In tema di licenziamenti collettivi

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Ordinanza 7 gennaio 2020, n. 118.

La massima estrapolata:

In tema di licenziamenti collettivi, tra imprenditore e sindacati può intercorrere un accordo per la determinazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in adempimento della funzione regolamentare delegata dall’art. 5 della l. n. 223 del 1991, stabilendo criteri anche difformi da quelli legali, purché rispondenti a requisiti di obiettività, razionalità e non discriminazione. (Fattispecie in cui l’accordo raggiunto non è stato ritenuto conforme ai predetti requisiti perché individuava nell’unico addetto al reparto soppresso dall’imprenditore il lavoratore da licenziare, senza tenere conto delle molteplici professionalità documentate del dipendente, risultando così omessa ogni comparazione con gli addetti agli altri reparti rimasti in funzione).

Ordinanza 7 gennaio 2020, n. 118

Data udienza 24 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 8530/2018 proposto da:
FALLIMENTO DI (OMISSIS), in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) in virtu’ di delega in atti.
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 963/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 18/01/2018 R.G.N. 428/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

RILEVATO

che:
1. Con la sentenza n. 963 del 2017 la Corte di appello di Venezia ha confermato la pronuncia del Tribunale di Padova n. 272 del 2017 che, in parziale riforma della ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, aveva affermato l’illegittimita’ del licenziamento collettivo intimato nei confronti di (OMISSIS) e dichiarato risolto il rapporto; aveva condannato, conseguentemente il Fallimento di (OMISSIS) alla corresponsione di venti mensilita’ a titolo di indennizzo, oltre alla rifusione delle spese legali.
2. I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, hanno rilevato che: a) l’accordo sindacale del 20.7.2015 (non impugnato da alcuna delle parti) consentiva di ritenere esistenti le ragioni addotte dalla datrice di lavoro, a giustificazione della soppressione del reparto protezione anticementante, cui era addotto il solo (OMISSIS); b) la societa’ avrebbe dovuto, pero’, effettuare la comparazione del (OMISSIS), che aveva allegato di possedere molteplici professionalita’ analoghe ai lavoratori addetti agli altri reparti non soppressi, con questi ultimi dipendenti; c) vi era stata violazione della L. n. 223 del 1991, articolo 5 e non era sostenibile la tesi che l’accordo citato fosse sufficiente a superare l’obbligo di non limitare l’ambito di scelta al reparto soppresso; d) dai documenti in atti emergeva l’idoneita’ fisica del (OMISSIS) per essere comparato con i lavoratori addetti ad altri reparti non soppressi per cui risultava corretta la statuizione del primo giudice che aveva ritenuto di non dare ingrasso ad ulteriori istanze istruttorie; e) l’indennita’ risarcitoria, di cui alla L. n. 300 del 1970, novellato articolo 18, disposta a seguito della declaratoria di risoluzione del rapporto, non imponeva la detrazione ne’ dell’aliunde perceptum ne’ dell’aliunde percipiendum.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento di (OMISSIS) affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS) con controricorso.
4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

CONSIDERATO

che:
1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 5, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale necessaria la comparazione del (OMISSIS) con i lavoratori addetti agli altri reparti aziendali dotati di professionalita’ equivalente, pur in presenza di un accordo sindacale del 20.7.2015 che aveva considerato l’appartenenza al reparto oggetto di soppressione quale unico e assorbente criterio di valutazione. Al riguardo si deduce che: a) la regola del repechage non si applicava al licenziamento collettivo; b) la necessita’ della comparazione al di la’ del reparto da sopprimere cui i singoli lavoratori sono adibiti riguarda esclusivamente la ipotesi in cui non venga raggiunto un accordo sindacale nel corso della procedura di licenziamento collettivo; c) in presenza, quindi, di un accordo sindacale veniva meno la necessita’ di qualunque comparazione da parte del datore di lavoro.
2. Il motivo non e’ fondato.
3. In primo luogo, deve osservarsi che la gravata sentenza e’ conforme al consolidato orientamento di legittimita’ (tra le altre Cass. 3.5.2011 n. 9711; Cass. 12.1.2015 n. 203), cui si intende dare seguito, secondo il quale, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una unita’ produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati puo’ essere limitata agli addetti a un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed e’ onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze e giustificare il piu’ ristretto spazio nel quale la scelta e’ stata effettuata; con la conseguenza che non puo’ essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perche’ impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalita’ equivalente a quella dt addetti ad altre realta’ organizzative.
4. Nel caso in esame, avendo il (OMISSIS) allegato di possedere molteplici professionalita’ (autista, addetto al magazzino con specifica professionalita’ per utilizzo di carrello elevatore, operario addetto a composizione cariche e tempre spina, come risultante dal libretto di lavoro in atti) era obbligo della societa’ effettuare la comparazione del lavoratore con gli addetti agli altri reparti rimasti in funzione.
5. In secondo luogo, va precisato che correttamente la Corte territoriale non ha ritenuto valido l’accordo del 20.7.2015 con il quale era stato indicato, tra i profili eccedentari, il (OMISSIS) quale unico addetto al reparto anticementante che la societa’ aveva deciso di sopprimere.
6. Infatti, in materia di licenziamenti collettivi, tra imprenditore e sindacati puo’ intercorrere, secondo quanto indicato dalla L. n. 223 del 1991, articolo 5, un accordo inteso a disciplinare l’esercizio del poter di collocare in mobilita’ i lavoratori in esubero, stabilendo criteri di scelta anche difformi da quelli legali, purche’ rispondenti a requisiti di obiettivita’ e razionalita’, proprio perche’ l’accordo adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge (Cass. n. 4186 del 2013; Cass. n. 9866 del 2007; Corte Cost. sent. n. 268 del 1994).
7. Nella fattispecie, invece, l’accordo raggiunto non ha rispettato i principi di razionalita’ e di non discriminazione perche’ non ha tenuto conto, nel prevedere il licenziamento del (OMISSIS) quale addetto al reparto da sopprimere, delle professionalita’ documentate del dipendente e delle posizioni lavorative che questi avrebbe potuto occupare proprio in ragione di detta professionalita’ acquisita nel corso del rapporto. Non e’, quindi, condivisibile l’argomentazione di parte ricorrente ne’ sull’istituto del repechage, che non e’ venuto in rilievo nel caso de quo, ne’ sul fatto che l’accordo raggiunto comunque avrebbe fatto venire meno ogni necessita’ di comparazione tra i lavoratori da parte del datore di lavoro dovendo, invece, quest’ultimo comunque osservare i principi sopra enunciati.
8. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
9. Al rigetto segue la condanna di parte ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimita’.
10. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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