In tema di falsità in atti ricorre il cosiddetto “falso innocuo”

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|15 febbraio 2021| n. 5896.

In tema di falsità in atti, ricorre il cosiddetto “falso innocuo” nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuità essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto.(Fattispecie relativa alla dichiarazione non veritiera resa da un geometra, in qualità di direttore dei lavori, in ordine alle caratteristiche dell’impianto di riscaldamento di una struttura produttiva, in cui la Corte ha escluso la ricorrenza del “falso innocuo”, invocata dall’imputato per la mancanza di specifici titoli in materia che non avrebbe consentito di attribuire alcuna valenza alla sua dichiarazione, rientrando comunque le opere energetiche nell’ambito della propria abilitazione professionale).

Sentenza|15 febbraio 2021| n. 5896

Data udienza 29 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Falsità ideologica commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità – Dichiarazione falsa resa da un geometra in qualità di direttore dei lavori – Idoneità ad ingannare la P.A. – Offensività della condotta – Esclusione del c.d. falso innocuo – Congruità della pena irrogata – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICHELI Paolo – Presidente

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/11/2019 della CORTE DI APPELLO DI TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI FRANCOLINI;
udito in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione Dott. SENATORE Vincenzo, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 novembre 2019 (dep. il 20 novembre 2019) la Corte di Appello di Torino ha confermato la pronuncia resa in data 20 luglio 2019 dal Tribunale di Cuneo, che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del delitto di falsita’ ideologica commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessita’ (articolo 481 c.p.) e, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva, l’aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, oltre al pagamento delle spese processuali.
2. Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato:
– l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 481 c.p., non essendosi ravvisata nella specie un’ipotesi di falso grossolano, e la violazione della L. n. 10 del 1991, articolo 28, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b));
– la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)), anche in relazione all’elemento soggettivo del reato.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)) in relazione alla testimonianza dell’arch. (OMISSIS), collaboratrice del (OMISSIS), e alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
2.3. Con il terzo motivo ha prospettato la carenza e la manifesta illogicita’ della motivazione sul trattamento sanzionatorio (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)) e la violazione e falsa applicazione degli articoli 133 e 481 c.p., (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)), in particolare nella parte in cui non e’ stata accolta la richiesta subordinata della difesa di irrogare soltanto una pena pecuniaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile, sia perche’ manifestamente infondato (cfr. Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, Rv. 276916 – 01) sia per difetto di specificita’, nei termini che si espongono di seguito.
1. Poiche’ sono state denunciate sia la violazione della legge penale e di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b)) sia il vizio di motivazione (cfr. articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)), e’ utile anzitutto osservare quanto segue.
1.1. Il vizio contemplato dall’articolo 606, comma 1, lettera b), cit. riguarda l’erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza) ovvero l’erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoe’, Rv. 268404 – 01).
1.2. Inoltre, come affermato in piu’ occasioni da questa Corte:
– la mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione, come vizi addotti nel giudizio di legittimita’, devono essere “di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici” (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01, che rimanda a Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
– l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non attribuisce al giudice della legittimita’ un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella gia’ effettuata nei gradi di merito – valutazione, per vero, preclusa alla Corte di cassazione, innanzi alla quale non puo’ utilmente dedursi il travisamento del fatto -, dovendo essa piuttosto “limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per giustificare il suo convincimento” (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01, che richiama Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; conf. Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 – 01);
– e’ inammissibile per difetto di specificita’ il ricorso che “difetti di una critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce – che e’ la funzione tipica dell’impugnazione – e dell’indicazione delle ragioni della decisivita’ delle censure medesime rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito” (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Leonardo, Rv. 254584 01); difatti, “contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’ (…) innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioe’ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta” (Sez. 6, n. 8700/2013, cit.; conf. Sez. 2, n. 7667/2015, cit.).
2. Tenendo conto dei principi esposti, devono allora esaminarsi i motivi di ricorso, rilevandosi sin d’ora come essi ripropongano in sostanza le medesime allegazioni difensive svolte in primo grado e i motivi di gravame, rispettivamente disattesi dalle pronunce di merito con motivazione congrua, logica e conforme alle norme di legge (penale ed extrapenale) rilevanti nella specie.
3. Con il primo motivo sono stati addotti la violazione di legge (articolo 481 c.p., e L. n. 10 del 1991, articolo 28) e il vizio di motivazione.
In particolare, ad avviso del ricorrente nel caso in esame, la Corte territoriale avrebbe negato che il fatto dell’imputato sia da qualificare come falso inidoneo, mediante argomentazioni in contrasto con le risultanze istruttorie, poiche’:
– gli accertamenti da parte del Comune di Fossano sull’immobile cui inerisce la dichiarazione dell’imputato sono stati disposti proprio perche’ essa “non e’ stata ab initio creduta, se non altro per la consistenza dei lavori cui l’immobile era sottoposto”, come rappresentato dal teste (OMISSIS), considerato pure che essa era indirizzata all'”occhio esperto” di un tecnico comunale (quale lo stesso teste);
– il (OMISSIS), che svolge l’attivita’ di geometra, “in assenza di specifici titoli di preparazione, non (era) abilitato a occuparsi di questioni relative agli impianti termotecnici” ai sensi della L. n. 10 del 1991, articolo 14, dunque alla sua dichiarazione non era possibile attribuire alcuna valenza;
– la motivazione sarebbe viziata poiche’ ha ravvisato l’elemento soggettivo del reato in mancanza di una prova diretta della conoscenza da parte dell’imputato delle modifiche apportate all’immobile, impiegando una massima di esperienza in realta’ “priva di una reale giustificazione materiale”, tenuto conto pure del fatto che il direttore del lavori (attivita’ nella specie svolta dal (OMISSIS)) non deve garantire una presenza assidua, costante e ininterrotta in cantiere e che l’imputato, alla luce della normativa sopra richiamata, comunque avrebbe posto la propria attenzione solo sui lavori edili.
3.1. Anzitutto, il ricorrente ha censurato la sentenza della Corte territoriale perche’ non avrebbe riconosciuto nella specie un falso inoffensivo.
La giurisprudenza di legittimita’ e’ consolidata nel ritenere che “in tema di falsita’ in atti, ricorre il cosiddetto “falso innocuo” nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso di falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuita’ essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto” (Sez. 5, n. 2809 del 17/10/2013, dep. 2014, Ventriglia, Rv. 258946 – 01).
Difatti, in tema di falso:
– facendo applicazione dell’articolo 49 c.p., deve distinguersi “l’inidoneita’ della azione, che ricorre nel cosiddetto falso “grossolano”, nel falso, cioe’, che per essere macroscopicamente rilevabile, non e’ idoneo a trarre in inganno alcuno, dall’inesistenza dell’oggetto, che ricorre nel cosiddetto falso cd. “inutile”, nel falso, cioe’, che cade su un atto, o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria” (Sez. 5, n. 2809/2014, cit., che richiama Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, Casarola, Rv. 185132; conf. Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, Bautista, Rv. 270245 – 01);
– “il secondo concetto e’ stato sviluppato, ritenendosi sussistere il falso innocuo (o inutile
o superfluo) quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto (falso ideologico) o di un documento (falso materiale), non incide sul suo significato di comunicazione, cosi’ come esso si manifesta nel contesto, anche normativo, della formazione e dell’uso, effettivo
o potenziale, dell’oggetto (Sez. 5, n. 38720 del 19/06/2008, Rocca, Rv. 241936). In altri termini, la punibilita’ del falso e’ esclusa, per inidoneita’ dell’azione, tutte le volte in cui l’alterazione appaia del tutto irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, perche’ non ne modifica il senso oppure si riveli in concreto inidonea a ledere l’interesse tutelato dalla genuinita’ del documento, cioe’ non abbia la capacita’ di conseguire uno scopo antigiuridico” (Sez. 5, n. 2809/2014, cit.; cfr. pure (Sez. 5, n. 38720 del 19/06/2008, Rocca, Rv. 241936) o, in altri termini, quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) non esplicano effetti sulla unzione documentale dell’atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati (Sez. 5, n. 35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395).
3.1.1. Nel caso in esame non si versa affatto in una ipotesi di falso innocuo.
Non e’ in contestazione che – come emerge dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado – l’imputato, nell’esercizio della propria attivita’ di geometra, in qualita’ di direttore dei lavori svolti nella fabbrica de qua, abbia dichiarato contrariamente al vero che l’impianto di riscaldamento originario di essa non fosse stato modificato.
L’inoffensivita’ di tale condotta non puo’ certo derivare dalla circostanza che – secondo la difesa – lo stesso, in quanto geometra di cui non constano ulteriori specifici titoli di preparazione, non potesse svolgere la propria attivita’ in tale ambito, il che avrebbe privato la falsa dichiarazione di ogni valenza; ne’ dal fatto che la dichiarazione, indirizzata a un tecnico comunale e, dunque, a un “occhio esperto” non sia stata “ab initio creduta”.
Per quel che qui rileva:
– il Regio Decreto 11 febbraio 1929, n. 274, articolo 16, comma 1, lettera m), – che reca il regolamento per la professione di geometra – annovera tra le attivita’ rientranti nell’oggetto e nei limiti dell’esercizio professionale di geometra “progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili” (al riguardo, la Corte costituzionale gia’ con la sentenza n. 199/1993 ha dato conto della “nutrita elaborazione giurisprudenziale ormai concorde nel ritenere che, per accertare se una costruzione sia da considerare “modesta” e rientri nella competenza professionale dei geometri ai sensi del Regio Decreto n. 274 del 1929, articolo 16, il criterio basilare cui fare appello e’ quello tecnico – qualitativo fondato sulla valutazione della struttura dell’edificio e delle relative modalita’ costruttive, che non devono implicare la soluzione di problemi particolari devoluti esclusivamente ai professionisti di rango superiore, mentre il criterio quantitativo e quello economico possono soccorrere quali elementi complementari di valutazione, in quanto indicativi delle caratteristiche costruttive e delle difficolta’ tecniche presenti nella realizzazione dell’opera”);
– la L. 9 gennaio 1991, n. 10, articolo 28, comma 1, – in vigore al tempo del fatto – prevedeva la presentazione al comune di una relazione tecnica sul rispetto delle prescrizioni poste dalla stessa legge in materia di opere energetiche.
Dunque, allorche’ l’imputato ha dichiarato, in qualita’ di direttore dei lavori, che tra le opere svolte nella specie non vi era la modifica dell’impianto di riscaldamento ha rappresentato un dato rilevante, sotto il profilo tecnico – qualitativo (peraltro, anche alla luce della consistenza dei rimanenti lavori), perche’ le opere stesse rientrassero tra le “modeste costruzioni civili”, ossia nell’ambito dell’attivita’ che egli poteva svolgere.
Ne discende, allora, la capacita’ decettiva della dichiarazione, ossia la sua offensivita’ della pubblica fede, che ben poteva ingannare l’amministrazione cui era rivolta, trovando smentita la prospettazione difensiva sul punto. Tanto che – e anche sotto tale profilo le allegazioni del ricorrente sono contraddette – sia la Corte territoriale che il Giudice di primo grado hanno esposto come la difformita’ dal vero della dichiarazione sia stata riscontrata solo dagli accertamenti svolti alla luce di altra documentazione prodotta al Comune di Fossano e dal successivo sopralluogo tecnico svolto (cfr. sentenza di primo grado, p. 5; e sentenza impugnata, P. 3).
La deduzione della violazione di legge e’, pertanto, manifestamente infondata.
3.2. Cosi’ come e’ manifestamente infondata la deduzione di un vizio di motivazione sul punto, che dovrebbe ravvisarsi – ad avviso del ricorrente – nella parte in cui la sentenza della Corte territoriale ha sostenuto che l’imputato avesse competenza in materia termotecnica.
Al di la’ della apodittica allegazione di tale vizio (cfr. ricorso, p. 4 s.), e’ lo stesso atto difensivo che in effetti riconduce la doglianza – la cui infondatezza e’ stata appena rilevata – alla “applicazione falsa e distorta della normativa” (ivi). Basti, allora, rilevare che la sentenza impugnata – pur avendo condiviso quanto ritenuto dal primo Giudice sulla sussistenza in capo al (OMISSIS) dei requisiti professionali per poter svolgere il compito di direttore dei lavori (comprese le opere di cui alla L. 10/1991) da realizzare su un modesto fabbricato – ha ritenuto la responsabilita’ penale dell’imputato perche’ egli ha scientemente negato, in maniera difforme dal vero, che l’impianto termico non fosse stato modificato, specificando in maniera logica che tale fatto avesse rilevanza penale a prescindere “dal possesso o meno delle competenze tecniche in capo all’imputato” proprio perche’ egli ha asseverato “la mancata modifica dell’impianto”, ossia che nella specie non avevano avuto luogo lavori che potessero esulare dai limiti posti all’attivita’ dei geometri dalla normativa vigente.
3.3. Quanto, poi, all’addotto vizio della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato, secondo la difesa, la sussistenza di esso sarebbe stata ritenuta in mancanza di una prova diretta della conoscenza da parte dell’imputato delle modifiche apportate all’immobile e facendo applicazione di una massima di esperienza “priva di una reale giustificazione materiale” (poiche’ il direttore del lavori non deve assicurare una presenza costante e ininterrotta in cantiere e comunque l’imputato avrebbe posto la propria attenzione solo sui lavori edili in forza della normativa sopra richiamata).
Le allegazioni in discorso erano gia’ state avanzate con l’atto di appello e sono state disattese: la Corte territoriale ha richiamato le argomentazioni del Tribunale, ha esplicitato che (OMISSIS) ha dichiarato in giudizio che il (OMISSIS) era stato incaricato di curarsi nell’esercizio della propria attivita’ – di tutti i lavori e delle incombenze amministrative ad essi inerenti; ed ha ritenuto che il (OMISSIS), quale direttore dei lavori, fosse certamente a conoscenza delle opere realizzate, ivi comprese le modifiche all’impianto di riscaldamento (cfr. sentenza impugnata, p. 2 s.). Tale ultimo dato si trae con chiarezza dalla sentenza di primo grado, che non solo ha attribuito rilevanza sul punto all’attivita’ di direttore dei lavori svolta dallo stesso (OMISSIS), ma ha riportato che “lo stesso imputato, nel corso del suo interrogatorio” ha affermato che, se avesse letto la dichiarazione difforme dal vero (predisposta da una sua collaboratrice; sul punto si tornera’ in fra) egli non l’avrebbe sottoscritta, cosi’ dimostrando che aveva effettiva contezza delle opere svolte sull’immobile in discorso. Si tratta di un dato dirimente che, in forza dei principi sopra esposti (cfr. retro par. 1.2), impone di ritenere – senza che occorra svolgere ulteriori considerazioni – la doppia conforme affermazione di responsabilita’ congruamente e logicamente motivata sulla base degli elementi in atti anche in relazione al profilo oggetto della doglianza in discorso.
4. Con il secondo motivo si e’ prospettato il vizio di motivazione, poiche’ la sentenza impugnata non avrebbe dato alcun conto delle dichiarazioni dell’arch. (OMISSIS) e delle ragioni per cui la Corte di appello non ha ritenuto, sulla base di esse, che la sottoscrizione della dichiarazione in imputazione, da parte dell’imputato, non sia stata apposta per mera svista e in modo meccanico.
Segnatamente, il ricorrente:
– ha rappresentato che l’arch. (OMISSIS), collaboratrice del (OMISSIS), ha riferito:
– che all’epoca dei fatti ella, nello studio tecnico dell’imputato, si occupava di predisporre i moduli da depositare presso le autorita’ edilizie, sulla base della documentazione di cui disponeva, e che tali moduli dopo venivano sottoposti alla firma del (OMISSIS), il quale, “dopo un eventuale controllo, li firmava”;
– di non ricordare perche’ nel caso in esame abbia apposto una “crocetta” nella parte del modulo in discorso, che escludeva che l’impianto termico della fabbrica oggetto di opere fosse stato modificato, soggiungendo che nel caso in esame nella documentazione di cui disponeva non era presente un progetto relativo alla modifica dell’imputato;
– ed ha sostenuto che tale prospettazione difensiva non e’ stata “nemmeno presa in considerazione”.
4.1. L’asserto, secondo cui la prospettazione difensiva non sarebbe stata “nemmeno presa in considerazione”, e’ patentemente infondato.
La Corte di appello, proprio in relazione al fatto che fosse stata l’arch. (OMISSIS) a redigere e compilare l’atto, ha espressamente affermato che l’imputato – apponendovi la propria sottoscrizione – si e’ volontariamente assunto la paternita’ della dichiarazione, atteso che egli era a conoscenza dei lavori effettivamente realizzati (cfr. sentenza impugnata, p. 3), esaminando ex professo il profilo in questione e argomentando al riguardo in maniera logica e rispondente agli elementi probatori emersi. Tanto piu’ che anche sul punto la sentenza del Tribunale aveva reso una motivazione analitica, logica e congrua, che ulteriormente smentisce l’asserto difensivo di un difetto di motivazione (cfr. sentenza del Tribunale, p. 6 s.).
Deve, percio’, ritenersi la manifesta infondatezza anche del secondo motivo di ricorso.
5. Con il terzo motivo si e’ assunta la carenza e la manifesta illogicita’ della motivazione sul trattamento sanzionatorio e la violazione degli articoli 133 e 481 c.p., in particolare nella parte in cui non e’ stata accolta la richiesta subordinata della difesa di irrogare soltanto una pena pecuniaria.
Invero, ad avviso del deducente, la Corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta difensiva facendo riferimento, ai sensi dell’articolo 133 c.p.:
– alla gravita’ del fatto e alle conseguenze da esso derivate, “ma senza spendere una sola parola” al riguardo, atteso che “il fatto non ha avuto conseguenza materiali di alcun genere” e “ha solo comportato la necessita’ di attivare una procedura “in sanatoria”” per un intervento “amministrativamente irregolare”;
– alla personalita’ dell’imputato, sempre senza specificare alcunche’;
– alla qualifica professionale del (OMISSIS) e al fatto che la condotta era diretta ad ingannare l’autorita’ pubblica, che non sono parametri della gravita’ del reato ma elementi costitutivi di esso.
5.1. Rileva il Collegio che:
– la sentenza di primo grado aveva giustificato l’irrogazione di una pena detentiva sulla scorta della gravita’ non minima del fatto (ragion per cui ne aveva escluso la tenuita’ ex articolo 131 bis c.p.), tratta dal “proposito criminoso di natura intensamente dolosa, volta ad ingannare le autorita’ preposte alla vigilanza edilizia”, e aveva determinato la pena base in mesi tre di reclusione, riconoscendo all’imputato le circostanze attenuanti generiche in considerazione del suo buon comportamento processuale, con giudizio di prevalenza sulla recidiva, tanto da aver ridotto la pena a mesi due di reclusione;
– l’atto di appello sul punto si era limitato a chiedere l’irrogazione di una pena solo pecuniaria, “stante la non rilevante gravita’ del fatto (riconosciuta anche dal Tribunale nell’applicare le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva) e l’atteggiamento assolutamente collaborativo dell’imputato durante il procedimento” (cfr. atto di appello, p. 5);
– la Corte di appello ha confermato la pena inflitta, ritenendo il trattamento sanzionatorio adottato dal Tribunale – “tenuto conto della gravita’ del fatto (…), delle conseguenze che dallo stesso derivano, della personalita’ dell’imputato” – “assolutamente contenuto, adeguato al fatto e rispettoso dei parametri di cui all’articolo 133 c.p.”, espressamente escludendo la congruita’ della sola sanzione pecuniaria “tenuto conto della qualifica professionale del (OMISSIS) e delle modalita’ di realizzazione del fatto (…), volto ad ingannare le autorita’ preposte alla vigilanza edilizia”.
5.2. Cio’ posto, per costante giurisprudenza:
– “il giudice, nell’esercizio del potere di scelta fra l’applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l’obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva” (Sez. 6, n. 10772 del 20/02/2018, F., Rv. 272762 – 01), fermo restando che la graduazione della pena rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; e non e’ censurabile in sede di legittimita’ se e’ sorretta da sufficiente motivazione e non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142 – 01);
– “in tema di motivazione in sede di impugnazione, il giudice non e’ obbligato a motivare in ordine al mancato accoglimento di istanze, nel caso in cui esse appaiano improponibili (…) per genericita’” (Sez. 3, n. 53710 del 23/02/2016, C., Rv. 268705 – 01; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, lussi, Rv. 261423 – 01; Sez. 5, n. 18732 del 31/01/2012, Riccitelli, Rv. 252522 01).
Ebbene, nel caso di specie la Corte territoriale, peraltro a fronte della generica prospettazione contenuta nell’atto di appello (che ha apoditticamente richiamato profili gia’ valorizzati dal Tribunale) con evidenza ha reso una motivazione per nulla illogica e arbitraria alla luce dei parametri posti dall’articolo 133 c.p., provvedendo entro lo spazio edittale posto dalla norma incriminatrice.
Ne discende che anche in parte qua il ricorso e’ manifestamente infondato.
6. La rilevata inammissibilita’ del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla pronuncia della sentenza qui impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D., Rv. 217266 – 01; conf., tra le tante, Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463 – 01).
Infine, all’inammissibilita’ consegue, ex articoli 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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