In tema di giudizio abbreviato

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 19 maggio 2020, n. 15396.

Massima estrapolata:

In tema di giudizio abbreviato, i verbali di prove dichiarative di altro procedimento acquisiti ex art. 238 cod. proc. pen. sull’accordo delle parti sono utilizzabili in esito alla richiesta del rito e corredano, al pari degli altri elementi investigativi, la complessiva delibazione di attendibilità del dichiarante, anche tenuto conto della loro formazione in contraddittorio delle parti.

Sentenza 19 maggio 2020, n. 15396

Data udienza 28 gennaio 2020

Tag – parola chiave: sequestro di persona – Tentata induzione alla prostituzione – tentata riduzione in schiavitù – Giudizio abbreviato – Condanna – Regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio – Significato – Prove poste a fondamento della decisione – Insussistenza di profili idonei ad inficiarne l’attendibilità – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/01/2019 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRINA TUDINO;
udito Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FIMIANI PASQUALE che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’;
udito i difensore l’Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 25 gennaio 2019, la Corte d’assise d’appello di Palermo ha, in parziale riforma della decisione del Giudice dell’udienza preliminare in sede del 10 novembre 2017, assolto – per qunto di rilievo in questa sede – (OMISSIS) dal reato di cui all’articolo 601 c.p. sub e), confermando l’affermazione di responsabilita’ per le residue imputazioni di sequestro di persona, tentata induzione alla prostituzione e tentata riduzione in servitu’ di (OMISSIS), in concorso, oltre pene accessorie.
1.1. I fatti riguardano il procurato ingresso illegale nel territorio nazionale di (OMISSIS), dalla Nigeria ed attraverso la Libia, contestato a (OMISSIS); il successivo trasferimento della predetta in (OMISSIS), dove veniva accolta nell’abitazione delle sorelle (OMISSIS), nella quale veniva segregata perche’ – diversamente da quanto prospettatole ex ante – fosse avviata alla prostituzione, i cui proventi sarebbero stati destinati alla restituzione della somma di circa trentamila Euro, a titolo di rifusione delle spese del viaggio e dei costi di mantenimento, al cui pagamento la stessa (OMISSIS) si era obbligata in patria, attraverso la celebrazione di un rito woodo; segregazione che era perdurata sinche’ la (OMISSIS) era riuscita a richiedere l’intervento degli operanti che, all’esito dell’accesso nell’abitazione, avevano identificato (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS), questi ultimi separatamente giudicati.
1.2. Il Giudice dell’udienza preliminare aveva ritenuto (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti, in concorso con i coimputati separatamente giudicati, alla stregua delle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) e dalla teste (OMISSIS), nel quadro degli accertamenti seguiti al sopralluogo degli operanti, mentre la Corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al reato di tratta di persona libera sub e), in assenza di elementi deponenti in ordine alla compartecipazione della medesima nella fase antecedente l’ingresso della persona offesa sul territorio nazionale, confermando nel resto le statuizioni della sentenza di primo grado.
2. Avverso la sentenza della Corte d’assise d’appello di Palermo ha proposto ricorso (OMISSIS), con atto a firma del difensore, Avv. (OMISSIS), affidando le proprie censure ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilita’, per avere la Corte territoriale conferito rilievo all’essersi la persona offesa rivolta all’imputata, nel corso del viaggio, su indicazione di altra connazionale, travisando il contenuto della deposizione, sul punto contraddittoria, resa dalla (OMISSIS) nel parallelo processo a carico dei coimputati, nel quale e’ diversamente risultato come la medesima avesse telefonato alla sorella dell’amica (OMISSIS) e, solo successivamente, fosse stata contattata dall’imputata. Donde il decisivo elemento del primo contatto ad iniziativa dell’imputata risulta travisato.
Risulta, analogamente, travisato quanto riferito dalla medesima persona offesa in ordine all’asserita richiesta di destinare i proventi della prostituzione al pagamento del riscatto di Euro 30.000 per giungere in Italia, anche in tal caso risultando la circostanza diversamente riferita nel parallelo processo ed avendo, pertanto, i giudici d’appello del tutto irragionevolmente privilegiato l’originaria versione, in contraddizione con quanto opinato riguardo ulteriori dichiarazioni rese nelle diverse sedi. La gestione di una casa di prostituzione risulta, inoltre, circostanza priva di alcun riscontro, non rilevando sul punto l’ospitalita’ prestata a (OMISSIS), mentre il reato di sequestro di persona risulta fondato sul ritenuto timore che la persona offesa si allontanasse, privo di adeguata giustificazione.
Difettano, infine, gli elementi costitutivi del reato di riduzione in servitu’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile.
1. Il primo argomento di censura, con il quale si deduce travisamento della prova in riferimento alle dichiarazioni della persona offesa in punto di dimostrazione del contributo causale dell’imputata, e’ generico e, comunque manifestamente infondato.
1.1. La Corte territoriale ha ricostruito, con ampia ed esaustiva argomentazione, la complessiva condotta ascritta, tra gli altri, a (OMISSIS), articolatasi sin dall’organizzazione dell’ingresso di (OMISSIS) nel territorio nazionale, anche attraverso la celebrazione di riti iniziatici funzionali ad obbligarla a corrispondere un’ingente somma di denaro, in modo da avviarla alla prostituzione, in condizione di riduzione in schiavitu’ e di limitazione della liberta’ di autodeterminazione. E rispetto a siffatta, articolata – e non contestata – condotta, la sentenza impugnata ha enucleato gli indici di partecipazione di (OMISSIS), limitatamente ai reati di sequestro di persona, induzione alla prostituzione e tentata riduzione in stato di servitu’, valorizzando sul punto non solo le dichiarazioni della persona offesa, ma anche i dati obiettivi apprezzati dagli operanti, intervenuti – su richiesta di soccorso della (OMISSIS) – presso l’abitazione delle sorelle (OMISSIS), dove la medesima si trovata da giorni ristretta.
Donde il dato probatorio, asseritamente travisato, ed indicato nella persona con la quale la (OMISSIS) si sarebbe relazionata telefonicamente sin nel corso del viaggio, non s’appalesa idoneo a disarticolare gli elementi fondanti la responsabilita’ della ricorrente, a titolo di concorso, nei reati per i quali ne e’ stata affermata la responsabilita’.
1.2. Secondo le direttrici ermeneutiche declinate da questa Corte, invero, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, e’ ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758, N. 5146 del 2014 Rv. 258774, N. 24667 del 2007 Rv. 237207); condizioni non ricorrenti nel caso in disamina in quanto, pur volendo – alla stregua della interpretazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nelle diverse sedi processuali, acquisite nel giudizio abbreviato – riferire la telefonata della (OMISSIS) nel corso del viaggio non gia’ all’imputata, bensi’ alla sorella di altra connazionale, nondimeno il ruolo attivo svolto da (OMISSIS) nella segregazione della persona offesa, finalizzata ad indurla alla prostituzione ed ad assoggetarla in stato di servitu’, secondo il disegno ex ante ordito da (OMISSIS) e dai coimputati, separatamente giudicati, risulta ampiamente giustificato attraverso il richiamo alle dichiarazioni della teste (OMISSIS), anch’essa ospite della casa ed avviata alla prostituzione, ed alla relazione degli operanti. Cosi’ come s’appalesa insindacabile, in quanto del tutto razionalmente giustificata dal concreto interesse alla minimizzazione dei fatti e dai dati obiettivi di contesto, la valutazione di inattendibilita’ assegnata alle contrastanti dichiarazioni della teste (OMISSIS), attestate sulla negatoria di una qualunque forma di sfruttamento della prostituzione o di costrizione alla medesima attivita’, ricondotte dalla Corte territoriale alla salvaguardia della poszione del coimputato (OMISSIS), alla medesima sentimentalmente legato.
1.3. Quanto alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) nelle diverse sedi processuali, confluite nella piattaforma probatoria del giudizio abbreviato, la Corte territoriale non ha mancato di valorizzarne il coerente e costante nucleo essenziale, costituito dalla lineare e conforme ricostruzione del ruolo svolto dagli imputati e, in particolare, dalla ricorrente, mentre il ricorso finisce per parcellizzarne singoli elementi, postulando una funzione di contestazione delle divergenti dichiarazioni che s’appalesa eccentrica rispetto alla scelta del rito.
Ed invero, mentre il meccanismo di cui all’articolo 503 c.p.p., comma 3, e’, evidentemente, precluso nel giudizio abbreviato, i verbali delle prove dichiarative acquisite ex articolo 238 c.p.p., sull’accordo delle parti, vanno a corredare gli elementi investigativi utilizzabili in esito alla richiesta del rito, assumendo pari rango dimostrativo, spettando al giudice valutare – e giustificare – se e quanto i punti di eventuale difformita’ incidano sulla complessiva delibazione di attendibilita’ del dichiarante, anche tenuto conto della formazione nel contraddittorio delle parti della prova orale sopravvenuta.
Di guisa che siffatta valutazione di attendibilita’ e’ sindacabile nel giudizio di legittimita’ solo nei limiti del controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, spettando al giudice di merito il giudizio sulla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova, anche riguardo la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippendico, Rv. 271623, N. 8090 del 1981 Rv. 150282, N. 20806 del 2011 Rv. 250362).
Nei termini evocati, la valutazione di attendibilita’ della persona offesa si sottrae a censure, nella presente sede di legittimita’, siccome sostenuta da un’argomentazione che ha valorizzato – nel quadro unitario degli elementi acquisiti dagli operanti nel corso del sopralluogo – ora l’immediatezza del contenuto dichiarativo rispetto ai fatti, ora il maggior dettaglio emerso nel diverso procedimento in sede di cross examination, in presenza di una constante e lineare ricostruzione della vicenda e del ruolo della ricorrente, affatto incrinata dalle asserite divergenze o ambiguita’ segnalate dalla difesa.
Anche nel giudizio abbreviato, invero, la regola di giudizio dell'”al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilita’ dell’imputato, postula che il materiale probatorio posto a fondamento della decisione sia stato acquisito in assenza di circostanze idonee ad inficiarne l’attendibilita’, essendo il giudice procedente tenuto ad attivare i propri poteri per dissipare eventuali opacita’ (Sez. 6, n. 21314 del 05/03/2015, Casamonica, Rv. 263565), come ampiamente rappresentato nel percorso giustificativo dell’avversata sentenza, che ha puntualmente giustificato la convergente portata dimostrativa delle dichiarazioni della persona offesa, armonizzandole rispetto ai fatti obiettivamente riscontrati.
1.4. Risultano, pertanto, compiutamente delineati i presupposti della responsabilita’ concorsuale dell’imputata, in presenza di un comportamento esteriore prestato da (OMISSIS) – e circoscritto ai soli delitti di induzione alla prostituzione, sequestro di persona e tentativo di riduzione in stato di servitu’ – idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione dei reati, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti in quanto, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, la stessa ha aumentato la possibilita’ della produzione del reato (Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990, N. 2297 del 2014 Rv. 258244, N. 7621 del 2015 Rv. 262492, N. 1986 del 2017 Rv. 268972). Risulta, in particolare, che la ricorrente fosse sostanzialmente delegata all’amministrazione della casa e degli ospiti, assicurandosi della impossibilita’ della (OMISSIS) di lasciare l’abitazione in sua assenza, nel condiviso intento di indurne, in tal guisa, la prostituzione e la sottomissione personale, a fini di profitto.
Donde l’inammissibilita’ della censura, che omette il confronto con il complessivo dispiegharsi della motivazione e con il titolo della responsabilita’ concorsuale ravvisato.
Dal testo della sentenza impugnata, cosi’ come integrato dalla conforme decisione di primo grado, non e’ dato, pertanto, ravvisare alcuna omissione valutativa delle ragioni dell’impugnazione, ne’ alcuna disarticolazione del ragionamento giustificativo, con il quale il ricorrente omette di confrontarsi (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
2. Sono, del pari, inammissibilmente formulate le ulteriori censure.
2.1. In riferimento al reato sub b), del tutto assertiva e priva di confronto con l’esito della prova e’ la imputazione a mera distrazione dell’interclusione della persona offesa nell’abitazione.
La Corte territoriale ha, inoltre, fatto corretta applicazione del principio secondo cui il delitto di sequestro di persona non implica necessariamente che la condizione limitativa imposta alla liberta’ di movimento sia obiettivamente insuperabile, essendo sufficiente che l’attivita’ anche meramente intimidatoria o l’apprestamento di misure dirette ad impedire o scoraggiare l’allontanamento dai luoghi ove si intende trattenere la vittima, se non attraverso iniziative imprudenti e pericolose per la propria persona, siano idonei a determinare la privazione della liberta’ fisica di quest’ultima, con riguardo, eventualmente, alle sue specifiche capacita’ di reazione (Sez. 2, n. 11634 del 10/01/2019, Capatti, Rv. 276058N. 7962 del 2014 Rv. 259278); condizioni non escluse dalla disponibilita’ di mezzi di comunicazione e sussistenti nella specie, non solo a ragione della sistematica segregazione della (OMISSIS) nell’abitazione, curata personalmente dall’imputata, ma anche della obiettiva difficolta’ della persona offesa, priva di documenti e di punti di riferimento, di recuperare la liberta’ personale, superata solo attraverso la richiesta di soccorso rivolta agli operanti, su indicazione della responsabile della casa di accoglienza alla quale la stessa aveva rappresentato i fatti.
2.2. Sono generiche e meramente astrattizzanti le censure rivolte al capo della sentenza relativo al reato sub d), ritenuto, peraltro, nella forma tentata, pur a fronte di un vero e proprio “acquisto” di essere umano, il cui riscatto e’ risultato subordinato al pagamento pattuito in Nigeria, mediante trattenimento della mercede della prostituzione, trattandosi di un comportamento che comporta la degradazione della persona a mera “res”, su cui vengono esercitati poteri corrispondenti al diritto di proprieta’ (Sez. 5, n. 37315 del 08/03/2019, H., Rv. 277341).
Sul punto, la sentenza impugnata ha da un lato escluso la responsabilita’ della ricorrente nel concorrente reato di tratta di persona libera (Sez. 5, n. 49514 del 19/09/2018, A., Rv. 274452), ritenendo non adeguatamente comprovato un suo contributo agevolatore sin dalla fase della organizzazione del viaggio; dall’altro ha, invece, valorizzato la prestazione di un contributo causale rilevante, finalizzato alla costrizione della (OMISSIS), anche attraverso la limitazione della liberta’ di autodeterminazione nello spazio, per indurne la prostituzione e lo sfruttamento economico, mercificandone la persona.
In tal senso, la sentenza impugnata da’ conto di una induzione, realizzata mediante prospettazione della inevitabilita’ del meretricio, ad uno stato di soggezione, consistente in una significativa compromissione della capacita’ di autodeterminazione in senso ampio, involgente tutte le liberta’ della persona, tenuto conto delle specifiche caratteristiche soggettive della vittima (Sez. 5, n. 49594 del 14/10/2014, Enache, Rv. 261345 in fattispecie relativa all'”acquisto” di ragazze, nel loro paese di origine, destinate alla prostituzione, con la falsa promessa che si sarebbero riscattate con i proventi di quell’attivita’ ed esercitando sulle stesse un sostanziale diritto di proprieta’, tenuto conto che le vittime, pur dotate di cellulari, erano sorvegliate telefonicamente, non conoscevano la lingua italiana ed erano state private dei documenti; v. N. 2775 del 2011 Rv. 249257, N. 44385 del 2013 Rv. 257564).
Peraltro, lo stato di soggezione continuativa – richiesto dall’articolo 600 c.p. – deve essere rapportato all’intensita’ del vulnus arrecato all’altrui liberta’ di autodeterminazione, nel senso che esso non puo’ essere escluso qualora si verifichi una qualche limitata autonomia della vittima, tale da non intaccare il contenuto essenziale della posizione di supremazia del soggetto attivo del reato.
In riferimento alle caratteristiche del concreto contesto opportunamente valorizzate nella sentenza impugnata mediante il richiamo all’assoluta dipendenza della (OMISSIS), sprovvista di documenti, risorse ed altri punti di riferimento – va rimarcato come il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitu’ o in servitu’ sia a fattispecie plurima, integrata alternativamente dalla condotta di chi eserciti su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario che, implicando la “reificazione” della vittima, ne comporta “ex se” lo sfruttamento, ovvero dalla condotta di riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, in relazione alla quale, invece, e’ richiesta la prova dell’ulteriore elemento costituito dalla imposizione di prestazioni integranti lo sfruttamento della vittima (Sez. 5, n. 10426 del 09/01/2015, 0., Rv. 262632, N. 4012 del 2006 Rv. 233600, N. 24269 del 2010 Rv. 247704).
In particolare, la condizione analoga alla schiavitu’ e’, ex articolo 600 c.p., una situazione di fatto i cui estremi sono configurabili qualora la persona sia ridotta in stato di soggezione e costretta a prestazioni di lavoro stressanti o alla prostituzione, con sfruttamento dei compensi dovutigli con inganno, per abuso di autorita’, approfittando della situazione di inferiorita’ fisica o psichica o di necessita’, oltre che minaccia o violenza (Sez. 5, n. 40045 del 24/09/2010, M., Rv. 248898, in fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in disamina).
Ne consegue come, quantomeno nella finalizzazione della costrizione allo sfruttamento, il reato e’ stato correttamente ritenuto sussistente, nella forma tentata, in presenza dell’approfittamento di uno stato di necessita’ della persona offesa, derivantele dalla mancanza di alternative esistenziali, diretto alla imposizione di condizioni di vita abnormi ed allo sfruttamento delle prestazioni lavorative al fine di conseguire il saldo del debito da questa contratto con chi ne ha agevolato l’immigrazione clandestina.
Il ricorso e’, pertanto, inammissibile.
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna dell’imputata, ex articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima equo determinare in Euro 3000, in favore della Cassa delle ammende.
4. In riferimento alla natura della contestazione, deve essere disposto l’oscuramento dei dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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