Il proprietario di un terreno non risponde dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 maggio 2019, n. 21080.

La massima estrapolata:

In materia di rifiuti, il proprietario di un terreno non risponde, in quanto tale, dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti. Pertanto, non è configurabile in forma omissiva il reato di gestione o realizzazione di discarica abusiva nei confronti del proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano illecitamente depositato i rifiuti, in quanto nessun obbligo di controllo può ravvisarsi in carico del proprietario medesimo, mentre gli obblighi di corretta gestione e smaltimento sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi.

Sentenza 15 maggio 2019, n. 21080

Data udienza 25 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – rel. Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/02/2018 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Gaeta Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22 febbraio 2018 la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza del 20 ottobre 2014 del Tribunale di Milano, ha dichiarato non doversi procedere, tra gli altri, nei confronti di (OMISSIS) per i contestati reati in tema di gestione di rifiuti, di falso e di abuso d’ufficio in ragione dell’intervenuta prescrizione dei medesimi, confermando peraltro le statuizioni civili gia’ disposte.
2. Avverso la predetta decisione e’ stato proposto ricorso per cassazione articolato su tredici motivi di impugnazione.
2.1. Con i primi quattro motivi di impugnazione il ricorrente ha dedotto inosservanza delle norme processuali in tema di ordinanza di ammissione delle prove, di inammissibilita’ della lista testimoniale siccome presentata dal Pubblico Ministero, di inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dai testi del Pubblico Ministero nonche’ di illegittimita’ della motivazione addotta in ordine alle proposte eccezioni di nullita’ dell’ordinanza istruttoria.
2.1.1. In particolare, il ricorrente ha dedotto che la lista testimoniale era priva delle circostanze sulle quali avrebbe dovuto vertere l’esame dei testi medesimi, mentre l’eccezione era stata rigettata sul presupposto che l’indicazione dei testi era accompagnata dalla loro qualita’, si’ che era comunque consentita la prova contraria. Al contrario, per la maggior parte dei testi mancava anche il generico richiamo ai capi d’imputazione, tanto piu’ in ragione della complessita’ delle fattispecie in esame, si’ che non poteva valere il contrario isolato principio, tra l’altro applicabile in presenza di un’unica contestazione per fatti semplici. In conseguenza, doveva ritenersi l’illegittimita’ dell’ordinanza di ammissione e l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni cosi’ rese.
2.2. Col quinto e sesto motivo sono stati dedotti vizio motivazionale ed erronea applicazione della legge in ordine alla contestata realizzazione e gestione di una discarica illecita di rifiuti pericolosi e non pericolosi, sotto il profilo della sussistenza di elemento oggettivo e soggettivo.
In particolare, non sussistevano elementi per suffragare al riguardo la penale responsabilita’ del ricorrente, laddove semmai vi erano univoci elementi di gestione della discarica a carico della s.r.l. (OMISSIS), della quale peraltro il ricorrente non era legale rappresentante. Al contrario, era stata ascritta la responsabilita’ in forza di un asserito potere/dovere di intervenire per impedire la realizzazione della discarica, mentre invece la qualita’ di committente non poteva determinare alcun obbligo di legge di intervenire nella gestione dei rifiuti, ovvero di garantire la corretta gestione dei medesimi, anche nell’ipotesi in cui il committente fosse stato anche proprietario del terreno.
2.3. Col settimo ed ottavo motivo, quanto all’inottemperanza all’ordinanza emessa dal Comune di Buccinasco, sotto il profilo dell’erronea applicazione di legge e del vizio motivazionale, andava verificata la legittimita’ dell’ordinanza comunale stessa di rimozione dei rifiuti e di ripristino dell’area, mentre era stato delegato alla societa’ (OMISSIS) il compito di ottemperare all’ordinanza e a quanto successivamente richiesto dall’ente pubblico.
2.4. Col nono e decimo motivo, quanto ai contestati delitti di falso, il ricorrente ha osservato che i Giudici del merito avevano ipotizzato l’esistenza di un pactum sceleris tra il collaudatore delle opere di urbanizzazione, peraltro scelto dall’Amministrazione comunale di Buccinasco ed in tesi autore di una perizia falsa, e gli amministratori della s.p.a. (OMISSIS), tra i quali lo stesso (OMISSIS). Al contrario, alcunche’ era stato rintracciato al riguardo, ed in realta’ il ragionamento dei Giudici milanesi aveva rappresentato solamente un tentativo di risposta al quesito cui prodest, con un presunto ricorso ad una prova logica che logica invece non era non sussistendo alcun elemento di fatto con il quale supportare tale ipotesi. In questo senso non erano neppure utilizzabili, alla stregua dei primi quattro motivi di impugnazione, le dichiarazioni dei testi introdotti dal Pubblico Ministero, i quali avevano ammesso di avere visto solamente pochissime volte il (OMISSIS) e di non averlo mai visto parlare col (OMISSIS), professionista autore del collaudo.
2.5. Con l’undicesimo e dodicesimo motivo e’ stato cosi’ sottolineato che dovevano revocarsi anche le statuizioni a favore delle parti civili costituite, stante la dedotta insussistenza della responsabilita’ del ricorrente.
2.6. Col tredicesimo motivo infine e’ stato ribadito che la Corte territoriale si era limitata a ripercorrere il percorso motivazionale del primo Giudice, senza operare alcun vaglio critico, anziche’ provvedere all’integrale riforma della decisione anche nella parte relativa alla conferma delle statuizioni civili.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso e’ infondato.
4.1. Per quanto riguarda i primi quattro motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente a termini dei punti 2.1. e 2.1.1., l’impugnazione non e’ fondata.
Vero e’, infatti, che l’obbligo di indicare nella lista testimoniale le circostanze sulle quali deve vertere l’esame e’ adempiuto anche in presenza di un’implicita articolazione delle circostanze dell’esame testimoniale del pubblico ministero inequivocabilmente riferibile alle condotte illecite contestate, purche’ non vi sia alcuna apprezzabile violazione del diritto di difesa nel senso di una sostanziale imprevedibilita’ del contenuto della prova prospettata (Sez. 5, n. 27698 del 04/05/2018, B., Rv. 273555).
In proposito, invero, la Corte territoriale ha osservato che non era stato neppure indicato quale concreto pregiudizio fosse stato arrecato da siffatta indicazione della lista testimoniale, ed anche nel presente ricorso alcunche’ e’ stato specificato al riguardo. Laddove, in ogni caso ed anche a prescindere dalle assorbenti considerazioni del provvedimento impugnato, e’ stato appunto ripetutamente sottolineato che l’obbligo dell’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame dei testimoni, imposto dall’articolo 468 c.p.p., comma 1, e’ necessario solo quando le circostanze si discostino dal capo di imputazione, ampliandosi cosi’ la tematica che si intende proporre nell’istruttoria dibattimentale. Detto obbligo deve ritenersi rispettato non soltanto quando nella lista testimoniale le circostanze sono indicate con richiamo diretto al capo di imputazione, ma anche quando sia possibile dedurre per relationem che la persona indicata e’ tra i protagonisti dei fatti articolati nel capo di imputazione e le circostanze sulle quali e’ chiamata a deporre sono ricomprese in esso o in altri atti che debbono essere noti alle parti. Infatti la finalita’ dell’articolo 468 e’ quella di tutelare le parti del processo contro la introduzione di eventuali prove a sorpresa e di consentire loro la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni (Sez. 3, n. 10504 del 30/06/1999, Cola, Rv. 214444; cfr. altresi’ Sez. 5, n. 46868 del 29/11/2005, Vilardo, Rv. 233049; Sez. 5, n. 43361 del 05/10/2005, Grispo, Rv. 232978; Sez. 3, n. 41691 del 19/10/2005, Latini, Rv. 232369; Sez. 4, n. 25523 del 10/05/2007, Boldrini, Rv. 236990).
4.2. In ordine al quinto e sesto motivo di censura, parimenti da affrontare congiuntamente, la sentenza impugnata non ha affatto contestato il consolidato principio in forza del quale non e’ configurabile in forma omissiva il reato di gestione o realizzazione di discarica abusiva nei confronti del proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano illecitamente depositato i rifiuti, in quanto nessun obbligo di controllo puo’ ravvisarsi in carico del proprietario medesimo, mentre gli obblighi di corretta gestione e smaltimento sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi (Sez. 3, n. 49327 del 12/11/2013, Merlet, Rv. 257294).
Infatti, in materia di rifiuti, il proprietario di un terreno non risponde, in quanto tale, dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto tale responsabilita’ sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario puo’ assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti (Sez. 3, n. 40528 del 10/06/2014, Cantoni, Rv. 260754; Sez. 3, n. 28704 del 05/04/2017, Andrisani e altro, Rv. 270340; conf. altresi’ Sez. 3, n. 50997 del 07/10/2015, Cucinella e altro, Rv. 266030, che ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva condannato i’l proprietario non per la sua qualita’ di possessore dell’area di deposito, ma per avere questi consapevolmente partecipato all’attivita’ illecita, mettendo a disposizione il terreno per lo smaltimento abusivo di rifiuti derivanti da lavori edili da egli stesso commissionati).
In specie, ed in coerenza con quanto deciso da questa Corte, la sentenza impugnata ha invece correttamente dato atto che la responsabilita’ doveva ascriversi al fatto che la discarica abusiva venne realizzata dalla (OMISSIS) s.r.l. proprio in quell’area nella quale la societa’ divenuta dei (OMISSIS) si era obbligata a provvedere ai lavori di urbanizzazione, si’ che era stata invece prestata fattiva adesione alla condotta dell’esecutrice dei lavori, col risultato che un’area siffatta era stata invece destinata ad ospitare materiali di demolizione provenienti anche da altri cantieri, anziche’ essere destinati allo smaltimento in impianti autorizzati. Laddove, a fronte di precisi obblighi, l’area in questione doveva essere vocata ad area verde ed alle relative attrezzature, e non a discarica incontrollata (tra l’altro con un, manifesto, innalzamento sul piano stradale di addirittura tre metri).
Del tutto correttamente quindi la Corte milanese, nel salvaguardare il principio per il quale il proprietario di per se’ non e’ responsabile della realizzazione di una discarica nel proprio terreno da parte di terzi, ha osservato che la fattispecie, e gli obblighi relativi, erano del tutto differenti.
4.3. L’infondatezza dei due precedenti motivi trattati al punto 4.2. si ripercuote anche nella valutazione del settimo ed ottavo motivo di censura. L’ordine di ripristino dei luoghi, di cui alle ordinanze sindacali del Comune di Buccinasco, era invero correttamente destinato anche alla societa’ proprietaria dell’area, ossia la (OMISSIS) della famiglia (OMISSIS), tenuto conto della condotta tenuta e quindi della sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 192, se non addirittura della stessa responsabilita’ diretta nell’abbandono e nel deposito dei rifiuti, alla stregua delle considerazioni che precedono, adeguatamente evidenziate dal provvedimento della Corte di Appello (cfr. pagg. 13-14 della sentenza impugnata).
4.4. Per quanto riguarda poi il nono ed il decimo motivo di impugnazione, e’ stato ad es. osservato che, in caso di violazione di sigilli, punita dall’articolo 349 c.p., risponde della stessa il titolare dell’impresa individuale di smaltimento dei rifiuti, al cui centro di raccolta i sigilli risultavano apposti, sulla base del principio del cui prodest, atteso che deve presumersi che la prosecuzione dell’attivita’ non possa che essere riferita al titolare della stessa, in assenza della prova della estraneita’ del medesimo alla attivita’ illecita (Sez. 3, n. 24897 del 03/04/2003, Bienati, Rv. 225379). In generale, comunque, e’ stata ritenuta non censurabile, in sede di legittimita’, la sentenza del giudice di appello che fondi il giudizio di colpevolezza sul principio del cui prodest, qualora esso sia supportato da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante (Sez. 5, n. 12329 del 04/03/1988, D’Oronzo, Rv. 179918).
In proposito e’ emerso che la redazione di un collaudo provvisorio delle opere era stata sollecitata dalla stessa (OMISSIS), all’evidenza interessata a conseguire uno svincolo il piu’ rapido possibile delle garanzie fideiussorie a suo tempo prestate. Da un lato, quindi, il palese elemento indiziante sussiste, dall’altro solamente la societa’ era interessata al collaudo provvisorio (e in effetti su questo profilo fondamentale il ricorso tace, laddove al contrario la ratio della pronuncia di responsabilita’ era proprio incentrata sulla formazione di questo certificato di collaudo provvisorio, non corrispondente alla realta’ delle cose ed invero sollecitato proprio dalla societa’ privata), ancorche’ sia rimasta nel dubbio l’effettiva incidenza causale delle condotte tenute in relazione all’effettivo svincolo delle garanzie, ma al riguardo la condotta all’epoca sanzionata era circoscritta appunto all’ipotesi di cui all’articolo 56 c.p..
In buona sostanza la prova logica, sicuramente ammissibile, trovava conforto in un elemento fattuale dal rilievo assolutamente preminente, al di la’ dell’incidenza causale del fatto sulle future determinazioni eventuali del danno risarcibile.
4.5. Il rigetto dei pregressi motivi di ricorso consente l’assorbimento degli ulteriori profili di censura di cui al punto 2.5., invero formulati sul presupposto dell’accoglimento dell’impugnazione, e quindi sulla conseguente necessita’ di riformare il punto concernente le statuizioni civili siccome disposte dai Giudici del merito.
4.6. Egualmente deve disattendersi il tredicesimo motivo, dal momento che neppure vi e’ specifica indicazione circa i punti della sentenza d’appello che, anziche’ rispondere ai motivi di censura, si sarebbero limitati a pedissequamente ripetere le motivazioni del primo Giudice.
Al riguardo, peraltro, e’ appena il caso di ricordare che i motivi di ricorso possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e cio’ in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni.
Allorche’ infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303). Invero, qualora il giudice d’appello abbia accertato e valutato il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entita’ logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d’appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione, Rv. 197250).
4.6.1. Cio’ posto, il motivo e’ rimasto insanabilmente generico.
5. L’infondatezza dell’impugnazione comporta pertanto il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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