1, comma 3, lettera o).
L’eccezione e’ destituita di fondamento perche’ il Decreto Legislativo n. 109 del 2006, effettivamente conosce un regime di tipo estintivo-decadenziale del procedimento disciplinare (articolo 15), ma da esso viene eccettuata la fase di legittimita’ (articolo 24).
La dedotta estinzione della misura cautelare in caso di mancato rispetto (nella specie correlato ai noti provvedimenti emergenziali Covid-19) del termine assegnato per la decisione di legittimita’ non e’ prevista da alcuna disposizione di legge, e non potrebbe certo affermarsi in forza di mera interpretazione estensiva o analogica di disposizioni estranee alla disciplina, di natura speciale, qui applicabile.
Sul piano sostanziale rileva che le sanzioni disciplinari a carico dei magistrati, sebbene applicate da un organo titolare di poteri giurisdizionali, hanno natura amministrativa e non penale, con la conseguenza che non sono ad esse automaticamente riferibili i principi propri delle sanzioni di quest’ultimo tipo; argomento, questo, che non vi e’ ragione di non riferire anche alla cautela.
Sul piano processuale, il richiamo dell’articolo 24 cit. ai termini ed alle forme previ i dal codice di procedura penale concerne unicamente il ricorso per cassazione (che deve rispondere ai requisiti contenutistici di cui all’articolo 606 c.p.p.) e la fase strettamente introduttiva e di instaurazione del contraddittorio del giudizio di legittimita’, non anche le fasi successive e, per quanto qui piu’ conta, quella decisionale, invece per intero sottoposta alla disciplina dettata dal codice di procedura civile.
Questi elementi fondamentali e caratteristici (natura non penale delle sanzioni ed applicabilita’ delle norme sul processo civile di legittimita’) si ritrovano piu’ volte ed a vario fine evidenziati nella giurisprudenza delle sezioni unite (tra le altre: Cass. SSUU nn. 27172/06; 16625/07; 1771/13; 7310/14; 17585/15), e valgono a senz’altro escludere che sia, in particolare, qui evocabile un effetto estintivo e di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare in analogia a quanto espressamente previsto – ma non sulla base di un principio generale e, appunto, in un non accostabile ambito sostanziale e processuale – per la tardiva decisione del tribunale investito del riesame di misure coercitive (articolo 309 c.p.p., comma 10). Tanto piu’ che tale estensione e’ stata negata, finanche all’interno dello stesso procedimento cautelare penale, con riferimento al termine di decisione (ritenuto anch’esso ordinatorio) assegnato alla corte di cassazione dall’articolo 311 c.p.p., comma 5 (Cass. SSUU pen. 11/98; Cass.pen. 1672/19).
Contrariamente a quanto pure, subordinatamente, dedotto dalla difesa del ricorrente, non si ritiene che la conclusione qui accolta ponga fondati dubbi di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 24, comma 2, in esame, appunto la’ dove non sancisce l’inefficacia della misura in conseguenza della tardiva decisione. Le previsioni costituzionali di piu’ immediato riferimento (articoli 3, 24 e 111 Cost.) non risultano infatti in alcun modo lese da un’opzione legislativa che – nella gia’ evidenziata specialita’ della materia – ha inteso escludere ogni effetto estintivo attribuendo al termine decisionale in questione natura meramente ordinatoria.
L’intero procedimento disciplinare a carico del magistrato e’, come detto, gia’ sottoposto ad una rigida scansione temporale (Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 15) che in effetti contempla – con riguardo a tutte le sue fasi: promozione, indagine e decisione – termini perentori e preclusivi, con espressa previsione di estinzione del procedimento stesso in caso di loro inosservanza (comma 7).
Nel non arbitrario esercizio di una tipica discrezionalita’ legislativa, si e’ dunque ritenuto che la stringente scansione temporale decadenziale di cui all’articolo 15 cit. (rivisitata con la L. n. 269 del 2006) fosse di per se’ (necessaria e) bastevole a stabilire un congruo punto di equilibrio tra l’interesse sia dello Stato ad un rapido, completo e ponderato accertamento della responsabilita’, sia del magistrato incolpato a non vedersi sottoposto sine die a giudizio disciplinare. Senza con cio’ che la mancata estensione del regime di perenzione anche alla, peraltro solo eventuale, fase di legittimita’ sia tale da fondamentalmente menomare – in una considerazione del procedimento che deve essere complessiva ed unitaria – i principi di ragionevolezza, tutela del diritto di difesa e giusto processo.
3.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta “inosservanza e/o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13, in combinato disposto con l’articolo 17 del medesimo Decreto Legislativo (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b). Nullita’ dell’ordinanza per inosservanza dell’articolo 178 c.p.p., lettera c) e articolo 180 c.p.p., in relazione al Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13 (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c). Mancata assunzione di una prova decisiva richiesta nel corso dell’istruzione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d)”.
Cio’ sotto i seguenti profili:
– omesso rilievo del fatto che le produzioni documentali della Procura Generale presso la Corte di Cassazione erano state tardive e parziali posto che, a fronte della iniziale comunicazione di addebito del 4 luglio 2019, soltanto il 4 settembre 2019 il Procuratore Generale aveva provveduto a depositare atti di risalente formazione, costituiti dal carteggio intercorso tra la Procura Generale presso la Corte di Cassazione e la Procura Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonche’ tra quest’ultima e la Procura della Repubblica di Castrovillari retta dal Dott. (OMISSIS); di tale carteggio, tuttavia, non facevano parte le note intercorse tra il Procuratore Generale di Catanzaro (Dott. (OMISSIS)) ed il Procuratore della Repubblica di Catanzaro (Dott. (OMISSIS)), le quali avrebbero consentito di comprendere quanto stava avvenendo nei rapporti tra la Procura di Catanzaro e le altre Procure distrettuali e, con cio’, di procedere ad una lettura complessiva ed oggettiva dei fatti contestati sui quali la Sezione aveva, in ragione di tale mancata produzione, offerto una motivazione illogica e solo apparente;
– erroneo convincimento, conseguente proprio alla solo parziale produzione documentale, del fatto che il Dott. (OMISSIS) avrebbe avviato una serie di esposti finalizzati a generare discredito sui colleghi della Procura Distrettuale di Catanzaro, la’ dove egli si era invece limitato a doverosamente rispondere ad una nota del Procuratore Generale di Catanzaro, a sua volta conseguente ad una richiesta del Ministro della Giustizia a riscontro di un’interrogazione parlamentare;
– omesso rilievo, anch’esso conseguente alla lacunosita’ della documentazione acquisita, del fatto che lo strepitus fori ingenerato all’interno del distretto di Catanzaro, utilizzato in danno del Dott. (OMISSIS), trovava invece origine in alcuni articoli di stampa redatti da un giornalista legato al Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Dott. (OMISSIS);
– illegittimo rigetto dell’istanza volta all’acquisizione degli atti della procedura disciplinare pendente avanti alla Sezione Disciplinare al n. 27/2018 i quali, unitamente alle note inviate dal Dott. (OMISSIS) al Dott. (OMISSIS), avrebbero consentito una diversa lettura dell’intera vicenda, con conseguente esclusione sia del fumus sia del periculum.
3.2 Il motivo e’ infondato.
Esso si sostanzia nella violazione del diritto di difesa, nella mancata acquisizione di elementi istruttori decisivi e nella conseguente carenza motivazionale; cio’ sotto il profilo del mancato rilievo probatorio di una determinata situazione di contesto (data dai rapporti instauratisi tra la Procura di Catanzaro e le altre Procure del distretto, nonche’ dal ruolo rivestito nell’intera vicenda dal Procuratore di Catanzaro Dott. (OMISSIS)) asseritamente idonea a fornire una diversa lettura dei fatti addebitati.
Non sono stati tuttavia forniti univoci elementi (e cio’ era onere del ricorrente) per ritenere che la lacuna denunciata sia effettivamente caduta su un elemento decisivo ai fini del giudizio, tenuto conto che dalla ricostruzione fattuale operata dalla Sezione Disciplinare emerge l’addebito di fatti specifici e ben determinati, la cui oggettiva ed autonoma rilevanza cautelare non potrebbe ritenersi di per se’ esclusa dalla ricostruzione dei rapporti tra le Procure suddette (compresi i contrasti tra il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ed il Procuratore di Catanzaro) e dei relativi conflitti.
L’ordinanza impugnata rievoca in maniera sufficientemente analitica (pagg. 11-14) le fonti indiziarie attestanti il fumus, se non dell’accordo iniziale e della preordinazione con il (OMISSIS) sul contenuto e la retrodatazione dell’annotazione di cui al capo C2 (volta a giustificare ex post i contatti emersi tra il (OMISSIS) e gli (OMISSIS), i quali avrebbero assunto la pretesa veste di concussi nei rapporti con tal (OMISSIS), funzionaria di (OMISSIS), fatta oggetto di indagine presso la locale Procura), quantomeno della consapevolezza nel Dott. (OMISSIS) della falsita’ di tale annotazione, ritenuta riscontrata anche dalla mancata richiesta di qualsivoglia spiegazione al (OMISSIS) circa il non concepibile ritardo (apparentemente, dal 31 dicembre 2017 al 28 giugno 2018, data di messa agli atti) con il quale questi aveva riferito di elementi (rapporti con gli (OMISSIS)) essenziali per l’indagine, e dei quali egli riteneva di dover essere invece informato passo passo.
Rileva inoltre, quanto al consequenziale capo e), il convincimento della Sezione Disciplinare circa la consapevolezza nel Dott. (OMISSIS) “fin dal momento dell’arresto di (OMISSIS), che i colleghi di Catanzaro avevano in corso un’indagine e che essa poteva essere in qualche modo inficiata da una diversa rappresentazione dei rapporti fra (OMISSIS) e (OMISSIS)” (pag. 15).
Va poi considerato come la valutazione fattuale della Sezione Disciplinare, lungi dall’ometterlo, abbia considerato anche e proprio quanto sostenuto dal Dott. (OMISSIS) circa la sua mancata informazione, da parte dei colleghi di Catanzaro, dell’indagine in corso a carico degli (OMISSIS) (e del (OMISSIS)), che si sovrapponeva alla sua e cio’ appunto “in un contesto di contrasto tra le Procure della Calabria che ha interessato anche la prima commissione del CSM e le pagine dei quotidiani locali (v. documenti versati in atti da (OMISSIS) in allegato alla memoria difensiva)” (pag. 15); sennonche’, ben lontana dal costituire circostanza esimente, questa situazione di contesto, quand’anche comprovata, non poteva di per se’ elidere il fumus della responsabilita’ disciplinare contestata al Dott. (OMISSIS) per i fatti in questione (puntuali, e non di contesto) e le interferenze accertate nei confronti della indagine DDA, quanto soltanto aggravare il periculum gia’ ritenuto obiettivamente insito nella sola permanenza in Castrovillari dell’incolpato, reso piu’ evidente dal fatto che questi alimentava “con i suoi esposti quello strepitus che danneggia l’immagine del magistrato dell’ufficio della Procura” (pag. 16).
Il vizio denunciato nel presente motivo di ricorso, in definitiva, non tiene conto del fatto che:
– l’ordinanza impugnata non tralascia affatto di considerare la vicenda all’interno del quadro dei rapporti tra le diverse Procure del distretto, attribuendo piuttosto ad esso, all’esito di una delibazione fattuale di certo qui non rivedibile, un ruolo non dirimente, perche’ reputato non idoneo ad inficiare la consistenza indiziaria e la rilevanza cautelare (criticamente esposta) dei fatti addebitati al Dott. (OMISSIS);
– gli ulteriori elementi istruttori, afferenti anch’essi a quel quadro di rapporti tra uffici e di cui il Dott. (OMISSIS) lamenta la pretermissione, non possono, nella sua stessa prospettazione, ritenersi decisivi in quanto inidonei a sovvertire quella delibazione (mirata, come detto, su condotte specifiche autonomamente ed anche singolarmente valutabili).
Cio’ esclude sia la violazione di norme sostanziali o processuali decisoriamente incidenti, sia la lamentata carenza motivazionale e l’eventualita’ che il convincimento cautelare della Sezione Disciplinare sia stato fuorviato da una incompleta ricostruzione degli elementi essenziali della vicenda.
Si e’ in proposito stabilito che “il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione puo’ essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisivita’” (Cass. pen. 3724/15 ed altre), e questo carattere viene a sua volta individuato – ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) – in quella “prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero, in quella prova che, non assunta o non valutata, vizi la sentenza intaccandone la struttura portante” (Cass. pen. nn. 6783/14; 9878/20 ed altre).
Il che nella specie non e’.
4.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce “inosservanza e/o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13, in relazione al Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101, articolo 2 octies, comma 3, lettera e), nonche’ al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, Decreto Legislativo n. 51 del 2018, articoli 5, 43 e articolo 51, comma 2, lettera d, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)”.
Cio’ sotto i seguenti profili, concernenti il capo a):
omesso rilievo del fatto che l’asserito trattamento illecito di dati giudiziari personali era per legge escluso dalla circostanza che il Dott. (OMISSIS) detenesse tali dati, temporaneamente affidati ad un terzo per la loro digitalizzazione, non in quanto magistrato o Procuratore della Repubblica, ma quale persona offesa nei relativi procedimenti concernenti fatti personali e non riferibili ad indagini od altre attivita’ investigative, come attestato dalla PG sul punto delegata dalla Procura di Salerno; in conseguenza della detenzione a titolo personale, ricorreva quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 8, comma 2, lettera e), poi ripreso dal Decreto Legislativo n. 101 del 2018, articolo 2 octies, comma 3, lettera e), secondo cui il trattamento di dati personali senza il consenso degli interessati e’ comunque legittimo allorquando finalizzato all’accertamento di un diritto ed all’esercizio della difesa in sede giudiziaria (dunque, con esclusione della contestata violazione dei doveri di riserbo e correttezza);
contraddittorieta’ e lacunosita’ della motivazione dell’ordinanza impugnata la quale, in relazione alla ritenuta irrilevanza in sede cautelare della contestazione di cui al capo cl), aveva invece svolto una compiuta analisi del quadro istruttorio, ed infine ritenuto necessario un ulteriore approfondimento di merito.
4.2 Il motivo e’ fondato.
L’ordinanza della sezione disciplinare affronta il capo a) alle pagine 9 e 10, dalle quali si evince che – esclusa la rilevanza penale della violazione, ed “anche qualora non dovesse accedersi all’ipotesi di dossieraggio paventata dalla Procura Generale” – il trattamento illecito in addebito doveva comunque ritenersi realizzato in ragione della oggettivita’ di una condotta (neppure contestata nella sua materialita’ dal (OMISSIS)) che aveva visto l’incolpato consegnare ad un terzo estraneo (il (OMISSIS) della (OMISSIS)) atti “di processi inerenti ad una risalente vicenda definita dalla procura di Salerno per contrasti con il collega (OMISSIS) ai tempi in cui era alla Procura di Paola”. La diffusione, in particolare, si sarebbe realizzata nella consegna di tali atti al (OMISSIS) (presso la cui abitazione-ufficio vennero infatti rinvenuti nel corso della perquisizione GICO) al fine della loro conversione, tramite scannerizzazione, dal formato cartaceo a quello digitale.
Il fatto che l’ordinanza impugnata si sia, per cosi’ dire, fermata alla condotta cosi’ individuata integra in effetti i vizi denunciati.
Nella memoria difensiva presentata al CSM il 23 settembre 2019 (di cui anche l’ordinanza da’ conto), il (OMISSIS) nego’, non tanto il trattamento in se’, quanto la sua illiceita’, sostenendo quanto segue: “i documenti con dati riservati affidati a (OMISSIS) (…) sono documenti personali da me utilizzati oltre dieci anni fa per altra vicenda giudiziaria conclusasi con un processo davanti al Tribunale di Salerno, e da me consegnati al (OMISSIS) al fine di scannerizzarli per mia comodita’, e non documenti riservati dei quali il (OMISSIS) era depositarlo. Documenti (come attestato dalla Guardia di Finanza nel verbale di perquisizione in data 15 ottobre 2018, pagina 3) custoditi in una camera di sicurezza dove (OMISSIS) custodisce le proprie armi”; e poi, ancora richiamando quanto osservato dalla stessa Guardia di Finanza sull’irrilevanza di tali atti processuali rispetto alle indagini in corso: “si tratta evidentemente gli atti relativi ad una vicenda personale che mi ha visto persona offesa davanti al Tribunale di Salerno nei confronti di un collega all’epoca in servizio alla Procura di Paola, trasferito dal CSM per incompatibilita’ ambientale, vicenda processuale per la quale il collega mi ha denunciato al Procuratore Generale della Cassazione che, dopo l’istruttoria, richiedeva ed otteneva dalla sezione disciplinare del CSM il mio proscioglimento. Quindi atti personali, processuali, quindi non soggetti a segreto di sorta, di processi definiti ormai da diversi anni. Il trasferimento del collega e’ stato oggetto di pubblicazioni anche a mezzo stampa. Tale circostanza e’ stata sufficientemente chiarita da me nell’interrogatorio del 5 dicembre 2018, quando ancora non conoscevo l’esito delle indagini delegate al GICO della Guardia di Finanza”.
Ora, e’ evidente come non sia questa la sede per addivenire ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa, pacificamente rientrante nella esclusiva e discrezionale valutazione del giudice della cautela. E tuttavia, l’insindacabilita’ di tale valutazione nel giudizio di legittimita’ presuppone – sul piano normativo – la conformita’ dell’illecito contestato alla fattispecie legale (specialmente a fronte di un sistema disciplinare improntato a rigida tipicita’, come quello risultante dal Decreto Legislativo n. 109 del 2006) e – su quello motivazionale – lo svolgimento e l’esposizione da parte di quel giudice di un percorso logico-argomentativo e valutativo logico, completo ed esauriente.
In base al Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 2, lettera u), l’illecito disciplinare (di natura funzionale) e’ integrato dalla “divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonche’ la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando e’ idonea a ledere indebitamente diritti altrui”.
Non risulta che l’ordinanza cautelare abbia esaminato tutti indistintamente gli elementi integrativi dell’illecito disciplinare cosi’ contestato, esame che era invece necessario a fronte di una linea difensiva che deduceva:
– l’assoluta irrilevanza degli atti processuali in questione rispetto alle indagini in corso ed ai procedimenti pendenti seguiti dal (OMISSIS) e dalla sua Procura (circostanza che trovava asseritamente conferma nella stessa relazione GICO);
– l’avvenuta risalente definizione dei procedimenti dai quali quegli atti erano stati tratti, aventi origine da contestazioni disciplinari archiviate e divenute da tempo di pubblico dominio, come tali non coperte da segreto o divieto di pubblicazione;
– l’esecuzione del trattamento contestato in veste esclusivamente privata e personale in qualita’ di persona offesa e, dunque, non in qualita’ di magistrato ne’ di Procuratore della Repubblica;
– la finalizzazione del trattamento (concernente procedimenti penali definiti) ad esigenze strettamente personali e non indebitamente lesive di diritti altrui;
– la mancata violazione altresi’ del dovere generale di riserbo e correttezza al quale e’ chiamato il magistrato (articolo 1, L. cit.), attese le concrete modalita’ di conservazione degli atti in questione presso l’ufficio del (OMISSIS), palesemente escludenti la possibilita’ di diffusione generalizzata, intesa quale conoscenza o conoscibilita’ dei medesimi da parte di un gruppo indeterminato di soggetti terzi.
Di queste lacune si ha riflesso anche nella formulazione del capo a) in addebito, nel quale si pongono a carico del (OMISSIS) determinati profili qualificanti dell’illecito disciplinare che questi ha inteso contrastare in linea di fatto, e che l’ordinanza in esame ha invece apoditticamente dato per scontati, senza dare conto del fondamento indiziario di conforto del proprio convincimento.
Nel capo di addebito, infatti, si contestano due circostanze – l’abuso della qualita’ di magistrato e l’acquisizione in tale veste della materiale indebita disponibilita’ degli atti processuali in questione – del cui riscontro istruttorio nulla l’ordinanza dice. Ne’ si specifica in essa perche’ questi profili di incolpazione dovrebbero ritenersi fondati (seppure sul solo piano probatorio attenuato proprio della cautela) pur in relazione ad atti di procedimenti penali che:
– lo stesso capo di incolpazione definisce di “personale interesse” del (OMISSIS);
– avevano visto quest’ultimo come persona offesa;
– si trovavano in suo possesso su questo presupposto, e non per l’impiego o la spendita di ruoli d’ufficio.
Si tratta di mancanze motivazionali che precludono al contempo a questo giudice di controllare la corretta sussunzione dell’addebito nella fattispecie legale contestata di trattamento illecito, posto che la disciplina in materia esclude questo carattere di illiceita’ allorquando l’acquisizione e la conservazione dei dati di natura processuale dipenda dalla necessita’ di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria; ipotesi nella quale, fermo l’accertamento fattuale di inerenza, pertinenza e limitazione temporale, non si richiede il consenso dell’interessato (Decreto Legislativo n. 196 del 2003; articolo 8, comma 2, lettera e), nonche’ articolo 24, comma 1, lettera f); Decreto Legislativo n. 101 del 2018, articolo 2 octies, comma 3, lettera e)).
Si impone quindi un riesame sul punto da parte della Sezione Disciplinare, la quale dovra’ verificare, dandone compiuta motivazione, la resistenza del quadro indiziario cautelare concernente l’addebito in questione in rapporto alla fattispecie sostanziale e disciplinare contestata.
5.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta “mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione alla luce dell’evidenza della documentazione prodotta dalla ricorrente e degli altri atti del procedimento disciplinare: a) con riferimento ai capi c2) ed e), nonche’ b) con riferimento all’asserita perdita di prestigio e di buon andamento della giustizia”.
Cio’ sotto i seguenti profili:
– travisamento dei fatti e contraddittorieta’ motivazionale la’ dove la Sezione Disciplinare aveva addebitato al Dott. (OMISSIS) di aver concordato con il M.llo (OMISSIS) il contenuto e la retrodatazione al 31 dicembre 2017 della relazione informativa (accordo di cui non vi sarebbe traccia nelle captazioni disposte a carico del (OMISSIS), di cui all’annotazione GICO in atti), nonostante che la motivazione dell’ordinanza impugnata (pag. 13) si limitasse a ritenere provato che l’incolpato avesse semplicemente indicato al (OMISSIS) di annotare quanto accaduto nell’indagine dei boschi, attivita’, quest’ultima, non solo legittima ma addirittura doverosa da parte del pubblico ministero; per il resto, il Dott. (OMISSIS) aveva adempiuto al suo dovere principale, costituito dal disporre l’affoliazione, agli atti del procedimento, della relazione del (OMISSIS), non appena da lui rinvenuta nella posta quotidiana;
– travisamento dei fatti e contraddittorieta’ motivazionale anche la’ dove la Sezione Disciplinare aveva addebitato al Dott. (OMISSIS) indebite interferenze nelle indagini dei colleghi della DDA, nonostante che egli fosse del tutto ignaro, stante il segreto investigativo e l’assenza di reale coordinamento e flusso informativo tra Procura Distrettuale e Procura di Castrovillari, del fatto che tali indagini coinvolgessero appunto anche il (OMISSIS) (arrestato successivamente alla data di ricezione da parte del Dott. (OMISSIS) della relazione di PG contestata);
– omessa considerazione dell’esito delle investigazioni difensive dalle quali emergeva come lo strepitus fori individuato dalla Sezione Disciplinare non fosse ascrivibile al Dott. (OMISSIS), risultando piuttosto strumentale ed eterodiretto; e come, inoltre, plurime e convergenti fossero le attestazioni di unanime fiducia, prestigio, correttezza ed onesta’ attribuite al Dott. (OMISSIS), in una con il riconoscimento del buon funzionamento dell’ufficio affidato alla sua direzione (attestato dai sostituti, dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, ed anche dalla relazione degli Ispettori ministeriali dell’aprile 2019), sicche’ la perdita di prestigio del magistrato derivava, nella specie, non dall’oggettivita’ dei fatti contestatigli ma dalla stessa esecuzione di una misura disciplinare percepita come ingiusta ed immotivata.
5.2 Il motivo, ascrivibile all’ipotesi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e’ infondato.
Va premesso che “in tema di responsabilita’ disciplinare dei magistrati, il sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni della Sezione Disciplinare del CSM e’ limitato al controllo della congruita’, adeguatezza e logicita’ della motivazione, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ e’ estraneo al sindacato di legittimita’ il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, pur dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006” (Cass. SSUU 7691/19); e, inoltre, che: “in materia di illecito disciplinare degli appartenenti all’ordine giudiziario, la denuncia – con ricorso per cassazione – del vizio di manifesta illogicita’ della decisione, in cui sarebbe incorsa la Sezione Disciplinare del CSM, puo’ sollecitare la Suprema Corte esclusivamente a verificare se il giudice di merito abbia esaminato gli elementi e le deduzioni posti a sua disposizione ed abbia fatto corretto uso di regole logiche, massime di esperienza e criteri legali di valutazione, cosi’ da offrire razionale spiegazione dell’opzione decisionale fatta rispetto alle diverse tesi difensive, restando, invece, preclusa la possibilita’ di opporre alla valutazione dei fatti contenuta nella decisione una diversa loro ricostruzione” (Cass. SSUU n. 14430/17).
Dal che si evince che, come gia’ osservato, gli accertamenti, gli apprezzamenti e le valutazioni del fatto sono riservate alla Sezione Disciplinare, e risultano insindacabili in sede di legittimita’ se sorretti da motivazione congrua, esaustiva ed esente da vizi logici.
Orbene, il convincimento della Sezione Disciplinare discende proprio da una determinata delibazione indiziaria degli elementi cautelari relativi alla ritenuta consapevolezza nel Dott. (OMISSIS) della falsita’ di data e di contenuto della annotazione 31 dicembre 2017, cosi’ come riferito dal (OMISSIS) in piu’ occasioni e, segnatamente, nell’interrogatorio del 20 settembre 2018; dichiarazioni, queste ultime, successivamente in parte rettificate (incidente probatorio del 29 marzo 2019), ma valutate dal giudice della cautela in termini di adeguatezza del fumus in ordine, se non ad una congiunta preordinazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), quantomeno appunto alla consapevolezza nel primo della falsita’ della relazione, pervenuta al suo ufficio – senza timbro di deposito – con inspiegabile ed inspiegato ritardo rispetto alla data sia dell’apparente redazione, sia delle attivita’ di indagine in essa narrate. Il convincimento di merito – nei limiti della sommarieta’ di cognizione connaturata al procedimento – e’ stato dunque nel senso di ritenere sufficientemente indizianti questi elementi, pur nell’assenza di intercettazioni dirette tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) attestanti una falsificazione preordinata.
Dal convincimento su tale consapevolezza di falsita’, l’ordinanza ha poi tratto ulteriore persuasione – attraverso un procedimento che non puo’ definirsi di per se’ illogico ne’ lacunoso – in ordine al fatto che il prevenuto, contrariamente a quanto da lui sostenuto, fosse al tempo stesso a conoscenza (per gli effetti della contestazione disciplinare di grave scorrettezza ed interferenza di cui al capo e)) anche dell’indagine condotta dai colleghi nell’ambito della quale erano emersi contatti fortemente sospetti tra il (OMISSIS) e lo (OMISSIS); cio’ in rapporto alla materiale predisposizione dell’annotazione retrodatata del (OMISSIS) pochi giorni dopo (15-19 gennaio 2018) la notizia dell’arresto (9 gennaio 2018) dello (OMISSIS), e la fittizia descrizione in essa di operativita’ d’ufficio della cui assai tardiva relazione il (OMISSIS) non chiese conto alcuno, nonostante la rilevanza dei fatti descritti ed il costante aggiornamento dell’andamento delle indagini che gli era dovuto – potenzialmente legittimanti quei contatti.
Neppure puo’ dirsi che la decisione impugnata sia contraddittoria per aver essa stessa ritenuto che il compendio indiziario non si spingesse oltre l’indicazione data dal Dott. (OMISSIS) al (OMISSIS) ÃÆ’¢â‚¬ÃâEuro¹Ã…”di annotare quanto accaduto nell’indagine dei boschi’, essendo vero – all’esatto contrario – che l’ordinanza impugnata basa la valutazione di sufficiente fondatezza cautelare degli addebiti di cui ai capi c2) ed e) su un argomentato e coerente convincimento di conoscenza nel Dott. (OMISSIS) sia della falsita’ della annotazione, sia delle ragioni della falsificazione, sia dell’interferenza di indagine arrecata con la sua affoliazione il 28 giugno 2018, pochi giorni prima dell’arresto del
(OMISSIS). Elementi, questi, capaci di inficiare del tutto plausibilmente – in quanto puramente retorico e sganciato dalla realta’ rinveniente da una determinata ricostruzione degli accadimenti – l’argomento difensivo del Dott. (OMISSIS) circa la mera “doverosita’” del contegno da lui serbato nell’occasione. Ricorre in proposito l’indirizzo secondo cui: (Cass. n. pen. 53600/16 ed altre): “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di contraddittorieta’ della motivazione della sentenza consiste nel concorso, dialetticamente irrisolto, di proposizioni – testuali ovvero extra-testuali e contenute in atti del procedimento specificamente indicati dal ricorrente -concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente e univocamente la negazione dell’altra e viceversa”.
Si tratta di evenienza che qui non si riscontra.
Il motivo di ricorso e’ infondato anche quanto al periculum, richiamandosi in proposito le considerazioni poc’anzi svolte in ordine al primo motivo di ricorso.
L’ordinanza impugnata non nega il “contrasto esistente all’interno della magistratura calabrese anche in conseguenza della presente vicenda”, come pure testimoniato dalla denunciata campagna mediatica di cui agli esposti presentati dallo stesso incolpato al Procuratore Generale di Catanzaro, “tutti volti a screditare l’operato e la figura dei colleghi della DDA e della PG da essi delegata per le indagini”, ma appunto lo valorizza – in maniera di per se’ non irragionevole ne’ contraddittoria – a sostegno del venire provvisoriamente meno delle condizioni di permanenza del Dott. (OMISSIS) nel suo ufficio. Anche in ragione dell’emersione dei suoi rapporti di stretta amicizia con il (OMISSIS), agente della Polizia di Stato; ma di fatto incaricato delle intercettazioni tramite una societa’ da lui gestita; e, inoltre, dichiaratamente presente il 1 ottobre 2017 nei pressi dell’abitazione del Dott. (OMISSIS) allorquando questi incontro’ il (OMISSIS) per concordare successive operazioni.
Il che si risolve, ancora una volta, in una tipica delibazione di merito data dalla ritenuta subvalenza degli attestati di stima e considerazione personale nonche’ di capacita’ professionale ed efficienza organizzativa addotti dall’incolpato, rispetto all’obiettivita’ e gravita’ (fermi ovviamente restando gli approfondimenti propri del giudizio sul merito disciplinare) degli effetti locali dello strepitus riconducibili alla vicenda, di rilievo anche penale.
Non sembra dunque che, cosi’ facendo, la Sezione Disciplinare si sia discostata dal principio secondo cui “ai fini dell’applicazione della misura cautelare del trasferimento d’ufficio del magistrato, il giudice del merito deve verificare che ricorrano, accanto ai gravi elementi di fondatezza dell’incolpazione (“fumus”), l’esistenza dei motivi di particolare urgenza che impongono il trasferimento in via cautelare, valutando sia l’esigenza di carattere soggettivo di allontanare il magistrato da un ambiente in cui, in pendenza del giudizio disciplinare, non potrebbe continuare ad esercitare le funzioni con la serenita’ e il distacco necessari, sia la finalita’ di carattere oggettivo, avente un peso preponderante, di evitare che la permanenza del magistrato nell’ufficio o nelle funzioni esercitate incida negativamente sul buon andamento dell’amministrazione della giustizia, anche sotto il profilo della visibilita’ all’esterno” (Cass. SSUU n. 33017/18).
Deve allora rimarcarsi, pure sotto questo specifico aspetto, che anche – ed a fortiori – in materia cautelare, spetta al giudice di legittimita’ la sola verifica delle censure inerenti l’adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze indizianti; esulando invece dal vaglio della cassazione quelle censure che, pur nominalmente dirette ad inficiare la motivazione, si risolvono in realta’ nella mera prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia’ argomentatamente esaminate dal giudice di merito.
6.1 Con il quarto motivo di ricorso si deduce “nullita’ dell’ordinanza per difetto assoluto di motivazione ex articolo 125 c.p.p., in relazione al Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13, comma 2 (trasferimento di funzioni). Violazione dell’articolo 107 Cost., comma 1”.
Cio’ sotto i seguenti profili:
– illegittimo cumulo, con effetto sostanzialmente anticipatorio della sanzione, della misura cautelare del trasferimento d’ufficio (unica misura richiesta dal Ministro della Giustizia) con quella della modifica delle funzioni giudiziarie (aggiuntivamente richiesta dal Procuratore Generale) nonostante che tale cumulo fosse escluso dal Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13, comma 2;
– inopportuna assegnazione al Tribunale di Potenza, i cui magistrati sono assoggettati ex articolo 11 c.p.p., alla giurisdizione del circondario di Catanzaro e, dunque, all’attivita’ investigativa della Procura presso il Tribunale, gia’ coinvolta nella contestazione penale e disciplinare mossa al Dott. (OMISSIS);
– illegittima assegnazione, in contrasto con la normativa e le circolari CSM tra l’altro preposte all’osservanza del principio di inamovibilita’ del giudice di cui all’articolo 107 Cost., al settore civile, pur in assenza di qualsiasi valutazione circa l’inidoneita’ del Dott. (OMISSIS) all’espletamento delle funzioni penali; inidoneita’ in realta’ senz’altro da escludersi sia sul piano giurisdizionale sia su quello prettamente organizzativo.
6.2 Il motivo e’ infondato.
Ferma restando l’insindacabilita’ in questa sede delle scelte spettanti al Consiglio Superiore della Magistratura che, non concretando la violazione di specifiche norme di legge (neppure indicate) poste a tutela dell’incolpato, si risolvono piuttosto nell’esercizio di discrezionalita’ amministrativa e delle prerogative di autogoverno organizzativo degli uffici giudiziari, cosi’ quanto alla sede geografica di destinazione (Cass. SSUU n. 2804/18), e ferma altresi’ restando l’avvenuta congrua motivazione nella specie (ord., pag. 20) delle ragioni ritenute ostative al mantenimento delle funzioni direttive, rileva per il resto quanto piu’ volte affermato da queste Sezioni Unite in ordine alla esatta interpretazione del Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13 e, in particolare, sulla ammissibilita’ – in via di principio – del cumulo delle misure cautelari e del trasferimento ad altra sede e della assegnazione di funzioni diverse.
Va dunque qui ribadito che la potesta’ della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura di disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio ex articolo 13 cit., deve essere intesa nel senso della possibilita’ di prevedere entrambe le misure, senza escluderne il cumulo. Cio’ perche’ la ratio della norma non e’ quella di sanzionare ulteriormente il magistrato, ma di impedire che il contesto ambientale in cui egli opera, rispetto al quale sono rilevanti sia la sede sia le funzioni svolte, determini ulteriori violazioni disciplinari lesive del buon andamento della giustizia, tutelando, pertanto, un interesse pubblico riconducibile all’articolo 97 Cost., ed all’intero titolo IV della Costituzione (Cass. SSUU n. 17551/17).
Si e’ poi affermato che il Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, articolo 13, comma 2, nel prevedere la possibilita’ del trasferimento d’ufficio di un magistrato ad altra sede o la destinazione dello stesso ad altre funzioni, non contempla l’applicazione di una sanzione a titolo definitivo, bensi’ l’applicazione di una misura cautelare, per sua natura provvisoria e destinata ad operare fino alla definizione del giudizio di merito, sicche’ tale norma non pone alcuna necessaria correlazione tra la misura in questione e la sanzione disciplinare di cui l’incolpato risulti astrattamente passibile (salva la condizione che quella irrogabile nel caso di specie risulti diversa sia dall’ammonimento sia dalla rimozione), non configurando, pertanto, la prima una sorta di espiazione anticipata della seconda, con conseguente necessita’ di una loro corrispondenza. Ne deriva che non integra alcun illegittimo “demansionamento” del magistrato incolpato la decisione adottata – in sede cautelare – dal giudice disciplinare, allorche’ esso, pur optando per la misura del trasferimento ad altra sede con conservazione delle precedenti funzioni, abbia privato temporaneamente l’incolpato, presso il nuovo ufficio, dell’esercizio delle funzioni direttive o semidirettive precedentemente espletate (cosi’ Cass. SSUU n. 5942/13).
7. Ne segue, in definitiva, l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, con rigetto
degli altri. L’ordinanza va cassata relativamente al motivo accolto, con rinvio alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura la quale, in diversa composizione, dovra’ riesaminare il quadro cautelare alla luce di quanto qui stabilito.
Il parziale accoglimento del ricorso depone, unitamente alla delicatezza della fattispecie, per la compensazione delle spese di lite nel rapporto processuale tra il ricorrente ed il Ministero della Giustizia.

P.Q.M.

La Corte:
– accoglie il secondo motivo di ricorso, respinti gli altri;
cassa l’ordinanza cautelare impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in diversa composizione;
– compensa le spese del giudizio nel rapporto processuale tra il ricorrente ed il Ministero della Giustizia.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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