Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 14 maggio 2019, n. 20781.
La massima estrapolata:
In tema di patteggiamento, anche dopo l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. ad opera dell’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, è ammissibile il ricorso per cassazione del pubblico ministero volto a denunciare l’omessa applicazione ovvero l’omessa valutazione circa la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero per uno dei reati indicati nell’art. 86 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ricorrendo, in tal caso, un’ipotesi di “illegalità della misura di sicurezza” incidente sul complessivo trattamento sanzionatorio e perciò rilevante come “violazione di legge” ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost.
Sentenza 14 maggio 2019, n. 20781
Data udienza 17 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BRESCIA;
e da (OMISSIS) nato il (OMISSIS);
nel procedimento a carico di quest’ultimo;
avverso la sentenza del 04/07/2018 del GIP TRIBUNALE di BERGAMO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;
lette le conclusioni del PG, Dott. CESQUI Elisabetta: “Inammissibilita’ del ricorso di (OMISSIS) e annullamento senza rinvio con trasmissione atti relativamente alla valutazione in ordine all’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato prevista dall’articolo 86, Testo Unico stup.”.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo con sentenza di patteggiamento del 4 luglio 2018 applicava a (OMISSIS) la pena di anni 3 e mesi 9 di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, relativamente ai reati di cui all’articolo 73, comma 1, Testo Unico stup. unificati con la continuazione; disponendo altresi’ “confisca, con distruzione della droga in sequestro.
2. La Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia, ha proposto ricorso per cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Violazione di legge (articolo 86, Testo Unico stup.) per l’omessa applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione. Il giudice non ha ordinato l’espulsione dell’imputato dal territorio dello Stato a pena espiata, come espressamente previsto dalla norma (articolo 86, Testo Unico stup.), ne’ ha motivato sull’assenza di pericolosita’ che legittimerebbe l’omessa applicazione della misura di sicurezza pur con una condanna a pena superiore ai tre anni; l’imputato si trova illegalmente sul territorio dello Stato, senza occupazione, e pienamente inserito nel circuito dello spaccio di diversi stupefacenti.
3. Ha proposto ricorso in Cassazione anche l’imputato, tramite difensore con due distinti motivi di ricorso.
3. 1. Violazione di legge, relativamente all’articolo 73, comma 5, Testo Unico stup. per omessa valutazione della qualificazione del fatto nell’ipotesi autonoma di lieve entita’. Solo uno degli involucri contenenti lo stupefacente e’ stato sottoposto ad analisi qualitative, per gli altri si e’ solo presunto fosse della stessa natura e purezza di quello analizzato. In mancanza di una certezza sulla qualita’ della sostanza stupefacente, e del suo principio attivo, doveva qualificarsi il fatto ex articolo 73, comma 5, Testo Unico stup.
3. 2. Mancanza della motivazione relativamente alla sussistenza di cause di non punibilita’ ex articolo 129 c.p.p..
Hanno chiesto, pertanto, l’annullamento del provvedimento impugnato.
4. La Procura Generale della Suprema Corte di Cassazione; Sostituto Procuratore Generale, Elisabetta Cesqui, ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all’omessa applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione del condannato dal territorio dello Stato e di dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso dell’imputato risulta inammissibile, in quanto proposto nei casi non previsti dalla legge.
Ai sensi dell’articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, “Il Pubblico Ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza”.
Non risulta proponibile, quindi, un ricorso per il vizio di motivazione, relativamente alla omessa valutazione delle ipotesi di cui all’articolo 129 c.p.p..
Inoltre, per l’erronea qualificazione del fatto, deve ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte che richiede la presenza di un errore manifesto o palesemente rilevabile: “In tema di patteggiamento, l’erronea qualificazione giuridica del fatto ritenuto in sentenza puo’ costituire motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, solo quando detta qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione o sia frutto di un errore manifesto” (Sez. 6, n. 2721 del 08/01/2018 – dep. 22/01/2018, Bouaroua, Rv. 27202601). Il ricorso sul punto e’ generico, in quanto si limita a prospettare una errata qualificazione del fatto senza nulla aggiungere, se non genericamente l’assenza di analisi chimiche di tutta la sostanza.
5. Ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ex articolo 86 per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, e’ necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosita’ sociale del condannato, in conformita’ all’articolo 8 CEDU in relazione all’articolo 117 Cost., ma anche l’esame comparativo della condizione familiare dell’imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall’articolo 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione di merito che aveva valutato preminente l’esigenza di tutelare la popolazione dal pericolo derivante dalla presenza di un soggetto dedito a gravi attivita’ criminose sul diritto al mantenimento del rapporto coniugale e genitoriale con la moglie italiana ed il figlio minore, suscettibile di proseguire anche all’estero). (Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017 – dep. 15/11/2017, Talbi, Rv. 27125701).
La discrezionalita’ della misura di sicurezza, conseguente alla considerazione in concreto della pericolosita’ sociale del reo, non significa, pero’, assenza assoluta di valutazione del caso concreto da parte del giudice del patteggiamento.
Sul punto si deve segnalare una diversita’ di pronunciamenti della Suprema Corte dopo la riforma della norma con la L. n. 103 del 2017 che ha introdotto il citato articolo 448 c.p.p., comma 2 bis.
Un primo orientamento e’ stato espresso da Sez. 3, n. 45559 del 07/03/2018 – dep. 10/10/2018, P, Rv. 27395001: “La sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nel Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 86 non puo’ essere impugnata dal p.m. con ricorso per cassazione, ostandovi la previsione dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 50, che individua ipotesi tassative per la proponibilita’ di detta impugnazione, tra le quali l’effettiva adozione di una misura di sicurezza” (nello stesso senso, S. 6 del 7 febbraio 2019, n. 6136, non massimata). Per questa giurisprudenza la misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero anche se non disposta nella sentenza ex articolo 444 c.p.p. e in assenza assoluta di motivazione, sulla pericolosita’ sociale non rientra nell’ipotesi di possibile ricorso in Cassazione, come previsto dalla norma (articolo 448 c.p.p., comma 2 bis: “all’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza”).
Il quesito al quale bisogna rispondere e’ quello della considerazione, o no, di una misura di sicurezza illegale nelle ipotesi di assoluta mancanza di motivazione sulla sussistenza dei presupposti della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero prevista dalla citata disposizione del T. U. stup..
E’ pur vero, pero’, che la Cassazione ha ritenuto la misura di sicurezza diversa dalla pena: “E’ “convenzionalmente” legittima l’applicazione retroattiva delle misure di prevenzione patrimoniale, con riferimento a fatti anteriori all’entrata in vigore delle norme che le disciplinano, poiche’ le stesse, in quanto connotate da natura preventiva e non sanzionatoria, non sono riconducibili alla nozione di “pena” di cui all’articolo 7 CEDU” (Sez. 2, n. 30938 del 10/06/2015 – dep. 16/07/2015, Annunziata e altro, Rv. 26417301). Cio’ non esclude che, anche, la misura di sicurezza deve ritenersi sottoposta alla legalita’ della sua irrogazione ex articolo 25 Cost. e articolo 199 c.p.p., al pari della pena.
Per pena illegale comunque deve intendersi quella che si risolve in una pena diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge, ovvero quantificata in misura inferiore o superiore ai relativi limiti edittali: “Non configura un’ipotesi di pena illegale “ab origine” la sanzione che sia complessivamente legittima ma determinata secondo un percorso argomentativo viziato (nella specie: erroneo aumento della pena per le circostanze aggravanti, pur muovendo da una pena base corretta), sicche’, in tal caso, la relativa questione non e’ rilevabile d’ufficio dalla Corte di cassazione in presenza di ricorso inammissibile. (In motivazione la S.C. ha precisato che rientra nella nozione di pena illegale “ab origine” quella che si risolve in una pena diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge, ovvero quantificata in misura inferiore o superiore ai relativi limiti edittali)” (Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016 – dep. 02/03/2016, De Paola e altri, Rv. 26608001).
Nel concetto di misura di sicurezza illegale, cosi’ come per la pena illegale, quindi, deve rientrare anche l’omessa applicazione (e l’omessa motivazione in assoluto sulla pericolosita’) della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero prevista dalla legge (articolo 86, Testo Unico stup.). Il trattamento sanzionatorio per il caso concreto sarebbe diverso da quello stabilito dalla legge, relativamente all’importante misura di sicurezza, espressamente prevista per la condanna dall’articolo 86, Testo Unico stup..
L’omessa valutazione della pericolosita’ e l’omessa applicazione della misura di sicurezza (conseguente alla valutazione di pericolosita’) risulta certamente una violazione “della pena legalmente prevista” dalla norma (anche la misura di sicurezza rientra nella previsione “sanzionatoria” prevista dalla norma). La pena irrogata senza la misura di sicurezza risulterebbe illegale, non conforme alla previsione normativa per i fatti giudicati.
Nel procedimento di applicazione di pena su richiesta, le parti, infatti, non possono vincolare il giudice con un accordo avente ad oggetto anche le pene accessorie, le misure di sicurezza o la confisca, essendo dette misure fuori dalla loro disponibilita’; ne consegue che, nel caso in cui il consenso si riferisca anche ad esse, il giudice non e’ obbligato a recepire o non recepire per intero l’accordo, rimanendo vincolato soltanto ai punti concordati riguardanti elementi nella disponibilita’ delle parti (vedi Sez. 2, n. 1934 del 18/12/2015, dep. 2016, Spagnuolo, Rv. 265823/01; Sez. 5, n. 1154 del 22/03/2013, dep. 2014, Defina, Rv. 258819/01; Sez. 2, n. 19945 del 19/04/2012, Toseroni, Rv. 252825/01). Comunque “Il fatto che il legislatore abbia sottratto all’accordo delle parti le suddette misure – confisca e misure di sicurezza -, non significa che le parti, nell’ambito della loro discrezionalita’ ed autonomia, non possano inserire, nell’accordo sul trattamento sanzionatorio, anche un accordo sulle suddette misure. Tuttavia, proprio perche’ la legge e’ categorica nello stabilire che le suddette misure non rientrano nella disponibilita’ delle parti, essendone riservata l’applicazione al giudice, e’ ovvio che un eventuale accordo potrebbe avere solo una semplice funzione di orientamento nella decisione del giudice il quale, quindi, puo’ tenerne conto o no, avendo solo l’obbligo di motivare sulla decisione adottata.” (Sez. 2, n. 19945 del 2012 e, Sez. 5, n. 1154 del 2014).
Bisogna esaminare approfonditamente quale debba essere il significato da attribuire alla nozione di illegalita’ della misura di sicurezza. La nozione di misura di sicurezza illegale non risulta analizzata efficacemente in dottrina e giurisprudenza. La nozione di pena illegale, come visto e anche ritenuto dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Pittala’, Rv. 273934/01-273934/02, e Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205/01-264207/01), attiene a quella pena che, per specie ovvero per quantita’, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, cosi’ collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, o che, comunque, e’ stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perche’ dichiarata costituzionalmente illegittima o perche’ individuata in violazione del principio di irretroattivita’ della legge pena piu’ sfavorevole.
Ad avviso del Collegio, la nozione di misura di sicurezza illegale non sembra determinabile, almeno in linea generale, utilizzando i parametri cui si fa riferimento per individuare il significato della nozione di pena illegale. In particolare, nei casi di confisca a norma dell’articolo 240 c.p. e di confisca in casi particolari ex articolo 240-bis c.p., ma anche, ad esempio, di espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato, sembra davvero difficile ipotizzare una misura che, per specie ovvero per quantita’, non corrisponda a quella astrattamente prevista, o che e’ stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su parametri edittali inapplicabili. Piuttosto, la nozione di misura di sicurezza illegale sembra far riferimento alle misure di sicurezza applicate in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge, cioe’ dall’articolo 25 Cost., comma 2, e articolo 199 c.p..
Invero, l’articolo 25 Cost. prevede: “Nessuno puo’ essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”; l’articolo 199 c.p. prevede che: “Nessuno puo’ essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”. Del resto, che il controllo sulla legalita’ della misura di sicurezza abbia una proiezione diversa rispetto a quello sulla legalita’ della pena e’ coerente anche con la diversita’ dei presupposti normativamente previsti per l’applicazione della prima rispetto alla seconda. Infatti, mentre la pena segue all’accertamento del reato, la misura di sicurezza presuppone sempre una valutazione ulteriore rispetto a quella relativa alla sussistenza della fattispecie di reato presupposta. Ad esempio, ai fini dell’applicabilita’ delle misure di sicurezza personale non e’ mai sufficiente la verifica della commissione di un fatto di reato attribuibile al soggetto, ma occorre anche l’accertamento della pericolosita’ sociale del medesimo. Cosi’ anche per l’applicazione della misura di sicurezza in oggetto, prevista dall’articolo 86, Testo Unico stup.
La nozione di misura di sicurezza illegale quale categoria concernente le misure di sicurezza applicate in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge consente anche di assicurare il rispetto del principio costituzionale della necessita’ del ricorso in Cassazione “per violazione di legge” contro le sentenze ed i provvedimenti sulla liberta’ personale, fissato dall’articolo 111 Cost., comma 7.
La natura del giudizio di Cassazione come “rimedio costituzionalmente imposto” nei confronti di tutte le sentenze ed i provvedimenti che riguardano la liberta’ personale previsto dall’articolo 111 Cost., comma 7, impone di verificare se l’interpretazione della non ricorribilita’ in Cassazione nelle ipotesi di sentenza di patteggiamento che abbia omesso di motivare sulla sussistenza dei presupposti di una misura di sicurezza (o anche della confisca) o al contrario abbia applicato una misura di sicurezza fuori dai casi previsti dalla legge (due facce della stessa medaglia) sia costituzionalmente corretta. Incidendo la misura di sicurezza in modo concreto e diretto sulla liberta’ personale un sacrificio del ricorso per cassazione (ritenuto non ammissibile ex articolo 448 c.p.p., comma 2 bis) in ragione e in contropartita della celerita’ e del premio (sconto di pena) per il rito del patteggiamento risulterebbe certamente incostituzionale. L’unica soluzione costituzionalmente orientata, quindi, risulta quella di ritenere possibile il ricorso in Cassazione ex articolo 111 Cost., comma 7, nelle ipotesi di omessa applicazione (identicamente di omessa valutazione per l’applicazione) o di illegittima applicazione con una sentenza di patteggiamento della misura di sicurezza.
L’altra interpretazione dell’articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, risulterebbe palesemente incostituzionale in quanto nessun controllo sarebbe possibile in sede di legittimita’ su una misura di sicurezza certamente non concordata dalle parti, ma applicata dal Giudice (o non applicata o anche non valutata nella sussistenza dei presupposti legittimanti la possibile applicazione).
Del resto, l’applicazione (anche provvisoria) di una misura di sicurezza incide sulla liberta’ personale, al pari di una misura cautelare personale, come espressamente ritenuto da questa Corte di Cassazione: “Ai fini dell’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza, una volta accertata la persistente pericolosita’ del soggetto, non e’ necessaria la prova piena del fatto, essendo sufficienti i gravi indizi della sua sussistenza, atteso l’indubbio parallelismo tra applicazione provvisoria di una misura di sicurezza e applicazione di misura cautelare personale, come evincibile dal diretto riferimento dell’articolo 313 c.p.p. all’articolo 292 c.p.p., in relazione alle modalita’ di valutazione ed applicazione della misura, e dal fatto che il citato articolo 313, al comma 3, equipara, ai fini dell’impugnazione, la misura prevista all’articolo 312 c.p.p. alla custodia cautelare” (Sez. 5, n. 4144 del 03/10/2000 – dep. 24/11/2000, Mazzanti, Rv. 21739001).
Conseguentemente l’omessa applicazione della misura di sicurezza (o anche l’omessa valutazione sulla sussistenza delle situazioni concrete per la sua applicazione) dell’espulsione dello straniero Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ex articolo 86, per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, anche se non risulta automatica deve ritenersi illegale (vedi nello stesso senso Sez. 3, n. 4252 depositata il 29 gennaio 2019, Caruso, non massimata).
Il Procuratore Generale ricorrente, del resto, ha evidenziato, in concreto nel ricorso in Cassazione, alcuni dati significativi del caso in giudizio, ovvero la condizione dell’imputato quale straniero irregolarmente presente in Italia, senza occupazione e pienamente inserito nel traffico di stupefacenti di varia qualita’.
L’applicazione della specifica misura di sicurezza dell’espulsione dell’imputato dal territorio dello Stato a pena espiata, di cui all’articolo 86, Testo Unico stup., quale misura efficace per la prevenzione specifica e generale dei reati deve essere adeguatamente valutata dal giudice del patteggiamento; in assenza di valutazione e di motivazione sul punto e’ possibile il ricorso in Cassazione.
Puo’ conseguentemente esprimersi il seguente principio di diritto: “La sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre, o di valutare, l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nel Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 86 puo’ essere impugnata dal p.m. con ricorso per cassazione, non ostandovi la previsione dell’articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 50, che individua ipotesi tassative per la proponibilita’ di detta impugnazione, tra le quali l’illegalita’ della misura di sicurezza che deve ritenersi sussistente quando nessuna analisi del giudice del patteggiamento e’ stata effettuata sulla sussistenza o no delle condizioni di applicabilita’ della misura di sicurezza, l’interpretazione diversa dell’articolo 448 c.p.p., comma 2 bis, sarebbe palesemente incostituzionale in quanto non consentirebbe il ricorso in Cassazione come previsto dall’articolo 111 Cost. per le decisioni sulla liberta’ personale”.
La sentenza deve pertanto annullarsi senza rinvio, limitatamente alla omessa valutazione dell’applicabilita’ della misura di sicurezza. Atti al Tribunale di Bergamo per il prosieguo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla valutazione dell’applicabilita’ della misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 86, e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Bergamo per il prosieguo.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
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