In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|14 aprile 2021| n. 13997.

In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, è necessario che sussista la possibilità in astratto per l’agente di adire il giudice per ottenere quello che si è illegittimamente preteso in concreto mediante l’uso della violenza. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che sia configurabile il delitto di cui all’art. 393 cod. pen. in un caso in cui l’imputato si era impossessato con violenza del denaro consegnato per una prestazione sessuale, poi non resa, per la non ripetibilità, ai sensi dell’art. 2035 cod. civ., del pagamento effettuato in esecuzione di un contratto immorale).

Sentenza|14 aprile 2021| n. 13997

Data udienza 22 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA VITA E L’INCOLUMITA’ INDIVIDUALE – LESIONI PERSONALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. CARUSILLO Elena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/11/2019 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROMANO Michele;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FILIPPI Paola, che ha concluso chiedendo che, riqualificato il reato di cui all’articolo 624-bis c.p., contestato al capo a) nella fattispecie di cui all’articolo 393 c.p., il processo sia rinviato alla Corte di appello per la rideterminazione della pena e che sia dichiarata definitiva la condanna nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del 18 aprile 2019 del Tribunale di Brescia che, all’esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) per i reati di lesioni personali e furto con strappo, condannandolo con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di giustizia.
All’imputato si contesta di avere dapprima concordato con una prostituta il prezzo di una prestazione sessuale consegnandole una banconota da Euro 50,00 e poi, senza che la prestazione fosse resa, di avere strappato la banconota dal reggiseno della donna; ne derivava un litigio nel corso del quale il (OMISSIS) ha colpito la persona offesa cagionandole lesioni personali.
2. Avverso detta sentenza propone (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la erronea qualificazione giuridica del fatto che integrerebbe il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
La somma, in mancanza della prestazione sessuale, andava restituita al (OMISSIS). Anche ritenendo nullo il contratto, il (OMISSIS) aveva il diritto di ripetere la somma di denaro e, al fine di ottenerne la riconsegna, avrebbe anche potuto adire l’autorita’ giudiziaria.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancanza, l’insufficienza e la contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione di penale responsabilita’ per il delitto di furto con strappo.
Il Tribunale aveva affermato la responsabilita’ del (OMISSIS) sulla base della circostanza che la banconota da Euro 50 non si trovasse nel portafogli dell’imputato, mentre essa si trovava proprio nel portafogli. Inoltre, quanto dichiarato dai testi era inidoneo a dimostrare il furto lamentato dalla persona offesa; quest’ultima aveva interesse a mentire, avendo sottratto piu’ volte le chiavi della vettura del (OMISSIS) allo scopo di ottenere la dazione della somma pattuita; la vittima era interessata a fornire una falsa versione dell’accaduto per evitare incolpazioni a suo carico. Inoltre, se quanto riferito dalla persona offesa fosse risultato conforme al vero, la banconota avrebbe dovuto presentare tracce di sangue che invece difettavano.
La motivazione addotta dalla Corte di appello non poteva ritenersi sufficiente e non lasciava comprendere le ragioni della decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
Il contratto di meretricio e’ un contratto nullo, ai sensi dell’articolo 1343 c.c., in quanto contrario al buon costume.
In via generale, dalla nullita’ del contratto discende il diritto delle parti ad ottenere la restituzione di quanto e’ stato dato alla controparte.
L’articolo 2035 c.c., esclude, tuttavia, la possibilita’ di ripetere la propria prestazione nel caso in cui il contratto, anche in relazione a chi ha effettuato la prestazione, sia immorale, come nel caso di specie, in cui e’ stato concluso un contratto di meretricio.
In questa ipotesi, ciascuna delle parti puo’ trattenere quanto le e’ stato dato in esecuzione del contratto.
L’impossibilita’ per il (OMISSIS) di rivolgersi all’autorita’ giudiziaria per ottenere la restituzione della banconota da Euro 50,00 e la possibilita’ per la persona offesa di trattenere quanto a lei dato escludono che il fatto possa essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilita’ del reato e’ necessario che sussista la possibilita’ in astratto per l’agente di adire il giudice per ottenere quello che si e’ illegittimamente preteso in concreto mediante l’uso della violenza (Sez. 5, n. 22140 del 17/04/2019, P., Rv. 276249).
Per la configurabilita’ della ragion fattasi la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, caratterizzando il reato solo la sostituzione, da parte dell’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (Sez. 6, n. 9436 del 01/07/1997, Marzari, Rv. 209406).
2. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile, perche’ le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all’interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all’esterno dei limiti del sindacato di legittimita’. La decisione del giudice di merito non puo’ essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ illustrati come maggiormente plausibili o perche’ assertivamente dotati di una migliore capacita’ esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e’ in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
3. All’inammissibilita’ del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

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