In tema di misure cautelari ed il reato di concorso esterno

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 13 maggio 2020, n. 14803.

Massima estrapolata:

In tema di misure cautelari , il reato di concorso esterno non è assimilabile a quello di partecipazione ad associazione mafiosa ai fini della presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere, in quanto l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 4, comma 1, legge 16 aprile 2015, n. 47, deve essere interpretato conformemente alla sentenza della Corte costituzionale n. 48 del 2015 che, nel vigore della previgente disciplina, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’equiparazione del concorso esterno alla partecipazione al reato associativo.

Sentenza 13 maggio 2020, n. 14803

Data udienza 8 aprile 2020

Tag – parola chiave: Misura di custodia cautelare in carcere – Rigetto dell’istanza di sostituzione – Concorso esterno in associazione mafiosa – Nozione – Dismissione della cariche pubbliche – Pericolo di reiterazione del reato – Vizio di motivazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 02/01/2020 del Tribunale di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere AMOROSO Riccardo;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DE MASELLIS Mariella, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Palermo, decidendo in sede di appello cautelare proposto dal difensore di (OMISSIS) ex articolo 310 c.p.p., avverso l’ordinanza di rigetto emessa in data 25/11/2019 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo, ha disposto il rigetto della richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, applicata nei confronti del ricorrente per i reati di cui agli articoli 110 e 416-bis c.p. e articolo 416-ter c.p..
In particolare, con ordinanza n. 375/19 del 25 marzo 2019, il Tribunale del riesame di Palermo ha confermato la misura custodiale, riqualificando il reato di cui all’articolo 416-bis c.p., nei reati di concorso esterno previsto dagli articoli 110 e 416-bis c.p., e, nel reato previsto dagli articoli 110 e 416-ter c.p., con riferimento alla parte della condotta relativa all’accordo del (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS), per l’acquisto di voti per le elezioni del 2017 dell’Assemblea Regionale Siciliana.
In data 31 luglio 2019, lo stesso Tribunale ha rigettato una prima istanza di sostituzione della misura, sul rilievo che la cessazione di ogni carica politica da parte del (OMISSIS) non costituisse elemento di novita’ rispetto alla situazione esaminata in sede di riesame, e che la sopravvenuta dimissione anche dal partito politico di appartenenza fosse inidonea ad affievolire il quadro cautelare in considerazione della rete di relazioni intrattenute nel tempo con esponenti mafiosi.
In data 18 novembre 2019, la difesa del (OMISSIS) avanzava una nuova richiesta di modifica della misura custodiale, adducendo quale elemento nuovo le dichiarazioni di ammissione dei fatti da parte del (OMISSIS) rese nell’interrogatorio del 15/11/2019 con riguardo all’incontro avuto con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per la promessa di 1000 voti per le elezioni regionali del 2017.
Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha rigettato l’istanza con l’ordinanza del 25 novembre 2019, ritenendo scarsamente attendibile la versione resa dall’indagato, perche’ riduttiva delle proprie responsabilita’ e perche’ essenzialmente volta a negare la propria contiguita’ a contesti mafiosi.
Il Tribunale di Palermo, sezione per il riesame, con l’ordinanza qui impugnata, ha confermato il giudizio negativo sulla valenza dell’interrogatorio da ultimo reso dal ricorrente, non reputandolo elemento significativo di una effettiva volonta’ di rottura dei legami di cointeressenza mafiosa da parte del (OMISSIS), ritenendo non superate le presunzioni di legge rispetto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed all’inadeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere.
2. Tramite i propri difensori di fiducia, (OMISSIS) ha proposto ricorso, articolando i motivi di seguito sintetizzati.
2.1. Con il primo motivo si censura il vizio della motivazione per travisamento della prova in merito alle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) al Pubblico Ministero e per contraddittorieta’ in merito alla valutazione della permanenza della doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di inadeguatezza di ogni altra misura diversa dalla custodia in carcere.
Si osserva al riguardo l’erroneita’ del richiamo alla motivazione dell’ordinanza del Tribunale della liberta’ del 31 luglio 2019 che ha aderito ad una ricostruzione fattuale piu’ grave di quella recepita nell’ordinanza emessa in sede di riesame che aveva ridimensionato la portata delle accuse mosse nei confronti del ricorrente, escludendo l’appartenenza dell’indagato all’associazione mafiosa, riqualificando i fatti in termini di concorso esterno, e riducendo la rilevanza dei fatti ad un arco temporale ristretto agli anni dal 2014 al 2017, escludendo implicazioni mafiose per l’ipotizzato ventennio 2001-2018.
2.2. Con il secondo motivo si censura come illogica e contraddittoria la valutazione operata dal Tribunale della valenza delle dichiarazioni etero ed autoaccusatorie rese dall’indagato, che ha ammesso di avere partecipato all’incontro avuto con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per la pattuizione del pagamento da parte sua della somma di Euro 50 mila in cambio della promessa di 1000 voti per le elezioni regionali del 2017. Al riguardo si rileva che la circostanza che i fatti erano stati gia’ oggetto delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, (OMISSIS), non esclude la rilevanza delle ammissioni del fatto da parte del (OMISSIS) che ha in tal modo implicitamente accusato i propri interlocutori per il reato di voto di scambio.
Il ricorrente, inoltre, censura la ritenuta attendibilita’ della diversa ricostruzione del fatto fornita dal collaboratore in merito alla consegna del denaro che il (OMISSIS) ha negato di avere invece effettuato, adducendo di essersi solo limitato a fingere di acconsentire al pagamento dei voti offertigli, atteso che la versione dell’imputato trova riscontro nel fatto che il (OMISSIS) non e’ stato poi eletto.
La critica alla decisione del Tribunale e’, infine, argomentata sulla base della considerazione che non e’ stata attribuita rilevanza alle dichiarazioni del (OMISSIS), che avendo un contenuto accusatorio nei confronti dei capimafia (OMISSIS) e (OMISSIS), dovevano essere apprezzate come indice di una rottura di quei rapporti di collusione mafiosa da cui discendono le presunzioni cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei limiti e per le ragioni che di seguito si espongono.
Si deve, innanzitutto, premettere che in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari puo’ essere superata attraverso l’allegazione di dati fattuali emergenti dalle risultanze investigative acquisite che consentano di escludere la ripetibilita’ della situazione che ha dato luogo al contributo dell'”extraneus” alla vita della consorteria, tenendo conto in questa prospettiva dell’attuale condotta di vita e della persistenza o meno di interessi comuni con il sodalizio mafioso senza necessita’ di provare la rescissione del vincolo, peraltro in tesi gia’ insussistente (Sez. 6, n. 9478 del 29 gennaio 2014, Ragosta, Rv. 258809; Sez. 6, n. 276858 dell’08 luglio 2011, Mancini, Rv. 250360).
Anche l’ulteriore presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere, diversamente da quanto previsto per l’ipotesi di reato prevista dall’articolo 416-bis c.p., ha carattere relativo, alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 48 del 2015 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 275 c.p.p., comma 3, secondo periodo, nella formulazione precedente alla riforma recata dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, nella parte in cui non prevedeva la possibilita’ di soddisfare le esigenze cautelari nei confronti del concorrente esterno nel reato di cui all’articolo 416-bis c.p., con misure diverse da quella carceraria.
Invero, come evidenziato nella motivazione della citata sentenza della C.Cost. “il concorrente esterno e’, per definizione, un soggetto che non fa parte del sodalizio: diversamente, perderebbe tale qualifica, trasformandosi in associato. Nei confronti del concorrente esterno non e’, quindi, in nessun caso ravvisabile quel vincolo di adesione permanente al gruppo criminale che e’ in grado di legittimare, sul plano “empirico – sociologico”, il ricorso in via esclusiva alla misura carceraria.
Pertanto, la disposizione dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, come riformata dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, nel restringere l’ambito di applicazione del carattere assoluto della presunzione di inadeguatezza di altre misure diverse dalla custodia in carcere all’ipotesi di reato prevista dall’articolo 416-bis c.p. (oltre che ai delitti di cui agli articoli 270 e 270-bis c.p., che qui non rilevano), attribuendo nel contempo carattere relativo a detta presunzione per le altre ipotesi di reato contemplate dall’articolo 51, comma 3-bis e tra queste, quindi, anche per quelle previste dall’articolo 416-ter c.p. e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni previste dallo stesso articolo, non puo’ essere interpretata nel senso di ritenere assimilabile l’ipotesi del c.d. concorso esterno di cui agli articoli 110 e 416-bis c.p. a quella della partecipazione come “intraneus” a detta tipologia associativa.
Valgono le stesse ragioni gia’ indicate dal Giudice delle leggi e che depongono per assimilare, piuttosto, l’ipotesi di reato del concorso esterno nell’associazione mafiosa ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni previste dallo stesso articolo, per le quali la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere e’ per come osservato vincibile attraverso l’acquisizione di elementi che dimostrino il contrario.
Non appare, invero, sostenibile che il legislatore nel riformare la disciplina delle presunzioni cautelari al fine di adeguarla alle plurime sentenze di illegittimita’ costituzionale intervenute in materia con riferimento ai diversi reati presi di volta in volta in esame per la loro diversita’ dal reato di associazione mafiosa in ragione dell’assenza di quegli indici empirici-sociologici che sono stati apprezzati come “base statistica” di legittimazione del ricorso in via esclusiva alla misura carceraria quale unico strumento idoneo a recidere i rapporti dell’indiziato con l’ambiente delinquenziale di appartenenza e a neutralizzarne la pericolosita’ (vedi le sentenze Corte Cost. n. 164/2011 in relazione al reato di cui all’articolo 575 c.p.; n. 57/2013 in relazione ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni previste dallo stesso articolo; n. 232/2013 in relazione al delitto di cui all’articolo 609-octies c.p.; n. 110/2012 in relazione al reato di cui all’articolo 416 c.p., riferito ai delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p.; 265/2010 in relazione ai delitti di cui agli articoli 600-bis e 609-bis e 609-quater c.p.; n. 231/2011 in relazione al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74), possa avere inteso ripristinare per l’ipotesi del concorso esterno nel reato ex articolo 416-bis c.p., la medesima disciplina di presunzione assoluta gia’ sanzionata come costituzionalmente illegittima dalla citata sentenza n. 48 del 2015.
Seppure il riferimento ai delitti aggravati dalla circostanza del Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7, (ora trasfusa nell’articolo 416-bis c.p., comma 1) non possa ritenersi del tutto appagante, attesa la diversita’ rispetto alle imputazioni di concorso esterno, che sono strutturalmente differenti riferendosi le ipotesi di concorso esterno a condotte piu’ gravi ed espressive dei connotati di illiceita’ propri dell’articolo 416-bis c.p., deve escludersi, per la prevalenza da riconoscersi ad una interpretazione costituzionalmente orientata della suddetta disposizione, che siffatta imprecisione del nuovo testo normativo possa condurre a ritenere rivitalizzato, per effetto della riforma del predetto articolo 275 c.p., comma 3, quello stesso vizio di illegittimita’ che ha dato origine al citato intervento riformatore.
Come efficacemente rilevato nella richiamata sentenza n. 48/2015 della Corte Cost., nei confronti del concorrente esterno non e’ in nessun caso ravvisabile ” quel vincolo di adesione permanente al gruppo criminale che e’ in grado di legittimare, sul piano empirico – sociologico, il ricorso in via esclusiva alla misura carceraria, quale unico strumento idoneo a recidere i rapporti dell’indiziato con l’ambiente delinquenziale di appartenenza e a neutralizzarne la pericolosita’. Al riguardo, non gioverebbe opporre che il concorrente esterno, analogamente al partecipante all’associazione, apporta comunque un contributo causale al raggiungimento dei fini del sodalizio: con la conseguenza che la sua condotta risulterebbe pienamente espressiva del disvalore del delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., concretandosi anzi, talora, in apporti di maggior rilievo rispetto a quelli dell'”intraneus”. Il che non potrebbe certamente dirsi, invece, per l’autore di un reato aggravato ai sensi del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7: giacche’, per un verso – come rimarcato dalla stessa sentenza n. 57 del 2013 – l’anzidetta aggravante puo’ accedere a qualsiasi delitto, anche della piu’ modesta entita’; e, per altro verso, anche quando si discuta di un delitto aggravato dalla finalita’ di “agevolazione mafiosa”, non e’ comunque richiesto che l’obiettivo si realizzi. Tali considerazioni attengono, in effetti, alla gravita’ dell’illecito commesso dal concorrente esterno, che dovra’ essere congruamente apprezzata in sede di determinazione della pena, all’esito della formulazione di un giudizio definitivo di colpevolezza. Esse non impongono, per converso, preclusioni sul diverso piano della verifica della sussistenza e per quanto qui rileva – del grado delle esigenze cautelari, che condiziona l’identificazione della misura idonea a soddisfarle”.
Il diverso risalente orientamento espresso da questa Corte di cassazione (Sez. 1, sentenza n. 2946 del 17/10/2013, Rv. 257774), secondo cui per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in ragione della rilevata differenza tra esso ed i delitti aggravati dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, doveva ritenersi operativa la presunzione assoluta prevista per i reati richiamati dall’articolo 275 c.p.p., comma 3, attraverso il generale rinvio a tutti i reati previsti dall’articolo 51 c.p.p., comma 3-bis e’ riferito ad un diverso quadro normativo, perche’ formatosi dopo la sentenza della corte costituzionale n. 57 del 2013 che aveva censurato la legittimita’ costituzionale di siffatta presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per i delitti aggravati del Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7, ma in un periodo antecedente sia alla sentenza n. 48/2015 della Corte Cost. relativa al concorrente esterno e sia alla riforma introdotta dalla citata L. n. 47 del 2015 (in motivazione, la Corte di cassazione aveva evidenziato che la sentenza della Corte costituzionale citata, dichiarando l’incostituzionalita’ dell’articolo 275 c.p., comma 3, limitatamente all’ipotesi della presunzione di adeguatezza per i delitti aggravati del Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7, non aveva alcuna ricaduta sulle imputazioni di concorso esterno, perche’ diverse dalle contestazioni di reati aggravati ex articolo 7 cit., riferendosi a condotte espressive dei connotati di illiceita’ previsti dall’articolo 416-bis c.p.).
Nel sistema ora vigente dopo la riforma dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, introdotta dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, per uniformare la disciplina codicistica alle citate pronunce della Corte Cost., tra cui rientra a pieno titolo anche la sentenza n. 48/2015 che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della predetta disposizione nella sua formulazione originaria con specifico riferimento al reato di concorso esterno in associazione mafiosa, la predetta disposizione normativa non puo’ che essere interpretata nel senso sopra precisato.
Infatti, l’articolo 275 c.p.p., comma 3, nel suo nuovo testo, stabilisce che solo per i delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis c.p., e’ sempre applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, diversamente, per i delitti di cui all’articolo 51 commi 3-bis e 3-quater, e per altri delitti ivi tassativamente indicati, prevede che la custodia in carcere sia applicata salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono le esigenze cautelari “o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure”.
Sebbene manchi un esplicito riferimento all’ipotesi del concorso esterno nell’associazione mafiosa, non essendo detta fattispecie neppure richiamata nell’elenco dei delitti considerato nell’articolo 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater, l’assimilazione dell’ipotesi del concorso esterno in associazione mafiosa ai delitti commessi “al fine di agevolare l’attivita’” delle associazioni mafiose, al contrario inclusi in detto elenco richiamato per effetto del rinvio operato dall’articolo 275, comma 3 al predetto dell’articolo 51 c.p.p., comma 3-bis, costituisce l’unica soluzione interpretativa possibile e coerente con la linea tracciata dalla Corte Costituzionale.
Invero, nel caso in cui si dovesse escludere anche detta assimilazione, poiche’ l’alternativa assimilazione all’ipotesi del reato di partecipazione all’associazione mafiosa e’ gia’ stata vagliata come incostituzionale ai fini della presunzione assoluta di adeguatezza della solo custodia in carcere, si dovrebbe pervenire alla irragionevole esclusione in toto dell’ipotesi di concorso esterno tra i delitti considerati dall’articolo 275 c.p.p., comma 3, ai fini della doppia presunzione cautelare, nonostante la gia’ rilevata maggiore e piu’ grave “connotazione di mafiosita’” delle condotte ascrivibili al concorrente esterno rispetto a quelle aggravate dalla finalita’ di “agevolazione mafiosa”, per le quali neppure e’ richiesto che l’obiettivo si realizzi.
2. Cio’ premesso e passando piu’ nello specifico alla valutazione dei motivi di ricorso, si deve osservare, come correttamente evidenziato nell’ordinanza impugnata, che rispetto al quadro cautelare gia’ valutato in sede di riesame (ordinanza del 25/03/2019) e vagliato poi anche in sede di legittimita’ (Sez. 5, sent. n. 1079 del 15/07/2019), gli elementi sopravvenuti sono costituiti essenzialmente oltre che dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS) (verbali del 22/08/19 e 10/09/19) – che hanno sostanzialmente rafforzato il quadro indiziario con riferimento alla vicenda relativa allo scambio elettorale politico-mafioso cui si riferisce l’ipotesi di reato di cui all’articolo 416-ter c.p., ascritta al (OMISSIS) – anche dall’interrogatorio del 15/11/2019 reso dall’indagato (OMISSIS), che ha continuato pur sempre a negare il proprio apporto al sodalizio mafioso e inteso evidentemente ridimensionare, in modo ritenuto poco credibile dai giudici di merito, la rilevanza del quadro indiziario a suo carico.
Sebbene tali valutazioni espresse prima dal giudice delle indagini preliminari e poi ribadite dal Tribunale in sede di appello cautelare non prestino il fianco alle censure del ricorrente in merito alla ritenuta verosimile finalita’ prettamente difensiva dell’interrogatorio reso dall’indagato, per la congrua motivazione resa nei predetti provvedimenti in merito alla ravvisata parziale credibilita’ dei contenuti dichiarativi, contraddetti dalle risultanze in atti (intercettazioni che dimostrerebbero l’avvenuto pagamento di una parte delle somme di denaro oggetto della promessa del (OMISSIS) in cambio dell’offerta di voti che gli sarebbero stati procurati con l’appoggio del clan mafioso facente capo a (OMISSIS) e (OMISSIS)), tuttavia, si deve rilevare la non esaustiva giustificazione delle ragioni in base alle quali e’ stata sottovalutata la rilevanza del contributo dichiarativo reso dall’indagato in palese conflittualita’ rispetto alla posizione del capoclan (OMISSIS).
La valutazione da parte dei giudici di merito appare orientata a contestare la credibilita’ della versione resa dall’indagato con argomenti che non possono essere discussi in sede di legittimita’, perche’ afferiscono al merito dei fatti-reato.
Ma al di la’ della coerenza logica di siffatti argomenti, non censurabile perche’ assolutamente aderente alla gravita’ del quadro indiziario gia’ adeguatamente soppesato in sede di riesame, si tratta di considerazioni che investono la gravita’ degli illeciti commessi, che dovra’ essere congruamente apprezzata in sede di giudizio definitivo di colpevolezza, ma non tengono adeguato conto, per converso, della rilevanza che una posizione conflittuale con i vertici del clan mafioso puo’ assumere sul piano della verifica della sussistenza e del grado delle esigenze cautelari, necessario presupposto per la selezione della misura piu’ idonea a soddisfarle, con il minore sacrificio possibile per la liberta’ personale.
La valutazione della continuita’ dei rapporti di contiguita’ mafiosa non deve essere confusa con quella che afferisce la finalita’ difensiva delle dichiarazioni rese dall’indagato, atteso che l’aver negato la propria contiguita’ mafiosa costituisce una scelta difensiva suscettibile di apprezzamento negativo sul piano della credibilita’ giudiziaria del dichiarante, ma non esime dal verificare quale effetto possa avere in concreto una dichiarazione accusatoria mossa nei confronti del presunto complice mafioso sulla possibilita’ di reiterazione dei reati, sul piano della ripetibilita’ di quella situazione di reciproci scambievoli favori con la consorteria mafiosa che e’ alla base della presunzione (relativa) della sussistenza delle esigenze cautelari.
E’ bene ribadire, che a fronte della esclusa posizione di appartenenza all’associazione mafiosa, nel caso del concorrente esterno non e’ richiesta la dimostrazione della rescissione del vincolo di appartenenza al sodalizio, non essendovi alcun vincolo da rescindere stante la sua estraneita’ all’organizzazione, sicche’ il parametro per superare la presunzione non solo e’ diverso ma e’ anche necessariamente meno severo, rimanendo legato alla prognosi di non reiterabilita’ del contributo alla consorteria (Sez. 6, n. 9478 del 29 gennaio 2014, Ragosta, Rv. 258809; Sez. 6, n. 276858 dell’08 luglio 2011, Mancini, Rv. 250360).
La rilevanza di una circostanza di plausibile attrito nel rapporto di contiguita’ mafiosa se da un lato attenua la presunzione legale di pericolosita’, dall’altro impone un maggiore rigore nella valutazione dell’inadeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere.
Non puo’ essere ritenuto sufficiente il richiamo operato dal Tribunale alla parzialita’ del contributo conoscitivo offerto dal dichiarante, che, come e’ noto costituisce uno dei parametri di valutazione ai fini del riconoscimento dell’attenuante della dissociazione fattiva prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 8 ed ora dall’articolo 416-bis c.p., comma 3 e che richiede l’utilita’ del contributo dichiarativo prestato (Sez. 3, n. 3078 del 12/12/2012, Romeo, Rv. 254142; Sez. 1, n. 48646 del 19/06/2015, Marti, Rv. 265851).
La verifica dei parametri della ricorrenza della detta attenuante opera sul diverso piano del giudizio di responsabilita’ e della determinazione della pena, ma non assume identico rilievo ai fini della prognosi di reiterabilita’ del contributo offerto al sodalizio mafioso da parte di un soggetto che non ne faccia parte, per la rilevanza che deve riconoscersi ad ogni nuova allegazione che possa incidere in modo concreto sulla continuita’ di quel rapporto fiduciario di reciproche scambievoli utilita’ che e’ alla base della presunzione prevista dall’articolo 275 c.p.p., comma 3.
L’affermazione del Tribunale secondo cui il rapporto fiduciario con il capo clan mafioso (OMISSIS) non sarebbe stato compromesso, in ragione della mancanza di novita’ del contributo dichiarativo offerto rispetto agli elementi di accusa gia’ raccolti a carico del predetto coindagato, appare contraddittoria perche’ nega la rilevanza di un elemento che e’ obiettivamente indice concreto di inaffidabilita’ per gli esponenti mafiosi del medesimo sodalizio con il quale il ricorrente avrebbe condiviso in precedenza i propri affari.
La prognosi della reiterabilita’ di nuove collusioni mafiose per un concorrente esterno discende innanzitutto dalla persistenza di quella trama di cointeressi con gli esponenti mafiosi di maggiore influenza criminale, e non si puo’ sostenere che le esigenze cautelari rimangano immutate ove sopravvengono sia pure per effetto di scelte difensive interessate, circostanze che siano obiettivamente espressione di una conflittualita’ e contrapposizione con quei soggetti di maggiore spessore criminale, che seppure gia’ processualmente gravati da forti elementi di accusa, non possono che apprezzare negativamente l’atteggiamento di chi, pur negando la propria complicita’, fornisca tuttavia un apporto di conoscenze avverso ed ostile alla posizione del soggetto indicato come parte dell’accordo mafioso di scambio politico-elettorale, anche se – giova ripeterlo – detto accordo venga rappresentato in termini piu’ favorevoli, finanche valutati poco verosimili, “ex parte” del politico coinvolto.
L’allegazione di nuovi elementi di rilievo, uniti a quelli gia’ affrontati ma vagliati in un contesto differente, come la dismissione di tutte le cariche pubbliche e di partito, impongono di ridare maggiore concretezza al giudizio sulla persistenza del pericolo di reiterazione e del suo grado che non puo’ rimanere ancorato allo stadio iniziale, cosi’ da trasformare la presunzione legale da relativa ad assoluta, sacrificando la doverosa costante verifica del sacrificio imposto alla liberta’ personale nella ricerca di quell’equilibrio che deve bilanciare e guidare la scelta della misura cautelare piu’ adeguata al caso concreto.
L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata per nuovo esame.
Il Tribunale, giudicando in sede di rinvio, verifichera’ se alla luce delle nuove circostanze che incidono sui rapporti con esponenti del sodalizio, debba ritenersi ancora necessaria la misura della custodia in carcere in rapporto al grado di concreta ed attuale ripetibilita’ della situazione che ha dato luogo alle dinamiche collusive del (OMISSIS) con l’associazione mafiosa operativa nella provincia di Trapani.
La cancelleria curera’ gli adempimenti previsti dall’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo- Sezione Riesame misure cautelari.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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