In tema di gestione dei rifiuti

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 5520

Massima estrapolata:

In tema di gestione dei rifiuti l’appaltatore, per la natura del rapporto contrattuale che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell’intera attività, riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto e su di lui gravano gli obblighi di corretto smaltimento, salvi i casi in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sull’attività dell’appaltatore, i relativi doveri si estendono anche a tale soggetto. Infatti, la predetta regola – suscettibile di modifiche negoziali tra le parti – trova nel caso di specie una deroga in apposito accordo, consacrato, secondo il tribunale, in un “preventivo della società appaltatrice” – rimasto incontestato -, che rimetteva a carico dell’appaltante e, quindi, dell’imputato, il compito di procedere allo smaltimento dei rifiuti prodotti.

Sentenza 12 febbraio 2020, n. 5520

Data udienza 19 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACETO Aldo – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/07/2018 del Tribunale di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOVIELLO Giuseppe;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso e chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Il tribunale di Genova, in data 02/07/2018 condannava (OMISSIS) alla pena di Euro 3000,00 di ammenda in relazione al reato di cui all’articolo 256, comma 2 in relazione al comma 1 lettera c) dello stesso articolo, per avere, quale amministratore unico della Societa’ (OMISSIS) SRL, effettuato all’interno di uno stabilimento industriale, della societa’ medesima, un deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), mediante il suo difensore, prospettando due motivi di impugnazione.
3. Eccepisce con il primo motivo il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), sia in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, lettera f), non essendo il ricorrente qualificabile quale “produttore” dei rifiuti di cui al capo di imputazione, sia in relazione all’articolo 40 c.p., essendo stato individuato in capo all’imputato un dovere giuridico inesistente, sia in ordine al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 183 e 186, per l’omessa configurazione di un deposito temporaneo; inoltre, deduce il vizio di manifesta illogicita’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
In particolare, con riguardo a parte dei rifiuti rinvenuti e integranti “carotature” di sondaggi, appaltate dal ricorrente ad altra ditta, dovrebbe rinvenirsi in capo al titolare di quest’ultima ogni onere in tema di smaltimento dei medesimi, atteso che in tali casi la qualita’ di produttore di rifiuti va ascritta all’appaltatore. Quanto agli altri rifiuti, essi sarebbero stati depositati da ignoti, come da denunzie appositamente sporte al riguardo, per cui non ricorrerebbe neppure in tal caso la qualifica di produttore dei medesimi in capo al ricorrente e tantomeno quindi, l’obbligo di impedire l’evento e di attivarsi per il relativo smaltimento. Inoltre, il giudice avrebbe omesso di rilevare la sussistenza di un deposito temporaneo, trattandosi di rifiuti depositati nel luogo di produzione e originariamente separati per categorie omogenee, siccome solo successivamente confusi tra di loro ad opera di ignoti vandali.
4. Con il secondo motivo deduce il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e la manifesta illogicita’ della motivazione in relazione agli articoli 133 e 131 bis c.p.. In particolare, alla luce dei criteri considerati dal giudice nel determinare il trattamento sanzionatorio, riguardanti in particolare la “non elevata gravita’ del fatto” siccome integrante “un illecito inserito in una attivita’ complessivamente rispettosa delle prescrizioni dell’autorita’”, lo stesso avrebbe dovuto riconoscere la speciale tenuita’ del fatto ex articolo 131 bis c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
2. Quanto al primo motivo, il richiamo al principio per cui in tema di gestione dei rifiuti l’appaltatore, per la natura del rapporto contrattuale che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio dell’intera attivita’, riveste generalmente la qualita’ di produttore del rifiuto e su di lui gravano gli obblighi di corretto smaltimento, salvi i casi in cui, per ingerenza o controllo diretto del committente sull’attivita’ dell’appaltatore, i relativi doveri si estendono anche a tale soggetto (cfr. Sez. 3, n. 11029 del 05/02/2015 Rv. 263754 – 01 D’Andrea), non appare in concreto conferente. Infatti, la predetta regola – suscettibile di modifiche negoziali tra le parti – trova nel caso di specie una deroga in apposito accordo, consacrato, secondo il tribunale, in un “preventivo della societa’ appaltatrice” – rimasto incontestato -, che rimetteva a carico dell’appaltante e, quindi, dell’imputato, il compito di procedere allo smaltimento dei rifiuti prodotti. Obbligo quindi incontestabile, tanto piu’ a fronte dell’appurato deposito dei risultati dei carotaggi sin dal 2012, con condotta protrattasi ancora in occasione dell’accertamento del 2017. Tale circostanza e’ sufficiente ad imputare al ricorrente la gestione di rifiuti presenti nello stabilimento, tanto piu’ che l’ulteriore tesi per cui tutti i restanti rifiuti, indistintamente considerati, sarebbero stati introdotti da ignoti, con esclusione per gli stessi dell’onere di smaltimento a carico dell’imputato, non e’ suffragata in alcun modo: ne’ in sentenza, dove vengono ascritti ad ignoti solo indistintamente e genericamente “altri rifiuti”, ne’ dalle due denunzie allegate al ricorso, incentrate, piuttosto, sulla dedotta occupazione abusiva dei luoghi, con accenno, al piu’, alla introduzione, sempre generica, di “spazzatura” e di “vestiti borse oggetti vari”. Laddove, di contro, risulta incontestata l’ulteriore notazione, sempre rinvenibile in sentenza, per cui accanto ai rifiuti derivanti dai carotaggi, furono rinvenuti nel 2017 anche residui da demolizione e materiale plastico. Cosicche’ permane inalterata la ricostruzione della presenza incontrollata, ascrivibile al ricorrente, di almeno gran parte dei rifiuti depositati, con conseguente inammissibilita’ del motivo.
Ma in realta’ sono tutti i rifiuti rinvenuti ad essere riconducibili al ricorrente.
Puo’ invero osservarsi che se da una parte, in materia di rifiuti, non e’ configurabile in forma omissiva il reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 2, nei confronti del proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, poiche’ tale responsabilita’ sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, dall’altra, tale ultimo obbligo puo’ essere assunto dal proprietario ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti medesimi (Sez. 3, n. 50997 del 07/10/2015 Rv. 266030 – 01 Cucinella).
Circostanza quest’ultima, che nel caso in esame appare rinvenibile, posto che anche quei rifiuti introdotti da terzi risultano commisti a quelli certamente riconducibili, per quanto sopra detto, alla diretta gestione del ricorrente.
Quanto alla dedotta sussistenza del deposito temporaneo, va rilevato, da una parte, che tale deduzione poggia su una rappresentazione di fatto del solo ricorrente – come tale inammissibile in questa sede -, peraltro in alcun modo suffragata da adeguati riscontri – in violazione quindi anche del principio di “autosufficienza del ricorso – e, di contro, e’ contrastata da quanto illustrato in sentenza, in relazione sia alla commistione dei rifiuti che al pluriennale prolungarsi del loro deposito, in palese violazione, quindi, dei requisiti integranti l’invocata forma di deposito. A tale riguardo e’ utile rammentare che per “deposito temporaneo” si intende il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attivita’ che ha determinato la produzione dei rifiuti…alle seguenti condizioni: 1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalita’ alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantita’ in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorche’ il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non puo’ avere durata superiore ad un anno; 3) il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonche’, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; 4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose; 5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalita’ di gestione del deposito temporaneo (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 20410 del 08/02/2018 Rv. 273221 – 01 Boccaccio).
Va aggiunto che integrando il deposito temporaneo un’eccezione alle ordinarie forme di gestione del rifiuto, si pone a carico dell’interessato l’onere di dare dimostrazione della sussistenza di tutti i relativi presupposti, che invece risulta in questo caso inadempiuto.
3. Quanto al secondo motivo di ricorso, esso e’ inammissibile in assenza di specifica domanda rivolta al giudice di merito in punto di applicazione della fattispecie ex articolo 131 bis c.p.. Non risulta infatti, dalla epigrafe della sentenza, che una tale domanda sia stata promossa dal ricorrente in sede di conclusioni ne’ e’ stata contestata la sintesi delle conclusioni della difesa cosi’ riportata. Consegue che in assenza di specifica istanza e’ insussistente il vizio di violazione di legge e carenza di motivazione in relazione all’articolo 131 bis c.p., prospettato. In proposito, e’ stato precisato che in tema di esclusione della punibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto, la questione dell’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p., non puo’ essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3, se il predetto articolo era gia’ in vigore – come nel caso di specie – alla data della deliberazione della sentenza impugnata. Tanto sul rilievo che la questione postula, di regola, un apprezzamento di merito precluso in sede di legittimita’, ma che poteva essere proposto al giudice procedente al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione (cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 43838 del 27/05/2016 Rv. 268281 – 01 Savini; nel medesimo senso con riguardo alla medesima questione non dedotta in grado di appello Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678).
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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