In tema di IRPEF

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 gennaio 2021| n. 593.

In tema di IRPEF, è legittimamente motivato “per relationem” l’avviso di accertamento facente rinvio a valori di cessione desunti dall’Ufficio da una ricerca universitaria (nella specie non allegata all’atto impositivo né ivi riprodotta nel suo contenuto essenziale ma menzionata assieme ad altri documenti accessibili da “internet”) laddove risulti pubblicata e, quindi, agevolmente conoscibile al contribuente destinatario dell’avviso.

Ordinanza|15 gennaio 2021| n. 593

Data udienza 21 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Cessione della licenza taxi – Bene immateriale strumentale all’esercizio dell’attività – Concorso alla formazione del reddito d’impresa – Plusvalenza – Accertamento induttivo – Riferimento ad atti esterni – Conoscibilità da parte del contribuente – Legittimità della motivazione “per relationem” – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15172/2013 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, per procura speciale in atti, dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 79/28/13, depositata il 19 aprile 2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Michele Cataldi.

RILEVATO

che:
1. (OMISSIS) propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 79/28/13, depositata il 19 aprile 2013 che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto, dopo averli riuniti, i distinti ricorsi del predetto contro:
a) l’avviso d’accertamento – relativo all’anno d’imposta 2001, in materia di Irpef- con il quale l’Ufficio, dopo aver notificato al contribuente l’invito a comparire per fornire delucidazioni in merito alla cessione a terzi di una licenza per esercizio dell’attivita’ di taxi, aveva recuperato a tassazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 2, il maggior reddito imponibile dell’importo di Euro 115.955,00, a titolo di plusvalenza derivante da tale negozio;
b) contro l’atto di contestazione al contribuente della “mancata restituzione dei questionari di cui all’articolo 32, comma 1, n. 7, richiesti dalle banche”, con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria.
2. L’Ufficio si e’ costituito con controricorso.

CONSIDERATO

che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione del contribuente in ordine alla pretesa irritualita’ della notifica dell’appello erariale ed alla sua conseguente tardivita’.
Il motivo e’ infondato, atteso che sulla questione di rito, che la sentenza impugnata menziona nell’esposizione dello svolgimento del processo, vi e’ stata una pronuncia di rigetto del giudice a quo, necessariamente implicita nella decisione sul merito della controversia, che l’accoglimento della questione preliminare di rito non avrebbe altrimenti consentito di attingere.
Dato atto che tale implicito rigetto non e’ stato oggetto di specifica ulteriore censura del ricorrente, il motivo va respinto.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 2909 c.c., e dell’articolo 324 c.p.c..
Espone infatti il contribuente di aver eccepito, nel ricorso di primo grado avverso l’atto di contestazione, che prima dell’accertamento controverso l’Amministrazione gli aveva notificato un mero invito a comparire ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 2, al quale egli aveva risposto con una raccomandata nella quale aveva espressamente manifestato la propria volonta’ di non comparire, poiche’ preferiva affrontare “con un documentato ricorso” la questione della plusvalenza attribuitagli.
Tanto premesso, secondo il contribuente, l’Ufficio, con l’atto di contestazione, gli aveva erroneamente attribuito la “mancata restituzione dei questionari di cui all’articolo 32, comma 1, n. 7, richiesti dalle banche”, con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, sebbene l’invito a comparire effettivamente pervenutogli non corrispondesse ai questionari menzionati.
Inoltre, sempre secondo il ricorrente, l’Ufficio aveva altrettanto erroneamente ritenuto che il suo rifiuto di comparire integrasse il presupposto dell’accertamento induttivo c.d. extracontabile di cui all’articolo 39, comma 2, lettera d-bis), che prevede il caso in cui il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi del medesimo decreto, articolo 32, comma 1, nn. 3 e 4, o del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 51, comma 2, nn. 3 e 4.
Invece, rileva il ricorrente, il ricevuto invito a comparire per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 2, costituisce atto diverso sia dall’invito ad esibire o trasmettere atti e documenti di cui al successivo n. 3, sia dall’invito a restituire compilati e firmati i questionari di cui al successivo n. 3. Pertanto, a differenza di questi ultimi, il suo inadempimento avrebbe legittimato l’Amministrazione al piu’ all’accertamento c.d. analitico induttivo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, ma non a quello induttivo c.d. extracontabile di cui all’articolo 39, comma 2, lettera d-bis), praticato nel caso di specie.
Aggiunge quindi il ricorrente (cfr. in particolare pag. 11 del ricorso) che egli aveva eccepito l’effettiva natura dell’invito ricevuto, quale motivo di illegittimita’ dell’atto erariale impugnato, nel ricorso di primo grado avverso l’atto di contestazione, e che, all’esito dell’accoglimento dei due ricorsi riuniti da parte della CTP, l’appello dell’Amministrazione non aveva attinto specificamente tale ratio decidendi, con conseguente formazione del giudicato sulla questione, che la CTR non avrebbe pertanto potuto decidere diversamente, come ha fatto rigettando integralmente i ricorsi introduttivi del contribuente nel merito.
Il motivo, che a prescindere dalla sua rubricazione formale esprime univocamente, ed esclusivamente, la censura della mancata rilevazione di un giudicato interno (invero limitato all’impugnazione dell’atto di contestazione), e’ infondato.
Infatti, l’appello dell’Amministrazione, cosi’ come trascritto in parte qua nello stesso ricorso (a pag. 13), esprime, sinteticamente ma inequivocabilmente, anche a prescindere dall’impreciso riferimento all'”assorbimento”, l’estensione della volonta’ critica dell’appellante di contestare la decisione di primo grado anche a tale aspetto della decisione impugnata e della controversia (sulla necessita’ di interpretare, nel processo tributario, la specificita’ dei motivi d’appello privilegiando l’espressione dell’effettiva volonta’ di sindacare nel merito la sentenza impugnata cfr. Cass. 15/01/2019, n. 707).
3. Con il terzo motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2. Il corpo del motivo ne rivela un contenuto differenziato in relazione ai diversi atti erariali controversi.
Infatti, con riferimento all’atto di contestazione, il ricorrente si limita a riaffermare l’assunta formazione di un giudicato interno, in esito al primo grado di giudizio, per le ragioni gia’ esposte nel secondo motivo e gia’ ante ritenute infondate, per cui e’ sufficiente richiamare quanto gia’ illustrato in sede di trattazione e decisione del motivo che precede, confermando il rigetto ivi espresso.
Quanto invece all’avviso di accertamento impugnato, la questione dell’effettiva natura dell’originario invito viene qui riproposta, nei medesimi termini gia’ illustrati a proposito del secondo motivo di ricorso, in termini di violazione di legge, ovvero di mancanza di presupposto legittimante il praticato accertamento induttivo c.d. extracontabile di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2.
Anche in parte qua il motivo e’ infondato.
Infatti, come gia’ rilevato da questa Corte in una fattispecie analoga (Cass. 02/03/2018, n. 4944), per quanto qui interessa, la L. 15 gennaio 1992, n. 21, qualifica i titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi come “titolari di impresa artigiana di trasporto” (articolo 7), pertanto alla “cessione” della licenza, effettuata con le modalita’ previste dalla stessa legge, e’ applicabile la disciplina dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 86 (gia’ articolo 54), vigente ratione temporis, secondo il quale concorrono alla formazione del reddito d’impresa le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso dei beni relativi all’impresa, costituendo la licenza un bene immateriale strumentale all’esercizio di tale attivita’. Pertanto, qualora il reddito che si contesta non sia stato indicato in dichiarazione (come rilevato in diversi passi della sentenza impugnata, senza contestazione sul punto del ricorrente) si rende comunque applicabile il disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera a), che, anche in tale ipotesi, abilita l’Ufficio ad utilizzare, ai fini dell’accertamento, dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facolta’ di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza.
Dunque, sussisteva comunque il presupposto dell’accertamento induttivo c.d. extracontabile praticato dall’Amministrazione nel caso di specie.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7; Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 42; L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3, per non avere il giudice a quo ritenuto l’illegittimita’ dell’impugnato accertamento in conseguenza della carenza della sua motivazione, esposta per relationem ad un documento, in particolare un’indagine di docenti dell’Universita’ della (OMISSIS), non proveniente dall’Amministrazione, ne’ allegato allo stesso atto impositivo, ne’ riprodotto nella motivazione di quest’ultimo, quanto meno per la sua parte essenziale, come parimenti accaduto per altri documenti (un provvedimento dell’Ufficio del Giudice Tutelare del Tribunale di Milano; una nota dell’Agenzia per il controllo e la qualita’ dei servizi pubblici locali del Comune di Roma; annunci di cessioni e di acquisizioni di licenze pubblicate su internet).
Il motivo e’ ammissibile, atteso che il ricorrente ha indicato, nel corpo dello stesso (anche tramite parziale trascrizione), la proposizione della medesima censura nel proprio ricorso di primo grado e la sua riproposizione nelle proprie controdeduzioni in appello. Inoltre, il ricorrente ha anche indicato l’avvenuta produzione dell’avviso d’accertamento, trascrivendone, per quanto qui interessa, la parte motiva per relationem.
Tanto premesso, il motivo, che risulta limitato all’avviso di accertamento, e’ inammissibile.
Invero, sul punto della sufficienza, o meno, della motivazione dell’atto impositivo la CTR ha affermato che ” il valore della cessione determinato dall’Ufficio e’ basato su indagini di mercato proprie e di un istituto universitario; in particolare la ricerca dell’Universita’ della (OMISSIS), ricerca che risulta pubblicata, non e’ un atto interno riservato all’Amministrazione”, aggiungendo che “i criteri usati per la determinazione del valore del bene trasferito utilizzati dall’Ufficio, siano da ritenere congrui ed accettabili”.
E’ pacifico che la motivazione dell’accertamento contenesse il riferimento ad atti esterni ad esso non allegati- ed in particolare alla ricerca universitaria de qua, sulla quale si concentra il motivo in decisione- come risulta dalle stesse difese della controricorrente sul punto, secondo le quali l’allegazione dei documenti in questione sarebbe stata “palesemente ultronea”, trattandosi di documentazione di dominio pubblico.
La verifica della legittimita’ di tale tecnica di redazione della motivazione dell’avviso richiede di valutare se, con riferimento al caso concreto sub iudice, possa considerarsi assolto l’obbligo di allegazione del documento all’atto (dovuta ex lege, ma pacificamente omessa nel caso di specie) anche con il rinvio ad esso nella sua motivazione.
Dispone la L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, che:
“Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.”.
Dispone a sua volta il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, comma 2, ultimo periodo, come modificato dal Decreto Legislativo 26 gennaio 2001, n. 32, articolo 1, comma 1, lettera c), nella versione vigente ratione temporis, che: ” Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne’ ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.”.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, anche recentemente ribadito (Cass. 13/02/2019, n. 4176, in motivazione), le norme appena citate consentono di adempiere l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem, tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, pero’, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti’ del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass. 25/03/2011, n. 6914), o, ancora, che gli atti richiamati siano gia’ conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. 25/07/2012, n. 13110).
Facendo applicazione dei medesimi principi, questa Corte ha ritenuto che nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari puo’ essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioe’ l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass. 15/04/2013, n. 9032; conforme, in relazione ad identica fattispecie, Cass., 23/12/2015, n. 25946).
In altra occasione e’ stato poi precisato che lo Statuto del contribuente, articolo 7, comma 1, (cosi’ come espressamente previsto dal citato D.P.R., articolo 42), nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia gia’ integrale e legale conoscenza (Cass. 04/07/2014, n. 15327).
Inoltre, nella giurisprudenza di questa Corte molteplici sono le pronunce che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, hanno ritenuto sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, fosse, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso.
Non si intende, in questo senso, far riferimento alle affermazioni giurisprudenziali relative alla conoscibilita’ di atti richiamati, gia’ oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. 25/07/2012, n. 13110), o sottoposti a pubblicita’ legale (Cass. 19/12/2014, n. 27055, in motivazione), trattandosi di ipotesi accomunabili dall’operativita’ di presunzioni legali (per quanto diversificate) di conoscenza, e quindi di equiparazione ex lege della conoscibilita’ alla conoscenza.
Piuttosto, ci si riferisce a quelle pronunce che hanno ritenuto legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. 17/12/2014, n. 26527; Cass. 27/11/2015, n. 24254; Cass. 30/10/2018,n. 27628). E, soprattutto, ci si richiama a quell’orientamento che, finanche nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero quando il documento menzionato nella motivazione dell’atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, ritiene sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass. 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 04/06/2018, n. 14275, ex plurimis, in tema di avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii a quello riguardante i redditi della societa’, ancorche’ solo a quest’ultima notificato; Cass. 17/05/2017, n. 12312, ex plurimis, relativa all’accertamento del maggior valore dell’immobile sulla base dei prezzi medi evincibili dal listino della Borsa immobiliare dell’Umbria, pubblicato dalla locale camera di Commercio ed agevolmente reperibile dalla contribuente).
Infatti, deve ritenersi che l’interpretazione giurisprudenziale della L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, ultimo periodo, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, comma 2, ultimo periodo, e comma 3, nel senso che non sia nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizzi un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex articolo 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilita’, anche normativa, della motivazione per relationem (sul punto cfr. Cass. 29/01/2008, n. 1906, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex articoli 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilita’ dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attivita’ di ricerca complessa.
Il rispetto del complesso dei principi appena enucleati e’ quindi essenziale affinche’ la motivazione dell’accertamento, con particolare riferimento alla determinazione del tributo dovuto ed all’indicazione degli elementi posti alla base di tale quantificazione, possa consentire al contribuente la verifica sia della correttezza dei parametri utilizzati per la valutazione del presupposto dell’imposizione che del calcolo operato dall’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. 29/11/2016, n. 24220; Cass.19/12/2014, n. 27055).
4.1. Tutto cio’ premesso, deve rilevarsi che, nel caso concreto sub ludice, la CTR ha ritenuto la conoscibilita’ dell’atto esterno all’accertamento con il passaggio motivazionale nel quale ha dato atto che la ricerca dell’Universita’ della Tuscia (sulla quale, in particolare, si concentrano la censura del contribuente e la decisione impugnata) “risulta pubblicata, non e’ un atto interno riservato all’Amministrazione”.
Tale conoscibilita’, sufficiente ai sensi ed alle condizioni di cui alla citata giurisprudenza, non e’ oggetto di specifica e puntuale censura nel motivo di ricorso in esame, che non attinge pertanto la ratio decidendi espressa sul punto dalla sentenza impugnata.
5. Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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