In tema di personale dell’amministrazione degli affari esteri assunto per le esigenze delle rappresentanze diplomatiche

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 marzo 2021| n. 7531.

In tema di personale dell’amministrazione degli affari esteri assunto per le esigenze delle rappresentanze diplomatiche, degli uffici consolari e degli istituti di cultura all’estero, i titolari di contratto di prima assunzione regolato dalla legge italiana, in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 103 del 2000, il cui rapporto sia divenuto a tempo indeterminato a seguito di rinnovo ex art. 162, comma 2, del d.P.R. n. 18 del 1967, conservano il diritto all’indennità di anzianità prevista dal testo originario dell’art. 166, comma 6, del predetto d.P.R. negli stessi limiti previsti per la corrispondente categoria dei dipendenti già in servizio con contratto a tempo indeterminato, dovendosi interpretare l’art. 3 della l. n. 442 del 2001, sul diritto di opzione, in senso conforme alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, che sancisce il principio di non discriminazione, quanto alle condizioni di impiego, fra assunti a termine e dipendenti a tempo indeterminato.

Sentenza|17 marzo 2021| n. 7531

Data udienza 19 gennaio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Pubblico impiego – Dipendenti del MAE a contratto – D.lgs. n. 103/2000 – Modifica del DPR n. 18/67 – Applicazione della legislazione locale – Spettanza del TFR solo se previsto dalla legge del Paese di accreditamento – Applicazione della disciplina transitoria a tutti gli impiegati in servizio – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7951-2015 proposto da:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI e della cooperazione internazionale, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1253/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/03/2014 R.G.N. 10792/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MUCCI ROBERTO, che ha concluso per accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da (OMISSIS) e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti del Ministero degli Affari Esteri volta ad ottenere: la dichiarazione di nullita’ delle clausole dei contratti di lavoro individuale sottoscritti a seguito dell’esercizio del diritto di opzione previsto dalla L. n. 442 del 2001, articolo 3; il riconoscimento del diritto a percepire “l’indennita’ di fine servizio, comunque denominata, prevista dalla legislazione italiana e dalla vigente contrattazione collettiva; l’accertamento della continuita’ del rapporto di lavoro e del diritto “a vedersi computare nella base di calcolo dell’indennita’ di liquidazione, comunque denominata” l’intera anzianita’.
2. La Corte territoriale ha premesso in fatto che gli appellanti, titolari di un contratto di lavoro con rappresentanze diplomatiche, uffici consolari o istituti di cultura all’estero regolato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 103 del 2000 e, successivamente, della L. n. 442 del 2001 avevano chiesto di sottoscrivere un contratto a tempo indeterminato regolato dalla legge italiana che non riconosceva alcun diritto alla liquidazione del trattamento di servizio in caso di risoluzione del rapporto o di cessazione dal servizio per limiti di eta’, a differenza dei contratti in precedenza stipulati che, ai sensi dell’articolo 166 richiamato D.P.R., nel testo all’epoca vigente, prevedevano una liquidazione di importo pari alla meta’ dell’ultima retribuzione mensile per ogni anno di servizio prestato.
3. Il giudice d’appello, in sintesi, ha evidenziato la specialita’ della disciplina dettata per i rapporti in discussione, giustificata anche dalla circostanza che gli stessi non sono preceduti da concorso pubblico, ed ha escluso che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, in caso di risoluzione del rapporto possano trovare applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 o l’articolo 2120 c.c. perche’, da un lato, il Decreto Legislativo ha abrogato del Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, l’articolo 166, u.c., dall’altro l’articolo 2 dell’Accordo successivo del 12.4.2001 esclude espressamente l’applicazione della contrattazione del comparto Ministeri quanto al trattamento di fine rapporto.
4. Infine la Corte territoriale ha evidenziato che con la nuova normativa e’ stata prevista l’instaurazione di un rapporto di lavoro autonomo e distinto rispetto al precedente ed il legislatore, quanto all’indennita’ disciplinata dall’abrogato articolo 166, ha fatto salvo solo il diritto, se previsto nell’originario contratto, a percepire l’indennita’ stessa maturata sino all’esercizio dell’opzione.
5. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali il Ministero ha opposto difese con tempestivo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articoli 1 e 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articoli 152 e ss. del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973, della L. n. 335 del 1995, articolo 2 dell’articolo 2120 c.c., nonche’ dell’articolo 2, comma 4, dell’Accordo successivo del 12 aprile 2001 e sostengono, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nell’escludere il diritto a percepire l’indennita’ di fine rapporto, posto che l’abrogazione della lex specialis dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166 ha determinato l’applicazione della disciplina generale prevista per gli impiegati pubblici, fatta eccezione per coloro ai quali quella disciplina continua ad applicarsi in forza della disposizione dettata dal Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, comma 7. Aggiungono che i lavori preparatori della legge non possono assumere valore decisivo ai fini dell’interpretazione del quadro normativo e, pertanto, ha errato il giudice d’appello nel valorizzare la relazione di accompagnamento, nella quale era stato evidenziato che l’indennita’ di liquidazione sarebbe stata corrisposta, anche al fine di realizzare un risparmio di spesa, solo in caso di mancato preavviso. Infine richiamano la disciplina, legale e contrattuale, in tema di trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici, per sostenere che ai ricorrenti destinatari del previgente articolo 166 quest’ultima normativa continua ad applicarsi in forza della disposizione transitoria, mentre per il restante personale, a seguito dell’abrogazione della norma speciale, trova applicazione la disciplina generale e, pertanto, agli stessi si applica il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973, se assunti in data antecedente al 31/12/2000, o l’articolo 2120 c.c., in caso di assunzione successiva.
2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, della L. n. 442 del 2001, articolo 3 della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE. I ricorrenti ribadiscono l’erroneita’ della tesi secondo cui per tutti gli impiegati assunti localmente all’estero sarebbe stato soppresso, a prescindere dalla legge regolatrice del rapporto, il diritto a percepire il trattamento di fine servizio ed insistono nel sostenere che quest’ultimo sarebbe stato fatto salvo dalla disposizione transitoria. Assumono di conseguenza che rilevante era la questione sottoposta al giudice d’appello con il motivo di gravame formulato avverso la sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva escluso che la disposizione transitoria dettata dal Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, comma 7, potesse essere estesa anche a coloro ai quali il diritto di opzione era stato consentito solo dalla L. n. 442 del 2001. Rilevano che con quest’ultimo intervento normativo e’ stata consentita l’opzione anche agli impiegati che alla data del 13 maggio 2000 avevano stipulato un contratto di prima assunzione, ossia un rapporto a termine, sicche’ qualora si escludesse il diritto a percepire il trattamento di fine servizio previsto per la generalita’ dei dipendenti pubblici ed anche il diritto ad avvalersi della disposizione transitoria, si realizzerebbe una discriminazione vietata dal diritto dell’Unione perche’ ai lavoratori a termine verrebbe riservato un trattamento deteriore rispetto a quello assicurato agli assunti a tempo indeterminato che avevano potuto esercitare l’opzione in sede di prima applicazione del Decreto Legislativo n. 103 del 2000.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti prospettano la questione della legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2 se interpretato nei termini indicati dalla Corte territoriale, perche’ il personale del Ministero degli Affari Esteri assunto localmente sarebbe l’unica categoria di dipendenti pubblici priva di trattamento di fine servizio in assenza di una valida ragione giustificatrice.
4. Infine con la quarta censura si addebita alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articoli 1 e 2, della L. n. 442 del 2001, articolo 3, dell’articolo 1230 e ss. e dell’articolo 2120 c.c. e si sostiene che dovevano essere riconosciuti la continuita’ del rapporto di lavoro ed il diritto alla liquidazione dell’indennita’ di fine servizio sulla base dell’intera anzianita’ maturata dalla prima assunzione. I ricorrenti rilevano che la sottoscrizione in successione temporale dei diversi contratti di lavoro non ha avuto alcuna efficacia novativa rispetto al preesistente rapporto e richiamano giurisprudenza di questa Corte per sostenere che l’anzianita’ di servizio non poteva essere frazionata. Ribadiscono che l’opzione riguardava unicamente la legge regolatrice del contratto e, pertanto, nella fattispecie non vi era stata soluzione di continuita’.
5. I motivi, da trattare unitariamente in considerazione della loro connessione logica e giuridica, sono fondati nei soli limiti di seguito precisati.
Necessaria premessa all’esame delle censure e’ la ricostruzione del quadro normativo e contrattuale che viene in rilievo, speciale rispetto alla disciplina dell’impiego pubblico contrattualizzato, in ragione della peculiare natura dei rapporti di lavoro che, sebbene attribuiscano la qualita’ di datore al Ministero degli Affari Esteri e non ai suoi organi periferici (Cass. S.U. n. 15536/2016; Cass. S.U. n. 5872/2012 e la giurisprudenza ivi richiamata), vengono instaurati, nel rispetto del contingente previsto per legge, in base alle esigenze di servizio delle rappresentanze diplomatiche, degli uffici consolari e degli istituti di cultura, i quali, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 152 come riformulato dal Decreto Legislativo n. 103 del 2000, procedono direttamente all’assunzione, previa autorizzazione dell’amministrazione centrale, nel rispetto dei requisiti e delle procedure previste dalla legge speciale.
Il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, nel dettare le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, ha ribadito detta specialita’ ed ha previsto, in tutte le versioni dell’articolo 45 succedutesi nel tempo, che “le funzioni ed i relativi trattamenti economici accessori del personale non diplomatico del Ministero degli affari esteri per i servizi che si prestano all’estero presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e le istituzioni culturali e scolastiche, sono disciplinati, limitatamente al periodo di servizio ivi prestato, dalle disposizioni del Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, nonche’ dalle altre pertinenti normative di settore del Ministero degli affari esteri”.
La specialita’ della disciplina e’ stata da tempo sottolineata da questa Corte la quale, valorizzando il richiamato comma 3 dell’originario articolo 45 (comma 5 nella formulazione attuale) nonche’ l’analitica disciplina dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, ha evidenziato che risulta chiaro l’obiettivo del legislatore di regolare il rapporto di lavoro del personale del quale qui si discute in maniera autonoma rispetto a quello dei dipendenti stabilmente inseriti nei ruoli del Ministero, obiettivo giustificato “dalla circostanza che le funzioni svolte nell’ambito del servizio diplomatico dalla categoria del personale assunto a livello locale sono quelle proprie (ma indeterminate) delle “esigenze di servizio” della rappresentanza diplomatica interessata (o degli uffici ad essa equiparata)” (Cass. n. 20356/2014; sulla specialita’ della disciplina cfr. Cass. n. 23089/2016 e Cass. n. 16755/2019).
5.1. Premessa, quindi, la specialita’ della disciplina, occorre evidenziare che nella sua formulazione originaria il Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 154 quanto al regime dei contratti stipulati ai sensi degli articoli 152 e 155 stesso decreto, operava una differenziazione fondata sulla cittadinanza e prevedeva, al comma 1, che il rapporto instaurato con cittadini italiani sarebbe stato disciplinato “dalle disposizioni del I e del II capo del presente titolo, sempre che non osti la legge locale”.
Il regime delle assunzioni di persone non in possesso della cittadinanza italiana era, invece, fissato dal comma 3, che individuava nella legge locale la fonte regolatrice del rapporto, aggiungendo, pero’, che “nelle materie in cui le disposizioni locali non stabiliscano o stabiliscano soltanto in modo manifestamente insufficiente, ivi compresi gli aumenti del carico di famiglia e quelli per anzianita’ di servizio, l’amministrazione puo’ a suo giudizio e nei limiti che ritiene opportuni fare ricorso alle disposizioni del capo II in quanto applicabili o conformarsi a quanto praticato da altre rappresentanze diplomatiche e uffici consolari del luogo”.
5.2. Nel capo II risultava inserito l’articolo 166, volto a disciplinare la risoluzione del contratto, che, dopo avere previsto le diverse ipotesi di cessazione anticipata del rapporto (dimissioni, incapacita’ professionale, scarso rendimento, motivi disciplinari, riduzione di personale, motivi straordinari a giudizio del Ministro per gli Affari Esteri), stabiliva al comma 6 che “in caso di risoluzione del contratto o di cessazione dal servizio per limiti di eta’ e’ corrisposta un’ indennita’ pari alla meta’ dell’ultima retribuzione mensile per ogni anno di servizio prestato”.
Pertanto, sulla base delle richiamate disposizioni, come si e’ detto speciali rispetto alla disciplina generale del rapporto di impiego con il Ministero degli Affari Esteri, ai dipendenti a contratto di cittadinanza italiana veniva corrisposta, al momento della cessazione o della risoluzione del rapporto, l’indennita’ di anzianita’ prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166, comma 6 mentre per gli assunti assoggettati alle leggi locali il trattamento economico di fine rapporto poteva essere o quello previsto dalla legge del luogo di svolgimento della prestazione oppure quello riservato ai cittadini italiani dall’articolo 166, se richiamato nel contratto individuale ai sensi e nei casi previsti dal citato D.P.R., articolo 154, comma 3.
5.3. Con la L. n. 266 del 1999, articolo 4 il legislatore ha delegato il Governo ad emanare uno o piu’ decreti legislativi in materia di personale assunto localmente dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura all’estero ed ha inserito fra i criteri direttivi, oltre a quello della semplificazione e della omogeneizzazione dei differenti regimi, la necessaria “stipulazione dei contratti sulla base degli ordinamenti degli Stati di accreditamento, assicurando comunque uno standard minimo di trattamento nei casi e per le materie in cui le previsioni della normativa locale si rivelino inesistenti o insufficienti, e in particolare per quanto riguarda la maternita’, l’orario di lavoro, l’assistenza sanitaria e per infortuni sul lavoro, i carichi di famiglia”.
La delega e’ stata esercitata con il Decreto Legislativo n. 103 del 2000 che ha riscritto l’intero titolo VI del Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 e, nel modificare l’articolo 154 relativo al regime dei contratti, ha eliminato ogni diversificazione fondata sulla cittadinanza ed ha previsto come criterio generale quello della applicazione della legge locale, fatte salve le tutele minime assicurate dallo stesso decreto, come riformulato a seguito dell’intervento normativo.
Il nuovo testo della disposizione, quindi, ottemperando alle indicazioni date dal legislatore delegante, assegna prevalenza nel rapporto fra le fonti alla legge locale, che trova applicazione sia nelle materie nelle quali nulla prevede il D.P.R., sia qualora riservi al lavoratore un trattamento di miglior favore rispetto a quello riconosciuto dalla disciplina speciale dettata dal legislatore italiano (articolo 154: Per quanto non espressamente disciplinato dal presente titolo, i contratti sono regolati dalla legge locale…..Le rappresentanze diplomatiche, o, in assenza, gli uffici consolari di prima classe accertano, sentite anche le rappresentanze sindacali in sede, la compatibilita’ del contratto con le norme locali a carattere imperativo e assicurano in ogni caso l’applicazione delle norme locali piu’ favorevoli al lavoratore in luogo delle disposizioni del presente titolo).
5.4. Il Decreto Legislativo n. 103 del 2000 ha riscritto, fra gli altri, anche il Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166 ed ha eliminato l’u.c. che disciplinava l’indennita’ legata all’anzianita’ di servizio, sicche’, a partire dall’entrata in vigore della nuova disciplina, non si rinviene nel Decreto del Presidente della Repubblica alcuna disposizione che preveda per i dipendenti a contratto un istituto analogo al trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 c.c. o all’indennita’ di buonuscita prevista per i dipendenti delle amministrazioni statali dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973.
Cio’ comporta che per i dipendenti assunti a contratto nella vigenza della nuova normativa il trattamento di fine rapporto sara’ dovuto solo se previsto dalla legislazione locale del Paese di accreditamento, trattandosi di un istituto che non e’ stato ricompreso fra le tutele minime inderogabili che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, come riformulato, ha inteso in ogni caso assicurare.
5.5. Quanto ai rapporti gia’ in essere alla data di entrata in vigore della nuova normativa, il legislatore delegato ha dettato all’articolo 2 una complessa disciplina transitoria con la quale e’ stata innanzitutto prevista, al comma 2, l’ultrattivita’ delle disposizioni dettate dalla contrattazione collettiva, di cui si dira’ in prosieguo, per i contratti in precedenza disciplinati dalla legge italiana, fatta salva una diversa opzione espressa dal dipendente interessato, al quale e’ stato consentito (comma 4) di chiedere l’immediata applicazione delle disposizioni dettate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 come riformulato, con conseguentemente assoggettamento del rapporto alla legge locale, ferme le tutele minime assicurate dal decreto.
Il comma 6 ha concesso un’analoga possibilita’ di opzione al personale in possesso di doppia cittadinanza, in servizio con contratto regolato dalla legge locale, al quale e’ stato consentito di scegliere, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, fra la stipula di un nuovo contratto regolato integralmente dalla nuova disciplina (legge locale e tutele minime assicurate dal D.P.R.) ed il regime giuridico ad esaurimento previsto in via transitoria per i rapporti in precedenza assoggettati alla legge italiana.
La facolta’ di opzione negli stessi termini sopra indicati e’ stata riconosciuta, infine, al personale di cittadinanza italiana in servizio con contratto a tempo indeterminato presso gli istituti italiani di cultura (comma 5).
Il comma 7 ha, poi, stabilito che “e’ fatto salvo il diritto all’indennita’ di fine rapporto, nella misura prevista dai contratti di impiego, per gli impiegati in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
5.6. L’interpretazione di quest’ultima disposizione, che e’ poi quella che specificamente rileva ai fini della soluzione della questione qui controversa, richiede che si dia conto anche della disciplina dettata dagli Accordi successivi richiamati nell’articolo 2, comma 2 ossia gli accordi che disciplinavano i rapporti di lavoro in precedenza assoggettati alla legge italiana.
Sulla misura e sulla disciplina dell’indennita’ di fine rapporto nulla disponeva l’Accordo del 22 ottobre 1997 ed il silenzio delle parti collettive trova giustificazione nel fatto che, all’epoca, per il personale assoggettato alla legge italiana era il Decreto del Presidente della Repubblica che attribuiva al dipendente il diritto a percepire l’indennita’ nell’importo stabilito dall’articolo 166, u.c..
Il successivo accordo del 28 marzo 2001, sottoscritto dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, ha, invece, espressamente inserito il trattamento di fine rapporto fra le materie in relazione alle quali e’ stata esclusa l’applicazione della disciplina dettata dal CCNL per il comparto Ministeri (articolo 2, comma 2, lettera b) che esclude l’applicazione dell’articolo 32 dell’ipotesi di accordo del 31 gennaio 2001, poi definitivamente sottoscritta il 16.5.2001 – CCNL integrativo del CCNL 16.2.1999). Il successivo comma 4, pur richiamando in linea generale per le materie escluse “le disposizioni di legge, riguardanti gli istituti di cui al comma 2, destinate alla generalita’ dei lavoratori”, aggiunge che “il trattamento di trasferimento, il trattamento di fine rapporto, le modalita’ di applicazione di benefici economici previsti da discipline speciali sono disciplinati dal Decreto Legislativo n. 103 del 2000”.
La disciplina contrattuale, quindi, si armonizza con quella dettata dal legislatore, perche’ l’esclusione dell’applicazione dell’articolo 32 del CCNL 16.5.2001 ed il rinvio al Decreto Legislativo n. 103 del 2000 evidenziano la piena consapevolezza delle parti collettive in merito all’esistenza di una normativa speciale del trattamento di fine rapporto dettata per i contratti dei quali qui si discute.
6. Cosi’ ricostruito il quadro normativo e contrattuale ritiene il Collegio che l’interpretazione data al Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, comma 7, dal Ministero degli Affari Esteri, fatta propria dalla Corte territoriale, non sia condivisibile, perche’ la conservazione della sola indennita’ di fine rapporto maturata sino alla data di entrata in vigore della nuova normativa non e’ coerente con il tenore letterale della disposizione, che non pone limiti temporali al diritto ne’ prevede la liquidazione, in occasione della stipula del nuovo contratto, di quanto gia’ maturato a detto titolo.
La tesi del Ministero, inoltre, contrasta con la possibilita’ concessa ai dipendenti gia’ assoggettati alla legge italiana di sottrarre il rapporto all’immediata applicazione della disciplina dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, come riformulato, posto che solo quest’ultima potrebbe giustificare la perdita per il futuro dell’indennita’ originariamente prevista dall’articolo 166, comma 6 abrogato in occasione della modifica legislativa. Analoghe considerazioni vanno espresse sulla non compatibilita’ dell’esegesi fatta propria dalla Corte territoriale con la facolta’ di opzione disciplinata dall’articolo 2, commi 5 e 6 perche’ anche per il personale in precedenza assoggettato alla legge locale la scelta per l’applicazione della legge italiana, conferisce ultrattivita’ alla disciplina previgente, destinata ancora ad operare, sia pure ad esaurimento.
6.1. Cio’ premesso rileva il Collegio che il comma 7 detta significativamente una disciplina transitoria specifica per la sola indennita’ di fine rapporto del tutto svincolata dall’esercizio delle opzioni, ed anche dalle diversita’ di regime fra i contratti, perche’ si riferisce in via generale a tutti “gli impiegati in servizio” e garantisce la conservazione del diritto all’indennita’ nella misura prevista nei contratti di impiego.
L’incipit della norma (“e’ fatto salvo”), inoltre, circoscrive l’applicazione della disposizione transitoria a coloro ai quali l’indennita’ di fine rapporto sarebbe stata riconosciuta, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto stesso, o per effetto della disciplina vigente al momento della stipula del contratto (contratti sottoposti alla legge italiana) o in ragione della possibilita’ concessa al MAE di estendere ai rapporti assoggettati alla legge locale gli istituti previsti dalla legge italiana nell’ipotesi prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 154, comma 3. Non consente, invece, di riconoscere, per effetto dell’opzione di cui ai commi 5 e 6, l’indennita’ anche ai dipendenti a contratto i quali in precedenza non avevano titolo per percepire l’indennita’ stessa, in ragione della diversita’ di disciplina di cui si e’ detto.
In altri termini il legislatore, dopo avere consapevolmente escluso per i nuovi assunti il diritto all’indennita’ di anzianita’, se non prevista dalla legge locale, ha inteso salvaguardare la posizione di coloro che di quella indennita’ avrebbero goduto se la disciplina fosse rimasta immutata, ed a tal fine ha dettato una specifica disposizione transitoria, il cui tenore letterale non consente un’applicazione limitata alla sola anzianita’ sino a quel momento maturata.
6.2. In tal senso, quindi, deve essere precisato il principio di diritto gia’ affermato da questa Corte con le ordinanze nn. 30239/2017, 13625/2020 e 987/2020, perche’ l’infrazionabilita’ dell’anzianita’ (qui ribadita per le ragioni indicate nelle citate pronunce che si richiamano ex articolo 118 disp. att. c.p.c.) e la conservazione del diritto a percepire, al momento della cessazione del servizio o della risoluzione del contratto, l’indennita’ di fine rapporto operano in relazione, non al trattamento di cui all’articolo 2120 c.c., disposizione questa non applicabile ai contratti dei quali qui si discute, bensi’ all’indennita’ prevista dall’originario Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166, comma 6 ed a quella riconosciuta nei contratti individuali ai sensi del combinato disposto dell’articolo 154, comma 3, e del citato articolo 166, comma 6 richiamato D.P.R..
7. Il primo ed il quarto motivo del ricorso sono, quindi, infondati nella parte in cui sostengono che, a seguito dell’abrogazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166, comma 6 torna ad espandersi la disciplina generale dettata per i dipendenti pubblici o dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 o dall’articolo 2120 c.c., perche’ detta estensione e’ impedita dalla specialita’ della normativa che regola i rapporti qui in discussione, della quale si e’ dato conto nel punto 5.
7.1. I motivi sono parimenti infondati li’ dove prospettano che il diritto a percepire l’indennita’ di fine rapporto debba essere riconosciuto, per effetto dell’esercizio dell’opzione, anche agli assunti originariamente assoggettati alla legge locale, a prescindere dalle pattuizioni stabilite nel contratto individuale.
Si tratta, infatti, di una tesi che contrasta con la disposizione transitoria dettata dal Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, comma 7 che si esprime in termini di conservazione, non di attribuzione, del diritto, pacificamente riconosciuto dalla nuova normativa solo se previsto dalla legge locale dello Stato di accreditamento.
7.2. Non si ravvisano, poi, i profili di illegittimita’ costituzionale della normativa, cosi’ come interpretata, dedotti nel terzo motivo, perche’ la diversita’ di trattamento rispetto ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche trova giustificazione nel carattere del tutto peculiare dei rapporti, che sorgono, con modalita’ diverse da quelle previste per l’instaurazione del rapporto di impiego, per soddisfare esclusivamente le esigenze delle rappresentanze diplomatiche, degli uffici consolari e degli istituti di cultura all’estero e, per questo, sono tendenzialmente disciplinati, non dalla legge italiana, bensi’ da quella locale del Paese nel quale i rapporti stessi si svolgono.
7.3. Il ricorso merita, invece, accoglimento nella parte in cui, principalmente con il quarto motivo, censura l’interpretazione data dal Ministero e dalla Corte territoriale alla disposizione transitoria dettata dal piu’ volte richiamato dal Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, comma 7, che va interpretato nei termini indicati nei punti da 6 a 6.2, con conseguente riconoscimento del diritto dei dipendenti gia’ assunti alla data di entrata in vigore della nuova normativa a vedersi liquidare, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto e senza soluzione alcuna dell’anzianita’, l’indennita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166, comma 6, a condizione che la stessa, per gli assunti assoggettati all’epoca alla legge locale, fosse prevista dal contratto individuale e nei limiti di quanto indicato nel regolamento negoziale.
Conclusivamente vanno affermati, sulla base delle argomentazioni sopra espresse, i seguenti principi di diritto: ” a) dalla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, che ha riformulato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166 abrogando il comma 6 relativo all’indennita’ di cessazione o di risoluzione del rapporto, il trattamento di fine rapporto per i nuovi assunti ex articolo 152 e ss. richiamato Decreto del Presidente della Repubblica deve essere corrisposto solo se previsto dalla legge locale dello Stato di accreditamento, in assenza della quale non puo’ essere invocata l’applicazione dell’articolo 2120 c.c.;
b) per gli impiegati a contratto, gia’ in servizio alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 103 del 2000 con contratto a tempo indeterminato assoggettato alla legge locale, che abbiano esercitato l’opzione prevista dal Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, comma 6 il diritto a percepire, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto e senza soluzione di continuita’, l’indennita’ di anzianita’ e’ conservato, in base al Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2, comma 7, alle condizioni e nei limiti previsti dal contratto individuale in essere alla data di entrata in vigore della nuova normativa;
c) per il personale in servizio con contratto a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 103 del 2000 assoggettato alla legge italiana e’ conservato il diritto a percepire, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto e senza soluzione di continuita’, l’indennita’ prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1987, articolo 166, comma 6 nel testo antecedente alla riformulazione della norma operata dal richiamato decreto legislativo”.
8. Resta, infine, da esaminare la questione, prospettata nel secondo motivo, dell’applicabilita’ o meno della disposizione transitoria, interpretata nei termini sopra indicati, anche a coloro che originariamente non erano ricompresi nella platea dei destinatari del Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2 perche’ alla data di entrata in vigore della nuova normativa erano in servizio sulla base di contratti non a tempo indeterminato, bensi’ di prima assunzione, ossia a tempo determinato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1987, articolo 162, comma 1, secondo cui “Il contratto di prima assunzione ha termine alla fine del secondo anno solare successivo alla stipulazione.”
La L. n. 442 del 2001, articolo 3 abrogato dal Decreto Legge n. 5 del 2012, articolo 62, comma 1, ha esteso anche al personale, in servizio alla data del 13 maggio 2000 con contratto regolato dalla legge italiana, la facolta’ di optare per un contratto a tempo indeterminato sottratto alla nuova disciplina (legge locale e Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 come riformulato), ma la disposizione non ha richiamato nella sua interezza il Decreto Legislativo n. 103 del 2000, articolo 2 limitandosi a prevedere l’opzione dalla quale la categoria in precedenza era stata esclusa.
Ritiene il Collegio che l’interpretazione della normativa debba essere orientata al rispetto della disciplina Eurounitaria ed in particolare della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, che sancisce il principio di non discriminazione, quanto alle condizioni di impiego, fra assunti a termine e dipendenti a tempo indeterminato.
Ai primi, pertanto, il diritto a conservare il trattamento di fine rapporto va riconosciuto negli stessi limiti previsti per la corrispondente categoria dei dipendenti gia’ in servizio con contratto a tempo indeterminato, posto che, diversamente interpretata, la norma finirebbe per riservare un trattamento deteriore agli assunti a termine, non giustificato da ragioni oggettive, bensi’ solo dalla natura temporanea del rapporto.
La conservazione dell’indennita’ di anzianita’ prevista dal testo originario del Decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, articolo 166, comma 6, va garantita, pertanto, anche ai titolari di contratto di prima assunzione regolato dalla legge italiana, il cui rapporto, divenuto a tempo indeterminato a seguito di rinnovo ex articolo 162, comma 2, sia ricompreso fra quelli per i quali, ad esaurimento, continua a trovare applicazione la disciplina previgente.
9. In via conclusiva il ricorso deve essere accolto, nei limiti sopra indicati, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procedera’ ad un nuovo esame delle singole posizioni dei ricorrenti, da condurre alla luce dei principi di diritto enunciati nei punti 7.3. e 8.
Alla Corte territoriale e’ demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
L’accoglimento, sia pure parziale, del ricorso rende inapplicabile, quanto al raddoppio del contributo unificato, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione alla quale demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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