In tema di minorata difesa

Corte di Cassazione, sezione quinta penale,  SENTENZA 3 ottobre 2019, n.40746.

Massima estrapolata:

In tema di minorata difesa, la circostanza aggravante di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, a seguito della modifica normativa introdotta dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, deve essere specificamente valutata anche in riferimento all’età senile e alla debolezza fisica della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae consapevolmente vantaggio. (Fattispecie relativa al furto ai danni di una donna ottantenne).

SENTENZA 3 ottobre 2019, n.40746

SEZIONE QUINTA

Pres. Sabeone

est. Belmonte

 

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Caltanissetta confermava la pronuncia del Tribunale di quella stessa città che aveva riconosciuto Ga. Gi. colpevole di concorso nel reato di furto aggravato, commesso strappando di mano a Ma. Bi. una borsa, contenente, tra l’altro , la somma di 60 Euro, condannandolo alla pena di giustizia.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, con il ministero del difensore, il quale ne chiede l’annullamento svolgendo tre motivi.
2.1. Violazione di legge processuale, laddove il P.M. aveva erroneamente proceduto con le forme della citazione diretta a giudizio, trattandosi di reato non rientrante nell’elenco di cui all’art. 550 cod.proc.pen., lamentando violazione del diritto di difesa connesso alla mancata celebrazione dell’udienza preliminare.
2.2. Violazione dell’art. 61 n. 5 cod.pen. e correlato vizio della motivazione, lamentando che erroneamente era stata riconosciuta l’aggravante della cd. minorata difesa, non integrabile dalla sola circostanza della età avanzata della vittima.
2.3. Violazione dell’art. 62bis cod.pen. e correlato vizio della motivazione per mancato riconoscimento delle circostanza attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile. Esso contiene, infatti, motivi che replicano l’appello, sui quali la Corte distrettuale ha adeguatamente replicato; per contro il ricorrente in cassazione omette di confrontarsi con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata.
2. Con riferimento al primo motivo, l’eccezione di nullità sollevata dalla difesa investe l’erroneo meccanismo di citazione a giudizio dell’imputato, che è avvenuto per citazione diretta, anziché attraverso il filtro dell’udienza preliminare, in riferimento a reati per i quali la modalità prescelta di esercizio dell’azione penale non sarebbe consentita. Il collegio ribadisce l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il reato di cui all’art. 624 bis rientra tra quelli elencati nell’art. 550 cod.proc.pen. Invero, la disposizione di cui all’art. 550 cod. proc. pen., comma 2, stabilisce espressamente che si debba procedere a citazione diretta, a prescindere dai limiti edittali di pena, quindi anche in deroga alla previsione del primo comma, quando si proceda per un catalogo di reati comprensivo della ricettazione e del ‘furto aggravato a norma dell’art. 625 del codice penale’. Sulla scorta di prevalente indirizzo giurisprudenziale, si è affermato che anche per la fattispecie di furto in abitazione ex art. 624-bis cod. pen., introdotto dalla L. 26 marzo 2001, n. 128, è ammessa la citazione diretta a giudizio, in quanto la mancata inclusione nell’elenco dell’art. 550 cod.proc.pen. è dipesa dalla sua introduzione nell’ordinamento in momento successivo all’entrata in vigore dei vigente codice di rito e dall’omesso adeguamento normativo, superabile in via interpretativa in base alla constatazione che il delitto di furto in abitazione è punito in modo identico al furto aggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen., con la reclusione da uno a sei anni (Sez. 5, n. 3807 del 28/11/2017, Rv. 272439 ; Sez. 4, n. 1792 del 16/10/2018 , Rv. 275078; Cass. sez. 6, n. 29815 del 24/04/2012, Levakovic, rv. 253173; sez. 5, n. 2256 del 12/4/2011, Castriota, rv.250577; sez. 4, n. 36881 del 22/5/2009, Nasufi, rv. 244983; sez. 5, n. 40489 del 5/11/2002, Zagami, rv. 225705;).
3. Quanto al secondo motivo, la Corte distrettuale ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini della ravvisabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen., non è richiesto che la difesa sia quasi o del tutto impossibile, ma è sufficiente che essa sia semplicemente ostacolata. Si afferma, pertanto, con riferimento all’età avanzata della vittima, che la debolezza fisica dovuta all’età senile costituisce una minorazione delle capacità difensive del soggetto, che impedisce il tentativo di reazione possibile a una persona giovane e di ordinaria prestanza fisica, particolarmente quando la violenza non venga esercitata con uso di arma o altro mezzo intimidatorio, ma solo attraverso l’uso di energia fisica, e quando risulti che la vittima del reato è stata scelta dall’agente in considerazione dell’avanzata età. (Sez. 2, n. 1790 del 21/06/1983, Rv. 162876 – 01; conf. ex multis, Sez. 1, n. 50699 del 18/05/2017,, Rv. 271592 – 01; Sez. 2, n. 28795 del 11/05/2016, De Biasi, Rv.267496 – 01). La Corte di merito ha altresì offerto una rilettura di tale risalente, ma mai smentito, orientamento, alla luce della legge n. 2009 n. 94, che ha novellato l’art. 61 comma 1 n. 5 cod. pen. allineandosi al principio, più volte sancito da questa Corte di legittimità, secondo cui, in tema di minorata difesa, la circostanza aggravante di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, a seguito della modifica normativa introdotta dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, deve essere specificamente valutata anche in riferimento all’età senile e alla debolezza fisica della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae consapevolmente vantaggio (Sez. 2, n. 8998 del 18/11/2014, dep. 2015, Rv. 262564 – 01; Sez. 5, n. 38347 del 13/07/2011, Rv. 250948 – 01; Sez. 2, n. 35997 del 23/09/2010, Rv. 248163 – 01). Facendo applicazione di tale enunciato, i giudici di merito hanno evidenziato che l’età avanzata della vittima, all’epoca ottantenne, nel subire il furto con strappo della propria borsetta personale, avvenuto nella pubblica via, ha certamente agevolato la commissione del fatto, non essendo riuscita la stessa a opporre alcuna resistenza fisica. Il collegio condivide siffatta interpretazione, anche richiamando recente pronuncia di questa stessa sezione che, in riferimento ad analoga fattispecie, ha affermato il principio di diritto secondo cui, ‘Nei reati che presuppongono un’interazione tra autore del fatto e vittima – quale, in particolare, il furto con strappo – l’agevolazione all’agire illecito che deriva dall’età avanzata della persona offesa è in re ipsa, senza che gravi, in capo al Giudice di merito, uno specifico onere motivazionale nel riconoscere la circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 5, cod. pen.’ poiché in tali casi le possibilità che la vittima impedisca la commissione del reato ai suoi danni sono indubbiamente inibite o quantomeno ostacolate dal naturale ottundimento dei sensi e dall’inibizione delle capacità motorie che derivano dall’avanzare dell’età. Tanto può dirsi senz’altro per il furto con strappo, in cui le possibilità che la vittima avverta il pericolo imminente e che impedisca la sottrazione del bene portato sulla sua persona sono indubbiamente mortificate dalle ridotte capacità di percezione del pericolo e di predisposizione alla difesa ed alla reazione legate alla vecchiaia. (Sez. 5, n. 12796 del 21/02/2019 Rv. 275305).
4. Palesemente infondato il terzo motivo alla luce della motivazione offerta dalla sentenza impugnata, nella quale la Corte distrettuale ha giustificato il diniego dell’istanza di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto all’aggravante, evidenziando l’assenza di elementi di segno positivamente valutabili a tali fini e la già benevola pena finale comminata dal tribunale, rispetto alla gravità del fatto. Trattandosi di valutazione di merito, essa si sottrae alle censure di legittimità in quanto, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, poiché le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo, il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 2 – , n. 9299 del 07/11/2018 , dep. 2019, Rv. 275640 ). L’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta. (Sez.l, n. 3529 del 22/09/1993, Rv.195339; Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014,Rv.260610). Pertanto, il giudice di merito può escludere la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24.09.2008, Caridi; conf. sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 Pettinelli), essendosi limitato a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello che ritiene prevalente, e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).
5. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge ( art. 616 cod.proc.pen ) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in Euro 4000,00

P.Q.M.

Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 4000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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